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Autore: kiara_star    09/04/2014    3 recensioni
[Sequel de “La carezza di un'altra illusione”]
[a sort of Thorki; fem!Thor]
~~~
C'erano cose di cui Thor non parlava mai, c'erano storie che forse non avrebbe mai narrato. C'erano domande che Steve porgeva con qualche dubbio.
“Perché continui a vedere del buono in Loki?”
“Perché io so che c'è del buono.”
[...]
Siamo ancora su quel balcone?
Ci sono solo io?
Ci sei solo tu?

“Hai la mia parola, Loki, non cambierà nulla.”
Ma era già cambiato tutto dopo quella prima menzogna e non era stato suo fratello a pronunciarla.
~~~
~~
Ancora oggi Nygis riempie il cielo di stelle continuando a piangere per il suo unico amore, nella speranza che un dì ella possa tornare da lui.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Gender Bender, Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La leggenda di Nygis'
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cap20
L' ultima lacrima



XX.





Loki aveva trascorso la mattina a pigiare i tasti di un piccolo computer.
Sigyn aveva trascorso quella stessa mattina a guardarlo silente, incapace di fare domande e di udire risposte. Aveva trascorso la mattina a mandare giù un nodo dopo l'altro mentre Loki si vestiva di quel medesimo silenzio.
Aveva sciolto i capelli eppure aveva tenuto quegli occhiali sul naso.
Se ne stava seduto al tavolo a sorseggiare di tanto in tanto qualcosa da una tazza, senza mai spostare gli occhi dallo schermo.
Sigyn aveva guardato il cielo azzurro più volte, aveva guardato gli uomini e le donne passeggiare sui marciapiedi, i bambini giocare e urlare, le macchine correre e arrestarsi, il rumore dei clacson, i fumi che salivano nell'aria.
Aveva guardato la donna anziana che si era affacciata dalla finestra del palazzo di fronte ad annaffiare un vaso di fiori, il giovane che aveva spettato a lungo accanto al lampione, osservando l'orologio, finché non era stato raggiunto da una ragazza mora: sul suo viso era nato un sorriso che sembrava aver ripagato ogni attesa.
Li vide prendersi per mano e allontanarsi; li seguì finché non svoltarono l'angolo, poi tornò con gli occhi al cielo e alla città.
In lontananza, si ergeva la struttura dello S.H.I.E.L.D.
Loro erano lì e li cercavano, loro erano lì e, adesso, sapevano.
Strinse fra le dita la tenda e sospirò.
«Vieni via da quella finestra.» La voce di Loki giunse dopo ore di mutismo.
Si voltò a guardarlo ma la sua attenzione era ancora tutta per quel computer.
«Possono vederti e tu non hai un'identità dietro cui ripararti.»
Chiuse di getto la tenda offuscando metà della luce della stanza.
«E cosa devo fare? Mangiare un'altra mela?» mormorò nervosamente.
«Temo non sia possibile.» Loki finalmente le rivolse lo sguardo. «Le hai praticamente finite.»
Era la verità. Il cesto sul tavolo, quella mattina colmo, era ora di nuovo vuoto.
Si sentì in imbarazzo per la sua osservazione.
«Credevo di poterle mangiare.» Si giustificò.
Loki sorrise. «Non volevo dire questo. Voglio dire che ci sono altri modi per passare il tempo a parte mangiare e fare l'anima in pena alla finestra.»
Colpita.
«Cosa suggerisci di fare? Fingere che tutto vada bene? Negare il fatto che siamo costretti a fare i clandestini, senza alcun modo per risolvere tutta questa situazione?»
Al suo sfogo Loki si limitò a sospirare e tornò a digitare sul computer.
«Hai almeno una minima idea di cosa significhi?» sbraitò ancora interrompendo nuovamente il suo lavoro.
«Se ti riferisci alla questione “Banditi per aver commesso incesto”, sì, lo so» rispose fastidiosamente calmo. «Sebbene ci sarebbero delle interessanti questioni da prendere in esame per appurare la legittimità di tale accusa, la prima delle quali è la mia assoluta mancanza di parentela con la famiglia reale, ma questi sono dettagli. La verità è che fra “tradimento” e “tentato genocidio” , l'incesto è l'ultimo reato per cui verrei processato ad Asgard. Mi perdonerai quindi se non ho molta fretta di rimetterci piede.»
Sigyn si sentì investire di rabbia e serrò la mascella con un ringhio.
«Pensavo volessi riavere i tuoi poteri.»
Ancora un sorriso.
«Bel tentativo... ma pur volendo non posso fare nulla per aprire quel dannato ponte e tutte le altre strade non sono percorribili senza l'ausilio del seiðr, o di un mezzo con una tecnologia così avanzata da permetterci di attraversare lo spazio che divide Midgard da Asgard. I tuoi amati terrestri si saranno anche evoluti da quando se ne andavano in giro a bruciare la gente sui roghi, però non hanno ancora raggiunto questi livelli.» Loki tornò al suo PC. «Perciò se non sei in possesso di una navicella spaziale o dell'ubicazione di qualcuno che ne abbia una, faresti meglio a non distrarmi.»
Ingoiò qualunque protesta, conscia che non ne aveva alcuna che reggesse. Loki era nel giusto: non avevano nulla con cui snodare quella situazione.
Dovevano solo attendere che loro padre si decidesse a permettere loro di tornare. Ma quell'attesa poteva essere un pericolo.
Come poteva Odino ignorare la gravità della situazione?
Il loro crimine era senza eguali, era vero, ma la sicurezza di Asgard e di Midgard e di ogni altro regno non aveva forse la priorità?
Sospirò e si sedette sulla sedia alla sinistra di Loki. Poggiò il mento nel palmo della mano e si limitò a guardarlo fare qualsiasi cosa stesse facendo.
«Ti ho chiesto di non distrarmi.» La rimproverò.
«Non ho detto nulla» brontolò.
«Non serve parlare: la tua presenza mi distrae.»
Sbuffò ancora ma non si allontanò.
Cosa poteva fare?
Se restava in solitudine la testa avrebbe continuato a girare, i pensieri l'avrebbero soffocata, i sensi di colpa e i dubbi e la consapevolezza di ciò che stava accadendo ai suoi compagni e a Jane, l'avrebbe fatta impazzire.
Vagò con lo sguardo alla cucina, ormai la conosceva a memoria, ne conosceva ogni singola mattonella. Si soffermò sul lavello d'acciaio, poi sui fornelli, sulla macchina del caffè, sullo straccio attaccato al muro.
Tornò infine con gli occhi sul viso di Loki, concentrato nel suo lavoro. Sulle sue lenti vedeva il riflesso azzurrognolo dello schermo.
«Perché li indossi anche in casa?» chiese con curiosità.
«Di che parli?»
«Ti aiuta a recitare meglio la parte del professore?»
Loki la guardò e le sorrise.
«In un certo senso sì. Dato che potrei dover uscire ancora una volta, non vedo perché rischiare, e poi sono solo vetro e non implicano fastidi alla mia vista. Soddisfatta?»
Voleva solo parlare di qualcosa che non la facesse riflettere su tutta quella situazione, parlare come fossero ancora amici, complici. Voleva solo non sentirsi così sola. Voleva averlo ancora accanto, sentirlo accanto, dimenticare tutte le azioni che aveva compiuto, dimenticare che era l'artefice e il responsabile di tutta quella storia.
Voleva sentirlo ancora come suo fratello, il fratello che le spiegava cose che non capiva, che la faceva sentire stupida e ignorante, la faceva irritare e infastidire con la sua aria saccente, e la faceva sorridere per lo stesso motivo.
«Ti donano» sospirò soltanto e si alzò. «Porterò la mia fame e la mia anima in pena da un'altra parte.»
Avrebbe voluto sorridere con meno tristezza, ma non ci riuscì.
Stava per lasciare la cucina quando lo udì parlare ancora: «In realtà volevo chiederti di preparare il pranzo.»
Si voltò a guardarlo dubbiosa.
Loki aveva chiuso il computer e le sorrideva annoiato.
«Io ho cucinato ieri per cena e anche stamattina a colazione. Mi sembra equo che tu ricambi.»
«Hai scaldato due piatti e riempito un cesto di mele. Io non lo definirei “cucinare”» ribatté.
«Oh, allora mi aspetto che tu faccia di meglio.» Loki si alzò dal tavolo sorridendole e gettandole quella sfida.
«Non sarà difficile.»
E Sigyn l'accettò, come aveva sempre accettato ogni altra sfida di suo fratello.



