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Autore: Tomi Dark angel    09/04/2014    6 recensioni
Mi chiamo John Watson e vivo a Londra. È dodici giorni a nord di disperazione e pochi gradi a sud di piogge torrenziali. Si trova esattamente sul meridiano della miseria. La mia città, in una parola è… solida. (...) L’unico problema sono le infestazioni: in alcuni posti hanno topi o zanzare. Noi invece abbiamo… i draghi.
Johnlock
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Ehi, Sherlock, lo sai che la tua coda si è portata dietro una ragazza?-
-Non fare domande scontate, ragazzino. So bene cosa mi porto dietro.-
-Ah… quindi è tutto normale? Oh, è svenuta.-
-Sherlock!-
-John, non potevo lasciarla lì.-
-Meglio trascinarla a metri e metri d’altezza tenendola appesa a testa in giù?!-
-Decisamente.-
-Ma brutto…-
Sherlock sbatte le ali, cattura il vento con le immense vele di oscuro arcobaleno. Ha il corpo teso, le mani giunte sotto il mento e gli occhi socchiusi in ragionamenti noti a lui e a lui soltanto. Respira a fondo l’aria pulita dell’altezza sopraelevata, la sua freschezza, il profumo che essa gli porta.
Parla di tante cose, il vento. Attraverso le sue carezze, gli conduce odori sempre diversi, sempre nuovi, grazie ai quali Sherlock riesce a dedurre, a percepire storie e creature nelle vicinanze.
A conferma di ciò, un gruppo di albatros li affianca, sfiora le loro ali con piume di candida seta, li affianca faticosamente, come figli che si sforzano d’imitare il genitore. Emettono suoni fastidiosi, ma stranamente, a Sherlock non danno fastidio. Li fissa rapito, negli occhi un barlume d’emozione che John cattura interessato. Guarda il suo viso dipingersi di nuova bellezza, le scaglie riflettere sulle ali degli albatros un oceano di cristalli variopinti. È uno Sherlock nuovo, quello che sta guardando. Ed è bellissimo.
-Ti piacciono gli albatros?- trova il coraggio di chiedere, mentre uno dei volatili gli passa accanto, così vicino da potergli carezzare il viso con le ali.
E allora John capisce, nota che gli albatros in realtà sono abituati alla presenza di Sherlock, alla sua possanza, allo sbattere energico di ali maestose. Non hanno paura di lui come dovrebbe essere. Loro lo… conoscono.
-Ci conosciamo bene.- si limita a rispondere Sherlock, allontanandosi appena da loro. Piega appena un’ala, lascia che il corpo si abbandoni da un lato e cada appena più in basso, lontano da domande, lontano da curiosità scomode.
John non parla più.
-E perché ti piacciono?- chiede invece Noah, poco sensibile all’umore di Sherlock.
-Non ho detto che mi piacciono. La tua capacità di comprensione è…-
-Non l’hai detto, ma l’hai pensato.-
John sorride, guarda Sherlock trattenere faticosamente uno sbuffo.
Volano a sud, verso l’oceano, verso il telo azzurro dorato che stende braccia liquide per ogni dove. John si chiede dove finisca quella distesa d’acqua, ma forse non è necessario saperlo davvero. Basta immaginarlo, basta pensare che forse dall’altra parte ci sono creature meravigliose come i draghi, o terribili come gli uomini. O splendidamente insolite come Sherlock.
John guarda il corpo penzolante di Molly, il viso rosso, le braccia abbandonate verso il basso.
-Sherlock, sul serio: raddrizzala, o le andrà il sangue al cervello.-
-No.-
-Sherlock!-
Stavolta, Sherlock non trattiene lo sbuffo di impazienza. Lascia andare il corpo di Molly nello stesso istante in cui Noah si catapulta verso il basso, le ali sottili strette al corpo e i due colli tesi nello sforzo. Molly atterra tra le braccia di John, abbandonata come una marionetta ma totalmente illesa. È sporca da capo a piedi, ha gli abiti stracciati… ma sta bene. E tutto grazie a Sherlock.
John la stringe a sé, bacia la fronte di quella che è stata sorella e amica, confidente e coscienza. Ha rischiato di perderla, di non sentire più la sua voce, il suo calore. Ma Sherlock era lì, bellissimo e terribile come il più possente degli angeli custodi. L’ha protetta, ha rischiato tutto pur non conoscendola, pur cosciente del rischio che avrebbe comportato. Ha tentato, è riuscito. E John sa perché l’ha fatto.
