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Autore: syontai    09/04/2014    5 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 31

Il peso della conoscenza

Maxi finì sul terreno polveroso, in ginocchio, e chino per terra, per non dover vedere quella scena orribile.
“Ti piace il futuro?”. Una voce gelida risuonava nella mente, la stessa voce che l’aveva sfidato: il Tempo stava ridendo del suo dolore, convinto ormai di averlo messo in trappola.
“Basta!” sibilò il ragazzo, alzandosi in piedi e correndo dal lato opposto. Le immagini scorrevano davanti ai suoi occhi, confondendolo. Cadde a terra, ma si rialzò, senza voltarsi. Cadde nuovamente, e nuovamente si alzò. Non sopportava quel peso, non riusciva a capire come avrebbe potuto guardare negli occhi Andres, senza leggervi in essi la morte, se mai fosse riuscito a uscire da quella trappola infernale. Il tempo scorreva, e la clessidra galleggiava minacciosa, affiancata dalla luna piena, di un cupo giallognolo. Non avrebbe mai superato la sua sfida, e questo perché non era stato abbastanza forte da sopportare quella visione. Sperava che almeno i suoi compagni fossero riusciti a scamparla, e che riuscissero comunque a convincere il Tempo a dargli una mano per salvare Emma. In quanto a lui, era sempre stato un ladruncolo senza grandi aspettative, se non quella di aprire una propria erboristeria, e quella era la fine adatta a lui, la fine di un codardo. Non riusciva nemmeno più a piangere, troppo scosso dal tetro futuro che gli si parava davanti. Si fermò di fronte a un piccolo lago, ma non appena si inginocchiò per attingervi dell’acqua, fu costretto ad indietreggiare. Sul fondo galleggiavano alcuni cadaveri, e il lago era tinto di un rosso acceso, che risplendeva diabolico alla luce lunare. Non era possibile nemmeno scorgervi il fondo, per quanto l’acqua era stata resa torbida. Ebbe un conato di vomito, che trattenne a stento, e tornò a osservare la superficie. In alto un debole rintocco gli fece intendere che il tempo scorreva inesorabile. Quindici minuti a disposizione. Chissà se a quell’ora Andres aveva già vinto la sua sfida, o se magari avesse scoperto anche lui quel terribile futuro.
‘La porta è vermiglia,
allo specchio somiglia’
Maxi osservò il suo riflesso, che tremolava sulla superficie. Possibile che la porta fosse in quel lago? In fondo era una sorta di specchio. Cercò di aguzzare la vista, ma non riusciva a scorgere nessuna porta nel fondo. Era anche vero che non si riusciva a distinguere nulla e lì sotto avrebbe potuto esserci anche un castello sommerso per quel che ne sapeva. La sola idea di immergersi tra tutti quei cadaveri lo nauseava, ma il tempo scorreva, e non vedeva molte altre alternativa. Dieci minuti. Con riluttanza si tappò il naso e si avvicinò alla riva. Immerse un piede, e poi l’altro, quindi lentamente scese, sempre più giù, immergendosi. I vestisti si tinsero di un tenute colore rossastro, e non appena solo la testa era rimasta sul pelo dell’acqua, diede un’ultima occhiata al cielo. Sette minuti.
Sott’acqua era impossibile vedere a un palmo dal naso. Il lago era parecchio profondo, tanto che dopo un po’ Maxi smise di toccare, e fu costretto a nuotare, muovendosi rapidamente con le braccia. Si ritrovò a pochi centimetri da un cadavere dagli occhi spenti, e fu tentato di urlare, ma sarebbe morto annegato, e non si poté concedere quel lusso. Scostando il corpo, continuò a procedere alla cieca. In quel momento nel bel mezzo del fondo fu chiaramente visibile una porta rossa, che ben si adattava al colore del sangue miscelato con l’acqua dolce. Maxi velocizzò le bracciate e raggiunge con la mano il pomello dorato. Spinse ma la porta rimase chiusa. L’ingranaggio sembrava essere arrugginito, e fu costretto a piantare i piedi sul fondo, spingendo verso di sé con tutta la forza in corpo. Un piccolo cigolio attutito dalla pressione dell’acqua, e una serie di piccole bollicine che risalivano velocemente gli fece capire che non doveva mancare molto. Cinque minuti.
