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Autore: Taylor72    08/04/2014    1 recensioni
Ho sempre amato la figura del vampiro, sia nella letteratura che nel cinema/TV.
Uno dei miei preferiti è il vampiro protagonista del telefilm Blood Ties, del 2006, dove è evidenziata una delle caratteristiche che più mi colpiscono: la solitudine di queste creature.
In Blood Ties, così come nei romanzi da cui è tratto, i vampiri, oltre ai problemi che incontrano con gli umani, non possono nemmeno convivere nella stessa città.
In questa fanfiction ho voluto regalargli una possibilità di non essere più solo: saprà coglierla?
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 07 - MOSTRI
Il tempo si ferma quando pensi di aver perso qualcuno…
Alex bussò con forza alla porta dell’appartamento di Sara.
Non appena l’anziana professoressa aprì la porta, Alex entrò dicendo:
“Mendoza ha preso Henry.”
“Cosa? Come…Alex cosa stai dicendo?”
“Mendoza ha preso Henry…non sono riuscita a impedirlo, non so dove l’abbia portato, Sara dobbiamo trovarlo prima che…dobbiamo…”
Sara la prese per le braccia e la bloccò:
“Ehi, Alex…calmati, Alex…non capisco niente così, calmati…sei tutta bagnata. Siediti…” le disse.
Mike entrò dietro Alex e restò in piedi nel salottino, a disagio.
Sara lo degnò a malapena di un’occhiata, poi andò nell’altra stanza e tornò con degli asciugamani.
Ne porse uno ad Alex e uno a Mike, mentre gli chiedeva:
“E lei sarebbe?”
Alex lo precedette, senza che Mike potesse rispondere:
“Lui è Mike, Sara,” disse con voce stanca.
Lo sguardo di Sara si indurì.
“Henry mi ha parlato di te,” disse guardandolo, con un filo di rabbia nella voce.
Mike prese l’asciugamano, mormorando solo un grazie.
Alex si era seduta sul divano, asciugandosi distrattamente i capelli.
Sara le si sedette accanto e le chiese:
“Cosa è successo?”
Le tremava leggermente la voce. Anche lei era spaventata.
Alex sospirò:
“Mike voleva palargli ed io ho convinto Henry che fosse una buona idea, pensavo che se Mike lo avesse conosciuto, avrebbe cambiato idea sul suo conto. Gli avevamo dato appuntamento alla caffetteria del campus, prima di venire qui…ma poi lui…”
Alex guardò Mike, che abbassò gli occhi, incapace di sostenere il suo sguardo.
Adesso che la rabbia le stava passando, l'uomo lesse nei suoi occhi una disperazione che non riuscì a sopportare.
Mio dio, che cosa diavolo ho combinato?
Se lo era chiesto almeno cento volte, da quando Mendoza aveva portato via Henry.
Le due donne lo stavano ancora guardando, quindi si decise a dire:
“Si è vero, è tutta colpa mia…” si interruppe, incerto. “Mendoza mi ha raccontato delle cose su Henry e…e io ero preoccupato per Alex. Mi ha dato un aggeggio e mi ha detto di appoggiarlo sul petto di Henry…ha detto che lo avrebbe reso innocuo così lui avrebbe potuto parlarci...ma non credevo che avrebbe funzionato…io…volevo solo parlargli, non sapevo che…” la sua voce si spense.
Sara si era alzata:
“Tu hai fatto cosa?” gli chiese, tagliente.
Mike allargò le braccia.
“Lo so, ho fatto una cazzata. Ma non sapevo…mi aveva detto…” parlare gli risultava difficile, con quegli occhi che lo fissavano come se volessero incenerirlo, e finì per balbettare.
Sara andò alla libreria, prese un grosso libro, lo sfogliò, e quando trovò la pagina che cercava, gli mise il pesante volume sotto al naso.
“L’oggetto che ti ha dato era forse questo?”
Mike osservò il disegno e annuì.
“Si è quello, era identico.”
“La Illumination del Sol…” mormorò Sara.
“Che cos’è?” chiese Alex.
“Una leggenda…un talismano creato dalle streghe per togliere forza ai vampiri…molti, molti secoli fa. I vampiri sono convinti di averli distrutti tutti…evidentemente si sbagliano.”
Mike spostò lo sguardo da una all’altra, ancora incredulo:
“Non riesco a credere che i vampiri esistano. Quei mostri sono reali?”
Sara lo osservò per qualche secondo:
“Mostri…già.”
Scosse la testa con un’espressione rassegnata, come se avesse dovuto affrontare altre volte quello stesso discorso.
“Immagino che non smetteranno mai di chiamarli così.”
Lo guardò di nuovo negli occhi:
“Forse i vampiri sono mostri, ispettore, ma ci sono mostri ben peggiori. Come quello a cui tu hai appena consegnato Henry.”
Si girò verso Alex:
“Se ha usato l’Illumination, non ha intenzione di ucciderlo subito. Henry probabilmente è ancora vivo.”
“Mi ha detto che voleva solo parlargli…” ripetè Mike.
“Si, certo,” rispose Sara duramente. “Parlargli…mentre lo tortura come ha fatto ai tempi dell’Inquisizione. Quel bastardo lo ha torturato per settimane, nel 1689, Henry è sopravvissuto per miracolo. Credevamo tutti che Mendoza fosse morto, invece ora sappiamo che non è così e che non ha mai smesso di dargli la caccia. Glielo hai servito su un piatto d’argento. Tieni, ispettore, leggi chi è Xavier Mendoza.”
Gli mise in mano il libro.
Mike sedette al tavolo del salotto e lesse in silenzio alcune pagine.
Quando alzò lo sguardo era inorridito. Il numero delle persone che quel pazzo aveva trucidato in nome della Chiesa era una cifra a due zeri.
“Ma non può essere la stessa persona…sono passati più di trecento anni…com’è possibile che sia lui?”
Alex si alzò. Guardò Sara e tra le due donne non ci fu bisogno di parole. Sara annuì soltanto e Alex disse:
“Non c’è tempo per le spiegazioni Mike. Il sangue di vampiro può guarire un umano e prolungarne la vita. Crediamo che Mendoza ne beva regolarmente, ed è in questo modo che è riuscito a sopravvivere fino ad oggi. Odia Henry e ha già ucciso molti vampiri della sua stirpe. Se è ancora vivo non abbiamo molto tempo. Dobbiamo trovarlo.”

Henry sentì il dolore, prima di tutto.
Dolore, dove quel poliziotto gli aveva appoggiato…
Cos’era quell’affare, si chiese?
Si guardò il petto, lo vide, e non riuscì a credere ai suoi occhi. La Illumination del Sol? Possibile?
Voleva toccarlo, ma quando cercò di muoversi si rese conto di essere legato.
Altro dolore, dai polsi, in cui affondavano grosse cinghie di cuoio nero.
Restò immobile, cercando di capire dove fosse.
Sembrava uno scantinato, ed era buio, anche se lui ci vedeva perfettamente.
Era sdraiato sul nudo pavimento di cemento.
Percepì l’avvicinarsi dell’alba, rabbrividendo.
Con notevole sforzo riuscì a mettersi seduto e scoprì che le cinghie che gli imprigionavano i polsi erano collegate a pesanti catene, fissate alla struttura di legno a forma di x che aveva alle spalle. Tese i muscoli indolenziti cercando di spezzarle, ma non aveva sufficiente forza per riuscirci.
Appoggiò la testa al liscio legno scuro e guardò il soffitto pieno di crepe.
Dove sono? Dove mi ha portato Mendoza?
Il sonno diurno stava per avvolgerlo, senza che Henry potesse opporsi.
Pensò ad Alex.
Ha cercato di avvertirmi, ha cercato di dirmelo…dovevo darle retta.
Scosse la testa. Era stato presuntuoso e imprudente.
Un errore che stavolta gli sarebbe costato la vita, probabilmente. Ma non era preoccupato per sé stesso. Non era la morte a spaventarlo.
Il suo ultimo pensiero cosciente, prima che il buio avvolgesse ogni cosa, fu per lei.
Fa che sia salva, pensò, rivolgendosi a quel dio in cui non credeva più da secoli.

Sara le appoggiò la mano sulla spalla, facendo sussultare Alex.
“E’ l’alba, Henry si sarà addormentato ormai.”
La ragazza guardava fuori dalla finestra. Il cielo era coperto e i prati del campus erano imbiancati dalla brina.
Fredda, quella notte, per essere aprile.
Lo stesso gelo che sento nel cuore, pensò Alex.
Senza girarsi chiese:
“Credi che…” le mancò la voce. Deglutì a vuoto. “Credi che l’abbia ucciso?”
La voce di Sara tradì un tremito.
“No. Henry è ancora vivo. Lo so, lo sento.”
Alex la guardò:
“Come fai ad esserne così sicura?”
Sara la prese per le braccia:
“Alex, ragiona. Mendoza non avrebbe organizzato tutto questo solo per ucciderlo, non subito almeno. Altrimenti quel maledetto figlio di puttana gli avrebbe semplicemente piantato un paletto nel cuore. Henry è ancora vivo.”
Alex scosse la testa:
“Ho cercato di avvisarlo, di fermarlo, ma non ha voluto ascoltarmi. Ha detto che non aveva paura di un umano, avrei…avrei dovuto insistere.”