-Grazie.- mormora a bassa voce, ben sapendo che Sherlock può sentirlo. Sorride dolcemente, gli occhi lucidi, il volto affondato nei capelli della sua Molly Hooper. È felice, John. Adesso sa di aver trovato un angelo vero, diverso e bellissimo, ma pronto a vegliare su di lui quanto su coloro che ama.
Sherlock non risponde, cala ancora un po’. Noah lo imita, tende entrambi i colli verso la stessa meta che seguono gli albatros. E improvvisamente, davanti ai loro occhi, Sherlock si lascia andare.
Il corpo si ammorbidisce, gli occhi si socchiudono in un’espressione quasi rilassata mentre, con totale naturalezza, le ali si chiudono sul suo corpo, lo circondano come di un bozzolo lucente per lasciarlo precipitare verso il basso, freccia arcobaleno scagliata da invisibile arco.
Il vento lo accoglie, lo spinge più giù, lo aiuta. Esso è amico e fratello per Sherlock.
Gli albatros lo seguono, piovono dall’alto come luminose gocce bianche. Scendono giù, verso il mare, verso la solida distesa d’acqua che tuttavia, a un passo dallo schianto, si arresta. Sherlock spalanca le ali, le tende al massimo, respira a fondo la salsedine prima di lasciarsi cadere. L’acqua lo abbraccia, stringe di dolce coperta i suoi ricci neri, scorre nei polmoni, ripulisce gli abiti e la pelle mentre tutto intorno, gli albatros si tuffano, nuotano e poi risalgono in superficie.
Sherlock no, lui non ha bisogno di aria per respirare: scende più giù, tocca il fondale con un piede artigliato e si accuccia a metri e metri di profondità, dove pace e silenzio impediscono al mondo di intralciare quella serenità passeggera, effimera, ma anche tremendamente bella. Quello è il suo mondo. Pacifico come il Mind Palace, altrettanto volto a cambiare, altrettanto vivo. Quel mondo respira senza infastidire, vive senza intralciare.
Sherlock respira a fondo, lascia che l’acqua lavi via il sangue e la terra. Adesso è pulito, adesso è sereno. John sta bene, lo ha ringraziato come mai nessuno in vita sua ha mai fatto.
E lentamente, i piccoli pezzettini mancanti, ricostruiscono il suo Mind Palace. Sherlock li sente rotolare mesti verso i fori vuoti, li ascolta ricostruire pezzo dopo pezzo stanze distrutte, piani scomparsi. È una vita che riprende, un perché che lentamente si dissolve. C’è silenzio adesso. L’ordine è tornato, ogni danno è ricostruito. E Sherlock finalmente, si sente di nuovo tutto intero.
 
-Perché non risale?- si allarma John, tendendo il collo verso l’acqua, dalla quale gli albatros entrano ed escono come candide perle sputate dalle ostriche.
Noah emette un basso ringhio gutturale, che John interpreta poco dopo come una risata. Sbatte le ali lentamente, lascia che la sua immensa mole cali sinuosa verso il basso, verso l’acqua luminosa come di piccoli cristalli danzanti. Una zampa enorme affonda, ricopre le scaglie di nuova lucentezza, nuove sfaccettature di viola e lilla in continuo mutamento. Una delle due teste piega il collo di lato, fissa John con un brillante occhio serpentino. John lo fissa, capisce, sorride.
Appoggia Molly con dolcezza, si assicura che il corpo non cada. Poi, anche John si lascia andare e con fare da ragazzino rinato, salta giù, permette al corpo di abbandonarsi verso l’acqua, verso Sherlock.
Lo schianto è duro, freddo, inaspettato. John resta rigido, gli occhi stretti, il cuore a mille. Non lo ricordava così gelido, il mare.
