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Autore: A Modern Witness    07/04/2014    3 recensioni
Affido la vita di mia figlia, la sua felicità e il suo futuro a Jared Leto.
Perché lui?
Perché non i nonni?
Perché non Amelia?
Perché mamma?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pioggia di ricordi'
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Capitolo 10 (Prima parte)
 
«Buongiorno» La salutò Costance, non appena entrò in cucina.
Anthea le rispose con un lieve sorriso, guardandosi attorno e chiedendosi dove fossero Jared e Shannon. Si era svegliata con la sensazione si essersi dimenticata qualcosa, di importante. Si ricordava d’essere svenuta davanti a Jared, ma non ne capiva il motivo.
«Costance, dove sono Jared e Shannon?» Chiese la ragazza accomodandosi su di uno sgabello.
La donna tolse dalla padella un pancake «Chiamami Connie, per favore» Le disse, versando dello sciroppo d’acero sulla pila di pancake «Shannon è andato a prendere la macchina, mentre Jared è uscito presto a fare jogging, dovrebbe rientrare a momenti» Spiegò la donna, poggiando sull’isola della cucina la pila di dolcetti.
Anthea guardò sorpresa Costance.
Li aveva fatti per lei?
Insomma, non avevano mai parlato, quella era la seconda volta che la vedeva da quando era a Los Angeles, ed era stata così gentile da preparale la colazione?
«Cos’è quella faccia?» Le chiede la donna divertita, non era sua intenzione metterla in difficoltà.
Anthea spostò lo sguardo sui pancakes e poi agli occhi celesti di Costance «Non avresti dovuto disturbarti così per me» Avrebbe voluto dirle che lei la mattina non era abituata ad abbondare nella colazione, ma optò per mordersi la lingua e accettare quella gentilezza.
«Non è assolutamente un problema Anthea, l’ho fatto per anni per Jared e Shannon-»
«Loro sono i tuoi figli, io…» La interruppe morsicandosi un labbro «… ti chiedo scusa per come ti ho trattato il primo giorno. La rispostaccia che ti ho riservato era davvero fuori luogo, ingiusta oltretutto» Snocciolò Anthea, sotto lo sguardo sereno della donna.
Costance le si avvicinò, spostandole un ciuffo di capelli castani «Nessuno era pronto ad averi qui, tanto meno tu ad avere noi attorno. Ammetto, che forse, ho preteso un po’ troppo che tu fossi contenta di essere qui. Tuttavia non me la sarei mai presa quel gesto» La rassicurò sorridendole tranquilla.
La sera prima Jared l’aveva chiamata avvisandola di quello che era successo, ma dicendole di rimanere a casa e che, se avesse voluto, sarebbe potuta passare da loro la mattina seguente. Costance aveva assecondato il figlio, riconoscendone il tono turbato, quasi agitato e non aveva indagato. Tuttavia, quella mattina, non si aspettava di sentire quello che Shannon, provato dal sonno mancato di quella notte, le aveva raccontato.
Ammetteva di aver sospettato sin dall’inizio che Anthea fosse sua nipote, ma non era ben sicura chi dei suoi figli fosse il padre. Dapprima avrebbe azzardato a dire Jared, ma era stato Shannon ad avere avuto una lunga relazione con Sophia, quindi aveva accantonato l’idea e aspettando che fosse uno dei due a parlare.
Entrambi avevano dormito poco quella notte, troppi pensieri a vorticare in testa. Il maggiore dei fratelli, in particolare, che non sapeva come porsi con Anthea, gli sembrava così assurdo ritrovarsi padre all’improvviso, che il cuore sembrava pensare un grammo.
Anthea le sorrise in imbarazzo «Grazie, Connie» Si limito a dire, sentendosi piccola davanti alla bontà di quella donna. Agguantò il piatto con i pancake e le posate lì vicino, cosciente che nessun poteva superare quelli ai mirtilli di sua nonna Giselle: soffici come un cuscini, non troppo dolci e soprattutto dalle dimensioni esagerate.
«Hai dormito bene?» Le chiese Costance, osservandola con un occhio critico per scorgere qualche segno di una nottata agitata.
La giovane scosse la testa, mentre infilzava la prima frittella «Sì, credo sia stata a causa di tutto quello che mi hanno dato in ospedale» Suppose, addentando il primo boccone: pura estasi per la sue papille.
«Si vede che sei riposata…oh, Jared!» La donna sorrise la figlio, mentre Anthea si voltava.
L’uomo salutò la madre con un breve cenno della mano, per poi rivolgersi ad Anthea «Shannon ti sta aspettando fuori» Cominciò pacato, mentre lei mandava giù il boccone, confusa.
«Queste sono le chiavi di casa mia, dì a mio fratello di non perderle» Le riferì, allungandole un mazzo di chiavi.
«Perché devo andare a casa tua con Shannon?» Gli chiese. Pensava avrebbe parlato tra loro quella mattina di quello che era successo il giorno prima. Invece, adesso, lui se ne veniva fuori con questa storia.
Jared sospirò «Te lo spiegherà lui.» Si affrettò a dire lasciando le chiavi accanto al piatto, prima di sparire tanto velocemente quanto era entrato in cucina.
 