Una mano gli afferrò il piede, cercando di allontanarlo. Era bianca e melmosa, ed era ricoperta di sangue. Un corpo tentò di ghermirlo, e più tentava di divincolarsi, più si ritrovava invischiato in un groviglio di cadaveri, che avevano miracolosamente ripreso vita, e tentavano di impedirgli la fuga. Il bisogno di aria cominciò a farsi percepire, e Maxi si ritrovò a scalciare nel tentativo di liberarsi, sebbene quei corpi privi di una volontà fossero piuttosto tenaci. Il pomello della porta si fece sfocato, mentre Maxi strizzava gli occhi, con le guance gonfie d’aria, per un ultimo tentativo. Tre minuti. La mano si strinse intorno al freddo oro, e tirò verso di sé. Due minuti. Un cardine finì per cedere, e la porta si inclinò di poco, risucchiando l’acqua al suo interno, fino a creare un vortice. Anche l’ultimo cardine si ruppe e la tavola di legno rosso finì risucchiata dalla sua stessa creazione. Nonostante le prese dei cadaveri, Maxi finì scaraventato al suo interno, finché un improvviso bagliore non lo accecò del tutto. Un minuto. La clessidra scomparve nel nulla, e la creazione di Future si dissolse come schiuma di mare.
 
Le pareti di quell’arcana sala da pranzo erano bianche. Non un bianco con tonalità che potevano variare dal beige al giallo, bensì semplice, puro. Una tavola lunga era già stata apparecchiata. C’erano quattro posti su un capo di essa, e tre persone conversavano tranquillamente, bevendo da dei calici dorati. Sui loro volti era dipinta preoccupazione, ma non appena lo videro sorrisero allegramente, facendogli cenno di sedersi al loro fianco.
“Avevamo cominciato a temere che non ce l’avessi fatta” disse Libi con un sorriso, riservandogli il posto affianco al suo. Non appena Maxi si fu seduto, sul suo calice si incise la scritta ‘Maxi, Tempi victor’. La tavola era riccamente imbandita, piena di pietanze invitanti, alcune dall’aspetto curioso, che non aveva mai visto, ma non per questo meno succulente. I piatti dei suoi amici erano sporchi, questo voleva dire che loro avevano già fatto man bassa, e lui aveva già l’acquolina in bocca. Si allungò verso un vassoio in ceramica bianca con delle patate soffocate, ma i compagni lo fermarono.
“Dovrebbe stare per arrivare” disse Andres, mentre Dj e Libi cominciarono a lanciarsi nel racconto delle loro mirabolanti prove. Maxi ascoltava silenziosamente, preso dai duri ricordi della sua di prova, che niente aveva a che fare con un passato tormentato come quello di Libi, o con la bolla temporale in cui era finito Dj. Non riusciva a guardare Andres negli occhi, e preferiva tenerli fissi sul piatto lucido, osservando il suo riflesso nitido.
“Andres non ha voluto parlarci della sfida che è toccata a lui” sbuffò la ragazza, una volta finito il racconto. Era particolarmente agitata e non riusciva a smettere di parlare. Non era da tutti sconfiggere il Tempo, ed essere ancora vivi per raccontarlo. Pochi si potevano vantare di essersi seduti al tavolo dei vincitori, e lei era tra questi.
“Te l’ho già detto…era solo una sorta di prova fisica. Qualche fiamma qua e là” rispose con tono evasivo Andres, giochicchiando con la sua forchetta. Era stranamente pensieroso, e non si era nemmeno accorto di Dj che gli aveva fatto una domanda.
“Cosa?” disse distratto, facendo stranire tutti i presenti per quella deconcentrazione che non era tipica del loro leader.
“Dicevo…una volta salvata Emma, dobbiamo continuare per il Castello di Fiori, giusto?” chiese nuovamente il mago. Sembrava particolarmente impaurito al pensarsi dentro quel castello, ma nessuno osò chiedergli perché. Andres fece per rispondergli, ma dal nulla apparvero il Tempo seguito dai suoi fedeli servitori, Passato e Futuro.
“Devo complimentarmi con voi per aver superato le mie sfide” digrignò il Tempo, tutt’altro che felice, anzi parecchio deluso. In fondo sperava che almeno uno della comitiva cadesse nei suoi tranelli, e invece eccoli tutti disposti intorno alla tavola, profondamente soddisfatti, con quei sorrisetti che non facevano altro che innervosirlo sempre più. Ma una promessa era una promessa, e una divinità non veniva mai meno alla sua parola. La sua unica soddisfazione era quella di aver insinuato del dubbio, e soprattutto di aver giocato un po’ con loro paure.