*



Aveva legato i capelli e sollevato le maniche della maglia; sul viso un'espressione minacciosa.
Loki la guardava combattere con una padella, incapace di trattenere un sorriso divertito.
Era la terza.
«È la terza» sentenziò beccandosi uno sguardo infuocato.
«Fa' silenzio.»
«Hai intenzione di bruciarne anche una quarta? Perché temo di averle terminate.»
«Ho detto: fa' silenzio. Non è colpa mia se queste cose non reggono il calore della fiamma. Da quale fabbro le hai acquistate? Dovresti farti ridare i soldi.»
«Dovresti chiederlo al precedente proprietario di questa casa.»
Si godette ancora la vista della padella che prendeva fuoco, per l'ennesima volta, prima che Sigyn la gettasse nel lavandino con stizza.
L'odore di bruciato aveva impregnato tutta la cucina.
Si avvicinò alla finestra e l'aprì lasciando entrare l'aria.
«Non può essere così difficile!» brontolò Sigyn guardando torva il fumo che saliva dalla padella annerita.
«Non lo è, infatti, sei tu ad essere inadeguata a essere una donna, ma questa è ormai storia vecchia. E poi l'unico lavoro culinario in cui avresti successo sarebbe tirare il collo di qualche gallina a mani nude.»
«Taci tu, che ti limiti a pigiare due bottoni su un cassone di metallo!»
«Almeno io non do fuoco alla casa nel tentativo di friggere una zucchina...»
La suddetta zucchina gli arrivò dietro la nuca mentre guardava una piuma nera sul davanzale.
Perse ogni voglia di sorridere, ma non voleva lasciare che ciò giungesse anche a Sigyn.
Afferrò la piuma fra le dita e la gettò di sotto. Si voltò poi fingendo una smorfia divertita.
Era ancora lì, li stava ancora osservando e giudicando. Non aveva intenzione di lasciar loro di giungere ad Asgard ma non aveva neanche la volontà di lasciarli semplicemente liberi dalla sua vista e dal peso della sua sentenza.
Stupido vecchio egoista...
«Hai vinto tu: non so cucinare.»
«Non era una sfida, non ridurre tutto alla mera competizione» sentenziò scacciando con la mano un po' di fumo che ancora saliva.
Sigyn lo guardava con rabbia, di certo stavolta più verso se stessa, per quella piccola sconfitta, che verso di lui.
«Ad ogni modo potresti provare anche tu a pigiare due bottoni, però ti avviso: devi prima inserire delle cibarie nell'apposito vano.»
Sigyn gli sorrise con sarcasmo. «Come sei divertente.»
«Lo so» ghignò strizzandole un occhio. «E forse è il caso che stai alla larga dai fornelli. Torna a deprimerti davanti alla finestra, qui faccio io.»
«Non tentare la sorte, Loki...» Lo minacciò.
«Non ho mai giocato con la sorte. “Fato” è solo un altro modo per chiamare la pigrizia dell'esistenza.»
Sigyn rimase silente sulla sua riflessione a voce alta.
Loki aveva solo detto ciò che pensava. Nessuna entità ultraterrena o millantata tale poteva avere potere sulla sua vita. Avrebbe fatto le scelte che riteneva giuste, avrebbe fatto ciò che voleva incurante di qualsiasi fosse stata la trama che si era decisa per lui... per loro.
Nessuno avrebbe potuto invertire il corso di un fiume che era stato lui stesso a creare.
Nessuno...
Tanto meno tu, Padre degli Dèi.
«Cosa stai facendo a quel computer?»
Alla sua domanda lasciò andare un sospiro tornando al PC e lasciando da parte pentole bruciate e pranzi che non si sarebbero di certo preparati nelle prossime ore. Avrebbe ripiegato come da programma su qualche altro cibo precotto, una delle poche cose intelligenti create da quei terrestri.
«Prenoto un volo per Parigi» le rispose sistemandosi gli occhiali sul naso.
La vide osservare e studiare ancora ogni suo gesto.
«Per quale motivo?»
«Perché è la città dell'amore... così dicono.»
La sua espressione seria si imporporò appena e non riuscì a non sorridere divertito.
«Devo recuperare qualcosa dalla mia dimora parigina, qualcosa che può aiutarci» confessò.
«Aiutarci a raggiungere Asgard?»
«Più o meno...» sospirò digitando gli ultimi codici per entrare nel sistema di prenotazione dell'aeroporto di New York. Non sarebbe stato facile senza l'ausilio della sua magia, ma ciò non avrebbe reso il difficile "impossibile". Con un po' di ingegno e attenzione, non c'era davvero nulla che potesse ostacolare un qualsiasi suo piano.
«Dovrò rimediare dei documenti per te,» la informò ancora. «Ci vorrà un po' di tempo, ma non mi sembra che tu abbia balli a cui partecipare.»
«Se non mi spieghi cosa stai architettando in realtà ci sarà un funerale che esigerà la mia presenza.»
Era così facile; i nervi scoperti erano gli stessi di secoli prima, sebbene lei non fosse la stessa, ed era così ingenuo continuare a crederlo che Loki non poteva più affidarsi a quella menzogna.
Neanche lui era più il ragazzo di quel tempo, non avrebbe potuto esserlo, non voleva neanche esserlo. Quel ragazzo non aveva fatto nulla per cambiare il corso degli eventi, aveva semplicemente accettato e aveva perso tutto.
No, non sarebbe accaduto una seconda volta.
Sigyn lo guardava con le braccia incrociate e il nervosismo sul viso. Gli occhi sottili e le labbra imbronciate che nulla avevano di minaccioso, eppure era lì, era tutta lì la testardaggine e l'irruenza di suo fratello. Suo fratello era tutto lì.
Abbassò la parte superiore del portatile con un sospiro.
«Circa sei mesi fa ero a Parigi perché ero stato raggiunto dalla voce che un cimelio risalente all'Era di Borr fosse stato ritrovato e raccolto in un piccolo museo.»
«Così ti sei dato alla ricerca di cimeli del passato...» Sigyn sorrise con beffa. «Volevi avere la tua personale sala delle reliquie?»
«Per certi versi» rispose ignorando il sottile ago con cui aveva voluto pungerlo. «In verità quest'oggetto mi interessava particolarmente.»
«Cos'era?»
«Un grimorio, un antico grimorio.» Le confessò.
Sigyn assottigliò ancora lo sguardo e Loki vide in quelle lame azzurre tutte le altre domande che non gli porse, e nel suo silenzio, Sigyn ascoltò ogni singola risposta.
«Era in quel grimorio, vero?... L'incantesimo con cui hai distrutto la mia vita.»
«Uno dei tanti, e fra essi c'è quello che può aprirci un'altra via per Asgard.»
Ma quella notizia non parve regalare serenità al suo sguardo, non parve donare sorriso alle sue labbra strette con ostinazione, non diede pace alla sua rabbia silenziosa.
Loki la osservò abbandonare la stanza senza dire una parola.
Non la fermò stavolta, non le andò dietro.
La lasciò solamente andare via. Non sarebbe andata da nessuna parte in ogni caso. Avrebbe dovuto soffocare quella rabbia o affrontala, e lui era ben disposto ad accettare qualsiasi fosse stata la sua volontà. Non importavano i pugni, le maledizioni, non importava l'astio con cui lo avrebbe ancora guardato o le bugie che avrebbe continuato a udire dalla sua bocca.
Nulla importava adesso che era lì, e lì sarebbe restata.