“Non è colpa tua, Alex. Non lo è. I vampiri a volte sono…presuntuosi. Sanno di essere più forti e non hanno paura degli umani. Un leone non ha paura della gazzella che sta cacciando. Per i vampiri è la stessa cosa. Sono loro i predatori e come tali si comportano. Anche Henry. Non saresti riuscita a fermarlo.”
Alex ebbe un moto di stizza.
“Sono stata un’idiota, Sara. E’ comunque colpa mia. Pensavo che farlo parlare con Mike avrebbe risolto tutto. Che stupida!”
“Non potevi saperlo,” rispose, dando un’occhiataccia verso il divano, dove Mike stava dormendo.
“Dovevo immaginarlo. Mike è come un cane quando trova un osso, non molla mai. Per questo è così bravo nel suo lavoro.”
“Inutile recriminare. Quel che è fatto è fatto, adesso dobbiamo pensare a come trovare Henry prima che Mendoza decida di averne abbastanza e lo uccida. Se il tuo amico è così bravo, forse può aiutarci a trovarlo. Non credo ci sia molto tempo.”
Sara le accarezzò il braccio in un gesto affettuoso.
“Dovresti cercare di dormire un po’ anche tu.”
“Non riuscirei a chiudere occhio,” rispose Alex scuotendo la testa.
“Ne hai bisogno…”
“Sara non  voglio dormire, voglio cercare Henry.”
Gli occhi dell’anziana professoressa si colmarono di dolcezza.
“Lo so, bambina. Lo so. Ma non potrai fare niente se crolli per la stanchezza. Hai bisogno di qualche ora di sonno.”
Sara la condusse nella piccola camera da letto.
“Solo qualche ora, Alex.”
Sara uscì e Alex sedette sul letto.
Lo sfinimento le piombò addosso come una valanga. Si tolse le scarpe e si distese sospirando.
Non pensava che sarebbe riuscita a dormire, invece si addormentò nel giro di pochi secondi.

Era quasi mezzogiorno quando si svegliò.
Per un attimo le era sembrato tutto un brutto sogno, ma nel giro di pochi secondi la realtà l’aveva investita come un treno in corsa e la paura le aveva riempito gli occhi di lacrime.  
Nel piccolo bagno si lavò il viso, notando nello specchio le borse che aveva sotto gli occhi.
Resisti Henry, pensò, ti troverò. E’ una promessa.
Si pettinò con le mani umide i capelli scompigliati e li raccolse in una coda.
Entrò nel salottino e trovò Sara sul divano, sulle ginocchia aveva lo stesso libro che aveva fatto leggere a Mike.
“Sara…hai trovato qualcosa?” le chiese.
“No. Qui c’è tutto quello che i libri di storia riportano su Mendoza, ma nessun indizio su dove potrebbe essere ora. Ho ordinato dei panini se hai fame. E ho preparato il caffè.”
Alex, che stava morendo di fame, scartò uno dei panini appoggiati sul tavolino e si sedette sul divano accanto a Sara.
“Dov’è Mike?” chiese.
“E’ andato alla centrale. Ha detto che cercherà qualsiasi indizio su Mendoza e che ci avvertirà se trova qualcosa.”
“Non troverà niente, lo sai vero?”
Sara chiuse il libro esasperata.
“Lo so. Dobbiamo scoprire noi dove potrebbe nascondersi.”
Alex sentì di nuovo la paura stringerle il cuore. Toronto era una città immensa, con migliaia di posti dove nascondersi. Avrebbero potuto non trovarli mai. Respinse le lacrime. Guardò Sara e vide la stanchezza sul suo volto, sembrava invecchiata di dieci anni in una sola notte.
“Sara dovresti dormire un po’ anche tu.”
Alex si alzò e prese giacca e borsa dicendo:
“Devo uscire, non ce la faccio a stare ferma, vado a vedere se Mike ha trovato qualcosa…”
Stava aprendo la porta quando Sara disse:
“Siediti Alex, devo parlarti.”
Alex si girò a guardarla infilando la giacca.
“Non adesso Sara, lo faremo dopo aver trovato Henry.”
“Adesso Alex,” disse Sara in tono fermo. “Ci sono cose che devi sapere. Ho rimandato anche troppo. Potrebbe servire anche per ritrovare Henry.”
Alex scosse la testa, ma Sara la interruppe prima che potesse aprire bocca. Era serissima, come Alex non l’aveva mai vista prima.
“Siediti,” ripetè.
La ragazza posò la borsa sul tavolino e si tolse la giacca, poi sedette sulla poltrona di fronte a Sara.
“Non è facile per me fare questo, Alex. Quello che devi sapere…non è facile da mandare giù e vorrei che avessimo avuto più tempo, ma non posso più aspettare. Potresti essere la nostra unica possibilità di trovare Henry. Potresti riuscirci. Con le tue capacità.”
Alex la guardò stupita, ammutolita dalle sue parole. Sara sapeva?
La donna sorrise con affetto.
“Conoscevo tua madre, Alex,” disse sottovoce. “Conoscevo Elizabeth, eravamo amiche. Anche se tu non lo ricordi.”
“Cosa?!” esclamò Alex. “Perché non me lo hai mai detto?? Sono mesi che faccio ricerche sulla mia famiglia e non mi hai mai detto niente??”
“Non potevo…”
Alex la interruppe:
“Hai finto per tutti questi mesi di non sapere nulla…mi hai…mi hai mentito?”
Alex sentì la rabbia affiorare nella propria voce. Non poteva credere che Sara, per tutto quel tempo, l’avesse presa in giro.
“Si,” rispose Sara, senza alcun pentimento nella voce.
Quella risposta così netta smorzò la rabbia di Alex.
“Ma perché??” chiese scuotendo la testa.
“Perché ho fatto una promessa che non potevo infrangere. A Elizabeth.”
Alex la guardò, con gli occhi nuovamente lucidi.
“Henry lo sapeva?”
“No, Alex. Henry non sa neppure che io la conoscevo. L’ho conosciuta dopo averlo lasciato. Non ho mai potuto dire niente nemmeno a lui. Tua madre mi ha fatto promettere di non dire nulla a nessuno dei due.”
Sara si alzò e andò nella sua camera, aprì il cassetto del comodino e prese la lettera di Elizabeth, prima di tornare in salotto.
Lisciò tra le mani quella busta ormai ingiallita.
Alex la osservava con un misto di rabbia e delusione sul volto.
Sara si rigirò la lettera tra le mani, sedendosi di nuovo sul divano.
La donna sospirò.
Questa lettera cambierà tutto per sempre, per Alex e per Henry. Niente sarà più come prima, per nessuno dei due.
“Tua madre la scrisse poco prima di morire e mi disse che avrei dovuto dartela quando fosse stato il momento giusto. Credo che quel momento sia arrivato.”
Diede la busta ad Alex, che la prese con le mani che tremavano. Non aprì bocca. Era rimasta senza parole e non le succedeva spesso
“Sapeva che sarebbe morta, Alex. Lei riusciva a percepire….”
“I pericoli,” finì Alex, ritrovando la voce. “E la vera natura delle persone.”
“Si. Era uno dei poteri che aveva. Lo ha trasmesso anche a te.”
“Non servirà a trovare Henry, Sara. Non sono una strega, non sono come lei, lei avrebbe potuto localizzarlo.”
“Lo so…ma forse puoi sfruttare il tuo legame con lui.”
“Il legame…che lega…”
Le voce le morì in gola. Sapeva esattamente cosa intendesse Sara.
“Volevi sapere di tuo padre…nella lettera che hai in mano c’è la verità su di lui, sulla tua nascita e su chi sei tu. E’ tutto lì, scritto in quelle pagine. Leggila.”
Sara si alzò in silenzio e uscì dalla stanza.
Sulla busta c’era scritto soltanto il nome di Alex, che tirò fuori i fogli contenuti all’interno e li aprì con le dita tremanti.
La verità…finalmente. All’improvviso ebbe paura delle risposte che aveva cercato per tutta la vita. Per un solo momento fu quasi sul punto di restituire la busta a Sara e dimenticarsi della sua esistenza. Ma non poteva. Qualsiasi cosa ci fosse scritta, doveva sapere.
Vedendo l’elegante calligrafia della madre le lacrime le appannarono la vista.
Sbattè le palpebre per schiarsela e iniziò a leggere.
“Alex, tesoro mio…
Ho iniziato questa lettera un’infinità di volte. Altrettante volte l’ho gettata nel camino acceso.
È così difficile mettere su carta quello che avrei voluto raccontarti di persona.
Avresti dovuto sentire questa storia da me.
Ma non sarà possibile. Il mio tempo è quasi finito. Non ti vedrò crescere.
Perciò darò questa lettera a Sara. Siamo amiche da prima che tu nascessi ed è l’unica persona a cui posso affidare queste parole, certa che il nostro segreto sarà al sicuro.
È così difficile mettere in ordine i pensieri e decidere da dove iniziare quindi…comincerò dall’inizio.
Tuo padre…tante volte mi hai chiesto di lui…chi fosse, perché ci aveva lasciate…
Non è facile da raccontare…ma la verità è che tu non hai un unico padre.
Il tuo padre biologico è stato la storia di una notte, finita ancora prima di cominciare.
Quando scoprii di essere incinta se ne era già andato e non ha mai voluto sapere nulla di te, di noi.
Poi c’è colui che io considero tuo padre a tutti gli effetti.
Quel padre che ti ha amata al punto da sfidare la morte, pur di tenerti tra le braccia. Si chiama Marcus. E’ un vampiro.