“Quindi ci aiuterai?”. Libi scattò in piedi, e il silenzio avvolse la sua domanda. Si risedette con le orecchie in fiamme, e fissando nuovamente il piatto davanti a sé.
“Certo. Era la mia parola” rispose il Tempo, osservando i presenti alzarsi uno ad uno. “Voglio conferire unicamente con il vostro capo” aggiunse subito dopo, rigirandosi tra le mani una catenina dorata, con una piccola clessidra dello stesso materiale. Passato e Futuro scortarono i vincitori fuori dalla sala, tutti tranne Andres, che invece rimase di fronte al Tempo. Era ancora vagamente perso nei suoi pensieri, ma la tensione di trovarsi di fronte a un Dio aveva pur sempre il suo effetto. Gli occhi gialli dell’uomo incutevano timore, e la sua espressione severa era resa ancora più tenebrosa da un piccolo sorriso vittorioso. Nonostante tutto aveva avuto la sua soddisfazione, prendendosi la rivincita forse più inaspettata di tutte.
Fece ondeggiare il mantello, e porse al ragazzo la catenina.
“Con questa avrai tutto il tempo di cui hai bisogno per salvare la tua amica. Ma attento, ragazzo, perché l’effetto della magia inizia non appena metterai piede nel posto da cui sei venuto, e cesserà nel tempo stabilito” spiegò autoritario. Andres tentennò un po’, forse temendo la possibilità di una sfida celata, ma poi l’afferrò e fece un cenno di ringraziamento.
“Posso andare dagli altri?” chiese fiero, mentre metteva la catena al collo. Sfiorò la piccola clessidra, e abbassò lo sguardo, oscurato da qualche pensiero improvviso.
“Certo…ma tu sai cosa succederà. Hai visto il futuro che spetta ai tuoi compagni” sibilò il Dio, posandogli una mano sulla spalla con una risata crudele.
“Non è stato divertente, è stato orribile, ma quel futuro non si avvererà” ribatté Andres, scoprendosi una manica, e mostrando un braccio pieno di bruciature con un gemito di dolore. Deglutì a fondo, e ritirò giù la manica, stringendo i denti.
“Sai che succederà ciò che hai visto, e ciò che hai vissuto. Il Futuro non fallisce mai. Mai”. La voce del Tempo echeggiò per la stanza, mentre il ragazzo scuoteva lentamente le testa. Non avrebbe lasciato che succedesse, lui l’avrebbe evitato. Nessun sacrificio avrebbe coinvolto uno dei suoi compagni.
“Li proteggerò tutti. Uno ad uno” concluse Andres, superando il Dio, che lo squadrò incuriosito per la tenacia che mostrava quel mortale, e per la sua ostinazione a non credere all’evidenza.
Con quelle ultime parole Andres uscì dalla stanza, seguito con lo sguardo dall’uomo dagli occhi sfolgoranti, anche più del sole, e dai capelli di un tenue castano, costantemente mossi da un vento inesistente.
“Lo vedremo, Andres, vedremo se non sarà come ho predetto per te”.
 
Erano passati quattro giorni, e dopo aver fatto il viaggio per trovare gli ingredienti adatti alla cura di Emma, finalmente i sacerdoti avevano preparato il famoso medicinale miracoloso. Non appena gli venne somministrato Emma sembrò rinascere in punto di morte. I suoi occhi si aprirono di scatto, così come le mani strette in pugni. Il colorito della pelle si riaccese di colpo, e annaspò un po’ prima di tornare a respirare normalmente. Poiché la ragazza avrebbe dovuto attendere al tempio per almeno altri due giorni in modo da rimettersi completamente, e poter almeno camminare senza continui capogiri, si era deciso che colui che avrebbe dovuto farli infiltrare al castello di Fiori li avrebbe raggiunti lì in modo tale da escogitare un piano. Fortunatamente FiordiBianco era distante solo alcuni giorni a cavallo, quindi il loro alleato non avrebbe destato sospetti. Si era accesa inoltre una nuova rivalità: sembrava infatti che la bionda non avesse affatto preso bene l’inserimento di un nuovo membro del gruppo senza la sua approvazione, se poi ci asi agigungeva il fatto che si trattava di un mago, era ancora peggio. Emma odiava la magia più di ogni altra cosa, aveva sempre pensato che fosse qualcosa di diabolico, che andasse estirpato, e Picche, dove la magia era quasi assente, non fosse per la regina, che proveniva però dalle Palude di Jolly, che infatti non riscuoteva la sua completa approvazione, era il suo Regno ideale. Quando era venuta a conoscenza del Pactio era diventata viola dalla rabbia, e da lì il suo trattamento nei confronti di Dj era peggiorato. Libi osserva le continue arrabbiature di Emma divertita, affiancata spesso da un Maxi sempre più cupo in volto.