*



Jane era rimasta in silenzio per un tempo che aveva misurato tramite il battito del suo cuore. Bruce aveva visto quelle labbra aprirsi e nessuna parola venire fuori, aveva visto gli occhi divenire lucidi eppure restare asciutti, aveva visto le mani tremare ma le sue gambe non cedere.
Poi lo sguardo si era posato a terra e la mano destra aveva raggiunto il petto.
«Jane...»
«Va' via, Bruce.» Fu un battito più rumoroso degli altri. «Vattene... per favore.»
Non avrei voluto essere io a dirtelo.
Perdonami, Jane.
Non un fiato lasciò le sue labbra.
Prese un profondo respiro e camminò fino alla porta.
Non riuscì a non voltarsi indietro. Lei era ferma silente nella stessa posizione di poco prima.
Uscì dalla stanza e poggiò la schiena contro la porta.
Ancora un respiro, ancora un battito rumoroso.
«Come sta?»
Si voltò alla sua sinistra: Clint se ne stava poggiato con una spalla contro il muro e l'espressione seria.
«Credo che stia per crollare» rispose.
«Allora dovresti rientrare.»
Scosse il capo. «A quel punto crollerei anche io e non credo sia questo il momento migliore.»
Fu Clint a prendere un respiro e a raggiungerlo.
«Se avessi saputo prima che l'aveva data a Loki, ci avrei provato» mormorò con un mezzo sorriso. «Sarebbe stato meno inquietante. Non credi?»
Ricambiò quel sorriso. «Dubito che ci sia davvero qualcosa di non inquietante in tutta questa storia.»
«Già.» Clint guardava la porta come se riuscisse a vedervi attraverso. Bruce non osava voltarsi, non osava guardarla e chiedersi se doveva essere dall'altra parte con lei. «Tony ci ha mostrato le riprese.»
«Qualcosa di utile?» chiese cercando di allontanare la mente da quei pensieri. Era un'impresa ardua.
Clint continuava a tenere lo sguardo nell'apparente vuoto davanti a sé.
«Lo ha curato. Non sappiamo come abbia fatto, ma è stata lei a curarlo e poi hanno deciso di tornare su Asgard.»
Sospirò e annuì.
«Non c'è neanche gusto a dire “ve l'avevo detto”» terminò Barton con un ghigno stanco.
Tutti erano stanchi e di certo non solo fisicamente.
«Sono su Asgard quindi?»
«Con ogni probabilità sì.»
«Che si fa allora?»
Che posso dirle adesso?
Come posso impedirle di rompersi del tutto?
Come posso impedire all'altro di venire fuori e distruggere ogni cosa?
Clint alzò le spalle e si voltò poggiando a sua volta la schiena contro la parete.
«Linn. È lei la nostra unica possibilità di venirne a capo. Fury vuole torchiarla e temo che Steve non si porrà a sua difesa, stavolta.»
Cercò nei suoi occhi una risposta che aveva paura di chiedere.
«Come l'ha presa?»
«Male, ovviamente, ma reggerà. Fino al termine della missione reggerà il peso di sapere che il suo caro amico aveva l'hobby di scoparsi quel bastardo di suo fratello.»
«Clint...» Non gli era sfuggita la nota di veleno. Clint l'aveva giurata a Loki, gliel'aveva giurata e Thor più volte gli aveva impedito di prendersi la sua vendetta. E se Clint aveva rispettato quella scelta era perché in cuor suo, sotto il nero della tuta e l'acciaio delle frecce, sapeva che l'affetto di Thor verso Loki era sincero, che benché conscio della crudeltà di suo fratello, non gli avrebbe voltato mai totalmente le spalle. Ma questa volta era diverso, sapere che quell'affetto era altro, che era stato altro e chissà se ancora lo era, sviliva ogni amicizia, forse sviliva anche il reciproco rispetto.



