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Autore: Benio Hanamura    07/04/2014    1 recensioni
[Mademoiselle Anne/Haikara-san ga toru]
“Il mio nome è Kichiji Hananoya… o meglio, questo è il mio nome dall’età di 15 anni. Fino ad allora ero Tsukiko, la sesta figlia della famiglia Yamada...”
Nel manga originale della Yamato è detto ben poco del passato della geisha Kichiji, che fa la sua prima comparsa come causa inconsapevole di gelosia della protagonista Benio nei confronti del fidanzato Shinobu, ma che poi si rivelerà essere solo una sua ottima amica e stringerà una sincera amicizia con Benio stessa, per poi segnare anche l’esistenza del padre di lei, vedovo inconsolabile da tanti anni.
Per chiarire l’equivoco e per spiegarle quale rapporto c’è davvero fra lei e Shinobu, Kichiji racconta la sua storia del suo passato a Benio, dei motivi per cui è diventata geisha, abbandonando suo malgrado il suo villaggio quando era ancora una bambina, ma soprattutto del suo unico vero amore, un amore sofferto e tormentato messo a dura prova da uno spietato destino…
Dato che questa storia è solo accennata nel manga, ma mi è piaciuta e mi ha commossa molto, ho deciso di provare ad approfondirla e di proporvela come fanfiction!
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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   Passò ancora il tempo e giunse finalmente per me il momento di debuttare come maiko. Un po’ tardi rispetto alle mie compagne di corsi, ma era inevitabile, dato che ero stata reclutata alquanto tardi rispetto a loro, ed infatti la okasan non ne fece un problema, data la sua abitudine di non curarsi più di tanto dell’età delle sue apprendiste quanto della loro convinzione di diventare geishe e la piena accettazione di tutto ciò che tale professione avrebbe comportato.  Soprattutto grazie a Kikyo-san avevo imparato ben presto che essere geisha non significava soltanto mangiare riso bollito tutti i giorni ed indossare splendidi kimono ed accessori graziosi, ma comportava tanti sacrifici di cui nessun cliente avrebbe mai dovuto sospettare l’esistenza, come dormire con la testa sostenuta dai takamakura per non spettinarsi i capelli, continuare a studiare canto, danza, conversazione, poesia e calligrafia per ore ed ore ogni giorno, camminare con gli okobo, per non parlare del mizuage, quella cosa di cui fino a poco tempo fa non sapevo l’esistenza e che ormai sentivo nominare  sempre più spesso nei discorsi delle mie compagne ed anche da Kikyo-san…  Era proprio così importante quella cosa che avrebbe coinvolto un uomo che nemmeno conoscevo, tanto da essere un requisito essenziale per diventare una geisha? Le mancate risposte di Kikyo-san (perché ero troppo giovane, diceva, me ne avrebbe parlato al momento opportuno), gli sguardi imbarazzati di quelle ragazze che per un motivo che non avevano voluto spiegarmi da un giorno all’altro avevano sostituito l’acconciatura wareshinobu con la ofuku, entrambe le cose contribuivano ad incrementare i miei timori in proposito, proprio come gli sguardi cattivi che mi lanciavano apposta quelle ragazze, per fortuna poche, che non nascondevano un’istintiva antipatia nei miei confronti. Ma un’unica cosa l’avevo capita, che sì, era qualcosa di inevitabile ed avrei dovuto farmene una ragione: non potevo farci niente, anche quello sarebbe stato uno dei miei doveri, verso la okasan che aveva puntato tanto su di me e mi aveva dato fiducia, verso Kikyo-san, che mi insegnava tante cose dedicandomi tutto il tempo che le era possibile dedicarmi, e  verso la mia famiglia!
  Così decisi che finché Kikyo-san non mi avesse detto che il momento era arrivato avrei evitato di pensarci, e quando mio padre insieme allo zio venne a trovarmi in occasione del mio debutto sfoggiai per loro il più radioso dei miei sorrisi ed entrambi mi confessarono che quando mi avevano vista avevano stentato a riconoscere in quella elegante maiko la ragazzina timida e spaurita che avevano accompagnato all’okiya tempo prima.
  Dal suo racconto e da una lettera del mio caro Keita, che lasciava trasparire una maggiore serenità anche da parte sua, seppi che Yuriko era ormai una sposa felice della famiglia Kimura e che presto mi avrebbe resa zia, che la mamma stava molto meglio, tanto che aveva ripreso a lavorare come prima, e che Toshiro e Sanzo crescevano forti e sani ed avevano iniziato a seguire nostro padre nei campi, anche se per ora per piccoli lavoretti, in cui comunque dimostravano molta buona volontà. Mancavo alla mia famiglia quanto loro mancavano a me, ma erano anche felici ed orgogliosi per ciò che ero riuscita a diventare, e giammai avrei turbato le loro aspettative, tutto quanto sarebbe stato necessario per la mia carriera lo avrei fatto e bene.
 