“Da quando siamo tornati, non dici mai una parola…prima era difficile farti stare zitto un secondo” ironizzò la ragazza, seduta su una roccia rialzata, poco fuori dal tempio, mentre si godeva uno degli ennesimi maltrattamenti di Dj, costretto a correre di qua e di là per soddisfare ogni esigenza della bionda, che adduceva ad ogni ordine il pretesto che fosse assolutamente necessario per la sua completa guarigione. E si divertiva a richiedere le cose più impossibili.
“Che ha chiesto questa volta?” sghignazzò il ragazzo, sedendosi affianco, e godendosi la leggera brezza mattutina.
“Un pollo. Dj sta per impazzire, poverino” rise Libi, aspettando il momento giusto per intervenire e placare i bollenti spiriti. “Ma stai eludendo la mia domanda…cosa hai visto nella tua sfida?”.
Maxi rimase in silenzio, torturando l’elsa della spada, rinfoderata. Il cristallo nero si riflesse nei suoi occhi scuri, e la compagna capì che insistere sarebbe stato vano. Rompere quel muro del silenzio non le era possibile, inoltre era certa che di qualsiasi cosa si trattasse non doveva essere particolarmente piacevole, e non le dispiaceva essere ignorante di tanto in tanto.
In lontananza si vide un cavallo, un baio grigio, avanzare velocemente. Andres uscì dall’entrata del tempio ed andò incontro alla figura in lontananza, che si avvicinava sempre più. Un mantello viole scuro, dai bordi rossi, sicuramente pregiato, volteggiava, inghiottito nel vento, mentre la persona in cima al cavallo, era chinata in avanti, protesa, cercando di mantenere un’andatura sostenuta. L’animale cominciò a rallentare su ordine del padrone solo in prossimità dell’imponente tempio. Il misterioso cavaliere aveva il volo coperto da un lembo del mantello, ma due occhi scurissimi, come il carbone, scrutavano tutti i presenti, che si erano radunati intorno a lui.
“Tienimi il cavallo” ordinò con voce autoritaria, passando le redini a Maxi che era alla sinistra. Con un balzo atterrò con precisione, senza scomporsi un secondo, e lasciò che la sua identità venisse fuori, lasciando tutti basiti. Si trattava di un giovane, dai lineamenti un po’ spigolosi, ma comunque di una bellezza innaturale. I capelli corti e di un castano scuro erano rialzati sulla fronte formando un curioso ciuffo, ma l’espressione severa e affaticata lo rendeva tutto tranne che buffo.
“Federico Acosta, per servirvi” disse il ragazzo, afferrando le briglie da un Maxi ancora scosso, e avanzando verso i sacerdoti. Non li guardava in faccia, a quanto pare non era tanto interessato all’esito di quella missione quanto ad altro.
“Sei tu che ci farai entrare al castello?” lo interrogò Andres, sospettoso. Osservò gli indumenti dello straniero ed era chiaro che fosse un nobile. Quanto ci si poteva fidare di qualcuno così vicino alla corona?
“Pablo mi ha spiegato tutto…e so della vostra missione” disse semplicemente Acosta, facendosi strada tra i corridoi di pietra. Come se avesse intuito i suoi dubbi, si affrettò ad aggiungere: “No, non ho nulla che vi possa assicurare di essere degno di fiducia, ma non vi resta che credere alla mia parola, e al fatto che sia riuscito a trovarvi”. Si precipitò nella prima stanza aperta, scavata nella roccia, e tirò fuori una pianta del castello di Fiori, che appoggiò su un tavolo. Broadway, Libi, Maxi, Emma e Andres lo fissavano confusi.