*



Era stata Natasha ad entrare dalla porta, non Steve.
Steve era uscito per non fare più ritorno.
Linn aveva asciugato tutte le lacrime, si era seduta sul letto con la schiena dritta a guardare da lontano la foto di due giovani amici.
E aveva atteso, atteso il giudizio di Midgard, le sue domande le sue accuse.
Era pronta anche ad affrontare le sue torture. Nulla avrebbe potuto essere peggio dello sguardo deluso e arrabbiato di Steve, nulla avrebbe potuto fare più male.
Quando Natasha era quindi entrata dalla porta per chiederle di seguirla, lo aveva fatto senza chiedere né opporsi. Si era alzata e aveva camminato al suo fianco.
Natasha non aveva parole da dirle quella mattina. I suoi occhi di ghiaccio non avevano spazio per la comprensione.
Linn non le rimproverava nulla. Fu grata del suo silenzio, fu grata della mancanza di false raccomandazioni, di mendaci promesse.
Fu accompagnata in una stanza come quella prima sera, una sedia di acciaio al centro. Soldati all'esterno, e all'interno il generale dalla pelle scura.
«Accomodati.»
Non era un invito gentile e non esigeva di esserlo.
Quando Linn si sedette sulla sedia i suoi polsi furono legati ai lati da freddi bracciali d'acciaio. Le sue caviglie subirono il medesimo trattamento.
Non faceva male.
La luce del soffitto era accecante e rendeva il viso dell'uomo che si ergeva dinanzi a lei ancora più ombroso.
Un unico occhio la guardava, in esso le pareva di scorgere l'azzurro intimidatorio del suo Sovrano.
Anche su Asgard, adesso, avrebbe dovuto affrontare un altro pesante giudizio.
«Dove sono?» Prima domanda.
«Non lo so.» Prima risposta.
Quella domanda le fu posta ancora una volta e quando per la seconda volta rispose con sincerità, sentì una forte scossa partire dagli arti e attraversare tutto il corpo.
Non riuscì a ingoiare un gemito di dolore.
Nella stanza, solo l'uomo che la guardava indifferente. Alle sue spalle, nel grande specchio, poteva veder riflesso il suo stesso viso e la smorfia di sofferenza che l'aveva piegato.
«Sappiamo tutta la storia, Linn e, onestamente, a me non importa nulla dei passatempi fraterni che si usano dalle tue parti.» Con quelle parole il generale attirò nuovamente la sua attenzione. «Ciò che mi preme è sapere dove sono adesso, dov'è quel tizio che si fa chiamare Styrkárr e come possiamo riprendere dalle sue mani un'arma potente come quel martello prima che la Terra possa essere in pericolo.»
«Io non so dove siano, né dove si trovi Styrkárr. È questa l'unica verità che abbandonerà le mie labbra, signore. Perché è l'unica che possiedo.»
L'uomo sorrise.
«Allora cerca di trovare qualche altra verità, perché al momento questa non mi basta.»
Poi fu ancora dolore.



*



Natasha osservò il viso di Linn coprirsi di gocce di sudore, il respiro affannoso sollevare ritmicamente le spalle, e gli occhi lucidi che tentavano coraggiosamente di trattenere le lacrime.
«Non sa niente» sentenziò con un sospiro.
«Ne sei sicura?» Clint al suo fianco sembrava nascondere ancora dubbi.
«Sì, lo sono, e sai di cos'altro sono sicura? Della reazione di Steve quando saprà quello che Fury sta facendo.»
Clint la guardò aggrottando la fonte.
«Non lo sa?»
«La tua ingenuità mi stupisce...»
Fury aveva chiesto di poter interrogare Linn. Questa era la versione ufficiale, quella che avrebbe dovuto essere riferita a Steve se lo avessero trovato.
Steve non sembrava rintracciabile, di certo era da qualche parte a cercare di metabolizzare quelle nuove realtà e Fury ne aveva approfittato per poter mettere letteralmente le mani su Linn.
Natasha aveva solo eseguito gli ordini, non perché li ritenesse giusti, ma perché solo così si sarebbe chiarito una volta per tutte l'estraneità della ragazza in tutta quella storia. Linn sapeva di Loki e Sigyn ma non sapeva del loro piano di fuga. Ne era certa, ne era assolutamente certa.
Non aveva avuto il tempo di saperlo e Natasha conosceva bene Loki da comprendere che mettere a conosceva Linn di un qualsiasi piano sarebbe stato inutile e privo di vantaggi. Sarebbe stato anche pericoloso per lei. Che Loki fosse un tipo da preoccuparsi solo dei suoi bisogni e della sua sopravvivenza era un dato di fatto, eppure quegli ultimi giorni avevano portato alla luce anche un altro lato.
C'era anche qualcos'altro che aveva per lui importanza, qualcun altro, e forse in quella fetta di sentimenti c'era un piccolo angolo anche per Linn.
Lo sperava, più che altro, perché una fedeltà come quella di Linn meritava almeno un piccolo riflesso se non di affetto, per lo meno di riconoscenza, anche da parte di uno come Loki.
«Se il capitano lo scopre, temo che dovremmo chiedere aiuto a Hulk per placare la sua reazione...» sentenziò Clint.
Ancora una scossa, ancora un gemito, ancora una lacrima non versata.
Natasha ingoiò un sospiro stanco.
«Io vado a cercarlo» affermò. «Se Fury dovesse esagerare, per favore, entra.»
Clint le fece un cenno d'assenso con la testa.
«Sei tu il mio superiore, Nat.»
Gli sorrise. «Un bel modo per scaricare ogni responsabilità, agente Barton.»
«Uno dei tanti.»
Lanciò un ultimo sguardo al vetro e alla tenacia di Linn.
Poi lasciò il corridoio.
Forse sapeva dove cercarlo.


