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Autore: Francine    04/04/2014    2 recensioni
«Una sorta di super soldato?», chiese un giovane, dai capelli biondi e dall'accento sguaiato, con una cravatta da vaccaio al collo. «Come nei fumetti?»
«Esatto, mister Griffith», intervenne Volonskij, «solo che, questa volta, potreste ottenere dei dati concreti, invece che pagine disegnate per bambini delle elementari.»

Prima Pubblicazione: Settembre 2004
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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2.



L'autunno era arrivato, finalmente.
L’aveva sentito avvicinarsi nelle ultime giornate di Agosto, nel vento freddo che correva per le strade e sulla sua pelle durante le serate trascorse in riva al mare attorno a fiammeggianti falò, tra canzoni urlate alla luna e a birre tenute in fresco sotto la sabbia.
L'aria era cambiata.
L’afa della canicola aveva ceduto il passo ad un sospiro sempre più fresco, che si era pian piano tramutato nel vento di settembre, ma di giorno faceva ancora abbastanza caldo perché si potesse girare in maniche di camicia, o con i pantaloni leggeri, come quelli di jersey che si era regalata durante i saldi di un paio di anni fa.
Le piacevano quei pantaloni di un delicato celeste che le fasciavano alla perfezione le gambe e mettevano in risalto il verde dei suoi occhi. E che le erano costati veramente poco, altro pregio da non sottovalutare. E che piacevano a lui; gliel'aveva detto qualche giorno prima, dopo averle rovesciato addosso un intero boccale di birra, costringendola a porre fine alla serata e a rincasare in fretta e furia per cambiarsi, farsi una doccia e togliersi di dosso l'olezzo del luppolo fermentato.

Mi dispiace, sul serio! Peccato, questi pantaloni ti stanno così bene!

Uno spiffero traditore le soffiò sulle schiena regalandole un'impeccabile quanto improvvisa pelle d'oca; si strinse nel golfino di cotone giallo sole e richiuse la finestra alle sue spalle. Si stava facendo tardi ed era ora di preparare la cena.
Accese la luce sopra la macchina del gas, incuneata alla perfezione nell'ampio angolo cottura che fungeva da cucina all'interno del suo appartamento. Appartamento che in realtà era un monolocale costituito da una stanza di sì e no cinquanta metri quadri, un bagno all'occidentale - stranamente senza vasca, né bidè - ed uno striminzito angolo cottura.
Chi aveva compilato quell'annuncio aveva omesso le reali dimensioni della casa, ma su una cosa, almeno, era stato sincero: l'affitto era estremamente basso. E dati i chiari di luna a cui erano abitualmente soggette le sue finanze, poco le importava che la sua casa non fosse una reggia: le bastava avere un tetto sulla testa, fresco d'estate e caldo d'inverno, dove potersi rifugiare per dormire e mangiare. 
E a tal proposito, cosa preparare per cena?
Aprì il piccolo frigorifero e ne passò in rassegna il contenuto: Calpis, frutta fresca - costata un occhio della testa - un cartone di latte a metà, tre uova, un golfino di cachemire rosa e delle scatole di cibi precotti acquistati al convenience store all'angolo.
E questo?, pensò studiando con sospetto il maglioncino che riposava accanto alle quattro cose che la guardavano perplesse dai ripiani del frigorifero. A chi toccava fare la spesa?
Richiuse lo sportello e si alzò, stirando il muscoli della schiena. Sono a pezzi, ma devo sforzarmi di mangiare qualcosa, altrimenti come farò ad alzarmi, domattina?
Solo a formulare quel pensiero ebbe di nuovo i crampi ai piedi: non era certo piacevole restare per otto ore dritta come una statua ad ascoltare con stoica pazienza i desideri della clientela con il sorriso sulle labbra piegando maglie, pantaloni e camicette; ma doveva pur campare, giusto? E la sua idea di indipendenza non prevedeva in alcun modo qualsivoglia finanziamento da parte della Fondazione. La libertà costa cara, purtroppo...
Sospirò aprendo un'anta del pensile al lato dello scolapiatti: dentro c'erano un paio di pacchi di pasta, del riso e una scatoletta di tonno sott'olio.
Pasta al tonno!, decise prendendo gli ingredienti necessari e la pentola per l'acqua.