 

****

Shannon le aveva chiesto di aspettarlo, mentre saliva al piano di sopra. Anthea, allora, era uscita sul retro e si era seduta sul divanetto di vimini a bordo piscina, guardandosi attorno.
Casa di Jared era completamente immersa nel verde, fiancheggiata da due boschetti suggestivi, che le ricordavano molto un quadro si Sisley. Il verde brillante delle chiome rigogliose degli alberi, spegneva quell’atmosfera cupa che di solito apparteneva a quel luogo. Inoltre l’aria sembrava immobile, sospesa, una pace inquietante, ma talmente affascinante che, forse, capiva perché Jared avesse scelto proprio quel posto. Uno scorcio si solitudine, di staticità, al di là della frenesia della città degli angeli, a quel turbine incessante di scandali che la caratterizzavano.
Si portò le gambe al petto, poggiando il mento sulle ginocchia.
In quel momento, stare lì da sola, con tutte quel silenzio assordante non le piaceva. Le domande rumoreggiavano nella sua testa, l’una sovrasta dall’altra, chiassose, dispettose, prepotenti…
«Anthea?» La chiamò Shannon, sporgendosi dal balcone del piano superiore. Lei alzò gli occhi «Vieni su» La incitò, prima di sparire dalla sua vista.
Lei rimase a guardare quel punto qualche istante, sospirando. Non le aveva chiesto niente durante il tragitto in macchina, nemmeno come si sentiva. Semplicemente l’aveva ringraziata per avergli riferito quello che Jared le aveva detto a riguardo della chiavi.
Scese dalla divano e si diresse dentro, verso le scale. Nemmeno l’interno della casa riusciva ad apprezzarlo a pieno. Si vedeva che non era vissuta, c’era del disordine che spiccava negli scaffali dei libri o sui tavolini, ma nulla che desse l’idea quella era una vera casa, in cui abitare. Era più un rifugio, suppose Anthea. Quattro mura dove Jared poteva spegnere ogni contatto, poche ore molto probabilmente, ma necessarie per rimane intatto abbastanza da non farsi sopraffare da tutto.
«Shannon?» Chiamò, raggiunta la fine della scala, guardandosi attorno, notando quanto bianco ci fosse.
Il batterista uscì dalla stanza davanti a lei «Di qua» Si limitò  a dire, prima di sparire nuovamente.
Anthea lo raggiunse, in quella che era la camera da letto del cantante.
Rimase sulla soglia, costatando che le macchie di disordine del piano inferiore, non erano nulla a confronto di quella stanza. Caos in piena regola, al di fuori del letto. C’era una scrivania, che sembrava uno scafale in esposizione di un edicola ben fornita. Un paio di custodie di chitarre rigide, una sopra l’altra, sicuramente vuote e alcuni contenitore di plastica, su cui Anthea non soffermò la propria attenzione, sarebbe stato inutile cercare di capire cosa ci fosse dentro.
Tuttavia fu Shannon ad attirare la sua curiosità, seduto al bordo del letto con una scatola vicino. Era grande, ma non molto alta, un diecina di centimetri forse, non di più, e aveva l’aspetto di essere stata per molto tempo dimentica sopra qualche armadio a prendere la polvere.
Gli si sedette di fronte, soppesando con lo sguardo il contenitore. Era vecchio, ma non rovinato.
«Cos’è?» Chiese alzando gli occhi su quelli del batterista, che stava indugiando già da un po’ sulla figura della ragazza.
Le sorrise «Aprila, ti piacerà quello che c’era dentro» La incoraggiò, poggiando le mani sulle cosce. Conosceva bene il contenuta di quella scatola anche se erano anni che non l’apriva. Tuttavia ne ricordava perfettamente il contenuto.
Anthea prese il coperchio, constatando che vi era un bello strato di polvere sopra, e l’alzò stando attenta a non respiraci troppo vicina, altrimenti la polvere sarebbe svolazzata ovunque, creando una fastidiosa nuvoletta di pulviscolo. Tolse il coperchio e Shannon glie lo prese dalle mani, poggiandolo sul pavimento, mentre lei osservava il primo disegno.
Erano di sua madre. Non aveva visto molti disegni creati interamente da lei, ma quei pochi era riuscita a trovare nel suo studio, richiamavano lo stile e le pennellata di quel disegno su cartoncino. Era una tratto uniforme, non troppo pastoso, infatti sembrava quasi acquerello.
Lo prese in mano, cercando di capire quale fosse il soggetto.
«E’ Venice Beach…» Le venne in aiuto Shannon «E’ un dei primi disegni che tua madre mi mostrò» Le raccontò, vedendola alzare gli occhi su di lui.
«Questa invece è San Francisco» Continuò, prendendo in mano il secondo disegno. Quello era fatto a matita però, osservò Anthea, ma notò anche con quanta delicatezza Shannon stesse tenendo tra le mani il foglio.
Faceva un strano effetto.
«E questo è un panda» Lo sentì dire a mezza voce, prendendo il terzo disegno dalla pila di fogli. Una nota dolce, quasi malinconia nella sua voce e uno sguardo vacuo che si spostava sulla superficie del foglio.
 

