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Autore: Mikirise    05/04/2014    1 recensioni
"(…)ma anzi, pensò lucidamente che, in effetti, Rojo era il nome d'arte che faceva al caso suo, visto che gli ricordava i lunghi capelli di sua madre, gli alberi dalle foglie rosse che crescevano accanto alla sua vecchia casa, l'Italia, i pomodori, la Spagna ed infine Antonio, anche se non volle subito ammetterlo. Ed il rosso era il colore della passione, la stessa che lo portava a dipingere senza mai stancarsi né annoiarsi. Dovette ammettere che tutto quello che il rosso gli ricordava era parte integrante di lui, che lo rappresentava nella migliore maniera e che mai nulla gli sarebbe calzato a pennello come il rosso. Furono questi i pensieri che passarono per la testa di Romano quando disse “R come Rojo” girando la testa verso Antonio."
Ispirato a "L'amore ai Tempi del Colera", tenevo a dirlo data la recente scomparsa di Gabriel García Márquez.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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7. Il tradimento

 

Il decentramento

 

 

Nella prima mostra d'arte che i fratelli Vargas tennero insieme, erano entrambi abbastanza conosciuti e venne al maggiore dei due, correndo, uno strano giornalista, né troppo giovane né troppo vecchio, che fece una domanda sulla società contemporanea prendendo appunti su un block notes.

Nessuno aveva allora notato, tranne ovviamente Arthur Kirkland che stava accanto ai fratelli, quasi dovesse tenerli d'occhio, che lo sguardo di Romano Vargas andò in un angolo della stanza, dove si trovava una parte del Circolo già distrutto; dove si trovava Antonio Fernandez Carriedo. Romano aveva già chiesto allo spagnolo di non avvicinarsi più a lui e di non farsi più vedere.

Quello che molte volte si sarebbe chiesto Arthur Kirkland era a chi furono dedicati alcuni versi di John Donne che scapparono dalle labbra dell'italiano maggiore “È tutto in pezzi” aveva recitato “è scomparsa ogni coesione// ogni equa distribuzione, ogni rapporto…” stava per continuare, guardando una bambina castana con i capelli raccolti in due lunghe trecce, ma Arthur gli diede un colpo tra le costole e lui si zittì, mordendosi le labbra. Era poi scappato, lontano dagli sguardi di un pubblico che non sapeva cosa stava guardando e di uno spagnolo che aveva cercato di riavvicinarlo, senza successo.

Feliciano Vargas aveva superato Antonio Fernandez Carriedo ed entrando nella piccola camera che Romano aveva preso come nascondiglio, era corso verso il fratello che aveva lasciato lì il suo corpo, mentre il suo spirito era volato via, alla ricerca di un po' di sollievo, in un posto lontano da quello terreno. Scuotendo le spalle di Romano, poggiando le sue mani sul viso del fratello maggiore, Feliciano aveva chiesto se si fosse pentito di esser venuto a trovarlo, in quella lontana estate del 1996, di essere partito per l'Italia, lasciando Antonio da solo, facendo in modo che il loro amore sfiorisse ed esplodesse.

Romano aveva alzato lo sguardo verso il più piccolo, che aspettava una risposta guardando verso sinistra e mordendosi le labbra. Scosse la testa, sorridendo leggermente e disse che mille altre volte in mille altre vite, avrebbe scelto suo fratello, sarebbe andato a trovarlo e gli sarebbe stato accanto.

Mentiva. Ma amava troppo suo fratello.

Anche se, la riunione con suo Feliciano Vargas, coincideva perfettamente con l'allontanamento con Antonio ed i conseguenti anni di dolore, per entrambi.

Non ci aveva pensato, Romano Vargas, mentre correva avanti ed indietro con una valigia in mano ed Arthur Kirkland che lo aspettava alla porta con le chiavi della macchina, che, se fosse rimasto a casa, tante cose non sarebbero nemmeno successe, non sarebbero passate nemmeno per la testa, né sua, né di Antonio.

Quando, il 15 giugno 1996, aveva posato una mano sulla guancia di Antonio, sussurrando un goffo ed imbarazzato “Ti amo”, per poi scappare via, per prendere un aereo per l'Italia, non aveva pensato che la sua decisione, presa sotto la luna dopo una chiacchierata con Arthur, avrebbe cambiato così tanto la sua vita e quella delle persone intorno a lui. E forse, sapendolo, non sarebbe mai partito, anche se lo disse mai a Feliciano.

