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Autore: Agnese_san    06/04/2014    1 recensioni
LUGLIO 1944
I suoi occhi si aprirono al rumore, la consapevolezza di dove si trovava non arrivò immediatamente. Da qualche parte tra il buio e la luce, rifletté, strizzando gli occhi per aggiustarli alla silenziosa semioscurità che la circondava.[...]
L’uomo le dava le spalle, piegato sopra un piccolo dispositivo a forma di cono. Scintille illuminarono per un momento la caverna, proiettando un arco d’argento contro l’alto soffitto. Immaginò che si trattasse di una saldatrice. [...]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liz Parker, Max Evans
Note: Missing Moments, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

Era rimasta sorpresa, quando lui aveva aperto la portiera posteriore ed era salito dietro, posandosi accanto la piccola valigetta argentata che portava con sé. Nel buio, lei era riuscita a vedere che la sua divisa era bagnata e che la visiera scura del suo berretto era calata quanto bastava per coprire i suoi occhi. Per un attimo, si chiese se fosse un Sergente, o addirittura un Maggiore. I soldati semplici non si portavano dietro quel genere di bagaglio. Amavano avere le mani libere per bere birra e accarezzare le ragazze, quando ballavano.

E la maggior parte dei soldati cui aveva dato un passaggio, era stata ben felice di sedersi sul sedile anteriore, accanto a lei. Lei scrollò le spalle a quel pensiero. Un ufficiale non avrebbe mai fatto l’autostop. Forse stava solo cercando di non spaventarla, visto che era tardi e lei era da sola.

"Va’ a Roswell?" gli aveva chiesto con un sorriso. Poteva quasi sentire, sulla nuca, il calore del respiro di lui.

"No. Può lasciarmi sulla strada, tra cinque chilometri … vicino a Vasquez Rocks." le aveva detto pacatamente. "Ho perduto il mio trasporto."

"Turno di guardia notturno?" aveva chiesto lei, ormai curiosa.

"Pattuglia di perlustrazione." aveva risposto lui.

Quando non le aveva offerto ulteriori spiegazioni, lei aveva guidato per un chilometro, prima di parlare di nuovo.

"E’ da molto che è stato assegnato qui?" aveva chiesto, desiderosa di farlo parlare ancora.

"Solo da pochi giorni." aveva detto lui.

Lo aveva fatto di nuovo, aveva pensato lei. Era andato dritto al punto, con poche parole. Aveva deciso di cambiare tattica.

"C’è un’arma, lì dentro?" gli aveva chiesto, riferendosi alla valigetta argentata.

"No." aveva risposto lui cautamente. "Solo qualche dispensa che devo studiare."

"Sarà!" aveva commentato lei ridacchiando. "Faccende segrete."

Anche lui aveva riso, voltando la testa verso il finestrino. Lei lo aveva guardato dallo specchietto retrovisore.

"Perché è fuori, nel deserto, così tardi?" le aveva chiesto lui, prendendola alla sprovvista, dopo un lungo silenzio.

"A guardare le stelle e a riflettere sui misteri della vita. A chiedermi cosa c’è lassù." gli aveva risposto. "In effetti, stavo provando il mio nuovo telescopio."

"Studia spesso le stelle?" aveva domandato lui. Lei non aveva potuto fare a meno di notare quanto fosse morbida la sua voce. Sembrava quasi scivolare nello spazio che li separava e carezzarle le orecchie, come un caldo velluto.

"Più spesso di quello che dovrei, credo." aveva risposto lei, con una risatina nervosa. "Gira voce che io sia un po’ scema."

Dallo specchietto, lei lo aveva visto togliersi il cappello e sbatterlo contro il ginocchio, per scrollare via l’acqua.

"Così, lei pensa che ci sia vita lassù?" le aveva domandato, voltando la testa verso il finestrino e continuando a guardare fuori. La pioggia non cadeva più e lei aveva spento il tergicristallo ed aveva aperto il finestrino.

"Lei no?" aveva chiesto lei, un po’ infastidita. "Voglio dire … crede veramente che ci siamo solo noi … solo questo piccolo, insignificante pianeta che fluttua nello spazio senza uno scopo … crede veramente che siamo soli?"

Lui l’aveva guardata agitare le braccia, lasciando il volante e muovendole in aria.

"Andiamo!" gli aveva detto. "Deve essersi certamente fatto delle domande sull’esistenza di altre forme di vita. Non pensa che siano almeno, possibili?"

"Forse." aveva risposto lui e lei aveva sentito un sorriso nella sua voce. "Forse c’è la possibilità."

"Vede?" gli aveva detto lei, battendo enfaticamente la mano sul cruscotto. "Sapevo che sarei riuscita a farglielo ammettere."

"E come?" aveva chiesto lui, leggermente divertito di quanto fosse compiaciuta con se stessa. E aveva anche notato come i suoi capelli scuri stavano ondeggiando ad ogni movimento che faceva.