Ma all’improvviso, qualcosa di familiare lo sfiora, gli circonda la vita con gentilezza. John sente le scaglie dure ma calde aderire alla pelle senza graffiarla, la coda salire in morbide volute verso il torace. John sorride, accarezza quelle squame d’acciaio luminoso con dedizione, serenità, affetto. Passa le dita tra un tassello e l’altro, ne assapora l’andamento liscio e regolare come di specchi incastrati sapientemente tra loro. Vuole conoscerle una ad una quelle scaglie, vuole passare il resto della vita davanti ai loro riflessi d’arcobaleno, sorridere quando le vede e intristirsi quando le sente allontanarsi. Quelle scaglie riflettono un calore benigno, che sa di casa. E John non ha mai amato tanto essere dedito all’ambiente casalingo.
Con cautela, combattendo il bruciore del sale negli occhi, John solleva le palpebre. Sherlock è lì, poco distante da lui, con ali totalmente distese, rilassate, come gigantesche vele di sogno spiegate sulla più fervida immaginazione di qualsiasi essere vivente. Baciate dall’acqua, esse riflettono tutto intorno un nuovo oceano, un mare di riflessi di cristalli spaccati, di diamanti sfiorati dal sole. E d’improvviso, anche l’alga più insignificante, si tinge d’aurora boreale.
John tende inconsapevolmente una mano verso quel torace nudo, visibile attraverso il bottoni slacciati del cappotto ondeggiante come oscura presenza intorno a un corpo che mai andrebbe coperto. Sente Sherlock irrigidirsi, lo vede stringere i pugni e combattere strenuamente contro la sua testa, contro qualsiasi campanello d’allarme. John sa che neanche l’acqua spegnerebbe lo sputo di fulmini e materia oscura che rende una Furia Buia tanto micidiale, ma non ha paura: sente che può farlo, sente di potersi fidare.
Annaspa appena per mancanza d’aria, la testa gli gira, i polmoni gridano pietà, ma John li ignora, ignora tutto. Conta solo l’ostacolo che ha davanti, gli occhi di cristallo liquido che lo osservano curiosi, che studiano atteggiamenti mai visti prima. Fissa quei ricci corvini, li guarda giocare col viso pallido di Sherlock, urtargli gli zigomi alti e le labbra piene.
Un altro piccolo passo, un altro centimetro in più teso verso quel torace. La mano di John scivola, lascia che le dita sgancino le asole più alte del cappotto. Appoggia il palmo contro la pelle bollente, ne assapora la consistenza liscia, surreale. Risale verso le spalle, laddove uomo e drago s’incontrano in una danza armonica tra carne soffice e squame d’acciaio.
John sorride inconsciamente, guarda Sherlock in viso e ciò che vi legge è tensione, confusione, agitazione mal trattenuta. Cerca un perché a tutto questo, Sherlock, ma non lo trova. Non sa cosa sente, non sa cosa spinge quel bizzarro umano a toccarlo in quel modo. Nessuno l’ha mai fatto, nessuno ha mai teso una mano aperta e diversa da un pugno verso di lui. Quel tocco è nuovo.
In quale stanza del suo Mind Palace deve cercare? Quale porta deve aprire?
Ce n’è una, al novantaquattresimo piano, all’inizio del corridoio. Sherlock la apre, la stanza è vuota. C’è muffa ovunque, ricordi sbiaditi, non importanti. Il sorriso di una madre, la carezza di un padre? Mai avuti, o mai classificati. Ma adesso qualcosa c’è. Una mano grande e callosa, di giovane uomo, che gli sfiora il torace e le spalle. È qualcosa di gentile, tiepido, che non fa male come ferirebbe un pugno.
La mano sale lungo il collo, le dita esplorano i muscoli in rilievo, evidenti anche sotto la massa ordinata e luminescente di squame, fino a raggiungere il mento. John sfiora le piccole punte acuminate, sottili e micidiali, amandole una ad una. Vorrebbe salire più su, vorrebbe esplorare ogni angolo di quel viso, ma d’improvviso, i polmoni paiono collassare e John tossisce, emettendo l’ultima riserva di bollicine. Cerca di risalire verso l’alto, ma i muscoli non si muovono e restano intorpiditi, inanimati. L’aria è mancata troppo a lungo.
Ma Sherlock è lì, al suo fianco: lo afferra per un braccio, strattona forte verso l’alto e in un attimo, due teste infrangono la superficie, espandendo nell’aria un’esplosione di goccioline variopinte.
John tossisce, si aggrappa inconsciamente al braccio di Sherlock, che non gli nega l’aiuto ma anzi, lo sostiene.
