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Autore: Unicorno Alato    08/04/2014    0 recensioni
Londra 1960
Lei, Figlia del re d'Inghilterra.
Lui, il solito bar-man.
Oppure no?
Isabella Beth Clark ha molti problemi nella vita. I genitori che non la comprendono, una società stringata e inflessibile. Cosa succederà quando conoscerà la trasgressione in persona?
Nessuno l'aveva fatta sentire così bene prima di allora.
C'è un piccolo problema però: Innamorarsi non rientrava certo nei piani...
Tratto dalla storia:
-Scusi Mr Bieber. Devo andare. Spero di incontrarvi di nuovo un giorno.- dissi mentre mi toglievo la maschera che avevo indossato per tutta la sera. La posi sul balcone e la lasciai lì. Se avesse voluto ritrovarmi l’avrebbe fatto grazie a quella.
-Se fossi in lei non cercherei di incontrarmi di nuovo.- Mi guardò torvo, e poi guardò la maschera. La prese in mano e la girò tra le dita. -Non sono il tipo per lei.- disse duro, con la voce spezzata e la mascella contratta, mentre la sua mano si stringeva sulla mia maschera. Non mi importava, era l’unico che poteva salvarmi da me stessa e l’avevo capito quella sera.
-E chi ha detto che lo deve essere?-
I fatti e i personaggi narrati sono puramente casuali
Genere: Fluff, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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          ‘Burglary’ *
 
Lasciai che l’acqua mi scivolasse sui capelli mentre io guardavo fuori dal box doccia cercando di immaginare qualcosa che nemmeno ricordo. Non ricordo neanche come avevo fatto ad entrare nella doccia, forse qualcuno mi ci aveva trascinato a forza. Non ricordavo più niente dalla sera scorsa. Da quando avevo lasciato la sala da ballo e da quando mi ero rifugiata nella mia bolla. Credevo che fosse stato tutto un sogno, soprattutto quando mi ero svegliata di soprassalto nel mio letto. Ma poi ho visto il vestito azzurro che avevo indossato appoggiato alla sedia della mia scrivania. Ed allora un sorriso non poté non nascere istantaneamente sulla mia faccia, come a significare la bellissima serata che avevo passato. Speravo davvero di incontrarlo, un giorno, per parlargli faccia a faccia e per conoscerci. Aveva un non so che di misterioso e curioso, e.. trasgressivo. Non credo che ai miei genitori piaccia molto, ma non deve piacere a loro, deve piacere a me. Ripensai un secondo alle parole che mi aveva detto ‘Se fossi in te io non cercherei di  incontrarmi di nuovo.’ Non ne capivo il senso. Era come se dopotutto quello di cui avevamo discusso quella sera –che poi non era neanche tanto- non servisse a niente. Finalmente io mi ero sentita viva, felice, pensavo che almeno per un paio d’ore lui poteva farmi dimenticare tutto il resto, e così è stato. Ma poi tutto è andato a rotoli con quella frase, sembrava che a lui non importasse minimamente di come mi sarei potuta sentire. Sembrava essere stato messo lì a posta. Sembra quasi che il destino volesse che io lo incontrassi. E sembrava tutto perfetto. Fino a quando tutto non è diventato un incubo, l’inferno. Quella frase mi stava logorando lo stomaco, e più ci pensavo più mi veniva voglia di rintracciarlo. Non avevo parlato con nessuno dalla sera precedente. Non avevo fatto nemmeno un gesto. Ero rimasta impietrita, stesa sul letto con un sorriso stupido sulla faccia e con la testa rivolta verso il muro bianco del soffitto. Katrin se n’era andata via quando, di colpo mi ero rintanata sotto le coperte con la stoffa soffice del piumino che mi stuzzicava la faccia. Borbottava qualcosa di incomprensibile mentre chiudeva la porta di camera mia e scendeva le scale per andarsene a casa. Lei viveva in un quartiere che non consiglierei a nessuno. Non ci ero mai stata, ma da come lo descriveva non poteva essere il prato di casa mia ecco. Un forte rimbombo mi fece svegliare dal mi stato di trance che mi riportò bruscamente alla realtà. <<Isabella Beth Clark esci subito da quella doccia o vengo io e ti faccio uscire con la forza!>> Katrin urlò per farsi sentire e batté ripetutamente il pugno sulla porta. <<Sei lì dentro da un ora! E non sto scherzando. È passata veramente un ora.>> Dopo un bel respiro che la calmò riprese a parlare. <<Esci, o ti verranno le squame e le branchie. Poi che dirò ai tuoi genitori eh? Che sei diventata un pesce rosso?>> chiese scherzosamente mentre io avvolgevo un asciugamano attorno al mio copro e facevo una coda con i capelli bagnati. <<Grazie al cielo. Pensavo non saresti più uscita da là dentro.>>  Ghignò Katrin mentre mi porgeva la biancheria da indossare. La guardai attentamente. Pizzo, nero. Reggiseno trasparente e delle culottes dello stesso tipo. Di solito mi mettevo quegli indumenti se c’erano ricorrenze speciali, ma c’era stata una festa proprio il giorno prima. Mi dovevano torturare un’altra volta? <<Cos’è un’altra festa in maschera Katrin?>> Chiesi riluttante guardando gli indumenti per poi mostrarglieli. Lei mi sorrise notando la mia espressione. <<Non so signorina Clark. ma sicuramente è un avvenimento importante. Molto più di quello di ieri.>> Sorrise lei posando un vestito troppo rosa e troppo stretto sulla sedia di camera mia. io mi misi l’intimo prima di sdraiarmi sul letto guardando il soffitto e pensando. <<Ah.. Quel ragazzo..>> mormorai mentre mi mettevo in posizione eretta. Katrin mi guardò confusa per poi sospirare e abbassare la testa ridendo.
