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Autore: MayaSorako    09/04/2014    1 recensioni
Titolo precedente: "Un sole tutto mio"
In una mattina come un'altra, la città attende il sorgere del Sole per cominciare una nuova giornata; nessuno può sapere che stavolta non succederà.
L'Apocalisse si avvicina, e non è la prima volta.
In quella che in un tempo lontanissimo fu la leggendaria terra di Luminaes, c'è chi da una vita lotta disperatamente per salvare questo mondo maledetto da una fine predestinata. Ma c'è anche chi, questa stessa fine, la attende con trepidazione e impazienza, e spera in una rinascita che possa portare nuova luce alla sua buia esistenza.
E poi, esattamente nel mezzo, c'è Dia.
Dia è una ragazzina solitaria, a cui basta poco per essere felice: la sua amata terrazza ed il Sole. Non sa niente di questa Apocalisse, né di chi sia lei in realtà o di quale imponente fardello le sue esili spalle dovranno portare da quel terribile giorno. Suo malgrado, rimarrà coinvolta in una Profezia e in un conflitto molto più grandi di lei ma, in questo intenso viaggio, non sarà sola.
Questo mondo condannato a perire dalla sua stessa nascita, può davvero essere salvato?
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"Perché niente è più spaventoso che l'essere in due, soli."
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il caffè rimasto in sospeso e la discussione enigmaticamente troncata erano l'unica compagnia di Alida in quel silenzioso corridoio del Centro Operativo. Passeggiava avanti e indietro, instancabille, mormorando fra sé e sé frasi sconnesse ed inudibili per l'orecchio umano. I suoi passi riecheggiavano nell'ambiente spoglio e, come questi ultimi, pensieri si susseguivano uno dopo l'altro, nella mente della ragazza, senza dar cenno di apprestare a fermarsi.

Ma che gli è preso a quei due? Congelare l'atmosfera in quel modo, dopo esser stati così sdolcinati... Sempre persi nel loro mondo, a parlare di cose che non capisco... Se solo mi dicessero come aiutarli, io-

 Sì fermò di colpo, il rumore dell'ultimo impatto del tacco della sua scarpa destra più forte rispetto a tutti gli altri, quasi a zittire quel vorticoso ronzio che infestava le sue orecchie. Nella quiete più totale, si guardò la punta dei piedi con sguardo avvilito: l'anonima luce della bianca lampadina del corridoio neanche vi si rifletteva, come decisa ad ignorarla, nonostante si ostinasse a proiettare la sua ombra sul pavimento. 

No: anche se fosse, probabilmente sarebbe meglio starne fuori ugualmente... Io non sono come loro. Non sono Granada. Non sono Zeno.

"Ali?" chiese improvvisamente una voce con tono preoccupato, riuscita per miracolo a richiamare la sua attenzione.
"Zeno?" ribattè stupita riconoscendo il giovane uomo dai penetranti occhi verdi di fronte a lei. Ecco, ho di nuovo perso la cognizione del tempo.
"E' da un po' che cammini avanti e indietro con lo sguardo perso bisbigliando tra te e te; è tutto ok?" Bene, domanda imbarazzante pensò Alida: fu soltanto in quel momento che tornò finalmente in sé e si rese conto della situazione in cui era stata beccata.
"Cosa?! No- io ero... Stavo solo..." Era difficile trovare una giustificazione razionale per quell'atteggiamento, e il tono con cui aveva reagito era decisamente troppo acuto e sospetto per andare a suo favore. Ci pensò per qualche secondo, fissando Zeno che a sua volta la osservava, in attesa, a meno di tre passi da lei. "Riflettendo" affermò infine decisa, con la verità dalla sua parte. Qualche altro secondo passò, mentre entrambi attendevano che l'uno o l'altro aggiungesse qualcosa e, alla fine, fu il giovane a rompere il silenzio.
"Ali... se sei turbata riguardo a prima, sappi che non devi preoccupartene." Ma le sue buone intenzioni non raggiunsero l'amica, e quelle parole le lasciarono un retrogusto terribilmente amaro.