-Trovo altamente illogica la tua mancanza di spirito d’autoconservazione, John.-
-F… fottiti!-
Sherlock si volta dall’altra parte per nascondere il sorriso che gli stira le labbra.
-Disturbo?- dice una voce sensuale dall’alto delle loro teste.
Una donna bellissima vola placidamente a pochi centimetri dall’acqua, le ali che ad ogni battito affondano e risalendo schizzano cristalli liquidi tutto intorno. Ha i capelli lunghi d’ebano e gli occhi da predatrice. La pelle morbida del corpo nudo e sinuoso si converte in squame rosso sangue, che come ferite emergono dalla carne, ricoprono i lati del collo, le spalle, parte delle braccia e la schiena, giù fino alla coda sinuosa da rettile. Sulla sommità del capo, sbucano grandi corna ricurve, come di ariete.
John si irrigidisce, fissa Noah che, indeciso sul da farsi, si mantiene a debita distanza e sbatte nervosamente le ali, il corpo contratto e pronto alla fuga. Entrambi fissano Sherlock, lo vedono sollevare lentamente le ali, che come inquietanti masse di petrolio variopinto emergono dall’acqua.
-Irene. Credevo che gli umani ti avessero presa.- dice con un sorriso di scherno.
Il cuore di John salta un battito, i suoi occhi corrono subito ai fianchi squamati della donna. Adesso lo vede, il sangue fresco e rappreso che gocciola dalla ferita alla schiena. Non sembra soffrire granché, visto il sorriso  aggressivo che sfoggia e gli occhi gelidi, adesso troppo simili a quelli della bestia assassina che per poco non ammazzava Mrs Hudson.
-Non sapevo che te lo saresti portato dietro.- dice lei, accennando a John. Sherlock non reagisce, i suoi occhi restano inespressivi, ma John sa che la sta studiando, sa che al primo accenno di pericolo, la Furia Buia sarà il primo ad accorgersene.
-Umano interessante, il tuo.- continua Irene. –Ma non pensavo che potessero essere addomesticati.-
-Ci sono troppe cose che non sai, Irene.-
-Ad esempio, dolcezza?-
-Ad esempio, ti è ignota la capacità di giudizio in situazioni che non puoi superare. A quanto mi risulta, hai attaccato John perché sapevi del suo… legame… con me. Grosso sbaglio.-
Irene scende ancora, affonda i piedi nudi nell’acqua, si lascia scivolare giù, finché questa non raggiunge metà coscia. Si piega in avanti, con una mano artigliata accarezza la guancia di Sherlock e accosta il viso al suo. Sorride ferina, giocando con le punte acuminate della mascella.
-Adoro quando fai così.-
Sherlock non risponde, ma s’impegna a calcolare la distanza che corre tra Irene e John. Noah non è in pericolo: per colpirlo, Irene dovrebbe voltarsi o quantomeno contrarre il corpo, esponendolo troppo alla reazione di Sherlock stesso. Scavezzacollo, sì. Stupida, mica tanto.
Trentaquattro centimetri. I due distano trentaquattro centimetri l’uno dall’altra. Se Irene voltasse il capo ed eruttasse una vampa di fuoco, potrebbe ustionare John a vita.
-Oh, e che coraggioso umano ti sei trovato. Un bel passatempo, non c’è che dire, ma non dimenticare da che parte giochi.- sussurra Irene a un centimetro dalle sue labbra, l’alito bollente e la mano scivolata sulla nuca di Sherlock, dove gli artigli tentano invano di incidere le squame.
-Io gioco dalla mia parte, Donna. Ho i miei pezzi sulla scacchiera, so che movimenti faranno, e scommetto che i miei grigi avranno la meglio sia sui vostri bianchi, che sui neri degli umani.-
-Oh, e anche il tuo umano è un pezzo della scacchiera, allora?-
-Lui non c’entra.-
-Allora cos’è? Un divertimento passeggero? Non è da te, Sherlock.-
E d’improvviso, gli occhi di Sherlock si assottigliano, paiono ricoprirsi di un ghiaccio spaventoso, il naso si arriccia appena, dalle labbra schiuse cominciano a fuoriuscire morbide volute di fumo argentato.
John non l’ha mai visto così, non ha mai avuto paura di lui. Eppure in quel frangente, sente che Sherlock è inavvicinabile, lontano dalla sua parte umana e ben più vicino a quella bestiale che potrebbe ridurlo in cenere semplicemente sbuffando dal naso.
