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Autore: Francine    01/04/2014    2 recensioni
«Una sorta di super soldato?», chiese un giovane, dai capelli biondi e dall'accento sguaiato, con una cravatta da vaccaio al collo. «Come nei fumetti?»
«Esatto, mister Griffith», intervenne Volonskij, «solo che, questa volta, potreste ottenere dei dati concreti, invece che pagine disegnate per bambini delle elementari.»

Prima Pubblicazione: Settembre 2004
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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1.



L'automobile correva lungo le strade bagnate, incontro alla pioggia che rimbalzava contro il parabrezza, lasciando dietro di sé una scia luccicante che rifletteva l'intero spettro solare. I vetri scuri nascondevano gli occupanti della vettura dallo sguardo curioso dei passanti, e conferivano un aspetto elegante alla berlina grigio metallizzato che attraversava la città deserta, sorpresa da quel temporale estivo.
L'autista imboccò una serie di strade a senso unico per poi svoltare a destra, dopo aver costeggiato il lungomare per una decina di minuti; le onde mugghiavano minacciose oltre la cortina di scogli artificiali frequentati dai pescatori, e il persistente odore della sabbia bagnata arrivava fin dentro la vettura.
Un'ultima svolta a sinistra e un grande e svettante palazzo dalle facciate a vetri apparve lentamente; sovrastava di una buona trentina di metri gli altri edifici che si arrampicavano sulla collinetta silenziosa. L'automobile svoltò attorno alla costruzione ed imboccò un accesso secondario, proseguendo fino all'ultimo livello del garage.
«Fatto buon viaggio, signore?», chiese con premura un usciere, aprendo la portiera e mettendosi rispettosamente di lato. L'uomo in elegante completo scuro e scarpe italiane fatte a mano non rispose, limitandosi ad un rapido cenno del capo; quindi imboccò l'ascensore seguito immediatamente dalla sua assistente, una donna di trent'anni in un castigato tailleur fumo di Londra e armata di una voluminosa ventiquattrore.
Superati i primi due livelli del garage e il piano terra, l'ascensore uscì all'aperto, continuando la sua corsa all'interno di una cabina di vetro.
«Il panorama è sempre affascinante…»
La donna si sistemò gli occhiali che le erano scesi in punta di naso. L'altro non rispose, volgendo la testa verso l’angolo di contatto tra cabina e palazzo, dandole le spalle. Lei sorrise, tornando a rimirare la città bagnata dalla pioggia con quel suo strano mantello umido e le luci delle automobili scivolare liquide in ordinate colonne.
L'ascensore arrivò al piano selezionato, le porte a scorrimento si aprirono senza emettere suono e i due occupanti si trovarono a percorrere un silenzioso ed essenziale corridoio: non una porta, non un quadro o una pianta, solo il semplice grigio del pavimento e delle pareti metalliche.
Giunti davanti all'unica porta in fondo al corridoio, l'uomo si fermò, per mettersi sull'attenti di fronte ad un invisibile interlocutore. Una luce verde effettuò la scansione della retina dei due, emettendo un segnale sonoro alla fine dell'operazione; quindi, una voce metallica annunciò l'arrivo dei due ospiti.

Scansione effettuata; elemento dottor Pëtr Ilič Volonskij. Positivo. Accesso consentito.

Scansione effettuata; elemento dottoressa Irina Josifieva Karamazova. Positivo. Accesso consentito.