"Non sono affari tuoi". 

Ma Alida era certa che Zeno non sarebbe mai stato capace di dire niente di simile, a lei.
"D'accordo" disse, sforzandosi di sorridere e di passare oltre quell'argomento. "La Portatrice come sta? Mi chiedo come abbia preso quella notizia..." Il ragazzo sussultò, apparentemente messo a disagio dalla questione. Spostò lo sguardo dalla collega più giovane di un paio d'anni al fondo del corridoio.
"Non ho avuto modo di andare a controllare" rispose con tono neutro.
"Ma tu avevi-"
"Ho detto non preoccupartene."
La tensione nella sua voce era tanto palpabile quanto incomprensibile. Mentre la ragazza si domandava cosa avesse detto di male, Zeno si mosse verso la porta dell'ufficio e si fermò a fissarla intensamente, come se riuscisse ad oltrepassarla e, guardando dentro la stanza, a vedere qualcosa che a chiunque altro sarebbe sfuggito. 
"E' ancora dentro" comunicò Alida, combattendo quei sentimenti così terribilmente ostili e inappropriati che si stavano accumulando dentro di lei. "Sembrava turbata, penso che dovresti parlarle." Era stata sincera, ma il fastidio che ciò le aveva provocato era insopportabile.
"No, adesso non è il caso" disse Zeno. Fu perentorio, freddo. Rimase immobile a rimuginare per qualche momento, pensieroso, poi si voltò nuovamente verso di lei. "Avrei bisogno di un favore, Ali" annunciò, titubante, corrugando la fronte. Lei ne rimase sorpresa: quel ragazzo non era qualcuno solito chiedere aiuto, del resto.
"Qualunque cosa." Accettò all'istante, sfoggiando il sorriso più felice e luminoso del suo ultimo anno.
"Potresti... tenerla d'occhio?"

Le sue speranze svanirono così com'erano comparse: in un battito di ciglia, come un colpo di fulmine in una notte senza nuvole; un lampo di luce improvviso che toglie il fiato e scompare in un istante, senza lasciarsi ammirare, che dietro di sé lascia solo l'abbaglio di ciò che sarebbe potuto essere.

"Parli di Granada?" domandò, cercando di nascondere la sua avversione per quell'idea. "E perché mai?" aggiunse, inoccultabilmente astiosa, quando Zeno tardò a rispondere. "E' perfettamente in grado di badare a sé stessa; non vedo in che modo potrei esserle di aiuto!"
"Lo so. E questo, infatti, non è ciò che ti sto chiedendo." Alida continuava a non capire. Scrutò attentamente i suoi occhi, alla ricerca di un chiarimento: la luce della lampadina - anonima, sì, ma forte sopra di lui - faceva risaltare innumerevoli sfumature di castano e dorato sullo splendido verde dominante; erano davvero bellissimi. Ma questa volta erano anche combattuti, severi, tormentati. Fu allora che la ragazza riuscì ad intravedere, solo per un istante, una paura che aveva già avuto modo di conoscere tempo prima, ed era ancora fresca nella sua memoria.

 
                                                               /nda: Courier new (vedi il dialogo subito sotto) è il carattere di un breve momento flashback.
 
"Zeno, chi è quella ragazza? Perché l'hanno portata qui?"
"Non ti serve saperlo, stalle lontana. E' pericolosa."

Un nodo le occluse la gola all'improvviso. Non ci voleva credere, non era possibile.

"Mi stai forse chiedendo... di controllarla, Zeno? Vuoi davvero... che la spii?" Il tremolìo nella sua voce e l'incontenibile stupore della sua espressione impedirono al giovane uomo di darle la propria risposta, facendo crescere ancora di più il proprio timore e quello dell'amica d'infanzia. Lei raccolse tutto il suo coraggio per chiedere quello che realmente voleva sapere.
"Zeno, me lo stai chiedendo perché... Forse, tu... pensi che lei sia ancora-"
"No" la zittì, istintivamente, prima che dicesse le parole che lui non avrebbe sopportato sentire pronunciare e che, celate nel suo cuore, erano già così difficili da perdonare. "Lascia perdere e dimentica tutto" disse, quasi implorandola. Ma quella richiesta non sarebbe bastata a placare le preoccupazioni credute sopite che, dopo quella discussione, erano così impetuosamente riemerse in superficie.

