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Autore: LoveShanimal    05/04/2014    1 recensioni
" “Io con gli uomini ho chiuso.”
Quella frase risuonò nella stanza, mentre la ragazza prendeva la bottiglia d’acqua dal frigorifero. Chiuse la porta con il piede, mentre manteneva il cellulare in bilico sulla spalla e si versava da bere.
La risatina che scoppiò nel momento successivo la irritò non poco, odiava quando le persone mettevano in dubbio le sue parole..."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Shannon Leto, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stay focused on your dreams.




Il telefono iniziò a squillare, proprio nel momento in cui uscii dalla doccia. 
Ebbi giusto il tempo di arrotolarmi un asciugamano intorno al busto, e corsi a prendere il cordless nella cucina.
Ignorai le impronte di piedi bagnati che mi lasciai dietro, e i capelli completamente zuppi che lasciavano cadere pesanti gocce d'acqua sul pavimento, e afferrai il telefono, pentendomi di non averlo ignorato un attimo dopo aver visto chi mi stava chiamando.
Mamma.
La sera prima avevo completamente dimenticato di richiamarla come le avevo promesso.
"Pronto mamma! Scusami se non ti ho richiamato, l'avrei fatto tra poco, ieri sera sono crollata.." le dissi immediatamente, per non darle il tempo di iniziare la sua consueta predica.
"Ti dimentichi sempre dei tuoi poveri genitori.." ecco che ricominciava. Era sempre la stessa storia.
"Mamma non mi dimentico di nessuno, sono carica di lavoro e sto provando in qualche modo a fare colloqui per vedere di trovare un posto fisso. Tra poco ne ho proprio un altro.." e l'effetto rilassante della doccia era andato via in un attimo. Dal dolce tepore che mi aveva avvolta fino ad un attimo prima ero passata ad una sensazione di umidiccio che iniziava a farmi venire la pelle d'oca.
"Tesoro.. perché ti ostini con questa storia? Lo so che per te la fotografia è un bel passatempo, ma devi crescere.. devi capire che non ti porterà da nessuna parte, devi capire che devi pensare a sistemarti.. perché non provi a ritornare con lui, eh? Eravate tanto una bella coppia insieme, siete così compatibili.. perché non la smetti di perdere tempo e ci riprovi con lui, ah? Sono sicura che potete risolvere tutto.."
"Ciao mamma." risposi secca, e non aspettai alcuna risposta.
Un bel passatempo.
I miei genitori non mi avevano mai appoggiato, e tutto quello che stavo facendo, tutto quello per cui avevo tanto studiato e faticato, era solo un bel passatempo. Era solo un capriccio, un gioco di una donna che continua a fare la bambina. Mi vedevano come una nullafacente, una ragazzina che inseguiva stupide fantasie e che non voleva pensare a sistemarsi.
Come se la mia unica aspirazione nella vita potesse essere quella di diventare una perfetta donna di casa, una perfetta mogliettina con una perfetta casa sempre ordinata. Sistemarsi. Pff, era una parola così brutta, come se per vivere bene dovessi affidarmi ad un uomo, dovessi contare sul suo denaro, dovessi sentirmi al sicuro solo in questo modo. 
La sola idea di finire così mi inorridiva.
Probabilmente ero davvero una persona che inseguiva cocciutamente i suoi sogni, ma era proprio quello che amavo di me. 
Sapevo che io e solo io potevo decidere come dovesse andare la mia vita, e che io e solo io dovessi lottare per realizzare i miei desideri.
Desideravo viaggiare per il mondo, con l'occhio sempre dentro l'obiettivo.
Desideravo vedere le mie foto sparse per il mondo, desideravo che gli altri guardassero i miei scatti con gli stessi occhi, con lo stesso interesse, con lo stesso stupore con cui io avevo sempre visto gli scatti degli altri.
Volevo le mie fotografie sui cartelloni pubblicitari, volevo le mie fotografie sulle riviste, ma uno in particolare era il mio sogno: volevo essere la fotografa ufficiale di una band.
Volevo viaggiare in tour con le band ed essere la fotografa del gruppo, giocare con le luci e con le ombre, con i colori, con le inquadrature, ed essere in grado di fare foto spettacolari dei componenti mentre suonavano e dei fan mentre saltavano e si divertivano. 
Ed era per questo che non riuscivo ad accontentarmi, per ora, di aprire semplicemente uno studio fotografico tutto mio, come mi avevano consigliato in tanti. In quel momento volevo muovermi, volevo essere una fotografa sul campo, che andava in giro per il mondo, e su questo ero irremovibile.
E superato il problema dei miei genitori, dei miei amici, di coloro che screditavano i miei sogni e di coloro che mi guardavano come se stessi delirando, ignorando certi commenti meschini e certe battute fuori luogo, c'era ancora un altro problema: il mondo stesso sembrava non volermi affatto far iniziare la mia carriera.
Ero giovane, ero senza alcuna esperienza, ero in un campo a prescindere difficile e dove comunque la soggettività faceva da padrona, dove le mie foto potevano piacere o non piacere, non c'erano vie di mezzo.
Non volevo mollare, ma in quel momento, sola nel mio piccolo appartamento, mi feci prendere dallo sconforto, e mi rannicchiai in un angolo del divano cercando di riprendere un po' di calore. 