"Perché, dopo un po’, tutti quelli con i quali parlo, ai quali spiego le mie teorie, si arrendono alle mie fantasie." aveva riso lei. "Mi fanno contenta, perché pensano che sia un po’ pazza … la ragazza pazza che crede negli alieni."

Lui aveva osservato la schiena di lei e il movimento dei suoi capelli, che si era fermato per un momento, desiderando toccare le ciocche scure che il vento, proveniente dal finestrino aperto, spingeva sullo schienale del sedile. "Io non credo che lei sia pazza." le aveva detto gentilmente.

"Certo che lo pensa." aveva riso lei. "E’ solo che non vuole ferire i miei sentimenti."

Lei aveva sospirato ed aveva fermato l’auto.

"Vasquez Rocks, come ha richiesto, soldato." gli aveva detto, facendogli un finto saluto, mentre scendeva dalla macchina. "Ci vedremo ancora? Sa, in città, quando è in permesso dalla base."

"Non penso." lo aveva sentito dire nell’aria del deserto. "Non mi fermerò a lungo in quest’area."

"Va bene." si era detta, mentre lui e la sua voce di velluto erano scomparsi dietro il promontorio. Si era chiesta perché si sentisse così delusa. Lei amava flirtare e ballare con i ragazzi, ma raramente usciva con loro e questo soldato la interessava.

Facendo retromarcia, si era voltata indietro ed aveva visto il suo berretto. Se la pioggia fosse ricominciata, lui ne avrebbe avuto bisogno. Voltando di nuovo la macchina, lo prese dal sedile posteriore e cominciò a salire per il sentiero.

"Ehi, soldato, hai dimenticato il tuo … " Il resto della frase si era congelato sulla sua lingua.

Quando aveva voltato l’angolo, aveva visto una cosa incredibile. La mano di lui aveva brillato, quando l’aveva posata sulla roccia. Era apparsa un’impronta argentata ed una parte della montagna si era aperta, per rivelare una caverna.

Lui aveva fatto un passo avanti e lei uno indietro, scivolando. L’ultima cosa che ricordava era la caduta e il terreno che si avvicinava ad incontrare la sua testa, poi il buio.

Ora era in quella caverna, con un uomo che, chiaramente, non era un soldato americano in pattuglia di perlustrazione.

"Sei una spia? gli aveva chiesto. "Sei qui per sabotare la base?"

La sua mente annaspò. Mio Dio, pensò lei nella sua incoscienza, aveva dato un passaggio ad una spia. Il suo paese era in guerra e lei aveva appena aiutato il nemico … cercando di essere carina e di flirtare con quell’uomo, probabilmente, aveva tradito il suo paese.

"Ti prego." le disse lui, la voce calma e rassicurante. "Devi credermi. Non sono una spia."

Lui tese la mano, che lei afferrò, e l’aiutò, lentamente, ad alzarsi, spingendola verso la parte posteriore della caverna, dove lui stava lavorando. la tenue luce gialla del dispositivo conico prese vita, quando lui vi passò sopra la mano. Lui la osservò attentamente, mentre lei spalancava gli occhi.

Lui era alto e lei dovette tirare indietro la testa per guardargli il viso. Bello. Se le fosse stato chiesto di descriverlo, era quella la parola che avrebbe usato. Non dai lineamenti marcati, non solo di bell’aspetto e nemmeno attraente. Lui era proprio … bello.

I suoi capelli erano del colore della notte e gli ricadevano sulle sopracciglia con una noncuranza, quasi casuale. la sua mascella era ben definita e le sue labbra piene, sopra un mento scolpito e un naso dalla forma perfetta.

Dovette riprendere fiato, quando incontrò i suoi occhi. Avevano delle ciglia scure e il loro colore era quasi innaturale. Meno castani, più dorati. Sembravano brillare di una fiamma iridescente, ricordandole degli specchi d’acqua che riflettevano gli ultimi bordi di un tramonto. Per un momento, tornarono neri come la notte e lei avrebbe potuto giurare che fossero liquidi.

Lui batté gli occhi e la magia si spezzò. Ma il fuoco tornò quando i loro sguardi si incrociarono ancora. Erano infiammati di compassione e di meraviglia, e ogni paura che aveva provato per quell’uomo scomparve, quando lui le concesse un sorriso improvviso, che fece stringere agli angoli, quegli occhi strani e meravigliosi.

Lei abbassò i suoi, quando si accorse che lui la stava fissando. Si spostò una ciocca dei lunghi capelli dietro l’orecchio, mentre cercava di rassettarsi il vestito giallo con l’altra mano. Un laccio dei suoi sandali bianchi si era rotto, provocando uno strano rumore, quando face un passo indietro, per allontanarsi da lui, spostando cautamente la sua mano dalla forte presa di lui. Avvicinò i bordi del suo giacchetto bianco e chiuse il primo bottone.

"Chi sei tu?" gli chiese con un filo di voce. "O meglio, cosa sei tu?"

"Be’, diciamo solo che non sono di queste parti." le rispose lui.

 
   
 
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