 
"Ali, dimmi che le starai lontana. Promettimelo."

"Le parlerò" disse, in un sussurro, ma con la solennità di un giuramento. "Parlerò a entrambe. Solo... non adesso."

"D'accordo, te lo prometto."

"D'accordo" annuì lei sorridendo; ancora una volta senza capire, ancora una volta volendo rassicurarlo.
Ma oggi sarà diverso.

"Senti, Zeno... Quel libro di prima, lo porti ancora con te?"
"Oh" reagì lui di riflesso. "Sì, ce l'ho qui. Devo averlo preso senza pensarci."
"Perfetto! Posso posarlo io se vuoi, già che ci sono. Sai, visto che non sembri in vena di incappare in tu sai chi ora come ora..." Il ragazzo esitò, guardandola come se fosse appena stato minacciato.
"Che ti prende adesso? Io dicevo così, per dare una mano... So quanto è pesante un libro come quello: portarselo dietro dev'essere un fastidio, e ti conosco; non saresti capace di lasciarlo in giro, fuori posto. E visto che avevi detto che ti è inutile, io..." Zeno cambiò espressione: da circospetto diventò stupito, e lo stupore gli provocò una breve risata che lasciò poi, sul suo volto, un velo di rammarico. Sono la paranoia personificata, eh? 
"Certo, hai ragione; tieni." Riprese in mano il misterioso tomo - che davvero pesava, e non poco - e glielo passò garbatamente. Lei lo ricevette con forse un filo di gioia di troppo.
"Lo sistemerò nello stesso posto da cui l'ho preso e lo segnerò tra i testi che abbiamo già ricontrollato" promise raggiante. Lui ricambiò dolcemente il sorriso.
"Grazie Ali; sei un vero angelo." La ragazza arrossì violentemente, e fece impacciatamente cadere di mano ciò che le era appena stato affidato; i suoi tentativi di ricomporsi furono inutili e Zeno si congedò in fretta per cambiare aria. Lei lo osservò allontanarsi con tenerezza, mentre recuperava il libro - e anche un po' di dignità - dal pavimento. Si rimise in piedi, lo strinse forte al petto, e giurò a sé stessa che quel giorno avrebbe cancellato per sempre la propria inutilità.



Se quella chiacchierata lo avesse tranquillizzato o meno, Zeno non riusciva a comprenderlo. Certo, quel gesto gentile era riuscito a far breccia sulla sua incertezza, ricordandogli che in questo mondo aveva ancora qualcuno di cui potersi fidare; ma quella odiosa sensazione, la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato dentro e intorno a lui, non era in grado di togliersela di dosso. Non sapeva se fosse soltanto quella paranoia, la pressante atmosfera apocalittica che lo seguiva ovunque andasse, la sua camicia sgualcita ancora impregnata della puzza di sangue e morte, o il fatto che per la prima volta, dopo lunghi anni trascorsi a respirare la stessa aria e a vivere l'uno attraverso gli occhi dell'altra, non riusciva più a sentire Granada accanto a sé. Era diverso da quando lei gli aveva dato l'impressione di aver perso la fiducia in lui; perché, nonostante ne fosse rimasto ferito, in cuor suo sapeva che in un modo o nell'altro ci sarebbe sempre stata. Ma adesso, adesso "in un modo o nell'altro" non andava bene. Adesso, ciò di cui aveva più bisogno era una sicurezza che gli era stata strappata via all'improvviso. Ma poteva davvero lasciarsi sconvolgere in questo modo, e in un momento simile? Poteva seriamente mettere in dubbio la lealtà di una persona che aveva creduto di conoscere meglio di sé stesso, a causa di poco più di una manciata di parole scritte? 
Si sarebbe risposto di no, ma non avrebbe risolto niente; non avrebbe messo fine a quell'agonia. Sarebbe dovuto andare da lei ed affrontarla a viso aperto, porlequella domanda e chiederle una risposta sincera... Ma gli mancava il coraggio, non se ne sentiva in grado: non era neanche stato capace di affrontare una ragazzina che conosceva da nemmeno una settimana, in fondo. Ma soprattutto... quella risposta, lui la temeva.