«E’ un peluche…»  Ti feci notare.
Tu facesti spallucce, ormai l’artista aveva preso
Il sopravvento.
«E allora? Guardo se le metto davanti alla finestra, ci sono
le chiome degli alberi e il cielo, che fanno da sfondo
e quindi da l’idea che sia fuori e poi…»
Prendesti una stecca di legna
«…questa è il parapetto dello zoo…»
«Peccato che l’insieme sia decisamente,
troppo sproporzionato
Scoppiasti a ridere, come piaceva a me.

 
Il risultato però era fenomenale. Sembrava davvero di sporgersi dalla recinzione di uno zoo e guardare poco più in basso, dove un ristretta colonia di panda si stava godendo un giornata di primavera, attorniata da un’alta vegetazione e delle canne di bambù. Poteva davvero passare per un disegno fatto sul momento, anziché un’ispirazione avuta da una banalissimo panda di peluche che, anni prima, Shannon aveva regalato a Sophia.
Anthea, intanto, aveva poggiato altri fogli sul letto, ma la maggior parte erano schizzi di paesaggi che non conosceva, oltretutto non era nemmeno finiti e quindi aveva preferito accantonarli, mentre Shannon si rigirava ancora tra le mani il disegno. Finché non arrivò ad una busta di carta, che sembrava contenere altri fogli. La prese in mano, chiedendosi perché metterli lì dentro, per non farli rovinare forse? Per un attimo fu dissuasa dall’idea che non avrebbe dovuto vederli, che quello era un passato che sua madre non le aveva raccontato e forse c’era una motivo.  Tuttavia, fu Shannon ad aprire la busta.
Erano ritrattati.
 

«E dai, Sophia!»
«No Amy, lo sai che non faccio più
ritrattati da una pezzo…»
«Ma…se sono splendidi, quelli che facevi.
Sei stata proprio tu a dirmi che era il genere
che ti piaceva di più. »
«Un tempo
«Perché non riprenderlo?»
«Non voglio più rubare emozioni a nessuno.»

 
E quella non era stata la prima volta che glie lo aveva sentito dire. Tutti quelli che proponevano di commissionarle un ritratto, anche ben pagato, erano costretti a cambiare artista. Sua madre accettava solo di realizzare copie di quadri più o meno famosi, oltre quelle commissioni non l’aveva mai vista dipingere. Lei si giustifica sempre che il lavoro d’insegnate di storia dell’arte le prendeva troppo tempo per iniziare a lavorare da zero a una quadro indipendente. A volte, però, quando realizzava le copie si dimenticava di correggere i compiti o di preparare le lezioni.
«Chi sono?» Domandò la ragazza, cercando di scorgere i volti delle persone impresse sulla carta.
«Chiunque. Però questi sono solo alcuni, gli altri li ha portati con sé a Londra» Spiegò porgendole i fogli «Il primo e Daniel, era il suo migliore amico.»
Anthea annui. Era realizzato con le matite colorate e poi doveva averci sopra della vernice trasparente o un protettivo, in modo tale che non si rovinasse.
Il ragazzo raffigurato aveva capelli scuri, quasi color carbone. Due occhi verdi, splendidi che risaltavano sulla carnagione olivastra. Ed erano proprio quel tocco di verde smeraldo su cui si focalizzava lo sguardo. Era palese che sua madre fosse andata oltre il colore nature dell’irride, poiché era troppo luminoso troppo chiara, quasi fluorescente. Eppure non erano inquietanti, ma si adattavano perfettamente al sorriso sfoggiato dal ragazzo. Smagliante, luminoso, come il colore degli occhi. Era gioia quella che sua madre aveva impresso sulla carta. Una felicità contagiosa, che molto probabilmente era il tratto più incisivo di quel ragazzo.
Anthea avrebbe voluto sorride, ma si sentiva stupida a farlo solo per una sensazione emanata da una semplice disegno. Proprio quel pensiero le fece comprendere cosa intendesse sua madre con rubare le emozioni. Quella era un’emozione rubata, che sarebbe rimasta per sempre su quel foglio, rubata, intatta nel tempo.
 