“Questa è la pianta. Tra pochi giorni al castello si terrà una festa, e io ho fatto in modo di procurarvi gli inviti. Voi due vi fingerete un conte con la moglie, di cui mi sono assicurato l’assenza per non crearci problemi” spiegò velocemente, indicando Andres e Libi, che si guardarono per qualche istante, prima di distogliere lo sguardo imbarazzati. Emma osservava il tutto con aria disgustata, e alzò prontamente la mano.
“Io propongo di fingermi la contessa. In fondo sono figlia di nobili, e chi meglio di me conosce le buone maniere a corte?” propose, lanciando una frecciatina alla mora, che drizzò la schiena, sentendosi chiamata in causa. Federico invece sospirò, e si portò una mano alla fronte. C’era qualcosa di strano in quel ragazzo, qualcosa di anormale. Voleva perdere meno tempo possibile, ma il motivo era ancora ignoto.
“No, non funzionerebbe. Ti confonderai tra la servitù…proprio perché sei figlia di nobili esiste la remota eventualità che anche alla corte di Fiori tu sia conosciuta da qualcuno. Troppo rischioso. Allora, il piano è questo. Ci intrufoleremo nel castello, e io vi porterò nell’ala a cui viene proibito l’accesso e in cui credo si celi ciò che cercate”. Si fece improvvisamente pallido: il bello doveva ancora arrivare.
“Una volta lasciati lì, voi recupererete il famoso oggetto dell’armatura, ma da lì in poi vi dovrete arrangiare da soli” concluse, indicando alcuni punti sulla mappa. Da un piccolo borsino in pelle che portava a tracolla tirò fuori una copia fedele della carta che possedeva lui.
“Studiatela, memorizzatela. Le vie di fughe sono qui e qui”. Indicò una lunga scalinata che portava probabilmente alle cucine e agli appartamenti della servitù, e il salone principale, ben più rischiosa come via di fuga. “Sul retro vi ho scritto tutti gli orari del cambio di guardia. Dovrete memorizzare anche quelli”. Ripiegò tutto ciò che aveva tirato fuori con cura, e lo ripose nel borsellino.
“Stasera faremo delle prova per i novelli sposi, nonché nobili. Dovrò fare in modo che siate quanto meno credibili”. Indicò con lo sguardo un baule che era stato portato dai sacerdoti, prima legato su un fianco del cavallo. La stanza si svuotò lentamente, mentre tutti borbottavano qualcosa sulla comprensibilità o meno di quel piano tanto grossolano quanto pieno di rischi. Ma d’altronde la missione si era fin da subito ricca di incognite e non dovevano fare altro che aspettare e sperare.
“Broadway, ti è caduta questa!” strillò Maxi, rincorrendo il compagno con una moneta dorata. L’altro sgranò gli occhi e gli strappò di mano la preziosa moneta, che doveva essergli scivolata dalla tasca. Maxi rimase sorpreso dalla foga con cui Broadway aveva ripreso ciò che era suo, ma non vide il terrore che aveva attanagliato l’amico al pensiero di poter essere stato scoperto per un suo errore.
“Cosa ti spinge ad aiutarci?”. Erano rimasti solo Federico e Andres nella stanza, e il silenzio logorava il conte Acosta, sinceramente spiazzato da quella domanda.
“Ho sempre fatto il doppio gioco fin da quando Natalia ha preso il potere; già allora avevo numerosi contatti con Pablo Galindo, re di Picche. Ho continuato a restare a palazzo perché sapevo che avrebbe avuto bisogno del mio aiuto presto o tardi…e quel giorno è arrivato”.
“Ma non è solo questo…c’è dell’altro”. Minuto di silenzio. Federico ponderava la risposta da dare.
“Stai cercando di farmi un interrogatorio?” scoppiò a ridere il conte, celando tutto il suo dolore dietro gli occhi scuri in un’espressione imperturbabile, ma anche divertita.
“Voglio solo conoscere colui a cui affiderò la mia vita e quella dei miei compagni. Non mi sembra così sbagliato” rispose il leader serio. Federico scosse la testa, quindi tornò a fissarlo dritto negli occhi.
“C’è qualcuno che devo salvare”. Con quelle ultime parole, uscì dalla stanza. E Andres capì che ci aveva visto giusto: quel ragazzo gli nascondeva qualcosa, e forse era quel qualcosa l’unico motivo che lo avesse spinto ad aiutarli.