Se stai leggendo questa lettera hai sicuramente ritrovato Henry e sai che ti sto dicendo la verità.
Marcus è uno dei vampiri più antichi ancora viventi.
Capitò nella mia vita in uno dei momenti più bui e, pur essendo una creatura della notte, vi portò la luce.
Ci innamorammo.
A lui non importava che portassi in grembo il figlio di un altro uomo. Quando glielo confessai mi disse che era un dono anche per lui, perché i vampiri non possono procreare. Ne era entusiasta.
Fino al giorno in cui i medici ci dissero che il bambino che aspettavo aveva gravi problemi e che, se anche avessi portato a termine la gravidanza, non sarebbe sopravvissuto.
Il dolore ci distrusse e la disperazione di Marcus…mi strappò il cuore.
Non si dava pace. Lo vidi diventare sempre più triste, cupo.
Mai mi sarei immaginata di vedere un vampiro di oltre mille anni piangere. Quella sera, la sera che cambiò tutto per sempre, Marcus pianse e quando non ebbe più lacrime uscì di casa, scomparendo nella notte.
Mentre cercavo di consolarlo avevo avuto la sensazione che volesse dirmi qualcosa.
Quando tornò, scoprii di aver avuto ragione. Mentre era fuori, Marcus aveva continuato a pensarci, per ore.
C’era una possibilità di salvarti. Mi disse che era proibito, che se gli altri vampiri lo avessero scoperto, lo avrebbero ucciso.
Ci avrebbero uccisi tutti.
Gli risposi di essere disposta a correre qualsiasi rischio.
Marcus mi rivelò che se avessi bevuto il suo sangue, il bambino sarebbe sopravvissuto. Lo avrebbe guarito.
Ma c’era un prezzo. Il rovescio della medaglia.
Il sangue di vampiro lo avrebbe cambiato per sempre.
Marcus lasciò a me la scelta.
Gli dissi che avrei pagato qualunque prezzo questa decisione potesse costarmi. Così abbiamo, ho, deciso il tuo destino.
Bevvi il suo sangue e quattro mesi dopo ti stringevamo tra le braccia. Una bellissima bambina, perfetta.
Marcus cancellò ogni traccia, soggiogò i medici a falsificare la mia cartella clinica e a dimenticare tutto quello che ti riguardava.
Per me lui è tuo padre, Alex. E’ Marcus che ti ha dato la vita.
Quanto a cosa sei diventata…questa è forse la parte più difficile.”
Alex appoggiò i fogli sul tavolino e si alzò dirigendosi al mobile bar, cercando qualcosa di forte.
Ora non le tremavano soltanto le mani. Prese la bottiglia di vodka, riempì a metà un bicchiere e lo scolò tutto in un sorso, cercando di calmarsi.
Cosa hanno fatto, si chiese, cosa mi hanno fatto?
Il bicchiere le cadde quasi per terra, mentre se lo riempiva per la seconda volta.
Marcus…le parole di Augustus…
In molti hanno parlato di un prete che faceva domande su di loro, su Christine e tutti gli altri. Su tutti i vampiri della stirpe di Marcus.
Le sembrò quasi di svenire mentre ricordava la voce calda di Henry…
I vampiri che Mendoza ha ucciso appartengono tutti alla mia…linea di sangue…Marcus è il capostipite, tutti i vampiri trasformati da lui, e da coloro che lui ha trasformato, sono la sua stirpe, la sua linea di sangue.
Non era possibile…non poteva essere lo stesso Marcus. Oppure si?
Spiegava tutto, tutto…compreso il suo legame con Henry.
Siamo legati, Alex, un legame che ci permette di riconoscerci quando ci incontriamo, anche se non ci siamo mai visti…è come riconoscere un profumo.
Alex aveva pensato la stessa cosa, incontrando Henry. Tornò a sedersi sulla poltroncina, con il bicchiere pieno di nuovo per metà. Lo appoggiò sul tavolino e riprese in mano i fogli ingialliti, la sua unica eredità.
Le sembrò di risentire la voce pacata di sua madre, mentre ricominciava a leggere.
“Lascia che ti racconti una storia.
La stessa storia che Marcus raccontò a me quella notte, prima che prendessi la mia decisione.
Migliaia di anni fa, salvaguardare la propria sicurezza era un grosso problema, per i vampiri. Non esistevano porte blindate e sistemi di sicurezza come ci sono oggi. La loro vita era, ed è, relegata al buio della notte, di giorno sono indifesi e vulnerabili. Nascondersi, a volte, non bastava. Molti di loro venivano uccisi. Per secoli cercarono una soluzione che li mettesse al sicuro anche durante il giorno.
Marcus non sapeva con esattezza come ci arrivarono. È antico, ma non così tanto e tutte le informazioni in merito sono andate perse con il passare dei secoli.
Forse già saprai che tra i vampiri e le persone di cui si nutrono si crea un legame, seppure a volte gli umani non ne siano consapevoli.
Qualcuno, tra i vampiri, pensò che dando il loro sangue a determinati umani, rigorosamente selezionati, avrebbero potuto controllarli in virtù di quel legame. Fallirono, in questo, ma…per i vampiri sangue e sesso sono profondamente legati, per questo c’erano molte donne, tra le persone scelte. Il caso volle che alcune di loro fossero incinte. Su quelle donne il sangue di vampiro ebbe effetti del tutto imprevisti. Quando diedero alla luce i loro bambini, i vampiri sentirono quel legame, in cui avevano tanto sperato, con i nuovi nati. Esultarono, pensando di aver creato il servo perfetto.
Può sembrare una cosa orrenda, ma non lo era.
Tutte le donne si erano offerte, e si offrirono dopo, in modo del tutto volontario. Ottenere la protezione di un vampiro poteva significare la differenza tra la vita e la morte, per una donna, a quei tempi, soprattutto per chi restava incinta al di fuori del matrimonio. Dare in cambio i loro bambini era ritenuto un prezzo equo.
Soltanto molto tempo dopo i vampiri si resero conto di aver commesso un terribile errore.
Pensavano di aver creato una stirpe di servi fedeli, invece avevano creato una nuova razza. Nuove creature, mai esistite prima. Ibridi, metà umani, metà vampiri. Furono chiamati vampiri diurni. Passarono secoli prima che i vampiri si rendessero conto che i diurni potevano diventare più potenti di quanto loro fossero mai stati.
Immagina una creatura con tutti i poteri dei vampiri e nessuna delle loro limitazioni.
I diurni non erano schiavi del sangue, non venivano bruciati dal sole, con il passare degli anni alcuni di loro divennero così potenti da poter soggiogare persino i vampiri stessi. Erano più difficili da uccidere e potevano guarire da ferite mortali per i vampiri.
Avrebbero dovuto servire e proteggere i loro creatori, ma qualunque creatura tenuta in catene, prima o poi, finisce per ribellarsi. Quel legame, dato dall’appartenenza alla linea di sangue, non era così forte da impedirlo.
Quando la ribellione iniziò i vampiri si resero finalmente conto di quanto i diurni fossero diventati pericolosi e ne decretarono la condanna a morte. Quella che seguì fu una vera e propria guerra, che i diurni erano troppo pochi per poter vincere.
Tuttavia, anche così, il prezzo pagato dai vampiri in termini di vite fu altissimo.
Da allora creare un diurno è proibito, pena la morte.
Marcus non sapeva se davvero non ne fossero mai stati creati altri, o se qualcuno di quelli originali fosse sopravvissuto, magari anche fino ai giorni nostri. Se ci sono, se ne stanno ben nascosti, lontani dai vampiri. Non posso escludere che ce ne siano altri come te, Alex.
Perché questo è quello che sei. Un diurno.
Questo è quello che abbiamo fatto io e Marcus quella notte, quando abbiamo deciso che la tua vita valesse qualsiasi prezzo.
Secondo Marcus tu sei comunque unica. Perché io sono una strega e non possiamo sapere quali poteri potresti sviluppare con il tempo. Potresti essere il diurno più potente mai esistito. Il pericolo di essere scoperta è ancora più grande, per te.
Per questo Marcus è stato obbligato ad andarsene.  
Avevi soltanto due anni e i tuoi poteri si stavano sviluppando troppo velocemente, a causa della vicinanza con il vampiro da cui discendi. Sei persino riuscita a soggiogare me, quando nessun vampiro può soggiogare una strega. Stava diventando impossibile tenere nascosto ciò che eri in grado di fare.
Hai sicuramente visto, grazie ad Henry, quanto sia facile, per loro, nascondersi tra gli umani. Se un vampiro ti avesse vista, se avesse conosciuto le antiche storie, se avesse visto Marcus con noi e avesse capito…saremmo morti tutti.
Senza di lui, invece, avremmo potuto nascondere la tua vera natura, attribuendo quei poteri a me. Sarebbe stato molto più facile tenerti al sicuro. Pur con il cuore in frantumi, Marcus capì che l’unico modo per proteggerci era andarsene via, lontano da noi, lontano da te. Non voleva abbandonarti, se avesse potuto scegliere non l’avrebbe mai fatto. È andato via per salvarci, tutte e due. Il suo amore era così profondo che ha preferito rinunciare a noi, piuttosto che vederci morire.
Io non lo rivedrò mai più, ma forse tu, un giorno, potrai incontrarlo e conoscerlo. Io lo spero. Lui sicuramente lo vorrebbe.