Alzò gli occhi sul batterista «Non ne ha più fatti » Disse, ritornando a guadare il volto del ragazzo «Vive qui a Los Angeles?».
«Non lo so, ma non credo. Da quello che mi ricordo, si voleva trasferire a New York» Snocciolò. Non lo aveva mai conosciuto veramente, ci aveva parlato solo poche volte nei primi tempi in cui viveva a Los Angeles.
Anthea fece spallucce «E quest…» L’ultimo disegno della scatola: Shannon, o meglio il suo sorriso.
Tutto il volto era solo abbozzato con delle linee nere di contorno grossolane, mentre le labbra dell’uomo incurvate verso l’alto erano perfettamente disegnate con una semplice matita nera. Il gioco di chiaro scuri, per dar volume e sostanza alla pelle e alle labbra carnose del batterista.
«Giralo» Le suggerì Shannon.
Perplessa seguì il consiglio del batterista.
 

Ti amo Shannon.
Ti amo come le città dove le strade non hanno nome:
passo, passo, man mano che il tempo scorre, sempre di più.
Sophia.

 
«Beh…potevi finirlo, prima di darmelo.» Sottolineò lui, dopo essere ritornato al guardare il disegno non ancora finito. Era strano vedere il proprio sorriso impresso su quel foglio. Si sentiva quasi in soggezione, come se non lo avesse mai visto e fosse qualcosa di stupefacente. Insomma, cosa doveva voler dire un disegno del genere?
Sophia alzò gli occhi al cielo «Lo finirò…» Gli sorrise.
«Quando?».
«Quando ti amerò di più. Col tempo» Spiegò bonariamente, mentre lui era sempre più confuso.
«Ma tra qualche anno non sarò più così» Le fece notare, indicandosi con la mano.
Lei annuì «Lo so» Sembrava lo stesse prendendo in giro.
«Non puoi farmene uno ogni anno?» Le propose dubbioso.
Sophia scosse la testa «No».
Shannon si stava innervosendo «Allora perché il sorriso?».
Lei fece spallucce «E’ l’unica cosa che non cambierà mai di te. E, oltre ai muscoli, è la cosa più bella che possiedi».


 

NDA:
Quanto tempo! So che non vi sono mancata xD
Ho delle cose da dire a proposito del capitolo:
1. Non è un gran che...ma ultimamente ho avuto poco tempo e, piuttosto che lasciarvi a secco, ho preferito mettere questo capitolo un pò più "soft" e concentrarmi per bene sul prossimo.
2. Si ritorna al passato di Shannon e Sophia, dato che per lo più il capitolo è dedicato a questo, ed è la strategia del batterista per affrontare il discorso "padre e figlia", per questo ho deciso chiamarlo "Prima Parte".
3. Ho cercato di dare una spegazione al titolo della Fan Fiction. Where The Streets Have No Name è un canzone degli U2 (
qui per ascoltarla), personalmente preferisco la cover fatta dai Mars (asoltatela) (ciò che ho appena detto potrebbe essere ritenuto blasfemo, mi dispiace ma sono gusti) e vi consiglio di ascoltarla, se non la conoscete già u.u. La spiegazione del titolo beh, è un pò quella della dedica che Sophia lascia dietro al disegno: con il tempo si impara ad amare/voler bene e scoprire nuove cose anche dei posti/persone di cui non conosciamo  nulla. Ed è quello che è successo ad Athea e Shannon.

Ok, detto questo ringrazio chi segue, chi commentata, chi legge, chi ha messo la storia tra le seguite/ricordate/preferiti.


Alla prossima,
Silence.

 

  
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