La porta metallica scivolò all’interno della parete, consentendo il passaggio ai due, che entrarono con passo svelto e deciso. La porta si richiuse, mimetizzandosi alla perfezione con il grigio metallico del muro. All'interno di una sala illuminata fiocamente, alcune persone li aspettavano riunite attorno ad un tavolo di forma ellittica. Come li videro entrare, rivolsero immediatamente la loro attenzione su di loro.
«Benvenuto, dottor Volonskij», li accolse una voce da dietro lo schienale di una poltrona in pelle nera. «Fatto buon viaggio?»
Questa volta l'uomo si limitò ad occupare il proprio posto mentre la donna rimase in piedi alle sue spalle, pronta a fornirgli quanto le sarebbe stato a breve richiesto.
«Ci dica, dottore», intervenne una donna inguainata in un tailleur di pelle rossa, le lunghe unghie laccate a carezzare la superficie liscia e lucida del tavolo. «A quali risultati sono giunte le sue ricerche?»
L'uomo, senza smentire la fama di orso per cui era conosciuto nell'ambiente, fece un cenno alla sua assistente, la quale estrasse dalla borsa dei fascicoli che distribuì personalmente a tutti e dieci i convenuti. Quindi, ravviando una ciocca ribelle che le era sfuggita dallo chignon castano, inserì un compact disc in un portatile posizionato dietro di sé e premette il tasto d'avvio.
«Come potete osservare dal chiarissimo grafico alle mie spalle», esordì l'uomo indicando una serie di intricate tabelle e grafici d'andamento con isoipse incrociate, e rivelando al contempo una voce baritonale arrochita dal fumo, «le ricerche che ho condotto in questi anni mi hanno portato ad ottenere una serie di risultati discordanti tra di loro. Se da un lato gli economisti prevedono un sempre maggior utilizzo di quell'energia cosiddetta pulita, dall'altro è innegabile che le riserve in natura di questo tipo di carburante, passatemi il termine, siano agli sgoccioli.»
«E questo è tutto ciò che è in grado di dirci dopo quattro anni passati a far ricerche con i nostri soldi?», commentò un uomo bilioso, dai lineamenti orientali, asciugando il sudore che scorreva copioso sul suo viso grasso e rubicondo.
Volonskij non rispose, limitandosi a voltare una pagina del dossier che teneva tra le sue sinuose e nervose dita, imitato dagli altri convenuti.
«Esistono diverse fonti di energia biocompatibile, come sono soliti chiamarla gli addetti ai lavori. Tuttavia, il loro potere non inquinante è compensato da una scarsa reperibilità in natura, motivo per cui voi mi avete affidato questi cicli di ricerche finanziate con i vostri soldi. Ebbene, se ambite ad ottenere qualcosa che riesca a spiazzare la concorrenza e ad essere di sicura reperibilità, mi spiace, ma mi trovo costretto ad alzare bandiera bianca.»
«Lei è un irresponsabile!», tuonò nuovamente l'orientale, arricchendo il proprio rimprovero con un pugno sul tavolo che fece cadere il bicchiere che aveva davanti a sé ed il liquido in esso contenuto.
«Suvvia, monsieur Wong», intervenne un uomo con spiccato accento francese ed una carnagione pallidissima. «Sono più che sicuro che monsieur Volonskij non si sia limitato alla mera raccolta di dati, ma sia giunto ad una conclusione più che soddisfacente. Per tutti noi, n'est-ce pas
Volonskij fece un cenno alla sua assistente, che cambiò rapidamente il cd all'interno del portatile, sostituendolo con un altro supporto digitale dal cupo color nero.
«Osservate con attenzione ed in silenzio questo filmato…», si limitò a suggerire l'uomo accendendosi un sigaro.
Al centro esatto del tavolo si materializzarono delle immagini: alcuni atleti, adolescenti a giudicare dai loro visi, erano impegnati in combattimenti all'interno di una specie di torneo; torneo che, almeno a giudicare dalla folla riprodotta dalle immagini olografiche, suscitava un discreto interesse nel pubblico.
«Quelle che vedete sono immagini rimasterizzate di un avvenimento di alcuni anni fa in Giappone. Come credo Mitsui-san ricorderà», disse indicando un altro orientale, seduto all'estrema destra del tavolo, «la Fondazione Grado aveva indetto un torneo di lotta greco-romana, teso più alla spettacolarità degli incontri che alla disciplina sportiva in quanto tale. Per l'occasione, e per un maggior impatto mediatico, la Fondazione aveva fatto addirittura ricostruire una copia in scala del Colosseo romano, chiamandolo Grade Colisseum, che avrebbe funto da scenario per queste battaglie tra atleti.»
Mentre Volonskij parlava, sullo schermo scorrevano immagini dei vari scontri, come a ripercorrere l'andamento del torneo.
«Come premio per il vincitore, una corazza d'oro massiccio. Sono andati avanti per meno di una settimana, fino a quando l’ultimo arrivato decise di trafugare il premio. Non si seppe più nulla, né dei ragazzini, né dellla corazza. Dissero che si trattava di un reperto scandinavo. L'evento fu abbandonato dalla Fondazione e il Grade Colisseum fu dato alle fiamme, forse da alcuni teppisti, scontenti per esser stati privati del loro divertimento quotidiano.»
«Ebbene?», insistette Wong, mentre le immagini scorrevano davanti ai suoi occhi.
«Come voi stessi saprete dal mio curriculum, sono stato attratto sin da ragazzo dalle forme d'energia che il corpo umano sviluppa autonomamente, ed ho anche brevettato un macchinario capace di rilevare la bio-energia prodotta dagli esseri umani. Io ero presente in sala, durante l'ultimo combattimento, quello tra Andromeda e Unicorno»,  riprese Volonskij voltando pagina e soffermandosi sull'immagine di un ragazzo dai delicati lineamenti e dai profondi occhi blu. «E vi posso assicurare, signori, che l'energia sprigionata da quei ragazzini va al di là di ogni immaginazione! Quello che sembrava essere una pagliacciata, un fenomeno da baraccone, una propaganda orchestrata goffamente, nascondeva in realtà qualcosa di più profondo, qualcosa di recondito a cui io ho dedicato tutti questi anni. E buona parte dei vostri soldi.»
I dieci uomini rimasero ad osservare attentamente lo svolgersi dell'ultimo combattimento sullo schermo olografico fino alla conclusione del filmato.
«E che cosa ha scoperto, dottor Volonskij?», chiese la voce che li aveva accolti, la voce di colui che pareva essere il capo di quel raduno.
«Questo tipo di energia sembrerebbe essere rinnovabile. E soprattutto», s'interruppe aspirando una profonda boccata di fumo, «può essere incanalata. Ed utilizzata, come se fosse un arma.»