A livello 3B si trovavano i poligoni di tiro e le sale ad uso allenamento. La seconda porta sulla destra portava la scritta “Accesso limitato agli agenti del progetto 'Blondie'”, e ovviamente non esisteva nessun progetto simile allo S.H.I.E.L.D.
Era stato Tony a consigliare Fury di aggiungerla dal momento che Steve e Thor trascorrevano il tempo a distruggerla. Non era quindi il caso che altri agenti rischiassero la vita per aver semplicemente varcato una soglia.

Natasha arrivò davanti a quella porta e sapeva di trovarla aperta.
Spinse il metallo e nel silenzio della stanza scorse la sagoma di Steve, in piedi a guardare il muro d'acciaio coperto di onde e di solchi.
Le mani nelle tasche e l'espressione seria sul viso. Lo raggiunse senza dire una parola e lo affiancò guardando la medesima parete.
«Quando mi sono svegliato in questo mondo, credevo che non sarei riuscito mai a trovarvi posto.» La voce di Steve era profonda e carica di malinconia. «Lo S.H.I.E.L.D. mi ha dato un posto e uno scopo.» Un piccolo sorriso. «E una famiglia...»
«Nessuna famiglia è perfetta, Steve» sospirò e lui assentì continuando a guardare davanti a sé la parete ammaccata.
«Hai ragione... nessuna lo è.»
Sapeva bene quanto quella scoperta lo avesse destabilizzato. Natasha sapeva cosa significava Thor per Steve: un fratello, un animo affine con cui condividere domande e risposte e quell'istinto innato da eroe, che in realtà nessuno di loro aveva. Steve era nato per essere un'ispirazione, un esempio, era nato per rendere migliori le persone. Era più che certa che anche prima del siero fosse una specie di soldato privo di paura pronto a sacrificar tutto, anche se stesso, per il bene del mondo. Steve aveva trovato in Thor qualcuno che per molti aspetti aveva quello stesso istinto protettivo, lo stesso animo da difensore a ogni costo. Anche la stessa ingenuità alle volte, la stessa curiosità e lo stesso stupore per le piccole cose.
Natasha sapeva quanto Steve si sentisse tradito in quel momento, doppiamente tradito se pensava anche alla questione Linn.
«Se posso darti un consiglio, non farti domande, Steve. Non ci sono spiegazioni che potrebbero rendere la faccenda diversa da quello che è. Cerca solo di rimanere lucido e concentrato.»
«Non cerco spiegazioni, Nat.»
Lo guardò con la coda dell'occhio e ispirò a fondo.
«Allora non cercare neanche di comprendere. Sarebbe inutile... È un altro mondo, un'altra dimensione... un altro tempo. È questione di prospettiva, forse, ma Asgard può avere leggi diverse dalle nostre.»
«Non è questo...»
Abbassò il capo e poi lo guardò ancora. Steve aveva gli occhi fissi sulla parete eppure guardava oltre.
«Non ti ha tradito. Non ha tradito nessuno di noi. Thor ha solo protetto se stesso e non ha sbagliato a farlo.» Finalmente Steve la guardò. «L'ho fatto anche io. Si tratta di sopravvivenza. A volte è necessario per non lasciarsi soffocare dai propri sbagli. E ciò che ha fatto Thor ha avuto conseguenze solo su di lui, non ha implicato nessun altro... Non credi che abbia avuto i suoi motivi per tacerti la cosa?»
«Ciò che credo è che qualsiasi cosa sia accaduta, dal momento che Loki è venuto qui a minacciare, a uccidere e a distruggere, Thor aveva il dovere di dirlo!» Fu una frase pacata eppure nascondeva la rabbia di un urlo.
«Anche Linn aveva lo stesso dovere?» Vide la sua gola sussultare e gli occhi tornare a guardare lontano. «Non dare colpe anche a lei. Ha solo fatto ciò che andava fatto per difendere chi ama.»
«Loki?»
Non riuscì a non sorridere.
«Per favore, Steve, non fare il geloso. Non con Loki, per lo meno.»
«Non è gelosia, è solo-»
«Piantala! Sarai anche un eroe leggendario, ma sei come ogni altro uomo.» Aspettò di riavere il suo sguardo e poi sorrise ancora. «Stupido e cieco.»
Steve lasciò andare un altro respiro profondo ma non disse nulla.
«Linn tiene molto a Thor, a Sigyn... e sì, anche se sembra assurdo, tiene anche a Loki, ma non come la tua mente da stupido e cieco maschio tende a idealizzare.»
«Tu non hai visto come lo guardava...» Fu una frase appena sussurrata di cui sembrò pentirsi subito ma Natasha non volle lasciar cadere l'occasione.
«E tu non hai visto come guarda te, capitano.»
Se c'era qualcuno che poteva tenere lontano Steve dal riflettere troppo su ciò che era accaduto fra Thor e Loki era Linn, se c'era qualcosa che poteva acquietare le sue domande, era ciò che provava per lei, ciò che lei palesemente provava per lui. Natasha decise che era l'unica strada percorribile per riavere il capitano, per renderlo in grado di sostenere quella lotta contro un nemico ancora ignoto per motivi fin troppo chiari.
«Se hai finito di studiare ogni singola curva di questa parete, ti consiglio di andare da Fury.»
Tempo scaduto. La scelta era stata presa e non si tornava indietro.
«Che vuoi dire?» Alla domanda di Steve sperò solo fosse quella giusta.
«È con Linn, nella sala degli interrogatori, e non è contento delle sue risposte.» Tanto bastò per vedere le sue spalle alzarsi e abbassarsi rapidamente, lo sguardo assottigliarsi e la mascella serrarsi con forza.
«Clint è di guardia. Se vuoi, puoi dargli il cambio...»
Non le disse niente, andò via come un vento e lei rimase nella stanza silente a guardare quella parete d'acciaio.
«Da Vedova Nera a Telefono Amico...» mormorò fra sé. «Sto perdendo colpi.»