Federico era stanco di indossare una maschera. Ci aveva provato ad identificarsi con essa, ma aveva fallito miseramente. E bastava anche il solo pensiero della Regina Francesca a demolirlo come persona. Era sempre stato un ragazzo deciso, in grado di non guardare in faccia a nessuno per i suoi scopi, ma Francesca…lei era la sua debolezza. Più lo odiava, più si sentiva ferito, ma l’amore che sentiva nei suoi confronti non si era affatto affievolito con il passare del tempo, anzi era diventato talmente devastante da rischiare di farlo impazzire per il dolore. Il suo piano era semplice e conciso: approfittare del caos che si sarebbe scatenato con la scoperta dei rivoluzionari, perché prima o poi sarebbero stati scoperti, viste le numerose ed infallibili difese a protezione dell'elmo magico, per liberare Francesca e tentare la fuga insieme a lei. L’avrebbe portata al confine con il Regno di Picche, nella speranza di non essere scoperti.
 
“Libi è in ritardo” sbottò Federico, facendo avanti e indietro nella stanza dove il giorno prima aveva iniziato ad illustrare il piano. Picchiettava con una bacchetta di legno sulla mano, innervosendosi sempre di più. Non c’era tempo da perdere, doveva essere tutto perfetto prima della sera della festa organizzata dalla regina di Fiori. Nata era sempre stata molto attenta ai dettagli, e per questo non poteva trascurare nulla di nulla. Libi entrò di corsa nella stanza, col fiatone.
“Scusate il ritardo…” ansimò, piegandosi sulle ginocchia e cercando di riprendersi dall’affanno.
“No, cominciamo già male” disse il conte, dandogli una bacchettata sulle gambe e facendola rizzare in piedi. “Schiena dritta, e portamento fiero. Su con quelle spalle, guarda dritto davanti a te, non fissare il pavimento, non nasconde niente di interessante”. Federico si presentò fin da subito come un insegnante severo e inflessibile. Dopo aver dato loro alcune nozioni di base sul comportamento, e sul giusto modo di salutare un invitato a corte, gli passò dei tomi, dicendogli che dovevano impararne il contenuto a memoria; erano tutte le più importanti linee genealogiche di Picche.
“Dovrete conoscere alla perfezione in particolare quella degli Herrero, visto che vi fingerete i coniugi Herrero” spiegò aprendo uno dei due libri e mostrando un albero genealogico ricco di nomi minuscoli e articolati. Libi deglutì: studiare non era mai stato il suo forte, anche se fin da piccola si era mostrata molto vivace intellettualmente. Ma dalla scuola del suo villaggio natale, dove tutt’al più si imparava a fare i conti, a tutte quelle nozioni da digerire in poco tempo…non si sentiva affatto in grado di assolvere al compito che le era stato assegnato.
“Perfetto” rispose al posto suo Andres.
“Ci sarà anche della musica e si potrà ballare. Come ve la cavate con il valzer?”. Entrambi diventarono tesi, e arrossirono, quindi scossero la testa.
“Io non so ballare, sono una frana” mormorò il leader, per la prima volta intimidito.
“Non ho mai imparato” rincarò la dose la mora, lasciando il conte Acosta sbalordito.
“D’accordo, d’accordo, vi insegnerò io” disse l’altro, spostando il tavolo che si trovata al centro della stanza, e facendo un cenno ai due presenti, affinché si posizionassero dove diceva lui.
“Non è difficile, basta fare un passo dietro, uno avanti, e uno di lato” spiegò, posizionando la mano di Andres, sul fianco di Libi. Entrambi non proferivano parola, e guardavano in punti imprecisati della stanza, pur di non rendere palesi le proprie emozioni. La mano di Andres tremava, ma Libi se ne accorse appena, troppo presa a non lasciarsi guidare dall’istinto, che le chiedeva di gettarsi tra le braccia del ragazzo. Si ricordò delle attenzioni che Andres aveva riservato in passato ad Emma, a cui aveva poi trovato una motivazione che nulla aveva a che fare con l’amore. E lei? Lei cos’era per Andres? Davvero era relegata all’amica, alla confidente, con cui poteva sfogare tutta la sua frustrazione e il suo dolore per la perdita del fratello? Il loro rapporto era sempre stato costituito da alti e bassi, da arrabbiature continue, finite sempre con una risata sincera da parte dei due, ma mai come in quel periodo sentiva Andres tanto distante. Federico batté le mani, riscuotendola di colpo.