Il viaggio in Italia, aveva aiutato il ragazzo a maturare e ad accettare, finalmente, tutta la sua famiglia, intera, dal più piccolo al più grande.

Ad iniziare dal piccolo Marcello, che poco si ricordava di lui, ai tempi.

Vanessa Pancotti ha sempre detto, scherzosamente, che se i suoi problemi con le donne avevano una data d'inizio, quella coincideva con l'arrivo di Romano Vargas a casa sua. Fu, infatti, il fratello maggiore ad iniziare il più piccolo dei tre all'amore per le donne. Romano portava con sé Marcello nelle sue lunghe e nostalgiche passeggiate, rubavano insieme mele, pesche e piccoli pomodori, e quando Romano vedeva una bella bambina, mandava Marcello a parlarle, con una piccola margherita nella mano paffuta e parole d'amore che gli aveva suggerito all'orecchio lui. La prima fidanzatina di Marcello, una bambina di nome Sofia Barbieri, fu conquistata dall'atto d'amore del bambino, che si era arrampicato su un piccolo muretto, che ad entrambi sembrava altissimo ai tempi, per prendere il suo cappello, portato via dal vento.

Marcello ride ancora oggi al pensiero che il vento si chiamava Romano Vargas e che lui nemmeno voleva avvicinarsi a quello spaventoso muretto.

Sofia Barbieri, oggigiorno, è la sua unica migliore amica.

Aveva, Romano, riportato alla realtà il suo profondo rapporto con Feliciano Vargas, che non aspettava altro se non il ritorno del fratello e potergli riprendere la mano, come quando erano bambini.

Il fratello maggiore si era reso conto, nella sua sensibilità di artista, di un vuoto esistenziale ed affettivo in Feliciano, vuoto che riportava puntualmente sulla tela, col suo vecchio pennello, che tanti anni prima Romano gli aveva affidato.

In poche parole, Feliciano Vargas aveva così tanto amore da dare da dimenticare di riceverne e rimanere quindi vuoto, nel non riavere indietro nulla. Certo, aveva amici, sicuramente erano amici sinceri, ma non accettava indietro niente per quello che dava, cosa che lo lasciava solo, in un certo senso, perché per avere un vero amico accanto, non si può pensare di nascondere il dolore e donare solo gioia.

Forse per questo si era così aggrappato a Romano e a quello che simboleggiava.

Riallacciare i rapporti con Bruno Vargas ed accettare Vanessa Pancotti nella sua vita era stato forse il passo più difficile per Romano, che dovette procedere gradualmente e tastando il territorio a poco a poco.

Era strano, per lui, vedere il proprio padre avvicinarsi per intrappolarlo in un abbraccio da orso. Era strano sentirlo ridere delle sue freddure ed elogiare i suoi dipinti. Era strano avere un padre, che non fosse Cesare Vargas.

Romano era abituato ad un Bruno che lo allontanava, che lo sgridava e che non accettava il suo modo d'essere. Come già detto, non considerava più Bruno Vargas suo padre. Suo unico padre, suo unico tutore, era Cesare Vargas, suo nonno.

“Sta fingendo” lo aveva in un certo senso rincuorato Feliciano, mentre riempiva una tela completamente bianca “Lui non è così. Basta che fingi anche tu. Lo fai contento, così. Ma se non lo vuoi considerare tuo padre, penso vada bene. Essere padre è un privilegio.”

Romano aveva guardato lo sguardo serio e concentrato del fratello e si era chiesto se lui stesso non stesse fingendo, se tutta la sua vita non fosse una farsa, messa su per far contento il padre.

“Non sono più un ragazzino, Roma” aveva sorriso Feliciano, come per rassicurarlo dai pensieri che gli avevano occupato la mente. Ed anche quel giorno la sua tela da bianca aveva ottenuto troppi dettagli, troppi oggetti e rifiniture, troppo colore e troppo nero.

Eppure entrambi i fratelli, dietro tutta quella tinta e tutto quell'essere, continuarono a vedere il vuoto che Feliciano continuava a cercare di nascondere, quel non-essere che lo intrappolava, nonostante non se ne rendesse conto.