Ha con te lo stesso legame che tu hai sempre sentito nei confronti di Henry, quella misteriosa forza che vi spinge l’uno verso l’altra, fin da quando eri piccola. Il legame del sangue è potente.
Tu ed Henry appartenete alla stessa stirpe di vampiri, la stirpe di Marcus.
Immagino quanto tu sia sconvolta dalla verità, e arrabbiata, forse. Vorrei essere lì con te, adesso. Ma c’è Sara e di qualunque cosa tu abbia bisogno, fidati di lei. Brucia questa lettera e non parlare mai a nessuno di ciò che ti ho raccontato.”
Alex senza accorgersene aveva vuotato di nuovo il bicchiere.
Sconvolta mamma? Sconvolta è un eufemismo, pensò.
Prese l’ultimo foglio e finì di leggere:
“La mia storia sta per finire, la tua è appena iniziata.
Non so quanti anni hai, ma se hai raggiunto la piena maturità forse ti sarai già resa conto che hai smesso di invecchiare. O, per essere precisi, invecchi lentamente, in modo impercettibile, come succede ai vampiri.
Ti sarai accorta che se ti ferisci guarisci molto, molto in fretta, proprio come loro.
Non posso sapere quali altri poteri hai sviluppato, ogni diurno è diverso dagli altri.
La cosa più importante, quella che non devi dimenticare mai, è questa: non importa cosa sei. Soltanto tu puoi decidere chi sei davvero. Sapere la verità non cambierà chi sarai diventata in questi anni.
Non so cosa ti riserva il futuro, ma qualsiasi cosa succederà, ti amavo così tanto che non ho rimpianti.
Un’ultima cosa. Quando le ho raccontato tutto, ho chiesto a Sara…anzi, l’ho pregata, di separarti da Henry. Avere vicino un vampiro della tua linea di sangue era troppo pericoloso, almeno finchè eri piccola.
Ma non è l’unico motivo.
Ho sentito qualcosa. Ho visto incombere su di voi l’ombra della morte. Siete entrambi in pericolo. So che nel momento in cui quest’ombra vi raggiungerà tu ed Henry sarete insieme. Ho pensato che tenervi divisi, tenervi lontani, avrebbe allontanato quel momento nel tempo, fino a quando non fossi stata abbastanza grande da poterla affrontare. Non so cosa sia, come succederà, ma so che la affronterete insieme.
Fidati del tuo istinto. Seguilo sempre.
Henry non sa nulla, lascio a te la decisione se dirglielo oppure no. Saprai sicuramente fare la scelta giusta. Se decidi di dirglielo, digli anche di non arrabbiarsi con Sara: se lei gli ha mentito, se non gli ha raccontato di me, è a causa della promessa che mi ha fatto, per tenervi entrambi al sicuro fin quando fosse stato possibile. Un’amica come lei è un tesoro prezioso.
Se sei arrabbiata con noi, sappi che tutto quello che Marcus ed io abbiamo fatto è stato fatto per amore. Solo per amore. Spero che tu possa perdonarci.
Anche se non hai scelto questa vita, so che sarai in grado di affrontarla. Lo so.
Vivila fino in fondo, hai il mondo nelle tue mani. Ti voglio bene.
Mamma”
Alex finì di leggere la lettera sentendosi svuotata. Ripiegò con cura i fogli e li infilò nella busta.
Poi si appoggiò allo schienale della poltrona a occhi chiusi, riflettendo.
Sentì dei passi e vide Sara sulla soglia della porta che dal salottino portava in cucina.
La guardò per un lungo momento e proprio quando Sara pensò che Alex non avrebbe aperto bocca, la ragazza parlò:
“Quindi mio “padre”,” disse calcando la voce sulla parola padre, “è un vampiro, come Henry?”
Sara restò dov’era.
“Si.”
“Non può essere vero…”
“Lo è. Tutto quello che ha scritto Elizabeth nella lettera è l’assoluta verità.”
“Sono un…com’è che li ha chiamati? Vampiri diurni?”
E’ troppo calma, pensò Sara.
“Si,” rispose di nuovo. “E’ quello che sei.”
Alex si alzò scuotendo la testa.
“Non è possibile, non è vero, io non…”
La voce le morì in gola, mentre ricordava la sera prima, i lividi che pensava di aver visto sulle proprie braccia e che poi erano spariti…
Scosse la testa.
Solo un gioco di ombre, solo quello, li hai immaginati, si disse.
Non servì.
C’erano davvero, li ho visti…e li ho visti svanire...
“Maledizione!” esclamò.
Guardò Sara, che non si era mossa.
“Ok, c’è solo un modo per saperlo,” disse a bassa voce, parlando più che altro a sé stessa.
“Alex so che non è facile accettare la verità ma…”
Come se non l’avesse nemmeno sentita, Alex le passo a fianco, senza guardarla.
Nella piccola cucina, pulita e ordinata, prese dalla rastrelliera sul lavandino un grosso coltello da cucina.
“Che cosa vuoi fare?” chiese Sara spaventata.
Alex di nuovo la guardò senza dire nulla.
Poi strinse i denti e passò la lama del coltello sull’interno del braccio.
Il sangue affiorò, mentre Alex si lasciava sfuggire un sospiro di sollievo, un attimo prima che i suoi occhi si sgranassero per l’incredulità.
Il taglio smise di sanguinare e la ferita si rimarginò in pochi istanti. Come se non ci fosse mai stata.
“No…” mormorò.
“Alex ti prego, metti giù il coltello.”
Ma prima che Sara potesse dire altro, Alex appoggiò la lama affilata sul braccio e si fece un altro taglio, stavolta molto più profondo.
Il dolore le fece stringere i denti, ma passò in pochi secondi. Tenne il braccio teso davanti a sé.
Un rivoletto di sangue sgocciolò sul pavimento…poi il sangue smise di scorrere.
Vide di nuovo la ferita scomparire e nel giro di qualche minuto soltanto il sangue restava a dimostrare che c’era stata davvero. Alex lasciò cadere il coltello, che finì sul pavimento con un clangore che risuonò come un tuono, nel silenzio immobile della piccola cucina.
“Oddio…” mormorò. “Oddio…”
Le girava la testa. Fece alcuni respiri profondi per calmarsi. Ma le ci vollero parecchi minuti per ritrovare la parola.
Sara raccolse il coltello e pulì il sangue dal pavimento con un canovaccio.
“Mi dispiace Alex. Forse non era il momento adatto per dirtelo, ma sei l’unica speranza che abbiamo di ritrovare Henry. Mi dispiace.”
“Io non sono un vampiro. Non mi spuntano le zanne, non ho mai avuto voglia di bere sangue, non ho mai…” sentito il desiderio di uccidere nessuno, pensò, ma non lo disse.
“Non sappiamo molto di loro.” La voce di Sara era pacata. “I vampiri hanno cancellato qualsiasi traccia sui diurni. Quel poco che è arrivato fino a noi è stato tramandato a voce, come una specie di favola usata per spaventare i nuovi vampiri. Perché sappiano che è proibito.”
“Non sono nemmeno morta, il mio cuore batte…”
“Sei vampiro solo per metà. Forse in te la parte umana è più forte, forse è perché Elizabeth era una strega. Non so più di quello che Marcus ha detto a lei. Henry ha viaggiato molto, forse potrà dirti qualcosa di più. Prima però dobbiamo trovarlo. Ti prego Alex…tu puoi farlo.”
“Come? Sara, come? Non ho idea di come fare. Non ho idea di cosa tu stia parlando.”
Il suo tentativo di tenere ferma la voce fallì miseramente.
Sara parlò di nuovo.
“Useremo il tuo legame con lui. Potresti riuscire a percepirlo e capire dove si trova. Toronto è una città troppo grande, con migliaia di posti in cui nascondersi. È l’unica possibilità che abbiamo. Dobbiamo tentare. ”
“Ma come può funzionare? Mendoza ha ucciso Christine, e gli altri, Henry non avrebbe dovuto sentirlo?”
“Loro erano lontani, oltreoceano. Henry è vicino. Non sono sicura che funzionerà, ma dobbiamo provare,” ripetè. “Non appena farà buio.”

Le ore del pomeriggio trascorsero lentamente.
Alex, seduta sul divano, aveva sfogliato e risfogliato le pagine del libro che parlavano della Illumination del Sol, mentre Sara dormiva, cercando di non pensare a ciò che la lettera le aveva rivelato.
Aveva scoperto che alcuni Inquisitori si erano alleati con le streghe contro i “demoni della notte”. Le streghe avevano creato i talismani chiamati Illumination del Sol, permettendo all’Inquisizione di imprigionare e torturare i vampiri, privandoli dei loro poteri. Il dispositivo serviva anche per prelevare loro il sangue, usato dalle streghe negli incantesimi.
Mendoza, in qualche modo, doveva avere scoperto le proprietà miracolose del sangue di vampiro, riuscendo a sopravvivere per tutti quei secoli, pensò Alex.
Continuò a leggere. Esisteva una chiave per disattivare il congegno. Girata in senso orario liberava la vittima, girata in senso antiorario gli faceva scoppiare il cuore, uccidendo il vampiro. Doveva ricordarselo, pensò, sempre che avesse trovato questa chiave. Non c’erano foto, quindi non aveva idea di come fosse fatta, ma pensò che sicuramente Mendoza doveva averla con sé.
Alex rabbrividì. Chiuse il libro e si alzò, andando alla finestra, come già aveva fatto innumerevoli volte. Il tempo sembrava non passare mai.