<<Di quale ragazzo stai parlando Bells?>> dopo un altro sospiro riprese a parlare <<Spero solo che tu stia parlando di.. aspetta come lo hai chiamato? Ah, si Capelli Gialli.>> sobbalzai al mio ridicolo soprannome. Solo ripensare alla sua faccia mi faceva nascere brividi sul bracci. Mi incuteva una grande paura. Mi chiesi che cosa c’entrava lui in tutta questa storia. Io sicuramente non avevo voglia di mettermi in tiro per uno come lui. <<Comunque no.. stavo parlando di un altro ragazzo.. uno che ho incontrato alla festa..>> dissi con occhi sognanti guardando il muro della mia camera e mordendomi il labbro inferiore solo per avere ancora la sua immagine riflessa nella mente. <<Oh.. e dimmi chi era? Il figlio del ministro del commercio? O del cancelliere? Oh. Mio dio non mi dire che era il figlio di..>> continuò per un po’ così ad elencarmi tutti i figli possibili che dovevo conoscere –anche se non li conoscevo- io intanto mi persi nella mia immaginazione. Altra cosa che non sopporto di me stessa è la mia immaginazione. Certe volte può anche ucciderti. Ma non ho mai smesso di immaginare, di sognare da quando ero piccola. Ho sempre amato tutto della mia immaginazione, ma allo stesso tempo la odiavo profondamente, perché ogni volta che tornavo alla realtà tutto mi sembrava più buio più scuro, più brutto. Come se non ci fosse una ragione per tornare nella realtà quando si è nel regno dei sogni. <<Allora?.. mi vuoi dire chi è oppure ti devo aspettare fino a che non la smetti di fissare il muro con occhi sognanti?..>> chiese incrociando le braccia fissandomi confusa prima di riprendere a mettere al loro posto alcune cianfrusaglie. <<Non era nessuno di.. speciale ecco.. nessuno di famoso per intendersi.>> dissi io guardandola e facendogli gesti con le mani. Intanto nella mia mente si scatenavano le immagini della sera precedente. Ce ne erano tantissime in cui sorrideva, e solo in quel momento mi resi conto che stavo sorridendo. Katrin mi guardò come se avessi sparato la più grande bugia della mia vita. Le sopracciglia si toccavano facendo nascere un cipiglio carino che mi face scoppiare a ridere. <<No, no, no signorina. Spiegami tutto.. chi è questo ‘misterioso ragazzo’>> chiese lei sedendosi sulla sedia e appoggiando il gomito allo schienale di essa con le gambe incrociate, aspettando la mia risposta. Mi venne da sorridere, non so come mai, ma in quel momento tutto sembrava bellissimo. Presi fiato e chiusi gli occhi immaginando il ragazzo in tutta la sua perfezione. <<Era un Bar-man.. ed era bellissimo.>> dissi sospirando prima di incrociare anche io le gambe per poi stendermi completamente sul letto. Chiusi gli occhi per la milionesima volta immaginando per la milionesima volta il viso di quell’angelo. Eppure c’era qualcosa in quel bel faccino che mi faceva ritorcere indietro. Non erano i milioni di tatuaggi, o l’orecchino al lobo sinistro o ancora la cresta con il ciuffo quasi perfetta. Era come se il destino mi avesse fatto incontrare un dio e poi me lo portasse via da sotto gli occhi. non potevo sopportare un’altra volta di vivere una situazione del genere. Sapevo che i miei genitori non avrebbero approvato, ma non capivo ancora che cosa c’era di strano nell’innamorarsi di un barman. E poi lui era così diverso, così misterioso, che.. che beh, mi faceva venire voglia di lasciarmi trasportare. Insomma avevo diciotto anni, potevo o no, secondo la legge, fare quello che volevo? E invece no, non potevo, perché tutti si aspettavano qualcosa dalla figlia del re d’Inghilterra! E io mi ero proprio stufata di essere sempre la brava e semplice ragazza che rispettava le regole e faceva tutto quello che i genitori le chiedevano. Ero stanca di essere sempre messa sottopressione solo perché tutti si aspettavano il massimo da me. Non mi ero neanche resa conto che mi ero messa a sedere sulla sedia su cui prima si era accomodata Katrin, e non mi ero neanche resa conto che aveva preso possesso del mio beauty-case e che aveva iniziato a spargermi una specie di crema marrone sulla faccia. Ed ero troppo impegnata nel mio monologo interiore per rendermi conto del rumore che fece la porta quando si aprì. La porta si aprì? <<Gustav?! Ma che ci fa lei qui?