  Finché il mio destino si compì: un giorno Kikyo-san entrò nella mia stanza e mi annunciò che l’affare era stato concluso, il mio mizuage era stato acquistato dal signor Hasegawa, un importante funzionario che era un cliente affezionato dell’okiya da tanti anni e che aveva avuto lo stesso ruolo per tante altre geishe ed all’epoca persino per lei; dopo di che finalmente mi diede una spiegazione di cosa ciò significasse, anche se in realtà la sua fu una spiegazione alquanto sommaria, perché, mi disse, non c’era bisogno che conoscessi più dello stretto indispensabile, dato che avrei dovuto lasciar fare tutto a lui e basta.
  Ancora ricordo quella terribile sera, quello sfarzoso banchetto, durante il quale un ostinato nodo alla gola mi impedì di mandar giù più di due o tre bocconi, e soprattutto quella cerimonia, che tanto faceva pensare ad un matrimonio… Per la okasan e per tutte le altre dell’okiya sembrava una vera e propria festa in mio onore e come tale mi avevano prospettato l’evento, ma l’unica a non gioirne ero proprio io: le geishe e le altre maiko che pensavano solo a divertirsi, le domestiche che avevo sorpreso a sussurrarsi ridacchiando frasi all’orecchio che sicuramente erano pettegolezzi che io non avrei dovuto sentire, quegli sguardi dei presenti su di me, sguardi che sembravano del tutto incuranti del terrore che solo a stento riuscivo a nascondere soffocando le lacrime e la disperazione...
   Compii meccanicamente tutti i gesti che mi era stato raccomandato di compiere e ripetei perfettamente tutte le frasi di rito, ma quanto avrei voluto urlare, ribellarmi, fuggire veloce verso il mio villaggio e non voltarmi più indietro, lasciandomi tutto alle spalle! Mai quanto quella sera avrei voluto prendere il primo treno oppure sarei stata anche disposta a correre lungo i binari per tutta la notte, pur di sottrarmi in qualsiasi modo a ciò che ritenevo così insensato!!! Ma ovviamente non potevo, Kikyo-san si era raccomandata bene su come dovessi comportarmi anche in privato, sull’atteggiamento che avrei dovuto tenere con il signor Hasegawa, spiegandomi anche ciò che sarebbe stato giusto dirgli e cosa no: era davvero fiera di me, dato che l’offerta era stata molto alta, più alta di quanto lei e la okasan si sarebbero mai aspettate e persino più alta delle offerte fatte per loro, ma ora stava a me non rovinare tutto, non contrariando in alcun modo il signor Hasegawa che era stato tanto generoso! Generoso? In che cosa era stato generoso? Comprandomi esattamente come si fa con un oggetto per trastullarsi a suo piacimento col mio corpo? A quanto pare era proprio così, a giudicare dagli sguardi soddisfatti che loro due si lanciavano, convinte che io non lo notassi… Ma niente di strano: non ero più una bambina ed ormai avevo capito da tempo che per loro altro non ero che un investimento come tanti, un investimento di cui ora era tempo di cogliere i frutti, esattamente come una somma di denaro data in prestito e che sarebbe stata loro finalmente restituita con i dovuti interessi maturati negli anni; ed avevo perciò anche capito che la gentilezza con cui ero stata accolta e trattata era in buona parte artificiosa, esattamente come la loro persistente perfezione che ormai nascondeva una bellezza sfiorita a causa del tempo.
   D’altra parte da sempre funzionava esattamente così fra geisha ed okiya, perciò nemmeno io avrei dovuto fare eccezione: loro avevano nutrito, istruito e vestito me per tanti anni, avevano salvato Miyuki dal destino ancora più crudele a cui sarebbe andata incontro se fosse stata accolta nella casa della signora Shiori ed avevano dato sollievo economico  alla mia famiglia; ora io avrei dovuto semplicemente ripagare quel nostro debito nell’unico modo che mi sarebbe stato possibile. Ed in fondo osservare Kiyoko era in parte confortante: nel complesso lei pareva abbastanza serena, perciò lo strazio non sarebbe stato certo continuo!
   “Domani sarà tutto finito” ripetei forte fra me quando alla fine mi lasciarono sola in quella stanza con quell’uomo, che avrebbe potuto essere mio nonno e che avevo visto solo pochissime volte, scambiandoci sì e no una decina di parole in tutto.
   “Devo resistere solo per qualche ora, solo per qualche ora!” come avrei voluto non sentire quelle mani addosso, quel corpo sudaticcio ed ormai flaccido per l’età a così stretto contatto col mio, il corpo di un uomo che  nelle altre occasioni era formalmente gentile anche con le maiko più inesperte e persino con le miranai, ma che ora stava semplicemente soddisfacendo i suoi più bassi istinti, non mostrando per me il minimo riguardo e nemmeno compassione! Un oggetto è insensibile al tatto, al dolore, non può provare repulsione: allora perché non potevo diventare insensibile anch’io? Schiacciata da quel peso così opprimente serrai gli occhi, strinsi i denti e fuggii via almeno col pensiero, che più velocemente che mai volò verso Koji-san.   
  “Solo per qualche ora, solo per qualche ora…” riecheggiò per tutto il tempo come una nenia nella mia testa.
 