La giornata era grigia e uggiosa.
Alex guardò nuovamente l’orologio. Mancavano ancora un paio d’ore al tramonto.
Prese il cellulare e chiamò Mike.
Lui rispose con voce stanca:
“Alex…”
“Hai trovato qualcosa?”
“No. Niente. Mendoza non ha lasciato tracce. Ho fatto controllare il numero che mi ha dato, ma era un cellulare usa e getta e non è più attivo. Ho controllato i motel dei dintorni, ma nessuno lo ha mai visto. Ho pattugliato le strade intorno al campus, in auto e a piedi, ma non ho trovato niente.”
“Forse Sara conosce un modo per rintracciare Henry. Ti richiamo.”
Alex chiuse la comunicazione senza salutare.
Si fece una tazza di caffè, e continuò a guardare fuori dalla finestra, aspettando il crepuscolo e cercando di soffocare la paura che sentiva crescere nel profondo del suo cuore, per Henry e per sé stessa.
Paura di non riuscire a trovarlo.
Paura di perderlo.
Paura di essere un mostro.
Paura di affrontarlo da sola.
Continuava a ripetersi che ciò che aveva letto non poteva essere vero.
Ma sapeva che lo era ed era spaventata a morte.
Ricordò una cosa che Francine le aveva detto più volte, negli ultimi anni.
Se guardo le foto dove siamo insieme al college, Alex, tu sei sempre la stessa, sembri avere ancora vent’anni.
Ricordò quando, in terza liceo, si era slogata la caviglia durante gli allenamenti di pallavolo. Ricordava il dolore lancinante mentre la portavano in infermeria. Ma quando era arrivato il medico della scuola, venti minuti dopo, la caviglia non le faceva più male.
Le tornarono in mente tanti altri piccoli episodi in cui avrebbe dovuto farsi male e invece non si era fatta niente.
Tanti piccoli episodi dimenticati con una scrollata di spalle ma che adesso acquistavano tutto un altro significato.

Henry aprì gli occhi.
La prima cosa di cui fu cosciente fu la fame.
Lo aggredì come una cosa viva. Bruciava nelle sue vene come fuoco liquido.
Si era nutrito solo la sera prima, non avrebbe dovuto sentire così forte la sete di sangue.
Mendoza era di fronte a lui e lo guardava sogghignando.
Il dolore al petto era quasi insopportabile.
Henry abbassò gli occhi e capì.
Collegato all’oggetto dorato ancora saldamente conficcato all’altezza del cuore, vide un tubicino trasparente collegato all’ampolla di vetro che Mendoza teneva in mano, ormai quasi piena del suo sangue. Nella vecchia borsa di pelle posata ai piedi dell’Inquisitore ne scorse altre, piene di liquido rosso scuro.
Quel bastardo lo stava dissanguando. Un ringhio sordo gli uscì dalla gola.
“Bentornato mostro,” disse Mendoza.
Henry si accorse di essere in piedi, trattenuto dalle catene, imprigionato senza speranza a quello strano marchingegno di legno scuro.
Una volta che l’ultima ampolla fu piena, Mendoza staccò il tubicino dalla Illumination, lo pulì con uno straccio sporco e infilò tutto nella borsa, che portò via, fuori da quel seminterrato.
Quando tornò aveva in mano un’altra cosa.
Henry cercò disperatamente di divincolarsi, ma fu inutile.
Era troppo debole.
Il rumore della fiamma ossidrica lo pietrificò.
Poi, negli scantinati della vecchia chiesa, risuonò l’eco delle sue urla.

Erano sedute una di fronte all’altra, Sara sul divano e Alex sulla poltroncina.
Fuori era ormai buio.
Alex teneva gli occhi chiusi cercando di concentrarsi.
“Pensa a Henry,” le stava dicendo Sara. “Concentrati sul vostro legame.”
Dopo qualche minuto Alex aprì gli occhi e scosse la testa.
“Non ci riesco, non sento niente.”
“Riprova,” la voce di Sara era calma e pacata.
“Non ci riesco, maledizione!” esclamò Alex.
“Sei l’unica speranza di Henry, non arrenderti. Prova ancora.”
Le due donne si fissarono per qualche secondo, poi Alex richiuse gli occhi. Cercò di sgombrare la mente da qualsiasi altro pensiero che non fosse Henry.
Ripensò al suo viso, ai suoi occhi. Al profumo speziato della sua pelle. Si concentrò sulla sensazione che aveva provato toccandolo.
Stava per arrendersi quando all’improvviso si irrigidì.
Un’immagine le aveva attraversato la mente. Una fiammella blu, che la riempì di inesplicabile terrore.
E poi dolore.
Un dolore lancinante.
Un tremito le percorse tutto il corpo.
“Alex…”
La ragazza sentì la voce di Sara, ma non era più lì.
Vedeva un mare di erba alta, incolta. Scale che scendevano nel buio.
Corridoi polverosi.
Muri di cemento scrostati e macchiati di umidità.
Catene.
Dolore…mentre la fiamma ossidrica incideva la pelle lasciandosi dietro il tanfo della carne bruciata.
Dolore…mentre le cinghie di cuoio penetravano nei polsi ormai scorticati dal vano tentativo di liberarsi.
Dolore…e ancora dolore.
Alex aprì gli occhi e si rese conto che le lacrime le rigavano le guance.
“Sara…” mormorò.
Anche l’anziana insegnante aveva gli occhi lucidi.
“L’hai visto?”
“Non Henry,” rispose Alex. “Ma l’ho sentito. Ho sentito il dolore, il…”
Non riuscì a continuare e deglutì più volte a vuoto, cercando di ritrovare la voce.
Sara annuì.
“Lo sta torturando,” disse con rabbia. “Ma almeno sappiamo che è ancora vivo.”
“Si ma…oddio…”
La voce di Sara era ferma:
“Alex hai visto qualcosa che possa aiutarci a capire dove l’ha portato? Qualsiasi cosa…”
“Ho visto un prato con l’erba alta, delle scale, dei corridoi, dei vecchi muri…deve essere un edificio abbandonato.”
“Ok, concentriamoci su questo.”
Sara si alzò e iniziò a camminare avanti e indietro, riflettendo ad alta voce.
“Un posto isolato...altrimenti qualcuno potrebbe vederlo andare e venire e sentire le…” Fece una pausa, poi aggiunse: “Sentire le urla.”
Alex rabbrividì ma non disse niente, mentre si sforzava di ricordare i particolari.
Sara aveva ragione. Un luogo isolato, nascosto, fuori mano. Un magazzino? Un capannone abbandonato?
Merda, pensò Alex, ce ne erano a centinaia di posti così, a Toronto. Impensabile poterli controllare tutti, non nel poco tempo che avevano.
Doveva restringere il campo. Dove lo avrebbe portato Mendoza?
E poi capì. Da quello che aveva letto di lui, Xavier Mendoza era un fanatico della sua missione per conto della chiesa, aveva votato la sua vita a distruggere tutte le creature del male.
Inquisizione…chiesa cattolica, collegò Alex. Poteva essere una chiesa.
Tutto quello che aveva visto sembrava appartenere ad un posto abbandonato da molto tempo, quindi…Mendoza poteva benissimo essersi nascosto in una chiesa sconsacrata.
“Sara, quante chiese sconsacrate ci sono a Toronto?”
Sara la guardò:
“Non lo so, ma..una chiesa…hai ragione, potrebbe essere.”
Alex prese il cellulare e cercò su Internet. Ottenne un elenco di undici chiese. Non era molto ma potevano cominciare da lì. Si fece dare una cartina della città, la aprì sul tavolo e con un pennarello cerchiò gli indirizzi, uno a uno.
“Maledizione,” esclamò.
Erano sparse per tutta la città, per controllarle ci sarebbe voluta tutta la notte.
Digitò il numero di Mike, che rispose al primo squillo.
“Mike, credo di aver capito dove potrebbero essere.”
“Dimmi,” rispose lui.
Alex gli spiegò come ci era arrivata, poi gli diede i cinque indirizzi più vicini alla centrale.
“Tu controlla questi, io gli altri.”
“Alex è pericoloso, è meglio se ci andiamo insieme…”
Lei lo interruppe:
“No, ci vorrebbe troppo tempo, Mike, Henry non ne ha.”
La voce di Mike non era tanto convinta ma disse:
“Ok. Come vuoi tu.”
Alex si ricordò di aver sentito anche un’altra cosa, oltre al dolore. La fame.
Henry gliene aveva accennato, ma sentirla…sentirla le aveva fatto capire molto di più delle sole parole. Adesso sapeva perché a volte i vampiri non riuscivano a controllarsi e finivano per uccidere.
“Mike…se li trovi chiamami subito. Non ti avvicinare ad Henry per nessun motivo, può essere pericoloso per te. Niente discussioni stavolta.”
“Ti chiamerò. Promesso.”
Alex infilò il cellulare nella tasca dei jeans, prese la cartina e infilò la giacca.
“Prendi la mia macchina,” disse Sara porgendole le chiavi.
Alex l’abbracciò.
“Riportamelo indietro,” le bisbigliò Sara nell’orecchio. “Salvalo.”
Alex annuì.
“Lo farò, Sara. E’ una promessa.”

Erano quasi le tre del mattino e Alex era sfinita e gelata. Le restavano ancora tre  chiese e il tempo stringeva. Pigiò il piede sull’acceleratore, pregando di non incontrare nessuna pattuglia della polizia.