“Questo non toglie il fatto che continui ad essere mio fratello più piccolo e più stupido”

Feliciano sorrise di cuore al sentire la parola fratello. Abbracciò Romano e cercò di tenerlo il più possibile vicino a lui, nonostante le proteste imbarazzate del maggiore.

Vanessa era stata semplicemente Vanessa. Lo svegliava delicatamente tutti i giorni, alle prime luci del sole, e lo portava in cucina perché facesse colazione con il resto della famiglia che continuava praticamente a dormire seduta a tavola.

A volte lo invitava a cucinare con lei. Insieme infornavano torte alle mele e lei, sempre con le mani impegnate se non in cucina, spolverando in salotto, gli raccontava aneddoti dei suoi fratelli, quelli che si era perso perché stava troppo lontano da casa.

“Perché questa è casa tua, eh”

Romano si stupì del fatto che la donna fosse completamente sicura e confidente delle sue parole. Come se non sapesse che quelle erano solo bugie. Ed allo stesso tempo, quel suo crederci fermamente, senza titubanze, portava Romano a credere che, magari, dietro tutte quelle finzioni, che Feliciano gli aveva svelato, con uno sguardo troppo lucido e disincantato, per essere proveniente da lui, un pizzico di realtà c'era. Quel pizzico che bastava per fare in modo che anche lui entrasse a far parte della famiglia; a farne parte per davvero, senza inganni.

E lo disse a Laura Donati, inginocchiato sulla sua tombra, come lo era stato tanto tempo prima. Le chiese perdono. Perdono per aver cercato di dimenticarla, per aver strappato le memorie che lo legavano a lei, per aver negato la sua morte e la sua vita. Le chiese perdono, perché vittima dell'euforia giovanile, soprattutto durante la sua adolescenza, soprattutto per paura di lasciare Antonio e volare in Italia, come aveva fatto, non era andato a trovarla per anni, né per il giorno del suo compleanno, né per l'anniversario della sua morte, né per il 5 Dicembre, il giorno dell'Abbandono, l'anniversario della partenza simbolica di suo padre. E Romano sapeva quanto Laura odiasse rimanere sola quei giorni: quando era piccolo non lo mandava a scuola e dormivano insieme nel grande lettone, sotto il piumone caldo e con le finestre chiuse. Le chiese scusa, Romano, anche perché provava ad entrare nella nuova famiglia Vargas e chiedeva scusa per amare così tanto Feliciano Vargas e, sorprendentemente, anche Marcello. Le chiedeva scusa, perché sapeva che la madre avrebbe potuto vedere il suo come un tradimento, ma non si era mai pentito di amare i suoi fratellini più piccoli e spiegava alla madre le qualità che i due avevano. Le chiedeva scusa ed allo stesso tempo le chiedeva di accettarli. Poi, sussurrando appena, le chiedeva di Cesare Vargas e le diceva di star attenta, ché era l'uomo più pervertito, dopo Francis Bonnefoy, che lui avesse conosciuto, e che non sapeva quanto si potesse cambiare, lassù, in Paradiso.

Romano Vargas chiamava più o meno puntualmente alcuni membri del Circolo, ai quali raccontava quello che vedeva ed i suoi progressi con la famiglia.

Aveva rassicurato Arthur Kirkland sui suoi legami familiari, dicendo che i suoi fratelli minori erano fantastici ed aveva imparato a conoscere il piccolo Marcello, con tutti i cambi d'umore tipici della sua età e dell'embrione di quello che sarebbe stato il suo carattere una volta cresciuto. E Feliciano, per quanto fosse strano e pesantemente sdolcinato come ragionamento, faceva parte di lui. Ritrovandolo, rivedendolo, aveva ritrovato una parte di se stesso che pensava di aver perso.

A Matthew raccontava i paesaggi dell'Italia e di quei riquadri di marmo attaccati sui muri delle case che portavano iscrizioni come "Qui nacque… qui morì… qui compose…" che non aveva mai notato quando, da piccolo, viveva in quei paesini.