Perché avrebbe potuto dargli ragione.

E perché, se si fosse sbagliato, quelle parole non avrebbe potuto rimangiarsele.

Si domandò come Granada avrebbe reagito, che espressione avrebbe avuto nel momento in cui lui avesse praticamente gettato nella spazzatura tutto il tempo che avevano trascorso fianco a fianco. Si domandò se ne avrebbe sofferto. Si domandò se sarebbe stata in grado di dimenticare, così come aveva già fatto una volta. Si domandò se, forse, lei avesse già capito tutto nel preciso istante in cui quel tormento aveva avuto inzio, e ne stesse già soffrendo; in silenzio... Da sola... In quella stanza disordinata...

"Granada..." 

"Flirtare così sconsideratamente con una donna mentre stai pensando ad un'altra... Non è carino per niente, sai? Non che tu sia mai stato un gentiluomo..." 
Zeno trasalì. Quel flusso di mesti pensieri era infine sfuggito al suo controllo, forzando proprio quel nome fuori dalla sua testa, inconsapevolmente di fronte a qualcuno che presumibilmente aveva assistito sia alla sua conversazione con Alida che al suo masochista monologo interiore. La voce di quel qualcuno era rauca, soffocata, graffiante; il prodotto delle corde vocali consumate di un cantante heavy metal forse, o forse quelle di un banale fumatore incallito; ma l'uomo che gli si poneva davanti - per quanto Zeno ne sapesse, almeno - non era né l'uno né l'altro. 
"Di che stai parlando?" chiese semplicemente con il suo solito professionale tono impassibile.
"E neanche te ne rendi conto!" Il suo interlocutore rise. "In fin dei conti, un topo di biblioteca resterà sempre un topo di biblioteca, anche se lo si sbatte fuori e lo si abbandona in mezzo a una strada per un decennio." Si portò la mano destra al volto e scosse la testa, atteggiandosi comicamente pensieroso e contrariato, come a voler sottolineare la presa in giro delle sue parole. Zeno sbuffò indifferente, sfoggiando un'espressione lievemente seccata. I due si incamminarono poi insieme, di tacito accordo, in direzione del traballante ed obsoleto ascensore dell'edificio. "Oh, grazie della calorosa accoglienza comunque" esordì a un tratto quell'uomo mentre chiudeva con cautela le ante cigolanti del mezzo, simulando un tono commosso. "Non dovevi... Davvero... Non disturbarti."
"Sei tornato per origliare le private conversazioni altrui, Indro?" Zeno non era decisamente in vena di sarcarsmo quel giorno.
"Quindi è colpa mia se ho un tempismo impeccabile e un udito fuori dal comune?" domandò in risposta l'altro, sorridendogli beffardo. Lui si girò dall'altra parte, nel tentativo di ignorarlo, sperando che comprendesse che era ora di smetterla e, in qualche modo, il messaggio arrivò a destinazione. "Siamo sottopressione, eh? Signor Salvezza Dell'umanità?" Incredibilmente il suo tono si era fatto più serio.
"Si trattasse soltanto di quello... Mi sembra che tutto mi stia sfuggendo di mano tutto insieme; e non riesco a fare niente per evitarlo, se non peggiorando le cose." E più ci pensava, più la situazione gli sembrava senza speranza e senza uscita.
"Brutta storia... Mi era sembrato che ci fosse un po' troppo parapiglia da queste parti quando sono arrivato. Ho sentito che avete trovato la Portatrice, e poi anche che un tizio si è tagliato la gola con una chiave... Un modo piuttosto inquietante di morire, oserei dire."
"Non un tizio: Arci" puntualizzò Zeno con amarezza. Il suo interlocutorè sgranò gli occhi, costernato.
"Che?! Quell'Arci?! Il vecchio Arci che rimproverava per ore ed ore chiunque fosse stato beccato a schiacchiare un moscerino o a raccogliere un fiore, dispensando prediche sul valore della vita e-" Quella improvvisa svolta gli causò una serie di rumorosi colpi di tosse che non sembravano voler cessare, tanto che il suo collega pensò seriamente che stesse per morire soffocato. Ma Indro si ricompose in qualche modo, e gli fece cenno di stare bene. "Insomma, vuoi prendermi in giro?"
"Ti sembro il tipo che scherzerebbe su una cosa del genere?"