La prima delle tre era solo un ammasso di rovine pericolanti, per cui Alex non scese nemmeno dall’auto. Le cripte erano crollate da tempo e non c’era alcun posto in cui nascondersi.
La seconda era in ristrutturazione: di giorno c’erano sicuramente operai che ci lavoravano, per cui Mendoza non avrebbe potuto nascondersi nemmeno lì.
Ne restava solo una.
Alex parcheggiò a lato della strada e scese dalla macchina.
Rabbrividì ma non per il freddo. Era nel posto giusto. Sentiva il pericolo addensarsi sopra le guglie della chiesa, come le nuvole di un temporale. In quel momento sentì il telefono vibrare.
Era Mike.
“L’ho trovata,” disse lei senza nemmeno dire pronto. “La chiesa di St. Michael.”
“Alex, non entrare, arrivo il prima possibile. Aspettami.”
“Sbrigati Mike,” disse Alex, chiudendo la chiamata.
Non aveva nessuna intenzione di aspettare. Anche senza traffico Mike ci avrebbe messo almeno tre quarti d’ora ad arrivare.
Scavalcò la recinzione, cercando di fare meno rumore possibile, e si avvicinò guardinga all’edificio, attraversando il prato, dove le erbacce le arrivavano al ginocchio.
Provò a spingere il portone principale, ma era sbarrato.
Girò sul lato della chiesa e avvicinandosi alla canonica, vide che la porta era stata forzata.
Era socchiusa e Alex entrò senza fare rumore: dalle finestre impolverate entrava la luce dei lampioni, per cui non ebbe bisogno di accendere la piccola torcia che aveva in tasca.
Dalla canonica arrivò ad un breve corridoio, che terminava con una rampa di scale che scendeva nella semioscurità.
Alex scese con cautela arrivando davanti ad un cancello. Stava per provare ad aprirlo quando sentì un urlo venire dal basso.
La voce di Henry.
Alex aprì il cancello, incurante di fare rumore, e scese le ultime scale che portavano allo scantinato.
Il colpo alla testa la colse completamente di sorpresa e si accasciò a terra senza emettere alcun suono.
Mendoza abbassò il grosso tubo di ferro, sogghignando per l'inaspettata fortuna.

Henry era allo stremo delle forze.
Aveva cercato di resistere. Di non arrendersi.
Aveva continuato a lottare, perché Mendoza sarebbe andato a cercare Alex, una volta finito con lui.
Ma adesso…non ne aveva più la forza.
Allora è così che morirò. Questa è la fine.
Era sfuggito a Mendoza più di trecento anni prima, soltanto per morire comunque per mano sua, oggi.
A volte il destino aveva davvero uno strano senso dell’umorismo.
La fame gli ottenebrava la mente, cancellando il dolore delle ferite che Mendoza gli aveva inflitto e che non guarivano più.  

Quando riprese i sensi, Alex era distesa su un pavimento di cemento gelido e aveva le mani legate dietro la schiena. Si alzò lentamente in piedi appoggiandosi alla parete e si guardò attorno.
La testa le faceva male, ma restò immobile un paio di minuti e sentì il dolore svanire lasciandola soltanto un po’ stordita.
Stavolta il mio sesto senso ha fatto miseramente cilecca, pensò. Ma quando aveva sentito Henry urlare, il suo unico pensiero era stato raggiungerlo.
La stanza in cui si trovava era molto grande e quasi del tutto buia.
Alex scosse la testa per schiarirsi le idee e in quel momento sentì un debole respiro provenire da qualche parte davanti a lei.
Cercò di vedere qualcosa, inutilmente: il suono proveniva dalla parte più buia dello stanzone. Ma non aveva bisogno di vederlo per sapere che davanti a lei c’era Henry.
Fece qualche passo in avanti e bisbigliò:
“Henry?”
Non appena ebbe pronunciato il nome, qualcosa volò fuori dall’oscurità ringhiando, trattenuto solo dalle catene che lo imprigionavano.
Alex per la sorpresa gridò e cadde all’indietro, a sedere sul pavimento freddo.
Sentendo la sua voce, Henry si fermò:
“Alex? Alex…”
Con un gemito si accasciò strisciando lontano da lei.
No, pensò, non lei…ti prego, non lei.
Aveva capito cosa aveva in mente Mendoza.
In quel momento la luce si accese e Alex si trovò davanti una scena agghiacciante.
Henry era legato a un marchingegno di legno con grosse catene. La maglia a brandelli rivelava profonde ferite e bruciature. La Illumination del Sol mandava sinistri bagliori nella fredda luce al neon, conficcata saldamente nel suo petto.  
Lui si era raggomitolato contro la struttura di legno, nascondendo il viso.
Sapeva che Alex aveva visto tutto. Gli occhi neri come la notte, le zanne snudate…aveva visto la bestia.
Non avrebbe mai voluto che vedesse quella parte di lui, non ancora, non in quel modo. Si sentì invadere da un senso di sconfitta che lo fece arrabbiare ancora di più.
Alex era ancora seduta sul pavimento, incredula.
Non aveva mai visto Henry così, ma non era stato quello a sconvolgerla.
Forse lui era davvero un mostro, forse lo era anche lei, ma nessuno meritava quello che Mendoza gli aveva fatto.
Vedere il suo corpo, straziato dalle ferite, le fece stringere il cuore e gli occhi le si riempirono di lacrime.
Mendoza uscì dall'angolo dove era rimasto a godersi lo spettacolo
Alex lo guardò con odio.
“Che cosa gli hai fatto, maledetto bastardo?”
“Gli ho fatto rivelare la sua vera natura.”
Al suono della sua voce Henry scattò di nuovo in piedi, ringhiando e cercando di raggiungerlo. Ma l’Inquisitore restò lontano dal suo raggio d’azione.
“Ascolta la bestia,” disse, rivolto ad Alex.
Prese una sedia e la sistemò proprio davanti ad Henry.
Poi costrinse la ragazza ad alzarsi e ve la fece sedere, mentre Henry continuava a ringhiare. Alex rabbrividì quando Mendoza la toccò.
L'Inquisitore le faceva molta più paura di quanta avrebbe mai potuto fargliene Henry.
“Ti farò uscire di qui…” disse lei rivolta al vampiro, guardandolo negli occhi. Voleva sapesse che non le importava altro che tirarlo fuori da lì, che avrebbe fatto di tutto per salvarlo.
Mendoza spinse la sedia verso Henry, lasciandola appena fuori dalla portata delle catene.
“Nessuno di voi due se ne andrà da qui,” disse sogghignando.
Non riusciva a credere alla sua fortuna. Due piccioni con una fava.
Il vampiro e la strega, entrambi in suo potere. La sua vendetta sarebbe stata perfetta, ora.
“Tu,” disse indicando Henry con un lungo dito scarno, “finalmente pagherai per la morte di Maria e per tutte le nefandezze della tua stirpe maledetta. E tu…strega…mi permetterai di completare la mia opera. Saresti dovuta morire molto tempo fa.”
Alex lo guardò confusa.
Di che diavolo sta parlando?
Mendoza le si parò davanti. L’odio nel suo sguardo l’avrebbe fatta indietreggiare, se avesse potuto muoversi.
L’Inquisitore sghignazzò.
“Lasciala andare,” ringhiò Henry, squotendo le catene. “E’ me che vuoi, lei non centra.”
“Oh…quanto ti sbagli, mostro,” disse Mendoza. “Lei è colpevole quanto te. È un abominio. Avrebbe dovuto bruciare insieme a sua madre, quella notte. Invece è tornata a tormentarmi. Ma il Signore mi ha concesso un’altra occasione per compiere il mio dovere. Farà la fine che merita. Come te.”
Alex sgranò gli occhi, incredula, mentre realizzava ciò che Mendoza aveva appena detto.
I pensieri di Henry erano confusi a causa della fame, ma nemmeno a lui sfuggirono le parole dell’Inquisitore.
“Sei stato tu…tu hai ucciso Elizabeth,” disse sconvolto.
“Ho fatto solo il mio dovere,” sibilò Mendoza. “Era la tua puttana. Non ha voluto dirmi dove ti nascondevi e ha pagato per le sue bugie. Tale madre tale figlia,” disse girandosi verso Alex.
Lei lo guardava inorridita.
Henry non distolse gli occhi dall’Inquisitore. Doveva convincerlo a liberare Alex, in qualsiasi modo. Non gli importava che Mendoza lo uccidesse, l’unica cosa che contava era che Alex uscisse viva da lì.
Ma non sapeva come. Forse se lo avesse pregato...
“Ti prego,” disse, ingoiando l'orgoglio. “Lasciala andare. Non importa cosa mi farai, ma lascia andare lei. E' innocente.”
“Innocente? Maria era innocente,” rispose Mendoza. “E tu l’hai uccisa. Assassino.”
“Conosciamo entrambi la verità. Ero tornato a prenderla. Volevo portarla via con me. Ti ho visto. Tu l’hai uccisa. Sei tu l’assassino.”
Maria, appena risvegliata, aveva cercato di abbracciare Mendoza, un secondo prima che quel pazzo fanatico le piantasse un paletto nel cuore.
Alex vide la scena come se fosse stata presente e capì che stava vedendo, chissà come, i ricordi di Henry.