>> Urlò bruscamente Katrin prima di chiudere con uguale forza della sua voce la porta che si era appena aperta. Mi sentii mancare il terreno sotto i piedi certa che quello era solo uno stupido sogno e che di lì a poco mi sarei svegliata sudata e impazzita con le cure di Katrin che mi dormiva accanto nelle notti tempestose, e non sto parlando delle stagioni fuori dalla finestra. <<Presto, presto, vai in bagno>> mi sentii spingere verso una stanza accaldata come se qualcuno avesse appena aperto dell’acqua bollente. Avevo ancora gli occhi chiusi e non avevo assolutamente intenzione di riaprirli, perché ogni volta che li chiudeva la sua figura mi compariva nel buio, come se una foto in miniatura fosse stata messa all’interno delle mie palpebre. <<Gustav perché lei è qui? Mh..>> chiese Katrin scocciata. Lo si poteva dire per la frequenza e l’intensità con cui la sua voce uscì dalla gola. Mi immaginai Katrin con le mani sui fianchi mentre batteva un piede sul parquet della mia camera in attesa di una risposta. Sorrisi. <<Mi scusi davvero signorina ma devo dirle di restare qui nella stanza con la signorina Clark perché c’è stato un furto.>> Disse Gustav con voce spezzata, forse aveva corso, oppure era solo atterrito per la notizia. Furto? È letteralmente impossibile. Soprattutto in questa villa.  Ci sono troppe guardie del corpo, troppi addetti alle manutenzioni/sospetti agenti della CIA. <<Oh, mio dio..>> uno rumore di una sedia che si muoveva mi fece svegliare e lentamente aprii gli occhi. La luce dava ancora noia alla mia vista, ma avevo scoperto che mi trovavo nel bagno in cui avevo fatto da poco la doccia. Chi poteva essere stato? Sicuramente un intruso, gran investigatore o un addetto. Non c’era praticamente modo per raggirare la sorveglianza ed entrare da fuori. Forse era uno degli invitati alla festa. <<Va bene Gustav la ringrazio per avermi informato, terrò personalmente la signorina Clark sotto osservazione.>> sospirò spossata prima di mandare via Gustav e venirmi ad aprire la porta del bagno. Mi lasciai trasportare per un braccio da Katrin, che, come me, si stese sul letto, e nel  stesso preciso istante in cui sospirai anche lei lo fece. Scoppiammo a ridere in sincronia prima di guardarci negli occhi.  <<Chi può essere stato?>> sospirò Katrin con voce spossata prima di andare verso il mio armadio e scegliere qualcosa da là dentro. Io chiusi gli occhi e di nuovo la figura di quel ragazzo si stanziò nei miei pensieri, come il primo della lista, ma anche l’ultimo. Possiamo dire che tutti i pensieri concreti che feci quel pomeriggio erano rivolto verso lui. Justin. Eppure mi sembrava di averlo sentito nominare da qualche parte. Katrin intanto continuava a parlare/blaterare di qualcosa riguardante gli invitati alla festa e il figlio del ministro: Walter. Io non ascoltavo neanche un particolare di tutta quella faccenda contemplando amabilmente tutta la figura che risiedeva nei miei pensieri. Ad un certo punto Katrin iniziò a fare domande, a cui io rispondevo con un accenno del capo. Non aprivo neanche gli occhi, certa che la visione ad occhi chiusi fosse meglio di quella con gli occhi aperti. <<Ah, si.. lo sapevi che Gesù è morto nel sonno?>> chiese Katrin davanti a me, presumibilmente con le braccia sui fianchi e con lo sguardo da matrigna cattiva. Io annuii distratta con il sorriso sulle labbra per aver semplicemente immaginato il suo. <<Bells! Svegliati!>> mi strattonò tanto da farmi aprire gli occhi, e come avevo previsto il mondo reale non poteva essere meglio dei quello che si appropriava dei miei occhi quando li chiudevo. <<Ho appena detto che Gesù è morto di sonno!>> cantilenò Katrin prima di scoppiare a ridere, lo feci anche io e poi mi stesi nuovamente sul letto con il sorriso sulle labbra.