*



Continuò a scuotere la testa mentre sentiva il cuore battere forte nelle tempie.
«Io non lo so...» ammise per l'ennesima volta e per l'ennesima volta non fu creduta. Per l'ennesima volta sentì saette nel corpo e il fuoco sulla pelle.
Le dita delle mani tremavano, forse anche il resto del suo corpo tremava. Linn non sapeva dirlo perché ormai non riusciva neanche più a scorgere il proprio riflesso nel grande specchio alle spalle del generale che continuava a chiederle domande a cui non poteva che dare quell'unica vera risposta.
Avrebbe di certo perduto i sensi a breve. Avrebbe pianto e avrebbe chiesto che smettesse, che le credesse.
Le immagini si confusero ancora all'ennesima domanda alla quale rispose senza una risposta che fu ritenuta credibile.
«Abbiamo tutto il giorno, se vuoi però puoi mettere fine a tutto dicendomi dov'è Loki e cosa ha in mente.»
Strinse i denti e sentì le guance inumidirsi.
«Io non conosco queste risposte! Non so dove sia il principe, dove sia Lady Sigyn, dove sia Styrkárr o Amora! Sono solo un'ancella senza importanza! Non mi è dato sapere né chiedere. Perché continuate a credere che abbia un ruolo e un valore?... Avrei potuto dire un luogo qualsiasi, avrei potuto lasciarvi vagare senza meta ma ho solo detto la verità!» Le lacrime offuscarono del tutto la vista e non poté vedere l'espressione sul volto dell'uomo; semmai l'avesse vista sarebbe stata di certo fredda e priva di compassione. «Potete anche prendere la mia vita, ma non vi saprò mai dire nulla di diverso perché non ne sono a conoscenza...»
Tirò su con il naso sentendo la testa esplodere.
«Se pensi che crederemo ancora che sei arrivata qui per fare da postino a Thor, ti sbagli. Magari per il tuo mondo non saremo una minaccia, ma voi lo siete per noi. Lo siete stati e lo sarete ancora, per cui evitami le lacrime e inizia a dirmi qualcosa che possa aiutarmi a riportare qui quel figlio di puttana.»
Avrebbe voluto coprirsi il viso e nascondere il suo pianto, avrebbe voluto poter correre via dal suo sguardo e dalle sue accuse, e invece era obbligata a mostrare la sua debolezza e la sua paura.
Alzò il viso umido respirando con fatica fra i singhiozzi.
«L'unica cosa che posso dire... mio signore... è che ovunque siano il principe e Lady Sigyn... se non vorrà che li troviate... non li troverete mai.» Prese ancora un respiro sentendo le spalle sussultare senza controllo. «E adesso, se vorrete continuare a tenermi qui... fate pure... ma non ho più niente da dire.»
Aspettò ancora la scossa, aspettò il suo dissenso e la sua rabbia, ma ciò che sentì fu solo il tonfo della porta che si apriva, nella nebbia salata che le copriva gli occhi le parve di vedere un volto amico, un volto amato.
Steve...
Il suo nome rimase fermo sulla lingua. Udì ancora suoni, ancora tonfi ma era stanca e debole e ferita prima nel cuore e poi nella carne.
«Linn?»
La sua voce.
Non riuscì a non lasciar andare altre lacrime.
«St-Steve...?»
I bracciali che le legavano i polsi furono scardinati con forza e così avvenne anche alle catene alle sue caviglie.
Si ritrovò ad accasciarsi contro il suo corpo non sentendo altro che non fosse il suo calore e il suo profumo. Non sentì altro che non fosse Steve.
«Ti porto via.»
Forse lo stava immaginando, forse lo stava sognando.
Mentre Steve la prendeva fra le braccia, non si chiese dove la stesse portando, non si chiese cosa stesse accadendo. Si chiese solo se non fosse tutto solo un gioco della mente piegata dalla sofferenza.
«Steve...» sospirò ancora con il viso contro il suo collo. Le dita deboli aggrappate alla sua maglia. «Perdonami...»
«Shhh...» Le sue labbra le baciarono la fronte e le dita di Linn strinsero con tutta la poca forza che le rimaneva le sue vesti. «Va tutto bene, Linn... Va tutto bene.»
Fra le sue braccia, contro il suo cuore adesso sì, adesso andava tutto bene.





₪₪₪





«Ti piace?»
Amora guardava il riflesso nell'enorme specchio. Guardava il viso di Thor, l'oro dell'armatura, i guanti di pelle che gli coprivano le mani, il bianco perla del mantello alle sue spalle.
«Piace a te, mia signora. Basta questo.» Le rispose senza un sorriso, senza il riflesso di nessuna emozione. E per adesso andava bene così.
Incrociò le braccia sul petto e gli chiese di voltarsi. Thor obbedì.
Studiò ancora il suo corpo soddisfatta.
«Ho ancora qualcosa per te» sospirò aprendo il palmo della mano destra. Dal nulla iniziò a vorticare una piccola sfera di un celeste glaciale. La magia si modellò presto prendendo le sembianze di una spada dalla lama diamantata.
Anche nella tenue luce di quella camera, i riflessi sul piatto del filo erano accecanti.
«Prendila.»
Thor allungò la mano e afferrò l'elsa.
La soppesò, ne studiò gli intarsi, la finezza del taglio.
«È una buona spada» sentenziò poi facendola roteare e provando un paio di fendenti. Alle sue spalle il bianco mantello sembrava danzare.
«Solo buona?» sorrise Amora sedendosi sul letto e osservandolo testare ancora la sua arma. «In tutti e nove i regni, amore mio, non troverai lama più affilata né taglio più resistente» spiegò. Thor continuò silente a esaminare la spada. «Non è semplice diamante, Thor, è diamante vivo... e obbedirà ai tuoi voleri.»
Catturò tutta la sua attenzione. I suoi occhi furono su di lei.
«Vivo?»
«Esatto...» Si spostò una ciocca di capelli con un movimento studiato. Accavallò le gambe e lo guardò con un sorriso. «Vuoi che sia fuoco? Sarà lava. Vuoi che sia ghiaccio? Neanche Jotunheim ne avrà uno simile.»
«E se volessi veleno?» chiese Thor osservando con nuova attenzione l'arma lucente.
«Allora il suo taglio sarà letale al solo contatto» rispose.
Ci fu silenzio, poi una debole frase, quasi un sospiro: «Ma sarebbe da codardi...»
La pallida eco della sua anima.
«In guerra non esiste la codardia, Thor. Esiste solo l'astuzia. Tuo fratello non te l'ha insegnato?»
«Mio fratello non ha mai avuto abilità che mi interessasse apprendere.»