La luce fioca della luna piena filtrava attraverso le imposte semi accostate facendole compagnia mentre riordinava l'angolo cottura. Appeso lo strofinaccio al muro, spense la lampadina sopra i fornelli e si godette quel pallido chiarore seduta sul tatami, accanto alla finestra. Non passò molto tempo che sentì la chiave girare nella serratura, la porta d'ingresso aprirsi lentamente e l’interruttore scattare all’insù.
«E tu che ci fai qui?», le chiese Françoise chiudendosi la porta alle spalle.
«Ci vivo, ricordi?», rispose Shaina schermandosi gli occhi con la mano destra.
«Questo lo so», rispose l’altra liberandosi delle scarpe nel genkan. «Intendevo dire, come mai sei già a casa? Non sei andata con gli altri? Da quando in qua ti piace ammirare la luna, come i lupi mannari? »
«Avevo mal di testa. Ti spiacerebbe spegnere la luce…»
Il pallore argenteo della luna inondò nuovamente la stanza e la borsa e la giacca di Françoise caddero dimenticate sul pavimento.
«Giornata dura, eh?»
«Non più del solito.» Shaina la sentì aprire il frigorifero alla ricerca di cibo, richiuderlo ed annusare l’aria come l’avrebbe fatto un cane da caccia.
«Pasta al tonno? A saperlo sarei rientrata per cena invece di andare al cinema…»
Shaina tacque. Era stanca, e non sapeva come entrare in argomento. «Che cosa hai visto? »
«Una pallottola spuntata 2 ½», rispose Françoise scomparendo dietro il separé che divideva la zona giorno dalla zona notte. Riapparve subito dopo, con il pigiama indosso e i capelli legati.
«In quale cinema?»
L’altra la guardò perplessa.
«Quello a tre isolati da qui. Non ricordo come si chiami. Tutto a posto?»
Shaina scosse la testa. «No. Siamo preoccupati per Shun.»
«Shun? E perché mai?», chiese l’altra avvicinandosi.
«Tu da quant’è che non lo vedi?»
Françoise fece spallucce. «Non saprei. Un paio di mesi?»
«Non abbiamo sue notizie da un mese e mezzo. Non si fa vedere né a Kido Manor, né con gli altri…»
«Forse si sarà rotto le palle di passare le serate davanti al falò?», propose Françoise accomodandosi sul tatami.
Shaina le scoccò un’occhiataccia. Sono sicura che se con noi venisse anche un certo ragazzo dagli occhi blu, staresti in prima fila davanti al falò…
«Forse», concesse Shaina.
«Seriamente… magari si sarà scocciato di reggere il moccolo a voi quattro. O avrà trovato qualche altra cosa da fare… no?»
«Non so. Se si fosse trattato di Ikki, ti avrei dato ragione, ma Shun non è un tipo asociale come suo fratello. Anzi. È sempre pronto ad unirsi agli altri per passare del tempo insieme. Non mi sembra da lui sparire in questo modo.»
«D’accordo, ma non può essere che si sia trovato una ragazza?», chiese Françoise allargando le braccia.
Shaina scosse la testa. «Non credo. E June non lo vede da circa sei mesi», le confidò, incrociando le braccia davanti a sé.
«Cosa, cosa, cosa? Avete chiesto a June se avesse notizie di Shun?», chiese l'altra sgranando gli occhi. «Ma sei impazzita?»
«Tu che avresti fatto?»
«Di sicuro non avrei chiamato June! Andiamo, Shaina, quella ragazza è stracotta di Shun, ma onestamente non mi pare che lui ricambi la cortesia!»
«Dici?», chiese Shaina perplessa.
«Ossignore, ma quanti anni hai?»
«Ventidue…», rispose l'altra.
«E Shun? No, non dirmelo, lo so che ne ha diciannove, grazie! Quel che volevo dire è che se un ragazzo di diciannove anni ancora non ha combinato nulla con una ragazza che sa essere stracotta di lui, un motivo ci sarà!»
«Non vorrai insinuare che…»
«No. Guarda, da come scruta le belle ragazze, escludo categoricamente una sua omosessualità!», si affrettò a spiegarle l'altra. «Intendevo solo dire che forse si sarà trovato un'altra ragazza. Qualcuna che non appartiene a questo mondo. E che adesso lui sia talmente preso da lei da dimenticarsi per un po' gli amici… Onestamente, penso che ci siano cose più divertenti da fare in due che passare la sera accanto al fuoco a sbraitare canzoni vecchie e stravecchie, no?»
«E tu che ne sai?», la punzecchiò Shaina con fare canzonatorio. «Non mi pare di averti mai visto accanto ad alcun ragazzo…»
«Non ho ancora trovato il tipo giusto», si difese alzandosi in fretta.
«Non sarà per Hyoga, vero?»
Françoise si voltò. «Che c’entra Hyoga, adesso? Non sta con quella… quella ragazzetta slavata?»
«Si chiama Erii.»
«Erii, Erin, o come si chiama lei. Ha problemi pure lui? E cosa siamo diventate? Due angeli custodi?»
Shaina scosse la testa.
«Hyoga sta benissimo. Da quando ha conosciuto Erii è molto più tranquillo. A detta di Seiya.» Quindi?, le suggerì l’espressione perplessa di Françoise. «Mi chiedevo se tu non venissi con noi a causa loro.»
«Per Hyoga ed… Erii?», domandò l’altra prima di scuotere la testa. Troppo in fretta, pensò Shaina. «No, no, no, lui non è proprio il mio tipo.»
«E quale sarebbe il tuo tipo?», domandò Shaina voltandosi verso di lei.
«Quando lo troverò, te lo presenterò. E stai tranquilla, non si tratta di Seiya.»
Françoise si allontanò, decisa a mettere fine a quella conversazione, ma Shaina non era del suo stesso avviso.
«Comunque sia, una decina di giorni fa Seiya è andato a trovare Shun per invitarlo alla grigliata sulla spiaggia, ma siccome il suo telefono risultava occupato è andato direttamente a casa sua.»
«E?» Françoise l’esortò a continuare con un cenno della mano ed un sonoro sbadiglio.
«E Seiya ha trovato Hyoga fuori casa di Shun che bussava come un disperato, ma quello niente, non rispondeva.»
«Possibile che fosse uscito?»
«No, le finestre erano aperte e sai quanto sia preciso Shun.»
«Da rasentare la patologia», commentò l'altra, che era il Caos incarnato.
«Appunto, quindi doveva essere in casa. Così Seiya... ha pensato bene di sfondare la porta.»
«Ma è pazzo?» trasalì Françoise, mettendosi a sedere sul proprio letto.
«Ok, ha esagerato, e gliel'ho detto anche io», tagliò corto Shaina, «ma il punto è un altro. Shun dormiva. Ma non da un ora o due. A giudicare dal casino che Seiya e Hyoga hanno trovato là dentro, hanno ipotizzato che Shun abbia dormito per un paio di giorni filati. E che se non l'avessero disturbato, avrebbe proseguito a lungo.»
«Sarà fuori fase?», tentò di spiegare Françoise.
«Tu ce lo vedi Shun a campare in una casa con il cestino dell'immondizia straripante di rifiuti?»
 Dio che orrore! «No…»
«Casa sua è di strada. Non è che tornando potresti…»
Françoise serrò la mascella. «Io domani lavoro. Perché non ci passa Seiya? Lui non ha nulla da fare tutto il santo giorno, no?»
«L’ho convinto a non andarci. Non vorrei che facesse un’altra sciocchezza. E io non posso, lavoro da tutt’altra parte…  Lavori domestici esentati per tre settimane.»
«Un mese o non se ne fa nulla.»
«Andata.» Le seccava chiedere aiuto a Françoise, ma non vedeva altra soluzione. E poi voleva avere un punto di vista più freddo e distaccato di quelli di Seiya e Hyoga.
 «E va bene vorrà dire che domani gli farò una visitina portandogli la cena. Tanto sono di strada», promise la ragazza. Shaina sentì il fruscio delle lenzuola smosse, il cuscino sprimacciato e poi il silenzio. Si voltò a fissare la luna.