-Non giudicarmi, Donna.- ringhia con voce improvvisamente non sua, gutturale, più simile a quella di un rettile dalla gola arsa di fiamme infernali.
Improvvisamente, l’acqua intorno a John comincia a riscaldarsi, gli stringe il corpo di un abbraccio serrato, che lo fa sentire piccolo come agnello in presenza del cacciatore. Stringe i denti, respira a fondo e combatte l’ansia, appellandosi al suo coraggio di soldato.
-Credo che faresti meglio ad andartene.- dice improvvisamente, prima di riuscire a trattenersi. La Donna lo guarda, restringe le pupille per vederlo meglio, ma in quel momento le ali di Sherlock sbucano dall’acqua con uno scatto maestoso che oscura il cielo, tagliando l’aria di lame affilate. I muscoli si distendono, le vele tendono i loro arcobaleni personali che riflettono la luce del sole.
Irene indietreggia, sbatte nevriticamente le ali.
-Fai sul serio.-
-Mai affermato il contrario, Donna.-
Lei arriccia un labbro, innervosita. –Dobbiamo parlare.-
Prima che John abbia il tempo per protestare, Sherlock gli circonda la vita con un braccio e, in un possente battito d’ali, estrae entrambi dall’acqua. John si trova premuto per brevi istanti contro un corpo bollente, profumato, scolpito, ma un istante dopo Sherlock gli stringe i fianchi con entrambe le mani e lo scaglia in aria, verso l’alto, dove Noah lo afferra con gli artigli.
-Andate.- dice, fissando Noah attraverso la massa di capelli appiccicati al viso.
-Cosa? NO!!! SHERLOCK!!!-
John si dimena, tende una mano verso di lui, ma Sherlock si limita ad arricciare un angolo delle labbra in una parvenza di sorriso forzato. Cerca di rassicurarlo, cerca di classificare quel viso nel suo Mind Palace perché ne ha bisogno, perché vuole colmare quello spazio. Si crea allora una nuova stanza, altro spazio da colmare, nuova porta proibita, che Sherlock non si azzarda ad aprire. Ma la sente, sa che è lì: altre mura, un nuovo tassello piccolo, prezioso, umano. Quella stanza, si chiama “John Watson”.
E d’improvviso, Sherlock sorride davvero.
 
Angolo dell’autrice:
Ehm… ciao? Ok, sono in ritardassimo, ma ho delle giustificazioni! Esame, problemi col cosplay da portare al comicon e…
Sher: e fino a ieri eri convinta di aver aggiornato due giorni fa.
Zitto, tu! Non è vero! E’ colpa tua e dei tuoi esperimenti! Perché secondo te siamo tutti rintanati in uno sgabuzzino? La casa è ricoperta di muffa viola. Viola! Come hai fatto? E John, toglimi quel piede dal coccige, porco pino!
John: non sono io!
Moriarty: scusate… oh, Sherly! Non palparmi il sedere in questo modo, certe cose si fanno in privato!
John: SHERLOOOOOCK!!!
Sher: John, ragiona. Io sono dall’altra parte della stanza.
John: ah, già. Ma allora chi…
Mrs Hudson: oooh, Jim caro, ce l’hai sodo proprio come quello del mio defunto marito!
Tutti: …………………………………………….
Porco gatto. Scusate, dov’eravamo rimasti? Ah, sì! Dunque, parliamo di cose serie: so che probabilmente la reazione rabbiosa di Sherlock alla fine del capitolo potrebbe risultare OOC, ma teniamo in considerazione che il nostro colsunting detective è per metà animale, e questo và tenuto in considerazione. In secondo luogo, vi annuncio che nel prossimo capitolo faremo un tuffo nel passato di Sherlock e conosceremo meglio quel bambino che non è mai stato. E sì, alla fine il drago rosso è Irene! Sì, è proprio la nostra Donna pazza. E indovinate quanto romperà le scatole in futuro? Tanto. Tantissimo. Troppo. Ora la ammazzo, ci ho ripensato.
Irene: guarda che ci sento.
Chi se ne frega! Mi stai sui palloni da basket, non è colpa mia. Ora basta, spazio ai ringraziamenti!