Non sapeva se fosse stato lui a farle vedere quello che già le aveva raccontato, ma Alex non ne aveva bisogno.
In quella stanza, il mostro non era Henry.
“Tu l’avevi corrotta, mostro, io ho salvato la sua anima…”
“Se non fossi stato così fanatico lei sarebbe rimasta con te…”
“Io le ho dato la libertà!” urlò Mendoza.
“Assassino. Sei tu il mostro…” sibilò Henry.
Mendoza fece un passo verso di lui.
Alex capì che Henry stava cercando di distogliere l’attenzione di Mendoza da lei. Non avrebbe funzionato. Sentiva la rabbia di Mendoza, il suo odio, in lui ormai non era rimasto che quello. Non ci si poteva ragionare, non ci si poteva discutere. Se non avesse escogitato qualcosa sarebbero morti entrambi in quella stanza umida.
“Bugiardo,” replicò Mendoza, facendo un pazzo indietro, improvvisamente di nuovo calmo.
Alex cercò di divincolarsi e sentì cedere leggermente le corde che le imprigionavano i polsi. Smise quando Mendoza si girò nuovamente verso di lei.
“Basta giocare,” disse. “Adesso darò al vampiro quello che brama.”
Prese un fazzoletto lercio dalla tasca della tonaca e con quello asciugò il sangue dalla fronte di Alex.
La ragazza vide la sua espressione cambiare. Dapprima stupore, poi terrore, poi di nuovo l’odio, ancora più bruciante di prima.
“Sei una di loro…” bisbigliò Mendoza. “Il Signore è stato ancora più misericordioso di quello che credevo. Quelli come te sono i peggiori.”
Un ghigno cattivo gli deformò il viso, mentre tornava da Henry, che lo guardava senza capire cosa stesse dicendo.
Allungò il fazzoletto insanguinato verso di lui, poi glielo gettò addosso.
Henry ricadde all’indietro, scalciandolo via.
“No, no, no!” gridò.
Il profumo inebriante del sangue lo faceva impazzire. Sentì la frenesia, quel calore bruciante, invadergli ancora una volta tutto il corpo.
“L’odore del sangue ti eccita, vero vampiro? Qui c’è il tuo spuntino preferito.”
Alex guardò Henry con gli occhi pieni di lacrime.
“Henry…” bisbigliò. Gli fece cenno di no con la testa.
Ma aveva capito che Henry era quasi al limite.
Il vampiro si afflosciò contro la struttura di legno, sconfitto.
“Che cosa vuoi, Inquisitore?” chiese. “Che cosa? Dimmi cosa vuoi che confessi, e lo farò.”
Avrebbe confessato, avrebbe fatto qualsiasi cosa Mendoza volesse per salvare lei, qualsiasi.
“Avremo tempo per parlare…molto, molto tempo…” sibilò quest’ultimo.
Con Mendoza momentaneamente distratto da Henry, Alex riuscì a sfilare il coltello a serramanico dalla tasca posteriore dei jeans. Lo fece scattare senza fare rumore e iniziò a tagliare le corde che le imprigionavano i polsi. Aveva una solo possibilità e non poteva farsela scappare.
Non avrebbe avuto una seconda occasione.
Sentiva la fame di Henry…così forte che aveva cancellato tutto, di lui non restava quasi più nulla. Quasi…ed era a quel quasi che Alex si aggrappava con tutte le sue forze.
“Ti prego, liberala. Non mi controllo più,” disse Henry.
Alex si tagliò, ma doveva fare in fretta, o non sarebbe riuscita a salvarlo. Non sarebbe riuscita a salvare nemmeno sé stessa.
Vide che Henry la stava guardando, vide l’oscurità di quei pozzi senza fondo, che non mostravano più nessuna traccia del bellissimo verde delle sue iridi. Sentiva la sua bramosia aumentare, il bisogno disperato di sangue farsi sempre più forte.
Mendoza lo guardò con astio:
“Bestia schifosa.”
“Sei tu la bestia,” ringhiò Henry.
“La tua anima è nera. La punizione sarà peggiore della morte, per te.”
“Lasciala andare…”
Ma Mendoza era irremovibile.
“E’ fuori discussione. Lei è l’arma con cui ti distruggerò, mostro.”
Henry chinò il capo. Alex rabbrividì.
Mendoza era davvero pazzo al di là di qualsiasi speranza. Il suo piano le era chiaro, ora, lei era davvero un’arma, nelle mani spietate dell’Inquisitore. Henry l’avrebbe uccisa, spinto dal bisogno di nutrirsi. A quel punto, per lui, la morte sarebbe stata un sollievo.
E Mendoza non gliela avrebbe concessa.
Lo avrebbe torturato ancora, ancora e…ancora.
“Dopo che ti sarai saziato…parleremo ancora.”
Alex sentì montare la rabbia:
“Quanto tempo vuoi tenerlo così, maledetto bastardo…dieci anni? Cento anni? Per quanto lo vuoi torturare?”
Mendoza rispose impassibile:
“Finchè non avrà pagato tutti i suoi crimini.”
“E sarai tu a decidere quando avrà pagato abbastanza?”
“Sono soltanto uno strumento nelle mani del Signore. Sarà lui a farmi sapere quando questa creatura sarà degna di finire all’inferno.”
Alex sbuffò, esasperata. Aveva sempre odiato i fanatici.
“Una scusa davvero comoda. Ma non giustifica la tortura e l’omicidio.”
“Intanto libererò il mondo dalla tua empia presenza, demone,” le bisbigliò nell’orecchio.
Mendoza afferrò lo schienale della sedia e la spinse verso Henry…quel tanto che gli avrebbe permesso di raggiungerla. Poi uscì dal sotterraneo, chiudendo la porta a chiave.
Merda, pensò Alex, se non riesco a liberarmi sono morta.
Cosa le aveva detto Henry di come si uccidevano i vampiri? Un paletto di legno nel cuore...ma non aveva nessun paletto a portata di mano. Non aveva nessun’altra arma, tranne un coltellino che non le sarebbe servito a niente.
Henry cominciò a ringhiare, mentre cercava nuovamente di alzarsi e mormorava:
“Perdonami, non posso più controllarmi.”
Alex sentiva che non avrebbe voluto farlo, ma non sarebbe riuscito ad impedirselo.
In quel momento la corda cedette e fu libera, appena in tempo. Si lasciò cadere all’indietro con tutta la sedia, che andò in pezzi, proprio mentre Henry si lanciava su di lei a zanne snudate.
Per fortuna le catene non cedettero, per quanto il vampiro stesse cercando di spezzarle con tutte le forze che gli erano rimaste.
La sua coscienza stava urlando un no disperato, ma non poteva più controllarsi, se non si fosse nutrito sarebbe morto. L’istinto di sopravvivenza aveva preso il sopravvento. Per quanto spaventata, Alex non riusciva a vedere in lui un mostro. Vedeva solo una creatura affamata e disperata, privata di qualsiasi scelta.
Ma non era troppo tardi, non ancora.
Alex raccolse da terra una delle gambe della sedia, dopotutto era di legno, e poi, senza avvicinarsi, disse:
“Henry…ti prego, ascoltami. Non permetterò che tu muoia, ma devi darmi la possibilità di aiutarti. Ti prego. Non voglio ucciderti.”
Non se ne era accorta ma stava piangendo.
Non seppe mai se furono le sue parole o le sue lacrime, a raggiungerlo, ma Henry si fermò.
Smise di lottare con le catene e dopo qualche secondo si lasciò cadere pesantemente a terra. Aveva consumato tutte le poche forze che gli erano rimaste, cercando di liberarsi. Alex lasciò cadere la gamba della sedia e fece qualche passo verso di lui.
“Non ti avvicinare,” disse Henry. Dalla voce trasudava tutta la sua disperazione.
“Stai lontana, Alex. Scappa. Scappa prima che torni Mendoza.”
“Non me ne vado senza di te,” disse lei decisa.
In quel momento udì la voce di Mike che la chiamava.
“Siamo qui,” gridò Alex. Poi rivolta ad Henry aggiunse: “Hai visto Henry? Sono arrivati i rinforzi. Ce ne andremo tutti da qui. Starai bene.”
Girandosi verso la porta, Alex aveva notato un luccichio sul pavimento, in mezzo ai rottami della sedia. Si avvicinò per guardare meglio e vide una piccola croce dorata con il braccio più lungo intagliato…la chiave!
Doveva essere caduta a Mendoza quando aveva preso il fazzoletto dalla tasca della tunica.
Finalmente un briciolo di fortuna…
In quel momento Mike sfondò la porta con un calcio ed entrò nello scantinato.
“Resta lì Mike,” disse subito Alex. “Non ti avvicinare.”
Mike restò paralizzato davanti allo spettacolo che gli si presentò davanti.
Prima che Henry si nascondesse il viso con un braccio lo aveva visto, aveva visto i suoi occhi…e le zanne.
Ma aveva visto anche le ferite che costellavano il suo corpo e l’odore della carne bruciata gli aveva fatto venire il voltastomaco.
“Alex…” disse.
“Mike, Mendoza è fuggito.”
“Non ho visto nessuno fuori,” rispose lui.
“Controlla la porta.”
Alex si avvicinò nuovamente ad Henry.
“Henry…non ti nascondere. Non da me, ti prego.”
Si inginocchiò accanto a lui e gli prese il braccio, facendoglielo abbassare.