Amora lasciò andare una piccola risata.
«Come sei crudele, Thor... Non provi un po' di compassione per lui?»
«I mostri non si compatiscono, si cacciano e si trucidano.» Quelle parole erano più fredde del diamante che stava maneggiando e Amora quasi fece fatica a riconoscere la voce di chi le aveva pronunziate. Thor infilò poi la spada nel fodero e la guardò. «Ti ringrazio per questo dono.»
Il ginocchio toccò terra e il pugno si posò all'altezza del cuore. Quando chinò il capo, i suoi capelli biondi caddero lucenti sul suo viso.
Amora non poteva essere più appagata da ciò che vedeva: il guerriero più abile dei nove regni ai suoi comandi, il principe più coraggioso vestito di oro e obbedienza solo per lei.
Aveva creato una nuova armatura solo per lui. Avrebbe potuto recuperare quella che Thor aveva lasciato su Midgard, ma Amora voleva che Thor, il suo Thor, rappresentasse quella nuova storia, la loro nuova storia.
Finché Styrkárr avesse posseduto Mjolnir non avrebbe potuto però realizzarla come desiderava, ma bisognava fare un passo alla volta: adesso doveva per prima cosa mettere fine a quel sortilegio che Loki aveva gettato su Thor.

«Quando potrò mostrarti la mia fedeltà, mia regina?»
Amora allungò la mano.
«Presto...» Thor prese le sue dita e posò un bacio sul dorso. «Molto presto.»
I suoi occhi azzurri furono attraversati da un lampo.





₪₪₪





Era uscito a cercare l'uomo che aveva usato tempo addietro per entrare in confidenza con la tecnologia terrestre. Viveva poco distante da dove si ergeva la sua dimora ma Loki scoprì presto quanto la mancanza del suo seiðr aumentava la sua anima paranoica di natura.
Non aveva un'assicurazione, non aveva una reale difesa per affrontare qualche imprevisto.
Non riuscì a raggiungere neanche lo studio dell'uomo per chiedere di recuperare i documenti per Sigyn, che fu costretto ad arrestare la sua marcia. Un'auto nera stava percorrendo la strada per la terza volta, aveva tenuto a mente i numeri di identificazione sul pannello frontale, quelli che chiamavano targa. Al volante una donna di mezza età e un ragazzo sul sedile accanto.
Apparentemente sembravano privi di qualsiasi intento minaccioso, ma al quarto giro, Loki capì che non era casuale. Cercò rifugio momentaneamente nella prima bottega e aspettò che l'auto andasse oltre. Uscì poi per far ritorno casa.
Non andava bene, per niente.
Doveva cercare di non farsi vincere dalla paranoia, ma questa volta non era facile, questa volta rischiava di perdere davvero tutto.
Badare alla sicurezza di qualcun'altro oltre se stesso era una debolezza di cui stava avvertendo la pericolosità solo in quel momento, ma seppure avesse voluto vestirsi ancora di egoismo, non gli sarebbe stato possibile, non adesso.
Aveva bisogno di prenotare il volo quanto prima e aveva ben poco tempo per recuperare i documenti che avrebbero permesso a Sigyn di viaggiare.
Stupidi umani e i loro sistemi di accertamento, neanche fossero bestie da marcare!
Avrebbe trovato una soluzione anche a quel piccolo problema, ne era certo.
Quando rientrò in casa Sigyn era di nuovo in cucina a guardare dalla finestra, stavolta con gli occhi verso il cielo.
Era uscito senza dirle nulla e lei non aveva chiesto; non avevano più scambiato una parola.
«Ti ho già detto di stare lontana dalla finestra.» Le rimproverò di nuovo ma lei non volle ascoltarlo.
«Hai recuperato ciò che ci necessita?» Gli chiese continuando a guardare oltre il vetro.
Sospirò ma celò la sua preoccupazione. «Quasi. Ci vorrà più tempo del previsto.»
«Quanto?» Altra gelida domanda.
«Dipende, non posso fare una stima esatta. Qualche giorno... Qualche settimana.» Le mentì solo per scatenare una reazione diversa da quel falso distacco.
«Settimane?» Ebbe la reazione desiderata, soprattutto i suoi occhi su di sé. «Credi che abbiamo a disposizione settimane? Styrkárr farà la sua mossa quanto prima! Non possiamo perdere tempo.»
Un sorriso sottile sulle labbra che aumentò l'astio in quello sguardo azzurro.
«Se hai tanta fretta perché non riprovi con Heimdall? Magari il vecchio ha cambiato idea e non vede l'ora di riabbracciare il suo amato figlio, o dovrei dire figlia?»
Non finì neanche la frase che si ritrovò a sbattere la nuca contro la parete, con una mano stretta attorno alla gola. Gli occhiali gli scivolarono via cadendo a terra con un tintinnio.
«Dovrei ucciderti» ringhiò Sigyn a denti stretti. «Ne ho il diritto e la volontà, soprattutto... Dovrei mettere fine ai tuoi inganni e prendermi la tua vita senza battere ciglio. È il destino che ti spetterebbe per i tuoi crimini.»
«E perché non lo fai?»
Sentì prima la presa serrarsi e rendergli ancora più difficile il respiro e poi allentarsi fino a sciogliersi.
«Perché sono migliore di te.»
Rise con sfregio tastandosi la gola dolente.
«Se ti rende felice crederlo... Non sarò io a distruggere le tue convinzioni, cuore mio.»
«Non chiamarmi così!»
«È ciò che sei...»
Si chiese se si sarebbe ritrovato di nuovo con il collo stretto fra le falangi e la sua rabbia a colpirlo. Ma Sigyn restò a guardarlo a pochi passi senza apparente intenzione di farne né uno avanti né uno indietro.
Loki recuperò le lenti da terra poggiandole poi sul mobile con cura.
«Non c'è bisogno di questi, per adesso» sentenziò con naturalezza ignorando l'astio che tingeva i suoi occhi. «Allora? Sei riuscita a cucinare qualcosa, mia adorata?»
Rise quando la sua nuca colpì di nuovo la parete. Stavolta non aveva nessuna mano attorno al collo ma le dita di Sigyn erano strette attorno alla sua camicia nera.
«Continua così e mi renderai le cose facili, fratello!»
«Stai progettando di uccidermi nel sonno?»
Sigyn avvicinò il viso con minaccia. «Quando deciderò di piantarti una lama nel corpo lo farò guardandoti dritto negli occhi, cosicché tu sappia che non proverò niente nel vederti crepare come il cane che sei.»
Sentì il suo fiato contro le labbra e sorrise di nuovo.
«Continua, ti prego... mi stai accendendo di desiderio.»
Si ritrovò a colpire di nuovo il muro per poi finire direttamente a terra quando Sigyn lo spinse con rabbia.
Si mise a sedere con una debole roca risata a salire dalla gola mentre la guardava osservarlo con la stessa luce che bruciava i suoi occhi.
«Anche tu mi stai rendendo le cose facili... fratello» sospirò e approfittò del debole tentennamento che le attraversò il viso per afferrarle una caviglia e farla cadere a sua volta a terra.
«Loki!»
Le bloccò i polsi ai lati della testa tenendola ferma con il suo corpo contro il legno del pavimento.
«Avanti, vediamo quanti insulti riesci a urlarmi prima di perdere la voce, principessa» la beffeggiò mentre Sigyn digrignava i denti con rabbia e tentava senza riuscire di liberarsi.
«Stavolta ti ammazzo sul serio!»
«Puoi fare di meglio.» La derise ancora trattenendosi dal baciare le sue labbra e restando stoicamente a guardarla.
«Lasciami andare! Te lo ordino!»
«Non ci siamo proprio» sibilò con un sospiro annoiato. «Non ti stai neanche impegnando... questo mi porta a credere che apprezzi essere a gambe aperte sotto di me.»
«Apprezzerei vederti contorcere dal dolore mentre affondo le dita nel tuo petto!» ringhiò ancora Sigyn provando a strattonare i polsi senza successo.
«Io credo che apprezzeresti di più se fossero le mie dita ad affondare in te. Sbaglio?» Rise dell'espressione di vergogna e rabbia che le piegò il viso.
Poi il sorriso si spense e lui allentò piano la morsa sui suoi polsi.
«E ad ogni modo mi hai già strappato via il cuore una volta e non te ne sei neanche accorto» confessò con un fiato debole mentre le liberava totalmente le mani.
Il pugno che gli arrivò sul viso non lo sorprese. Si passò le dita sulla guancia mentre guardava Sigyn osservarlo ancora con le spalle contro il pavimento.
Il respiro affannoso e lo sguardo ridotto a una lama.
Fece scorrere gli occhi sul suo corpo, sul suo collo, sui seni, sulla maglia che lasciava scoperto un lembo di pelle del ventre.
Lo accarezzò delicatamente con il dorso delle dita e tanto bastò per vedere il suo respiro accelerare.
«Quella notte... mi dicesti che saresti rimasta, che avresti scelto di essere Sigyn senza alcun rimpianto.» Ancora una carezza mentre gli occhi incontravano quelli di Sigyn. «Lo avresti fatto davvero?»
Vide la sua gola sussultare.
«Sì...»
Sorrise tristemente.
«Ma non lo avresti fatto per me... non è così?» Accarezzò ancora il suo ventre fino a far scorrere le dita sotto la maglia e premere delicatamente il palmo contro la pelle calda. «Saresti rimasta per lui. Avresti sacrificato tutto per lui.»
«È ciò che hai creduto per tutto questo tempo? È per questo che mi odi?»
«Mi hai dato la tua parola che nulla sarebbe cambiato ma è bastato che quella vita si sciogliesse per dimenticare ogni promessa.» Sentì gli occhi pungere ma non ci fu spazio per le lacrime, ormai non ce n'era più. «È bastato l'arrivo di Amora perché tornassi a essere invisibile ai tuoi occhi... e mi chiedi perché ti odio, Thor?»
Furono gli occhi di Sigyn a lasciare andare quelle lacrime che Loki si era negato.
«Avrei voluto essere in grado di mantenere quelle parole ma non avrei mai potuto amarti come volevi... lo sai bene. Non ci sarebbe mai stato concesso.»
Sorrise ancora asciugandole una lacrima.
«Io l'avrei fatto. Avrei ignorato ogni legge e infranto qualsiasi codice morale esistente e l'avrei fatto. Avrei amato Thor come amo Sigyn, avrei avuto le stesse carezze e la stessa passione. Avrei fatto l'amore con la stessa disperazione.»
«Loki...» Ancora una lacrima, ancora un ricordo che si frantumava sulla fredda realtà.
«Tu non hai neanche voluto provarci, non hai neanche tentato, e il mio odio, il mio rancore, la mia rabbia... È tutto ciò che sono disposto a donarti, fratello.» Le abbracciò il viso fra i palmi e posò le labbra sulle sue. «Ma per te, cuore mio, darei la vita.» La baciò ancora e le prese una mano per portarla contro il proprio petto, contro quel battito folle. Guardò i suoi occhi lucidi e belli, e le sorrise senza più maschere. «Di' una parola, una sola, e lo strapperò via una seconda volta.»