Ad Alfred raccontava dei prezzi dei quadri per strada e di quei vecchietti, piuttosto arzilli, che ritraevano i passanti nelle piazze. Romano non riusciva a fare la valuta tra le diverse monete e, non avendo mai avuto a che fare con le lire, era piuttosto confuso sul valore di molti oggetti. Alfred rideva, gridandogli all'orecchio che fortunatamente c'era l'eroe a salvarlo da brutte situazioni.

A Luz Maria raccontava di Marcello e Feliciano, che magari non sapevano neanche accordare la chitarra, ma che cantavano continuamente, come lei, e come gli uccellini di campagna, che li accompagnavano sempre nei loro canti. Le raccontò di aver sentito un usignolo cantare nel mezzo della notte, da solo, e che l'aveva pensata, l'aveva ricordata e si era commosso per le motivazioni di quel dolce canto. Certo, le ultime parole Luz Maria Sanchez le aveva più che altro interpretate, ma il messaggio era arrivato forte e chiaro, senza alcun malinteso.

Ad Antonio, raccontava tutto. I prezzi, gli uccellini che lo svegliavano la mattina, i riquadri di marmo, i quadri per strada, i bambini del quartiere, un gatto che non faceva altro che seguirlo in tutte le sue passeggiate, Feliciano, Vanessa, Marcello e suo padre. Raccontava delle sagre, dei balli, dei suoi vecchi compagni di scuola, che aveva dimenticato ma che non avevano dimenticato lui.

Fatti, sentimenti, tutto.

Antonio di rimando gli raccontava del suo lavoro, di Francis e Jeanne che aspettavano Alexandre, di Elizaveta e Gilbert che continuavano i loro tira e molla, di Alfred e gli impicci che creava sotto il pesco, cercando di guadagnare sui talenti di tutti loro. La prossima poesia, gli ripeteva sempre, ad ogni telefonata, è tutta per te.

Poi Antonio attaccava al telefono e si sentiva solo.

Solo per davvero.

Perché molto spesso ci si dimentica che prima degli smartphone, prima di internet accessibile a tutti e prima dell'era in cui per contattare una persona basta premere con un dito sul cellulare per vederlo anche in faccia, c'è stata l'era delle lunghe attese, delle grandi distanze ed una persona col carattere irrequieto ed impaziente come Antonio si stancava facilmente di aspettare, guardando il suo foglio bianco sul tavolo ed il suo gatto strusciare sulle sue gambe.

Molte volte lo spagnolo aveva rimproverato Francis Bonnefoy per la sua condotta con le donne, quando se ne portava due a letto la stessa sera e la mattina dopo proclamava il suo immenso amore per Jeanne d'Arc, prima del matrimonio e del concepimento di Alexandre. Antonio si chiedeva come fosse possibile baciare labbra di altre persone, uomini o donne che fossero, quando il proprio cuore era occupato dalla Persona di cui si è Innamorati, innamorati per davvero, senza le pompature che molto spesso usano i poeti, i cantanti, gli attori per arrivare più facilmente al proprio pubblico.

Però forse in quei momenti lo capiva.

Perché sentire la voce di Romano era troppo poco e la sua immagine sembrava così lontana… e per quanto l'unione spirituale fosse forte e riuscisse fino a un certo punto a tappare i buchi di una relazione a cui mancava la parte fisica, non bastava. No, non bastava proprio.