    
 
 Note:
Takamakura – appositi sostegni che permettono alla testa di rimanere sollevata dal futon e di mantenere intatta la capigliatura delle maìko.
 
Okobo – anche detti pokkuri, sono un particolare tipo di geta indossati dalle maiko. Gli okobo sono realizzati con un solo blocco di legno scolpito e hanno un tacco molto alto, simile a una zeppa, scavato nella parte anteriore del piede. La parte in legno può essere lasciata al naturale o laccata di nero. In particolare, la laccatura nera viene usata d’estate, per evitare che il sudore macchi il legno.
 
Wareshinobu – E’ la prima acconciatura indossata da una maìko. Viene usata per il suo debutto e per i successivi 3 anni di apprendistato.

Ofuku – seconda acconciatura indossata dalle maìko. Un tempo la s’indossava dopo il mizuage o dopo aver ottenuto il suo danna, intorno ai 13-15 anni. Al giorno d’oggi, in seguito al cambiamento di alcune leggi, la s’indossa intorno ai 18 anni o dopo 3 anni di formazione dopo il debutto.

Mizuage ( 水揚げ ricevere o dare le acque): era una cerimonia che rappresentava una tappa fondamentale nella vita di una geisha fino al 1958: determinava il passaggio da ragazza a donna vera e propria ed era un requisito indispensabile per divenire una geisha a tutti gli effetti. Il mizuage era una tradizione che prevedeva l’acquisto della verginità di un'apprendista geisha (maiko nel quartiere di Gion, a Kyoto). Per questo si offrivano somme di denaro anche considerevoli, che trasformavano questo processo in una vera e propria asta.
  
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