Il silenzio piombò sull'intera sessione, ammutolendo persino il polemico Wong, che si ritrovò con un fazzoletto madido di sudore stretto tra le dita grasse.
«Ho incaricato la dottoressa Karamazova di seguire passo passo i protagonisti di questi filmati, per vedere sino a che punto si trattasse di una trovata pubblicitaria. Sarà lei stessa ad illustrarvi gli esiti delle sue ricerche», concluse Volonskij, cedendo la parola alla donna alle sue spalle.
«I protagonisti dei filmati che avete visto poc'anzi», iniziò la dottoressa Karamazova dopo essersi schiarita la voce con un finto colpo di tosse, «sono ormai adulti. Un paio di anni fa si è scoperto che altri non erano che i figli naturali del defunto Mitsumasa Kido, e alcuni di loro occupano attualmente ruoli chiave della Fondazione Grado. Spartita la torta – se mi passate la metafora - Saori, l’erede universale a questo punto non più tale, ha deciso di ritirarsi definitivamente dalla gestione della Fondazione, isolandosi in un eremo in Grecia sei mesi l'anno e lasciando alle cure di questi ragazzi l'ingente patrimonio del vecchio patriarca.»
Frattanto, sullo schermo scorrevano le immagini dei diretti interessati, uno per uno, sia durante la Guerra Galattica, sia attraverso immagini più recenti, rubate da eventi pubblici a cui avevano partecipato come rampolli di una delle più ricche famiglie di tutta l'Asia Orientale.
«Abbiamo scoperto che la forza di questi ragazzi risiede nella capacità di avere libero accesso ad un'energia chiamata Cosmo, che permette loro di compiere azioni prodigiose. Sbriciolare massi come fossero di polistirolo o correre come se avessero le ali ai piedi, solo per portarvi un paio di esempi», proseguì la dottoressa Karamazova leggendo la lista di informazioni raccolte durante quegli anni. «I dati raccolti ed analizzati ci hanno fornito un profilo esaustivo di ciò che state cercando. Ebbene, questi ragazzi potrebbero essere l'arma definitiva che vi permetterebbe di sbaragliare la concorrenza.»
«Una sorta di super soldato?», chiese un giovane, dai capelli biondi e dall'accento sguaiato, con una cravatta da vaccaio al collo. «Come nei fumetti?»
«Esatto, mister Griffith»,  intervenne Volonskij, «solo che, questa volta, potreste ottenere dei dati concreti, invece che pagine disegnate per bambini delle elementari.»
Un brusio sommesso si levò dal tavolo. Volonskij inspirò una profonda boccata di fumo, divertendosi a tracciare degli anelli in aria, completamente dimentico del luogo e dell'occasione in cui si trovava. Irina Karamazova, conclusa la presentazione, aveva estratto il supporto nero dal portatile e l'aveva riposto in una custodia di pelle all'interno della borsa.