*



Sigyn lo guardò in silenzio lasciando che le lacrime si asciugassero sul suo viso.
Gli occhi di Loki parlavano di dolore, di paura, di disperazione. Li aveva visti di tutte le sfumature che la natura potesse avergli donato, eppure ce n'era una nuova in quel momento, la stessa che aveva fatto inumidire i suoi, che aveva fatto incrinare il suo petto e sciogliere ogni rabbia e ogni rancore.
Era sbagliato, era semplicemente folle ogni singola parola che aveva pronunziato, eppure si lasciò abbracciare da ognuna di esse, si lasciò cullare da quell'affetto sincero, da quell'amore che le aveva urlato con un sospiro, che le aveva mostrato con errori su errori, ma che non aveva mai smesso di mostrarle.
Il male che gli aveva fatto forse lo capiva solo in quel momento, il modo con cui Thor lo aveva ferito forse anche coscientemente, quel male che aveva tramutato un ragazzo spaventato e solo in un essere cinico e privo di morale. Erano colpe di Thor, colpe di Sigyn, colpe di Loki, colpe di Asgard. Colpe che non potevano essere lavate, perché il sangue arde sulla pelle anche quando non ve n'è traccia.
Ma in quel momento, con i suoi occhi che erano una via senza ostacoli per il suo cuore, Sigyn smise di chiedersi, smise di pensare alle colpe e a ogni sbaglio che portava il loro nome.
Si sollevò a sedere tenendo ancora il palmo contro quel petto con le dita di Loki premute contro il suo dorso.
Gli accarezzò la nuca con l'altra mano stringendo forte i suoi capelli neri.
Fronte su fronte e poi labbra su labbra.
Contro il suo palmo, quel cuore batté sempre più forte.











***












NdA.
Ben trovati ^^
Salutino al volo stavolta, solo per informarvi che ci stiamo avvicinando all'ultima tranche di questa storia.
Come di consueto mi auguro sia stata una lettura piacevole.
Appuntamento a settimana prossima.
Vi abbraccio tutti ❤
Kiss kiss Chiara
  
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