La cassetta della posta straripante di pubblicità e bollette non pagate, lo zerbino accostato al lato della porta, ed infine il campanello che suonava a vuoto. Qualcuno l’aveva staccato, ma chi?
Shun? Possibile? Françoise rimase con il pacchetto della rosticceria cinese tra le mani a fissare quelle assi di rovere verniciate di bianco per un buon quarto d'ora, vagliando nella sua testa ogni risposta plausibile per quella situazione che definire anomala costituiva un eufemismo. Si decise infine a bussare alla porta di casa. Nulla. Al decimo toc toc si affacciò timorosa una donna dall'appartamento accanto a quello di Shun.
«Chi è lei? Desidera?»
Françoise si voltò, felice di aver trovato qualcuno che potesse rispondere alle domande che le frullavano nella testa. «Buonasera, signora…», fece cercando di apparire una dolce ed ingenua fanciullina. O almeno provandoci.
«Buonasera?», rispose l'altra donna inarcando elegantemente un sopracciglio ed emergendo da dietro la catenella con cui si proteggeva dagli intrusi. «Ma se sono appena le tredici?»
Maledetta precisione nipponica!, maledisse Françoise mentre sfoderava un caldo sorriso a quella massa di bigodini tenuti assieme da una retina piena di buchi che aveva sicuramente visto tempi migliori. Almeno trent'anni fa.
«Lei chi è?», le domandò la donna con un tono degno dell'Ispettore Derrick dei tempi d'oro. «E perché continua a dare spallate alla porta del signor Kido?»
Veramente stavo solo bussando… «Vede, signora», iniziò a dirle Françoise assumendo un'aria disinvolta, anche se la situazione in cui versava casa di Shun non era delle più rassicuranti. «Sono un'amica del signor Kido, e sono passata a vedere come sta perché è da qualche tempo che non abbiamo sue notizie.»
Non era proprio una bugia, giusto?
La signora aprì maggiormente la porta di casa ed apparve sul ballatoio dello stabile con indosso una vestaglia rosa degna di una pin up degli anni '50, con il peluche sintetico sullo scollo, ai polsi e al bordo.
Le mancano solo le ciabattine con il tacco ed il pon pon sulla tomaia per essere perfetta!, pensò la ragazza sforzandosi di non ridere.
«Così lei ha detto di essere un'amica del signor Kido…», iniziò a dire la donna: si vedeva lontano un chilometro che la ragazza non le era molto simpatica, e la cortesia era ampiamente ricambiata. «E come mai io non l'ho mai vista?»
«Forse non avrà fatto caso a me», le rispose sorridendo.
«Ne dubito, appariscente com’è», ribatté la donna, scrutandola da dietro la montatura stagionata.
Appariscente? Françoise si constrinse a sorridere, covando dentro di sé tutta l'antipatia che la donna che aveva davanti non aiutava a smorzare.
«Il signor Kido frequenta strana gente, se lo lasci dire. Comunque sia», tagliò corto la donna sentendo la sigla d'inizio di un programma televisivo, «quel ragazzo mi preoccupa. È un problema. Dorme tutto il santo giorno, per uscire dalla sua tana solo verso le nove! Vorrei proprio sapere che fa! Ah, ma non pensi che io sia una di quelle che s'impiccia di ciò che fanno i miei vicini, sa?»
«Come potrei, signora? Anzi, le sono grata per avermi dato delle informazioni su Shun», le rispose Françoise. Se tu non sei una ficcanaso, io sono Babbo Natale in gita premio!, pensò la ragazza accompagnando le sue parole con uno di quei sorrisi leziosi che aveva imparato a fare osservando le ragazze giapponesi.
«Badi bene, signorina!», l'ammonì la donna con l'indice destro ben teso in alto. «Dica al suo amico di cominciare a fare una vita regolare! E di smetterla di frequentare gente poco raccomandabile!», sbraitò rientrando e serrandosi l'uscio di casa alle spalle.
«Aspetti!», le fece la ragazza, ma oramai la donna si era trincerata a tripla mandata dietro una massiccia porta di legno. Maledetta idiota!, ruggì Françoise nella propria testa stringendo impercettibilmente il pacchetto della rosticceria. Mi ha detto tutto, tranne le cose veramente importanti! E chi sarebbe questa gente poco raccomandabile, sentiamo?! Spero che ti esploda il televisore sul più bello!
Tornò davanti la porta di Shun, provando nuovamente a bussare, nella speranza che il cicaleccio della vecchia megera fosse riuscito a svegliarlo.
«Le ho detto che dorme!», ruggì la signora non appena la ragazza bussò sul legno bianco. «Se non se ne va, chiamo la Polizia!»
Françoise decise che se quella megera avesse chiamato la polizia non le avrebbe fatto altro che un favore! Almeno, li avrebbe costretti a buttar giù la porta per vedere come diavolo stesse Shun!
Espanse il proprio Cosmo, cercando di captare quello dell'altro ragazzo: niente. E le spiegazioni potevano essere soltanto due. O Shun non era in casa – e qusto invalidava le parole della megera – oppure Shun stava dormendo. E della grossa per giunta! 
Si arrese: non aveva senso chiamare la polizia, l'aviazione e l'esercito, cosa che avrebbe fatto tra due secondi netti quell'impicciona dietro la porta accanto, solo per aprire un appartamento vuoto o tirare giù dal letto un pigrone.
Sentendosi gli occhi della donna addosso, frugò nella borsa e ne estrasse un foglio di carta ed una penna. Scrisse un breve messaggio e introdusse la carta e pacchetto attraverso la fessura della posta, cercando di far entrare per intero la corrispondenza e il cibo.
Almeno avrà qualcosa da mettere sotto i denti stasera; non vorrei che se lasciassi qui fuori il pacchetto, vi pasteggiassero i gatti o qualche cane randagio. O peggio ancora quella rompipalle, pensò introducendo a fatica il suo presente per Shun ed alzandosi sbattendo tra loro le mani.