Prima di allora, dalla prima volta in cui Romano Vargas aveva accettato la sua presenza, Antonio era stato abituato dal ragazzo ad essere uno dei suoi centri, uno dei suoi punti di riferimento. Non erano stati lontani più di due giorni, anche durante i loro litigi più accesi e feroci e se succedeva che uno dei due si ammalasse e non si presentasse sotto il pesco, quando Cesare Vargas era vivo, trovavano il tempo ed una goffa scusa per piombare uno a casa dell'altro ed addormentarsi accanto al malato. Con la morte di Cesare Vargas erano poi diventati indivisibili, togliendo il tempo dedicato ai loro lavori, tanto che ogni loro respiro o battito di ciglia sembrava essere sincronizzato: sembravano una persona sola. La divisione provvisoria aveva creato in Antonio un disequilibrio, come se stesse per cadere da una corda posta a migliaia di metri da terra, ed il fatto che Romano avesse invece così tanto da raccontare, così tanto da accettare nella sua famiglia, gli aveva fatto provare il dolore prima ancora di ricevere il pugno; pensava di avere i minuti contati nel cuore di Romano, come se un grande Amore si potesse dimenticare con qualche mese nella casa paterna. Per questo doveva esserci dell'altro: l'indole ribelle di Romano Lovino Vargas e la sua geniale irregolarità ed imprevedibilità. Succedeva da un po' di tempo di vedere Romano con la testa fra le nuvole, distante da tutto e tutti e stranamente propenso verso gli altri, gli stessi che odiava ed evitava poco prima. Sembrava curioso Romano, ed anche entusiasta dei cambiamenti. Altrimenti perché buttarsi improvvisamente in Italia?
C'era poi quel Sadiq Adnan e quella sua vicinanza all'italiano, mentre quello sembrava distante da tutto e soprattutto dallo spagnolo. La lingua lunga di Alfred Jones aveva raccontato al fratello che sembrava che il turco riuscisse a far parlare e ridere di gusto Romano, il che aveva fatto morire dalla gelosia Antonio Fernandez Carriedo, anche se non aveva mai visto Sadiq di persona né mai Romano gli aveva parlato di lui.

Durante le uscite con Francis e Gilbert, Antonio si riscopriva a guardare le ragazze in gonna, che sorridendo gli ammiccavano, ma veniva distratto dai lamenti di Gilbert e dalle entusiastiche descrizioni di Francis della sua vita da marito. Allora si dimenticava dei suoi pensieri e rideva delle disgrazie o delle nuove esperienze degli amici, che comunque si erano resi conto che qualcosa in Antonio non andava e cercavano di ricordargli quanto Romano fosse una brava persona, nonostante il suo caratteraccio incline alla violenza e alla negazione di tutti i suoi sentimenti. Gli tappavano gli occhi e le orecchie, durante le loro uscite in discoteca e gli raccontavano storie di tradimenti che andavano a finire male, con una rottura definitiva della relazione. Gilbert forse non era tanto convinto delle proprie azioni e spesso si distraeva dalla missione di tener lontano Antonio da ogni essere vivente con la gonna corta, od i jeans troppo stretti; in fondo, il tedesco, per quanto fosse considerato tonto ed ingenuo sule faccende amorose (credenza questa dedotta dal suo comportamento con Elizaveta Herdevary), aveva intuito che tipo di piega doveva prendere la relazione tra lo spagnolo e l'italiano, ed aveva compreso, per quanto strano possa essere, che sebbene le conseguenze dolorose, la situazione poteva portare dei risvolti positivi, in un periodo di tempo lungo, e non tanto per loro del Circolo di Cesare, ma per Antonio e Romano insieme, come coppia e come individui, perché, per quanto il primo amore possa far crescere una persona, era la separazione da esso a far diventare adulta la detta persona; e sia Antonio che Romano erano ancora dei bambini e dovevano crescere il prima possibile. Gilbert voleva lasciare che gli eventi seguissero il loro corso naturale, senza impicciarsi troppo, non perché non volesse bene ad Antonio o a Romano (con cui aveva conseguito un rapporto che lo divertiva parecchio), ma perché sapeva che certe cose, noi semplici esseri umani, per quanto ci proviamo, non le possiamo fermare. Francis rimproverava sempre Gilbert di questo suo ragionamento e gli chiedeva sempre se sarebbe stato felice vedendo una così bella coppia, come Romano ed Antonio, spezzata. Ovviamente la risposta era no, per la gioia di Francis che trovava in Gilbert l'unico alleato che poteva comprendere Antonio nella sua complessità, senza giudicarlo.

Per questo motivo Francis e Gilbert smisero di portare Antonio in discoteca, preferendo le serate a casa, con una buona birra in mano, parlando del più e del meno, in un ' intimità che appresero in fretta ad apprezzare, a discapito del forte rumore che produceva la discoteca, il pub, un semplice bar.

Gilbert Beilschmidt, però aveva ragione. Ci sono eventi, che non si possono cambiare, per quanto si voglia, per quanto si neghi la responsabilità di ogni cosa. Per quanto questo evento porti dolore.

Il pericolo non venne da fuori, da quelle ragazze che scuotevano i fianchi, in cerca di divertimento.