La risposta sarebbe stata ovvia a chiunque.

Un breve silenzio scese tra i due, mentre l'uomo appena ritornato tentava di digerire quella notizia. Uscirono lentamente prima dall'ascensore e poi dal Centro Operativo, fermandosi sotto un cielo stellato un po' fuori orario. Quelle lucine brillavano più che mai, adesso che si trovavano ad essere le sovrane indiscusse del cielo; erano un vero spettacolo. Un vero, terribile spettacolo.

"Le avevo detto che con noi sarebbe stato al sicuro..." disse allora Zeno stringendo i pugni. L'altro gli lanciò un'occhiata confusa, bisognosa di chiarimenti.  "Alla Portatrice intendo; e continuo a ripetermi che sarei dovuto andare da lei immediatamente e prendermi la responsabilità delle mie parole, ma l'unica cosa che riesco a pensare, a riguardo, è che non posso essere io colui che glielo dirà..."
"Non puoi? Oppure non vuoi esserlo?" domandò Indro senza malizia, ma con una punta di ostilità nella voce. Il giovane uomo rispose con un lungo sospiro carico della vergogna che provava verso sé stesso.
"Quindi è questo il problema, il conflitto interiore che ti attanaglia?"
"Diciamo che c'è anche questo..." E così dicendo venne di nuovo sommerso dalla sua preoccupazione primaria. Indro se ne accorse subito; in quel momento si trovava davanti ad una persona trasparente, disarmata, diversa da quella che conosceva. E se avesse voluto provare a scommettere, la sua puntata sarebbe stata una sola.
"Ma la vera questione riguarda la tua fedelissima partner, dico bene?"
Zeno si bloccò solo sentendolo nominare quell'argomento. Ma in quello stesso momento pensò anche che forse, e solo forse, un'opinione esterna era proprio quello che gli serviva per prendere la decisione giusta. Annuì.
"Problemi in paradiso? Anche questa mi è nuova." I suoi tentativi di non appesantire troppo l'atmosfera erano pieni di buone intenzioni, ma poveri di efficacia.
"Adesso rispondi tu alle mie domande, per favore."
"Ok, ok."
Si andarono a sedere su una panchina vicina, una di quelle che stavano accanto alle aiuole semi-appassite della piazzetta centrale, e ripresero la conversazione.