«Sì… Ti ripeto che la vicina mi ha detto che dorme sempre e che esce di casa solo alle nove passate. Eh? E che ne so io dov’è che va? Fai un salto a casa sua e chiedi alla vecchia, tanto sono sicura che saprà anche quello e quante volte Shun vada al bagno!»
Appoggiata al telefono privato del supermercato in cui lavorava, Françoise parlava con la propria coinquilina raccontandole com'era andata la visita al disperso di Russia. Ovviamente, lei non si era ricordata di chiamare Shaina subito dopo la sua missione. Tanto, glielo racconterò stasera dopo cena, ammesso che non se ne vada fuori con quel suo fidanzato…anzi! Speriamo che non si porti dietro tutta l'allegra brigata, o mi toccherà cucinare per un esercito!, aveva pensato infilandosi, nuovamente in ritardo, la divisa bianca e rosa e chiedendosi perché le gelataie dovessero avere delle uniformi al limite dell'idiozia.
Quindi, aveva preso posto dietro il carretto dei gelati di cartone che il figlio del padrone aveva appositamente costruito la sera prima.
Il carretto passava e quell'uomo gridava "Gelati!".
Alla metà del pomeriggio aveva dedotto che tutti gli eredi di coloro che avevano un esercizio commerciale fossero degli idioti integrali: il carretto era storto, pendeva come e più della torre di Pisa e ogni volta che doveva sporgersi oltre, dava solenni zuccate alle stecche interne che quell'idiota patentato aveva inchiodato al cartone per tenerlo più stabile.
 Ma perché non ha fatto 'sto coso con le mie misure, invece che con le sue?, pensava massaggiandosi i bernoccoli che aveva riportato in battaglia.
Così, presa a lottare contro quel trabiccolo, le era del tutto passato di mente l'incontro ravvicinato del quarto tipo che aveva avuto nel primo pomeriggio; almeno fino a quando Shaina non l'aveva chiamata per avere notizie di Shun.
«Senti, se resto ancora al telefono, mi linciano», le disse ricorrendo all'italiano, sentendosi addosso gli occhi affilati del signor Hashida figlio. «Ne parliamo stasera a cena!»
«Benissimo, avviso subito Seiya allora!», le disse Shaina attaccando alla velocità della luce, prima ancora che la mente di Françoise potesse registrare quanto avesse appena ascoltato. Rimase a fissare la cornetta del telefono da cui usciva un monotono e snervante "tu-tu" che pareva prenderla in giro.
Merde!


