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Autore: soel95    08/04/2014    0 recensioni
L'arte è ricchezza, passione, studio, dedizione. A tutto questo François ha dedicato l'intera esistenza, ha consacrato sé stesso; quell'idea, quel concetto vago, eppure, allo stesso tempo, tanto definito, ha mosso la sua mano, spingendolo oltre i limiti della storia. Oltre il tempo e lo spazio.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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Lo studio era impregnato da un intenso odore di pittura e trementina, un aroma acre e pungente che avrebbe colpito con violenza chi in quei luoghi, per lungo tempo abitati, fosse entrato la prima volta. Il disordine regnava sovrano e, proiettato dai colori del crepuscolo, le pareti rosse, dipingevano un ambiente surreale. Qui l'artista era l'artefice di una magia profonda ed antica quanto l'uomo: generatore di bellezza era il Dio della sua tela.
I gesti misurati del braccio davano forma al miracolo della creazione tracciando con precisione ciò che sgorgava dalla sua mente e dalla sua anima. Ciò gli dava sollievo e lo faceva sentire realmente vivo. Aveva uno scopo, una missione da compiere. Le pennellate decise, i colori pastosi riempivano la tela, luci e ombre contrastanti si affollavano sul piano rispecchiando i suoi tormenti. Tutto questo scorreva sotto i suoi occhi attenti ed esperti, ma lui aveva l'impressione di osservare il proprio corpo come se si trovasse lontano, fuori da questo, come se, invero, non gli appartenesse, come se non fossero realmente sue le lunghe dita affusolate, sporche di colore, intente a percorrere sentieri che sulla tela erano noti a lui soltanto. Era l'estasi del vuoto ricolmo mentre la mimesis alla quale era stato educato, la natura benigna e pacata che aveva imparato a riprodurre, mutava infine in un nuovo concetto di arte: dinamico e personale, unico. Le immagini che fluivano da lui alla tela si sovrapponevano, si univano, interagivano tra loro, organismo vivo e pulsante, autonomo, al quale lui, solamente, conferiva la forma. Egli era mero esecutore e al tempo stesso parte di quella grandezza dalla potenza disarmante, maestosità incontrastabile.
I pensieri e le emozioni che tanto lo turbavano vennero per un istante interrotte bruscamente dal riecheggiare lontano delle campane, distogliendolo da quanto, sino a quel momento, aveva assorbito tutto il suo essere. Il crepuscolo annunciava l'imminente fine del giorno. Presto madame Bertrand avrebbe bussato alla sua porta per riordinare quella che era solita definire la tana del riccio. Fosse dipeso unicamente da lui, in quella stanza così ricca di ricordi importanti nulla sarebbe mai stato spostato. Ogni oggetto, mobile, panno sporco era disposto secondo l'ordine assoluto della mente. Nell'osservare le numerose tele dipinte, adagiate alle candide pareti, poteva ripercorrere interamente le vicende della propria vita, rivivere le speranze, le gioie e i sogni, infranti dall'ineluttabile scorrere del tempo: rivedeva il figlio nella casa del padre, il giovane sostenitore degli ideali illuministi, l'uomo preda di una corrente troppo violenta da arginare e in grado di travolgere ogni ordine e principio; e ancora l'esule in una casa della campagna parigina, lontano dal vortice della vita della città, eppure ancora troppo vicino per poter sperare di non essere toccato dai tumulti che scuotevano la nazione dalle fondamenta.
Spossatezza e depressione lo opprimevano da molti giorni, sempre meno era capace di opporsi alla ribellione dei suoi sensi, respiro mozzato, gola in fiamme e vista quasi offuscata lo costringevano a reggersi saldamente per non rovinare a terra scosso dalla tosse del sangue. Egli era ben consapevole che avrebbe dovuto risparmiarsi, ma la vita frenetica, per la quale sempre si era distinto, e il male incurabile da mesi suo compagno ne avevano ormai irrimediabilmente compromesso la salute. Purtuttavia non sarebbe mai stato capace di abbandonare tutto, la propria casa, le persone alle quali teneva, ma soprattutto il proprio lavoro, per poi andarsene e non sapere nemmeno se e quando avrebbe potuto farvi ritorno. Era convinto di non poter sopportare l'ansia opprimente che lo avrebbe tenuto sveglio la notte e permesso alle sue paure di prendere il sopravvento: allora non avrebbe potuto non chiedersi se una volta ancora avrebbe potuto rimirare il sorgere del sole. Non poteva reggere. Perciò preferiva continuare a vivere incurante come sempre aveva fatto: concentrando anima, mente e corpo nel completare i propri dipinti, sua passione e suo sostegno, accontentandosi di trascorrere il poco tempo rimastogli, se un qualche dio misericordioso lo avrebbe concesso.
Nel cielo primaverile il suono delle campane continuava a riecheggiare e il quadro, finalmente completo, faceva imponente mostra di sé catturando il suo sguardo. François lo osservava compiaciuto e insieme esausto; un sorriso si distendeva sulle sue labbra e i lunghi capelli, un tempo sempre racchiusi da un nastro di raso, erano ora liberi e mossi dal vento, i lembi dell'ampia camicia macchiata di sangue e colori, aperta sul petto, scostati dalla fresca brezza. Era infine riuscito a portare a termine la sua più grande opera, un capolavoro, frutto di anni di riflessioni appassionate e fallimenti dolorosi. Ora poteva riposare. In un incedere malfermo e barcollante raggiunse la sedia posizionata sotto la finestra spalancata, così da godere del panorama che, immenso, raggiungeva l'orizzonte; le morbide colline, sulle quali era stata realizzata la sua dimora, ne catturavano lo sguardo, e inghiottivano lui così come i vermigli raggi del sole che lentamente sfuggiva alla vista. Dinanzi all'immensità della natura, dinanzi alla sua potenza, alla sua imperscrutabilità, la mente iniziò a vagare, a ricordare, concedendogli, finalmente, l'agognata serenità.
  
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