Diedi un ultimo sguardo allo specchio, alla mia figura fasciata da una gonna a vita alta, nera, in damascato, con una camicetta bianca di seta leggera che ricadeva morbida, con un piccolo fiocco che si annodava intorno al collo.
I decolleté neri erano un po' consumati, e prima di indossarli li lucidai per provare a mascherarlo.
Mi guardai e sorrisi ironica, pensando che chiunque mi avesse visto così avrebbe pensato a me come una donna elegante, raffinata, quando invece quello era l'unico completo costoso che avessi mai avuto e che riciclavo ad ogni primo colloquio. Ridevo istericamente pensando che, forse, era meglio non essere richiamata per nessun lavoro, perché non mi sarei dovuta porre il problema di come vestirmi la seconda volta.
Presi velocemente la pochette nera dal tavolo e chiusi al volo la porta di casa, mentre scendevo le rampe di scale con le converse rosse che avevo indossato per guidare. Tutti mi guardavano come se fossi un fenomeno da baraccone, e in effetti era uno spettacolo surreale vedermi in quello stato, tutta agghindata, preparata, con i capelli raccolti in uno chignon basso e con un trucco leggero sugli occhi, e, alla fine, con scarpe da ginnastica ai piedi.
Entrai nella mia vecchia e piccola automobile e provai ad accendere il motore pensionato, ma prima di riuscirci dovetti provarci due volte. 
Arrivai al grande studio della Virgin un po' prima dell'appuntamento, e nel parcheggio della casa discografica, circondata da macchinoni nuovi e con la vernice che splendeva ancora, mi cambiai le scarpe e presi il fascicolo dal sedile del passeggero.
Un lungo respiro, ed entrai, conscia che quella casa discografica era sicuramente al di fuori delle mie possibilità. 
Mi ero ripromessa di provarci, giusto per sfizio, per una sottospecie di scommessa con me stessa, o forse anche per un po' di masochismo, ma sapevo di non riuscirci a prescindere, sapevo che qualsiasi cosa avessi provato sarebbe fallita. 
Sapevo cosa sarebbe successo.
Sarei entrata nella sala di uno dei manager, e lui mi avrebbe fatto alcune domande generiche.
Avrebbe sfogliato il mio fascicolo, avrebbe guardato velocemente le mie foto, sfogliandole senza neppure guardarle una ad una, ma con fretta, con aria sprezzante e scocciata.
Sarei stata nervosa, avrei accavallato le gambe fingendo di essere a mio agio, ma in realtà avrei sentito il cuore battermi all'impazzata nel petto, in ansia.
Sarebbe stato sicuramente un uomo panciuto, con piccoli occhiali di letture che in realtà aveva indossato solo per pura formalità, più per abitudine che non per interesse vero, perché di quelle foto non gli importava proprio nulla; e quei piccoli occhiali li avrebbe tolti con lentezza, tenendo lo sguardo basso, e avrebbe detto la semplice domanda "allora.. qual'è la sua esperienza in campo lavorativo?"
E lì sarei stata io ad abbassare lo sguardo, a guardarmi le unghie smaltate e a dire "in realtà mi sono appena laureata.. e non ho avuto molte.. possibilità.." avrei detto, balbettando.
A quel punto l'uomo si sarebbe rilassato sulla sedia, avrebbe poggiato il fascicolo sul tavolo, in un angolo, su una pila di altra "spazzatura", e avrebbe finto sconforto. Mi avrebbe frettolosamente congedato con poche frasi, finendo in bellezza con un consueto "Le faremo sapere."