Lui non la guardò ma non fece resistenza, mentre Alex gli passava la mano dietro la schiena, sostenendolo, per poterlo liberare. Slacciò con cautela le cinghie rinforzate di metallo che lo trattenevano alle catene. Henry, sfinito, sospirò e le appoggiò la testa sulla spalla.
Non sapeva come, ma il contatto con lei, in qualche modo che non riusciva a capire, gli permetteva di controllare la fame.
“Adesso ti tolgo questo aggeggio infernale.”
Henry le afferrò la mano bisbigliando un no.
“Ho bisogno di sangue,” le disse poi.
Alex si alzò la manica della giacca di pelle e avvicinò il polso alle labbra di Henry.
“Alex no,” disse Mike.
“Tu sta zitto,” rispose lei.
“Ha ragione Alex…è troppo pericoloso,” mormorò Henry.
Mike si era avvicinato. Prese dal tavolo a lato della porta un bicchiere impolverato, raccolse da terra il coltello di Alex e si tagliò la mano, facendo scolare il sangue nel bicchiere. Poi lo allungò ad Alex, mentre Henry si agitava, sentendo l’odore di rame che si spandeva nell’aria.
“E’ colpa mia se è in quelle condizioni, lasciami rimediare Alex. Non c’è altro modo, giusto? Non puoi liberarlo senza che ci uccida…perciò dagli il mio sangue. Così potremo portarlo via da qui.”
Alex annuì.
Henry aprì gli occhi, ancora neri come la notte, mentre Alex gli avvicinava il bicchiere colmo alle labbra.
Bevve avidamente, poi lasciò il bicchiere ormai vuoto, sospirando.
Alex sorrise:
“Posso levarlo adesso? Non proverai a mangiarci?”
Nonostante tutto, Henry trovò la forza di sorridere a sua volta, anche se era sfinito e ben lontano dall’essere sazio.
“Credo di no,” rispose.
“Credi…oh, bene.”
Facciamolo, pensò Alex.
Pregò che quella che aveva trovato fosse davvero la chiave.
La infilò nella serratura e la girò in senso orario. Henry gemette quando il dispositivo si staccò e cadde a terra, lasciandogli una ferita a forma di stella a otto punte sul petto. Poi lasciò che Alex e Mike lo aiutassero ad alzarsi, sostenendolo.
Alex raccolse la Illumination del Sol, mentre si alzava, e la infilò in tasca, insieme alla chiave.
Di nuovo Henry non riuscì a spiegarsi come riuscisse a non attaccarli entrambi. Sentiva la connessione con Alex più forte che mai, e solo mentre uscivano all’esterno capì che stava attingendo alla forza di lei, ed era questo a permettergli di controllarsi.
Funzionava e tanto bastava, in quel momento. Riusciva a soffocare gli istinti che lo spingevano a nutrirsi ancora, così le che le sue ferite potessero guarire e la fame essere placata.
Appena furono fuori Henry rabbrividì. Era ancora buio, ma sentiva che il sole si stava avvicinando all’orizzonte.
Alex lo sentì tremare e gli disse:
“Coraggio Henry, la macchina è qui dietro, ci siamo quasi.”
“Il sole…è quasi l’alba…”
Alex guardò l’orizzonte, ma anche se non vedeva niente, sapeva che Henry aveva ragione.
“Maledizione…” imprecò.
“Cosa c’è?” chiese Mike.
“Sta per sorgere il sole,” rispose Alex. “Devo portare Henry al sicuro.”
Mike scosse la testa, ancora faceva fatica a credere a tutto quello che era successo nelle ultime ventiquattro ore, pur avendolo visto con i suoi occhi.
Mentre Alex apriva la macchina, Mike aiutò Henry a salire al posto del passeggero. Prima di chiudere la portiera disse:
“So che è poco…ma per quello che conta…mi dispiace Henry. Davvero.”
Henry lo guardò senza rabbia:
“La stavi proteggendo. Non sono arrabbiato con te.”
“Si…ma sono stato un imbecille lo stesso.”
“Su questo non ci sono dubbi,” riuscì a sorridere Henry.
Mike sorrise a sua volta.
“Troverò Mendoza. E’ una promessa.”
“Stai attento ispettore,” rispose Henry. “Non immagini quanto possa essere pericoloso quell’uomo.”
"Credo di essermene fatto un'idea," disse Mike mentre chiudeva la portiera.
“Starà bene?” chiese ad Alex.
“Credo di si,” rispose lei, mentre mandava un messaggio a Sara per avvertirla che Henry era salvo.
Fissò Mike per un momento, poi aggiunse:
“Grazie…per quello che hai fatto lì dentro.”
“Glielo dovevo,” rispose Mike. “Stai attenta.”
“Henry non mi farà mai del male,” gli rispose.
Alex salì in macchina e mise in moto, pensando a dove andare.
L’attico di Henry era dall’altra parte della città, non sarebbero mai riusciti ad arrivarci in tempo. Anche casa sua era troppo lontana, così come il campus.
Si allontanò velocemente dalla chiesa sconsacrata, riflettendo.
Poi le venne un’idea: aveva le chiavi della casa di Francine, che in quei giorni era fuori città. Era abbastanza vicina.  
Henry si era accasciato contro la portiera e bisbigliò:
“Non arriveremo mai a casa mia in tempo…”
Alex gli strinse la mano:
“Lo so, Henry, ti porto da un’altra parte.”
Avvertì la sua paura e gli strinse più forte la mano:
“Tranquillo. È un posto sicuro. Non permetterò che ti succeda niente. Fidati di me.”

Arrivarono a casa di Francine che il cielo stava schiarendo.
Alex parcheggiò di traverso sul vialetto, aiutò Henry a scendere dalla macchina e, una volta entrati, lo portò giù in taverna, dove non c’erano finestre.
“Ecco,” disse. “Qui sarai al sicuro.”
“Alex…devi andare via. Manca ancora un po' al sorgere del sole e non so quanto posso riuscire a trattenermi. Il tuo odore…”
Scosse la testa. Aveva un disperato bisogno di nutrirsi ancora, ma in quel momento non poteva uscire e per Alex, nonostante tutto, era troppo pericoloso restare. Se fosse andata via avrebbe potuto dormire e la sera dopo…probabilmente avrebbe ucciso, quando si fosse svegliato e fosse andato a caccia…bè, ci avrebbe pensato quando si fosse svegliato. Se si fosse svegliato.
Alex lo guardava con uno sguardo di compassione negli occhi…no, si corresse Henry, non compassione, ma comprensione. Ancora una volta aveva capito cosa gli passava per la testa senza che lui dicesse una parola.
Henry vide la determinazione nei suoi occhi e capì che aveva preso una decisione.
La ragazza gli si avvicinò.
“Usa me,” disse semplicemente.
Henry cercò di allontanarsi ma lei gli afferrò le braccia e lo trattenne.
“Usa me, Henry.”
“Non posso…”
“Si invece. Non c’è altra scelta. Non ti ho lasciato morire prima e non ti lascerò morire adesso…nè permetterò che domani notte tu vada fuori a uccidere qualcuno per colpa di quel pazzo di Mendoza. Ci sono solo io qui, per cui è l’unica scelta che hai.”
Henry scosse la testa.
“E’ troppo rischioso. Potrei…potrei ucciderti,” disse Henry con un filo di voce.
“Potresti. Ma non lo farai. Come non l’hai fatto in quel sotterraneo. Usa me,” gli disse, la voce dolce ma decisa.  
Mentre parlava, gli passò una mano dietro la nuca, offrendogli il collo.
Henry sapeva di non poter resistere.
Il sangue che scorreva nelle vene di Alex cantava, irresistibile.
La strinse tra le braccia e, nonostante l’urgenza che sentiva, il suo disperato bisogno di sangue, l’istinto che gli gridava di mordere e lacerare per placare la fame, affondò le zanne nella morbida pelle del collo di lei con la massima delicatezza di cui fu capace.
Il dolore del morso la face irrigidire, ma solo per un secondo, poi subentrò una strana sensazione di condivisione, mentre Henry si nutriva.
Lo tenne stretto a sé, accarezzandogli i capelli, persa in quella sensazione incredibile, i brividi lungo la schiena.
Ci fu un momento in cui Henry pensò di non riuscire a fermarsi, poi sentì l’urgenza placarsi senza che dovesse fare nessuno sforzo.
Smise di succhiare, ritraendo le zanne, ma tenne le labbra appoggiate sul collo di lei, passando la lingua sulle ferite, assaporando la sua pelle. La sentì rabbrividire mentre si staccava da lei e la guardava negli occhi.
Alex si perse in quei bellissimi occhi verdi, in cui ora c’era soltanto gratitudine.
Per un momento infinito nessuno dei due riuscì a distogliere lo sguardo.
“Grazie,” mormorò Henry. “Mentre riposo le ferite guariranno. Hai fatto molto più che salvarmi la vita, stanotte.”
“Ho fatto solo ciò che era giusto,” rispose lei.
Henry guardò verso l’alto, come se potesse vedere la luce del giorno che nasceva.
“E’ arrivato il momento,” disse.
Si staccò da lei ma non le lasciò la mano.
“Vuoi restare con me?” le chiese.
Alex annuì.
Si stesero sul divano, uno accanto all’altra.
Henry la abbracciò, appoggiandole la guancia sui capelli, e lasciò che il sonno diurno lo avvolgesse lì, accanto alla donna che lo aveva salvato.
E a cui, da quel momento, apparteneva.
Per sempre.
  
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