“Adesso io vi segnerò i tempi battendo le mani, e voi vi muoverete in base ad esso. Ricordate che vi ho detto, e seguite sempre i movimenti dell’altro”. Cominciò a battere nuovamente le mani, prendendo dei tempi predefiniti, gli stessi di un valzer. Andres si mosse, impacciato più che mai, e calpestò il piede dell’amica, che trattenne un urlo.
“S-scusa” si scusò, balbettando. Non aveva mai visto Andres tanto confuso e mortificato in vita sua, e per poco non le venne da ridere. Sembrava un cucciolo indifeso. Era in grado di fare fuori i mostri più inquietanti, poteva vincere pericolose sfide contro un Dio, ma non era in grado di eseguire un semplice ballo. Forse era proprio quello che lo rendeva tanto speciale, e così simile a lei.
“Non preoccuparti, devi solo rilassarti” gli bisbigliò all’orecchio. Per farlo poggiò le mani sulle sue spalle e si alzò in punta di piedi. La presa del ragazzo si fece più salda, portando i loro corpi a poca distanza l'uno dall'altro. Andres la guardava rapito da qualcosa, qualcosa che vedeva nei suoi occhi. Libi non seppe che cosa dire, rimase semplicemente paralizzata.
“Riproviamo” li interruppe il conte Acosta, facendoli avvampare. La seconda volta le cose andarono un po’ meglio, anche se Andres rimaneva fin troppo impacciato. Dopo ben due ore di prove si poteva dire che erano in grado di ballare un valzer, e per quel giorno Federico si ritenne soddisfatto.
 
I due bambini osservavano il salone addobbato per le feste. Francesca aveva gli occhi che brillavano, emozionata al solo pensiero della musica e dei balli che avrebbero vivacizzato la tenuta quella sera.
“Non vedo l’ora che un principe mi inviti a ballare” esclamò elettrizzata, sognando ad occhi aperti. Federico ridacchiò e fece qualche passo indietro.
“Penso che una ragazza maldestra come te gli cascherebbe come minimo addosso!” la canzonò, facendola diventare rossa di rabbia.
“Sei solo invidioso, perché il mio sposo sarà incredibilmente perfetto” rispose a tono.
“Chi, il tuo amico invisibile?” sghignazzò l’altro sull’orlo delle lacrime per il gran ridere.
“Io…io…”. Francesca non sapeva come ribattere, ma continuava a stringere i piccoli pugni, e a guardare adirata l’amico. Come si permetteva a trattarla in quel modo e a prendersi gioco di lei?
Una manona si poggiò sulla sua testa arruffandole i capelli.
“Che succede qui?” domandò un ragazzo, nella sua tenuta regale. Aveva i capelli scurissimi, e una barba ben curata. I suoi occhi erano più scuri di quelli del figlio dei conti Acosta, e li scrutavano dall’alto divertiti.
“Luca!”. Francesca era ormai certa di aver trovato il suo protettore. Luca, il fratello, aveva sempre esaudito ogni sua piccola richiesta, non avendo mai nascosto il debole che aveva per la sorellina. Era molto protettivo nei suoi confronti, e la difendeva a spada tratta sempre e comunque, anche quando commetteva delle malefatte poco ben viste dai genitori. Francesca si aggrappò alla gamba di quello che le pareva quasi un gigante, e  cominciò a piagnucolare.
“Federico mi tratta male. Dice che nessuno mi sposerà mai!”. Luca scoppiò a ridere, e prese in braccio la sorellina, facendola volteggiare.
“Purtroppo per te, sorellina, Federico ha ragione. Non ti sposerai mai, perché io non permetterò a nessuno di avvicinarsi al mio tesoro!” esclamò, schioccandole poi un bacio sulla guancia.
“E in quanto a te” disse poi rivolgendosi al bambino, che già si aspettava una bella sgridata. “Quando vedrai la mia sorellina crescere, capirai che è il fiore più bello e delicato di tutti, e che per questo va protetto da chi vuole coglierlo”. Federico arrossì fino alla punta delle orecchie, mentre il principe di Fiori gli faceva un occhiolino volutamente ambiguo. “Se non l’hai capito già, visto che stai sempre in compagnia di questo mostriciattolo” aggiunse divertito, facendo volteggiare ancora la piccola Francesca.