E questo è il modo in cui andò anche quella volta.
Non ebbe nemmeno la voglia di chiudere il mio fascicolo, ma lo buttò con atteggiamento sprezzante nell'angolo della scrivania, aperto, e pensai che la sorte avesse scelto la mia fotografia preferita per una qualche specie di ironia bastarda. Qualcosa tipo "ehi, vedi, tu ti senti tanto orgogliosa per quella fotografia ma alla fine non vale nulla".
Ignorai il modo patetico in cui gli occhi mi pizzicavano, e semplicemente strinsi la mano all'uomo per salutarlo, con quanta più energia avevo in corpo, e mi congedai, uscendo da quella stanza nel modo più dignitoso che mi riusciva. Mi concentrai sui miei passi, sul tacco delle scarpe che sbatteva a ritmo sul corridoio, provando a eliminare tutte le voci e i rumori intorno a me.
Avrei voluto girovagare un po' per quell'edificio, che per me era quasi come un mondo delle meraviglie, come Narnia o qualsiasi altra strana fantasia. Avrei voluto curiosare, intrufolarmi un po' nelle stanze, e provare a vedere se per qualche colpo di fortuna ci potessero essere loro, ci potesse essere lui.  Ma sapevo che non ci sarebbero state possibilità di vedere nessuno di loro, sapevo che le probabilità erano pressoché nulle e che avrei fatto solo la figura della solita fangirl. 


Ma la cosa più importante era che la sconfitta bruciava più di qualsiasi altra cosa, che mi sentivo un groppo in gola, e che più ci pensavo più mi sentivo male. Sapevo che il mio unico desiderio era quello di scappare il più lontano possibile, di respirare aria fresca e di dimenticare, di dimenticare ogni singolo avvenimento degli ultimi mesi, che avevano trovato il loro culmine nella patetica situazione di quel giorno.
Riuscii a mantenere il mio portamento fiero fino al parcheggio, ma non appena salii in auto mi sgonfiai, mi raggomitolai sul volante e iniziai a battere il pugno sul cruscotto. 
Non mi infastidiva il rifiuto, non mi infastidiva il sentirmi dire che non ero brava, non mi infastidiva la routine quotidiana di dover continuamente ricominciare da capo. 
Quello che odiavo, quello che mi faceva stare male ma proprio male era la totale mancanza di interesse di chi avevo davanti.
Tutti quei manager non consideravano scarso il mio lavoro, non lo consideravano affatto. Non si sforzavano neanche di provare a notarmi, come se non esistessi.
Non avere neppure la possibilità di mettermi in gioco mi logorava dentro.


Tornai a casa il più in fretta possibile, mi spogliai, appoggiai i vestiti sulla sedia e mi rintanai nella mia piccola casetta, che mi sembrava l'unico posto sicuro. Mi addormentai con il trucco ancora sul viso, incurante che quel giorno mi avrebbe cambiato la vita.
Infatti alla Virgin, quel giorno, non avrei incontrato nessuno neanche se avessi cercato in ogni stanza dell'edificio: tutti e tre erano impegnati altrove, chi per un motivo, chi per un altro; probabilmente secondo il destino quel giorno non era arrivato ancora il momento,  non era ancora giunta l'ora per le nostre strade di incrociarsi, ma c'eravamo quasi, ci stavamo avvicinando sempre di più, ci saremmo scontrati a breve, con una tale forza da stravolgere tutta la mia vita. 
Quell'incontro, quella scommessa persa in partenza, quell'umiliazione che tanto mi bruciava, si sarebbero rivelati alla fine la svolta più importante della mia esistenza, una svolta che mai avrei potuto immaginare.


Non avevo scommesso su di me, ma qualcun altro lo avrebbe fatto a breve.

  
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