Entrò in casa di Antonio, una sera sul tardi, mentre lui con la matita in bocca, pensava a cosa scrivere, e, il pericolo, si lamentò del fatto che ancora non aveva finito di scrivere neanche la metà di quello che le aveva promesso del suo libro. Il pericolo si sedette davanti ad Antonio Fernandez Carriedo, mozzicò una mela e disse ad alta voce quanto fossero fortunati gli amati dai poeti, ché normalmente gli uomini sono stitici di parole, rudi, poco sensibili, ma loro, i poeti, sicuramente riempiono con le loro parole dolci le giornate di chi amano e, con quelle, carezzano l'anima delle persone, e rendono quelle eterne. Alicia Rivas sospirò, mormorando che amando lei, nessun poeta mai avrebbe sofferto “Neanche tu” aggiunse indicando col mento Antonio e masticando la mela.

Quell'aria imbronciata... quelle sopracciglia aggrottate, quelle labbra arricciate, quelle guance gonfiate, ricordarono ad Antonio Romano e gli fecero venire una fitta al cuore, un dolore lancinante in testa che lo avrebbe fatto piangere.

Romano sembrava essere proprio lì, davanti a lui, eppure non era lui.

Chissà quale forza spinse Antonio verso Alicia, forse era tutta colpa del vino che stava bevendo, vino francese, brutti effetti che poteva causare; chissà quali pensieri lo spinsero a prenderle il mento con cui lo indicava e a baciarla prima con tenerezza poi con libidine. E non si poté fermare neanche quando erano sdraiati l'uno sopra l'altro, neanche sapendo che l'unica persona che voleva toccare e baciare in quel momento era Romano. Neanche quando le sue mani percorrevano il corpo della ragazza e nella sua testa trovava le differenze com il corpo di Romano Vargas e si chiedeva cosa stesse facendo, con chi stesse parlando, di cosa, perché non era ancora tornato, perché si sentiva così arrabbiato verso di lui... andò fino in fondo, anche se sapeva di star sbagliando, perché si sentiva solo e non c'è peggior consigliere della solitudine.

Fu un errore. Un errore madornale che non doveva avere conseguenze.

Alicia scappò delusa da se stessa il mattino dopo, ore prima che Antonio si svegliasse. Ore prima che Romano chiamasse Antonio per raccontargli che Marcello era stato beccato da un contadino mentre rubava un'anguria più alta di lui nel suo campo e che forse, forse, era colpa del fratello maggiore che gli aveva insegnato a raccogliere tutta la frutta che vedeva, indistintamente.

“Roma…”

“Quel bambino non potrà mai fare il ladro”

“Roma…”

“Eh?”

“Ti amo. Qualsiasi cosa succeda, io amo solo te”

“Bastardo. Mica andrò in galera per colpa di quel marmocchietto!”

“A me basta che tu ricordi questo”

“È successo qualcosa?”

“No, niente. Tu mi ami?”

“Che domande del cazzo che fai.” Romano abbassò la voce, come se stesse per dire un segreto “Ti amo”

“Ecco. Ricorda che ci amiamo”

“Sicuro che non è successo niente?”

“Sicuro. Continua a raccontarmi. Ti prego…”

 

I tasselli del domino cadevano uno dopo l'altro, per arrivare al giorno della Separazione e della nascita di Laura.

 

 


 

Note dell'autore

Io… ho la testa svuotata.

Sarà la pioggia, l'imminente primavera, la stanchezza degli ultimi mesi di scuola, la fame… non lo so, ho la testa vuota.

Non riesco a ricontrollare neanche questo capitolo. Forse è perché questa è la settimana di questo capitolo, può essere che la mia testa mi dica "No! Non farlo!" fatto sta che se non si pubblica questo col prossimo non si può andare avanti, non si può proprio e non si arriverebbe alla fine e quindi si deve fare. Forse è questo che mi ha spinto a scrivere così poco l'errore.O forse è il personaggio che per mezzo di me scrive che ha scritto così poco quella parte…

Mi piace di più questa spiegazione. È tutta colpa sua, mica mia.

Cooomunque, ringrazio chi legge, segue, ricorda, preferisce e recensisce la storia. Siete dolcissimi! Orsi abbracciatutti…

Ci rileggiamo la prossima settimana, allora!

Con amor, un abbraccione

Miki

 

  
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