“Non sposerei mai una ragazza tanto…scorbutica” disse Acosta. Fece la linguaccia e scappò via, seguito dalla voce dell’amica che lo chiamava. Le insinuazioni di Luca gli avevano dato non poco fastidio. Si divertiva a far prendere alla principessa dei piccoli colpi, nascondendole delle rane sotto il cuscino, o con altri divertenti scherzi. A lui non piaceva Francesca. Insomma…erano ancora piccoli, e per di più non andavano quasi mai d’accordo. Poteva l’amore essere non solo irrazionale, ma anche tanto stupido?
 
Salvarla da quella prigione era ormai il suo chiodo fisso, e non pensava ad altro. Voleva rivivere con lei quei ricordi, voleva vederla sorridere, voleva che le urlasse contro come quando erano piccoli. E sa da piccolo aveva pensato che l’amore fosse stupido, adesso si aggrappava ad esso disperatamente; era l’unica fonte di energia che gli aveva impedito di impazzire. Il suo crudele doppio gioco, seppur necessario, aveva condannato all’infelicità l’unica persona che per lui contava davvero. La sua stanza, fatta preparare dai sacerdoti, era, come aveva immaginato, molto semplice e sobria. A parte il letto c’era solo un modesto armadio, con un piccolo sgabello. Federico si tolse la giacca di velluto, e si gettò sul letto a peso morto. Quella giornata era stata durissima, ed era solo all’inizio. Quei due erano tanto vicini a somigliare dei nobili quanto la possibilità che Picche e Cuori si alleassero. Sospirò, e tornò a concentrarsi sul suo obiettivo: salvare Francesca.
 
Dj era chiuso nella sua stanza, a meditare. Si avvicinava sempre di più il giorno in cui avrebbe messo piede nel castello di Fiori, la prigione di tutti i maghi. E di suo padre. Se si fossero incontrati avrebbe dovuto combattere contro di lui, entrambi vincolati da un Pactio…Ma non era solo il pensiero del padre a terrorizzarlo. Avrebbe rivisto una persona, a cui in passato era stato molto legato, ma che aveva tradito il loro ordine, alleandosi spontaneamente con la regina Natalia ancora prima che prendesse il potere.
“Chissà se la incontrerò” mormorò, guardandosi i palmi delle mani. Sentiva una forte magia fluirgli nelle vene, e si sentiva più sicuro della sue abilità da quando era dentro quello strano quanto variegato gruppo. Ma sarebbe stato abbastanza per batterla?
Sebbene fosse maturato come mago la risposta era più che ovvia: no, non sarebbe stato in grado di farcela. E forse non ce l’avrebbe mai fatta. 














NOTA AUTORE: Allora, capitolo interlocutorio, ma pieno di domande...ripercorriamo le tappe più importanti. Maxi supera la sua sfida, ma nonostante la vittorie del gruppo sul Tempo c'è tutt'altro che da stare allegri. Non solo Maxi vede qualcosa nel futuro, ma anche Andres, qualcosa di cui non siamo a conoscenza, ma che riguarda i suoi amici. E per chiarire questo dubbio, dovremo aspettare di arrivare alla mini-saga di quadri...e per allora molte cose saranno cambiate. Ma non anticipo nulla ù.ù Fatto sta che riescono a portare a termine il salvataggio di Emma, che già non vede di buon occhio Dj, e si diverte a strapazzarlo, povero :( Ma ecco arrivare anche Federico, che entra in scena, ed è colui che deve far infiltrare i ragazzi, per recuperare il fatidico elmo, un pezzo dell'armatura di cristallo. Ohhhh, finalmente ci avviciniamo all'azione ragazzi. Ci saranno scontri e improvvisi combattimenti, prepariamoci, ma a Fiori ci attende tutt'altro che una tranquilla festa a palazzo :P Mentre Federico continua a ripercorrere il SUO piano, Dj teme non solo il padre, ma anche qualcun altro in quel castello...chissà di chi si tratta. Molti scontri e incontri nel prossimo capitolo :P Grazie a tutti voi che leggete/recensire, e ci tengo a scusarmi visto che non ce l'ho fatta a rispondere alle vostre splendide recensioni, ma non ho proprio avuto tempo :/ Chiedo perdono, spero che non accada più :( Vabbè, buona lettura a tutti, e alla prossima! 
syontai :D 
  
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