"Indro, tu... Ti ricordi della volta in cui abbiamo conosciuto Granada?"
"Difficile dimenticare una ragazzina ammanettata, legata e imbavagliata con lo sguardo assetato di sangue" confermò lui, beccandosi uno sguardo truce. "Ammettilo: era spaventosa. Non che adesso non lo sia, eh..."
"Comunque - sorvolò Zeno senza commentare - il punto è: lei non è più quella persona, sbaglio?"
"E lo domandi a me? Non dovresti saperlo tu, meglio di chiunque altro?" Zeno esitò, stringendo nuovamente i pugni, con più forza. Aveva ragione, ma in quel momento lui si sentiva di non sapere assolutamente niente, e di non poter dare niente per scontato. "Sì, è cambiata" disse poi Indro, dandogli una vera risposta questa volta. "E sei stato tu a cambiarla: è solo grazie a te se è diventata la persona che è oggi, e non una di quei fanatici pro-apocalisse della setta in cui è nata."
Fu in quel momento che i suoi occhi si incupirono ancora di più, e che il cuore iniziò a battergli a ritmo forsennato dentro al petto. Afferrò il colletto della camicia con decisione e strinse anche quello, come a voler combattere la propria agitazione con la forza.
"Quindi... secondo te è impossibile che abbia ancora contatti con loro?" A quella domanda il suo interlocutore si dovette sforzare di contenere lo shock.
"Non puoi pensarlo sul serio" disse, spaesato.
"Ho trovato un loro libro in uno dei nostri uffici" si giustificò Zeno, perentorio, cercando di ricordare il meno possibile.
"Cosa? Ne sei sicuro? Quindi abbiamo una talpa in mezzo a noi... Ma cosa ti fa pensare che sia proprio Granada?"
"Non è l'ipotesi più probabile?" Ma quando la voce gli si spezzò a metà frase, dovette portarsi le mani al viso per nascondere la propria disperazione.
"Forse per te, che vedi soltanto lei" rispose Indro con un ghigno beffardo sul volto. Il ragazzo si infastidì tremendamente nell'udire quelle parole: si stava forse prendendo gioco di lui? Lo trovava divertente? Parlargliene era stato di certo un errore.
"Beh, non posso essere io quello che spazza via i tuoi dubbi, a quanto pare" affermò poi il collega come leggendogli nel pensiero. "Ma nemmeno lei credo, visto che non riesci a chiederglielo. E' questo il problema, no? Non è poi così diverso da quello di prima, se vuoi il mio parere."
Zeno attese, riflettendo su quello che aveva appena detto; è vero, si disse. Eppure, in qualche modo, era anche totalmente falso.
"Pensi che sia un codardo?" domandò poi, dando voce ad uno dei suoi pensieri più tediosi. Indro ci pensò un attimo.

"Non direi; insomma, lo capisco... Com'è che dite, voi persone colte? Aver taciuto non nuoce, nuoce aver parlato... oppure: l'onestà è lodata, ma muore di freddo. E probabilmente ce ne sono altri ancora che dicono la stessa cosa."

"Ti stai dando dello stupido per caso?" chiese Zeno con tono provocatorio, ignorando quella risposta che a lui era parsa così vaga e inutile; non era certo di luoghi comuni che aveva bisogno.
"Così pare" rise l'altro, preparandosi ad andarsene.
"E' davvero questo quello che pensi? Che sia meglio tenere la bocca chiusa?" Lo fermò lui prima che fosse troppo lontano.
"Non ho detto questo, e non lo penso" disse come se fosse stata la cosa più ovvia al mondo. "Ma è quello che volevi sentirti dire, no? E poi, la mia sarebbe pur sempre l'opinione di uno stupido; sicuro di volerla?"
"Se non la volessi non l'avrei chiesta." Indro sorrise. Non fa una piega. Gli si avvicinò nuovamente e posò una mano sulla sua spalla, forse per assicurarsi di essere ascoltato davvero. Lo guardò negli occhi per un momento, e la sua espressione cambiò tutto d'un tratto.

"I tuoi silenzi non racconteranno una bella storia." 

Era l'espressione di un monito.

 Zeno spalancò gli occhi, come risvegliatosi all'improvviso da un profondo sonno interiore. Forse non era stata una decisione così sbagliata, dopotutto.
"Per essere uno stupido te la cavi meglio di me nel dire frasi ad effetto!" Urlò allora mentre guardava Indro allontanarsi, quasi di corsa, facendo frettolosi cenni di saluto con la mano. Lui rise di gusto, più forte e rumorosamente di quanto non avesse fatto fino a quel momento.
"Che vuoi che ti dica? Sono bravo a fingere!" E in quel modo si congedò, drigendosi verso il Centro Operativo come se fosse inseguito da un branco di lupi. Lasciarsi coinvolgere non era stata una decisione saggia, e dall'inizio non era mai stata quella la sua intenzione. Ma era successo, e adesso poteva solo sperare che le sue perle di saggezza non avrebbero fatto danni.
Stupido è un eufemismo, pensò tra sé e sé.