Il pomeriggio era passato senza nessun problema, a parte il fatto di aver giocato per tre ore a scala quaranta con Katrin, che poi se ne era andata perché ‘il capo’ –mio padre- l’aveva chiamata. Il che stava a significare due cose. O avevo fatto qualcosa di sbagliato, oppure mi ero comportata talmente bene, che mio padre mi lasciava andare a giro senza guinzaglio ergo Katrin –cosa letteralmente impossibile perché c’era appena stato un furto in casa.-  
Avevo fatto un’altra doccia, tanto per far qualcosa durante l’assenza di Katrin. Poi. L’ispirazione. Avevo iniziato a dipingere. Era arrivato da un piccolo pettirosso appoggiato con le leggiadri zampette alla ringhiera del mio terrazzo. Si grattava le penne con la punta del becco nero. Mi guardava con aria triste e poi guardava il cielo. Sembrava quasi dispiaciuto che io non potessi volare via con lui. Con  uno scatto fulmineo si era lanciato nel vuoto con le ali spiegate all’indietro, poi lo avevo visto riprendere a sbattere quelle piccole ali e volare via. Via da me, da questo posto. Chissà com’era il mondo visto da lassù, mi chiesi. Erano passati solo cinque minuti da quando l’uccellino aveva spiccato il volo e io già mi sentivo sola. Avevo deciso di prendere un po’ di mangime per uccelli dal giardino e metterlo sulla veranda. Ne presi una manciata e la misi in una ciotolina con i bordi alti, in modo che ci si potesse appoggiare con le zampe. Dopo circa una decina di minuti ad aspettare impazientemente nell’oscurità dell’angolino della mia stanza con un foglio di carta bianco in una mano e una matita nera nell’altra, eccolo apparire e scendere in picchiata posandosi così dolcemente sul terrazzo da non sembrare neanche vero. Il piccolo pettirosso si era spinto verso la ciotola contenente il cibo, e, prima di approfittare della deliziosa offerta, si era guardato intorno mentre restava a guardarmi per poi avanzare ancora verso il cibo. Avevo potuto avvicinarmi abbastanza da coglierne i particolari. Aveva un aria molto tranquilla, come se si sentisse al sicuro con me accanto. La mia mano destra iniziò a tracciare delle linee sul foglio bianco. Alla fine il lavoro era venuto molto bene. Raffigurava un pettirosso in bianco e nero che mangiava il mangime da una ciotola. Mi accorsi in quell’istante che mi trovavo sdraiata accanto a un disegno e ad un pettirosso che non se ne voleva andare dalla mia camera. Sembrava volesse controllare se nella stanza fosse tutto apposto, oppure controllava tutto questo per formare il suo nido, controllava se era un posto sicuro o meno. Si mise sulla mia pochette di seta rosa –che odiavo- e si sistemò lì per altre due ore. Io lo guardavo, si riposava, come un cagnolino nella sua cuccia. Sembrava proprio che avesse un sorriso fiero sulla faccia, felice di aver trovato una casa calda. Io ero a gambe incrociate sul letto osservando quel piccolo essere con un respiro così regolare da far pensare che fosse una persona. Dopo un certo periodo nella stessa posizione si muoveva cambiava. Muoveva le ali e le zampette, come se sognasse. Non so quanto era passato. Ore, minuti, secondi. Non guardavo nient’altro. Quel piccolo pettirosso aveva proprio scelto la mia casa, e si era fidato ciecamente di me. Non gli importava se potevo rinchiuderlo a vita in un gabbia o in una stanza. O non dargli più da mangiare o da bere per una settimana. Privarlo del potere di volare. Non gli importava nulla. Lui si era fidato di me. E io quel mondo era l’unico che ce la poteva fare.  

*Burlgary = Furto

 
• Spazio Autrice 
Saalve! Scusate ancora una volta per il ritardo. Volevo aggiornare ieri, ma stranamente non mi funzionava Efp. Vabbè, spero solo che il capitolo vi piaccia. Ci ho messo tanto tempo e mi dispiace un casino, ancora più scuse. voglio tante recensioni. c: Spero davvero tanto che il capitolo vi piaccia. Vi ringrazio per tutte le recensioni e ringrazio ancora chi legge la mia storia. 
Bacii
Ci vediamo quando ci vediamo c: 



 
 
   
 
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