L'uomo seduto sulla poltrona nera si decise a voltarsi verso i suoi ospiti; dall'oscurità in cui si trovava erano riconoscibili solo le sue curatissime mani ingioiellate ed il Devon Rex che aveva in grembo.
«Quindi, dottor Volonskij?», lo esortò l'uomo sorridendo sornione, rivelando una fila di candidi denti che brillarono al buio.
«Quindi, credo di aver trovato l'elemento instabile, l'anello debole della catena, passatemi il gioco di parole…», rispose l'uomo sfogliando il dossier solo per fermarsi alle ultime pagine. «Trovate la sua immagine a pagina trentadue. Se per voi va bene, inizierei con lui, come prima cavia.»
«Vada, dottor Volonskij. Ha tempo tre mesi per portarci qui questa ragazza.»
«Mi duole contraddirla, signore, ma si tratta di un ragazzo», lo corresse lo scienziato sorridendo: lui stesso, tempo addietro, aveva scambiato i suoi tratti efebici per quelli di una dolce fanciullina indifesa.
«Ragazzo? Beh, è lo stesso!», disse l'uomo alzandosi, il gatto placido tra le braccia, ed uscendo dalla sala. «Tre mesi, dottore. Non un giorno di più!», concluse scomparendo oltre una porta nascosta, seguito dagli altri convenuti.
Rimasti soli, Irina e Volonskij raccolsero le proprie attrezzature e percorsero a ritroso la strada che li aveva condotti all'ultimo piano, in assoluto silenzio.
La pioggia aveva ormai smesso di scendere quando salirono nuovamente in auto.
«Dove desidera andare, signore?», chiese l'autista aggiustandosi la visiera del berretto.
«All'aeroporto», rispose spiccio l'uomo. «Irina, prenota due posti in business class sul primo volo per Tokyo», ordinò incrociando le braccia e guardando fisso dinanzi a sé, mentre un sorriso di vittoria andava dipingendosi sui tratti spigolosi del suo volto.



Note:
Deep Blue Eyes è una storia vecchiotta che a settembre compirà dieci anni. Due lustri in cui ne sono successe di cose. In più, questa storia m’è scappata di mano ad un certo punto – a voi non succede mai? – e credevo di dovermi arrendere, lasciandola incompiuta.
E invece no.
Forse ho trovato la soluzione, ma per arrivare a scrivere la parola fine ho dovuto prendere la dolorosa decisione di tagliare, tagliare, tagliare.
Non i rami narrativi – quelli ci sono tutti e guai a chi li tocca – ma gli orpelli. Quello che appesantiva, ma non arricchiva la narrazione. Speriamo ne sia valsa la pena.

Deep Blue Eyes è nata da un’idea dell’allora mio fidanzato - oggi mio marito. “E se il nemico, per una volta, non fosse l’ennesima divinità uscita fuori da un pantheon improbabile e svegliatasi con la luna storta?”, mi suggerì.
Questa è la risposta, e, come per Il Rimpianto di una Stella Cadente, ho attinto moltissimo alla mitologia dei fumetti a stelle e strisce. Dalla Casa delle Idee (Altrui, corsivi miei), semmai ve lo steste chiedendo, e ben prima che i film sui Vendicatori conquistassero i botteghini - all’epoca c’erano stati solo le serie di X-men e di Spiderman. (No, Daredevil, Electra, Ghost Rider e Fantastic 4 NON li conto. Problemi?).
Non c’è abbastanza materiale per poter parlare di un cross-over. Preoccupatevi quando vedrete apparire i Kirby dots

E,dulcis in fundo, un grazie va a Sen. E a chi ha così tanto voluto questa storia da convincermi a ripubblicarla. Perché i desideri, a volte, si avverano.


per chi l'ha visto e per chi non c'era 
e per chi quel giorno lì 
inseguiva una sua chimera. 

   
 
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