Si trovò nuovamente di fronte a quel pericolante ascensore, i cui potenti cigolii indicavano essere occupato. Le porte si aprirono e ne uscì un volto conosciuto sul quale, in quel momento, pesava un unico interrogativo, impossibile da ignorare. Parli del diavolo...
"Oh, scusami: non ti avevo visto" disse Granada con tono sommesso e pacato dopo aver inconsciamente chiuso le ante. Indro ne fu davvero sorpreso, e per un momento si domandò se davanti a lui ci fosse realmente colei che stava vedendo, o se si trattasse solamente di una suggestione dovuta a lui sapeva benissimo cosa. Si stropicciò gli occhi per averne la certezza, e quando la vista non cambiò fu persino tentato di darsi un pizzicotto.
"Ma no, tranquilla! Non ho per niente fretta!" Finse ignavia e noncuranza con abilità quasi professionale. Lei provò un sorriso, uno dei più tristi che Indro avesse mai visto. Premette il pulsante per richiamare l'ascensore e cercò di non farci caso, in modo da non mettere mano anche in quella parte della faccenda. "Allora ciao!" la salutò prima che uscisse, un po' incoerentemente sperando che anche lei decidesse di affidargli qualche suo turbamento.
"Buona giornata" ribattè Granada. E quelle parole e quel tono sembrarono così fuori posto, così innaturali pronunciate da lei che Indro ebbe l'impulso di riderne.
E' davvero l'Apocalisse.

Scese al settimo piano; lo stesso in cui era incappato in una discussione un po' fuori programma. Si era trovato lì per caso: avrebbe dovuto posare i rapporti della sua missione in trasferta ma, grazie alla piega che tutto aveva preso, gli era totalmente passato di mente, e ci era dovuto tornare.
Il mio tempismo: eh già.
L'ufficio designato era il numero ventisette e, quando vi entrò, per l'ennesima volta, si trovò a non essere solo. L'occupante però non fece caso a lui, tanto era immersa nella lettura di un certo imponente libro dall'aria consumata. Accanto a sé aveva anche diversi riferimenti per l'interpretazione di un misto di caratteri antichi ed un foglio per le annotazioni. Nella mano sinistra teneva una penna a sfera; nella destra una luccicante spilla. Indro si fermò ad osservare la collega per un tempo indeterminato, catturato e immobilizzato dalla tensa aura che pareva provenire proprio da lei. Ed era come se potesse vederla infittirsi sempre più, a poco a poco, attimo dopo attimo. Poi, improvvisamente, la ragazza alzò gli occhi e chiuse il libro con un impatto violento. Il suo sguardo era rivolto verso Indro, ma non era lui che Alida stava guardando. Strinse con forza la mano destra attorno alla spilla; così tanta forza che del sangue cominciò a colare dalle ferite che gli angoli appuntiti di quest'ultima le avevano procurato. Ma il dolore che le causarono nemmeno la sfiorò; strinse la presa ancora e ancora, fino a quando accanto ai suoi piedi non si formò una vivida pozza di sangue intriso dell'odio che ancora ribolliva dentro di lei, e gridava soltanto una cosa.

 
PUTTANA.
 

Angolo di Maya:
Ed anche stavolta è andata, cari lettori! Non capisco perché, ma i miei capitoli stanno diventando sempre più lunghi...... E non mi sembra una cosa normale.
Ma in ogni caso! Fatemi sapere se avete qualche consiglio da darmi riguardo la storia, o anche semplicemente la vostra impressione di quest'ultima, o cosa avete mangiato stamattina a colazione (?)

Mata ne!
  
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