Quella sera, al suo rientro a casa, trovò nel genkan  tre paia di scarpe, oltre a quelle di Shaina, e due deliziose décolleté rosso ciliegia con il tacco a rocchetto. La vista di quelle calzature mitigò per un istante la rabbia di trovarsi la casa invasa da gente con cui meno aveva a che fare e meglio stava e che sentiva cicaleggiare nel monolocale.
Chissà se abbiamo lo stesso numero, pensò prendendone una in mano e saggiandone la fattura: un buon prodotto, tutto sommato.
«No, non sono nel tuo stile.»
Trasalì e alzò lo sguardo: un paio di occhi blu la stavano osservando curiosi da chissà quanto tempo.
Mi ha vista mentre? «Buonasera», ribatté Françoise interdetta davanti a quell'ospite assolutamente imprevisto. Rimise a posto la scarpa e si tolse le sue. «Quanto tempo…»
«Kalispèra», fece l'altro abbozzando un inchino con un’espressione divertita negli occhi, mentre le voci degli altri convitati ricominciavano a riempire nuovamente la casa. «Mancavi solo tu», le disse porgendole la mano.
Quando acchiappo Shaina giuro che le cavo gli occhi, pensò salendo il gradino, ignorando quella mano e salutando alla spicciolata gli ospiti, per poi dirigersi dietro il paravento. Era proprio necessario invitare anche lui?!


Note:

Il >genkan è lo spazio che si trova all'ingresso delle case orientali, dove si lasciano le scarpe per indossare le pantofole.

Kalispèra significa "buonasera" in greco.

Sì, non ho resistito ad aspettare martedì per postare il secondo capitolo. Ma dalla prossima settimana, non si sgarra. Un capitolo ogni sette giorni.
Per chi non la conoscesse, Françoise è la prima versione di  Φ; appare per la prima volta in Il Rimpianto di una Stella Cadente e Gold!, di cui questa storia è l'epilogo. State tranquilli, la loro lettura  non è necessaria  per la comprensione di questa vicenda.
E garrula come un fringuello a primavera, vi lascio con la piantina dell'appartamento #23, quello abitato da Shaina e Françoise, realizzata da CowgirlSara. Thank you, my dear! 
   
 
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