FKk: ehi, tranquilla. La vecchia recensione è bellissima come sempre, già mi stupisce che trovi la pazienza di leggere e commentare ogni volta, perciò non scusarti proprio di niente. Anzi, mi scuso io per il ritardo. Eeeeehi, guarda che ci riesci di sicuro a descrivere draghi e ambienti in questo modo, ci scommetto. Se hai la pazienza di leggere questa… cosa… hai anche la pazienza di elaborare una descrizione fatta bene, ci scommetto! E riguardo Molly, ci faremo i conti nel prossimo capitolo, e non sarà piacevole. Ohohoho, come sono cattiva! A prestissimo e grazie!
AsfodeloSpirito17662: l’azione non mancherà, tranquilla. Non è facile catturare un drago, specie se quel drago si chiama Irene Adler. Gli umani l’hanno arpionata e tirata giù, ma come lo trattieni un drago adulto quando la sua sola apertura alare è più ampia di quella di uno pterodattilo? Suvvia, ho lasciato sognare un po’ le persone che l’hanno tirata giù dal cielo! XD anche se non dico poi quelle stesse persone che fine hanno fatto… coff coff… comunque, Molly non è stata salvata da un semplice drago, ma da QUEL drago! E chi non vorrebbe farsi un volo con Sherlock… comunque, grazie per l’augurio riguardante l’esame, ha funzionato! Grazie ancora e a presto!
Sonia_0911: Sherlock non lo ammetterebbe mai, ma è un tenerone. Fa tanto il duro, ma quando c’è di mezzo John la sua parte razionale parte per una vacanza a lungo termine. Ci metterà un po’ ad accettarlo, ma ehi! John sa essere paziente! Grazie per il commento e a prestissimo! Buona fortuna con gli esami!
Bbpeki: non sai quanto mi è costato non uccidere nessuno! In realtà questo capitolo doveva finire con una scazzottata tra Irene e Sherlock, ma non volevo mettere già la nostra Furia Buia nei guai. Adesso i loro casini hanno un nome, e si chiamano “Molly Hooper”. Buona fortuna a loro XD be’? Tu scrivi e io non vengo avvertita? Si muova a pubblicare, signorina! Qui c’è una fila che aspetta. No Gabe, tu no. Torna a leggere i tuoi porno! Comunque, no, la dragonessa ha una ben diversa identità. Spero di averti sorpresa con questa rivelazione. (Non ci sperare. Nd Gab)( fottiti!) Ehm… diciamo che Molly è l’ultimo dei problemi per Sherlock e John. Adesso abbiamo una ben più pericolosa Irene. Comunque, grazie per la recensione e per gli auguri riguardanti gli esami, hanno funzionato alla grande! Grazie!!!
Little Fanny: eheh, sotto questo aspetto mi sono voluta un po’ aggrappare ai rispettivi ruoli di Sherlock e John. Il primo risulta intelligente e all’occorrenza veloce, mentre il secondo è forza e carattere. Spero di essere riuscita a rispettare questa cosa… comunque, la nostra dragonessa è ben più che un semplice micetto. È Irene! E questo fa paura. Tanta. Buona l’ultima, Sherlock si porta dietro Molly. Solo che non urla, è svenuta. C’è da aver paura per quando si riprende… comunque, grazie mille per il commento, spero vivamente che anche questo capitolo ti piaccia. A presto!
Tony Stark: ehm… non è che il ritardo me lo perdoni anche adesso? No, perché io seriamente ero convinta di aver aggiornato due giorni fa… comunque, adesso che sai la vera identità della dragonessa, hai ancora voglia di definirla “povera”? Io non ne avrei molta, Irene è tutto fuorché povera! Grazie per il commento, a prestissimo!
Swindle: non so come ringraziarti per il commento e per le tue parole. Mi impegno sempre al massimo per scrivere qualcosa di decente, ma penso sempre di aver sbagliato tutto! Maledetta autostima sotto le scarpe! No, non ci sono esattamente delle fazioni tra draghi. Irene è… Irene. Ma ha i suoi motivi per aver attaccato John, anche se insomma, il cervello della Donna lavora in modi tutti suoi. Sì, Sherlock sta cominciando ad accettare la nuova stanza formatasi nel Mind Palace, ma i problemi per loro non sono finiti. In realtà, il loro primo problema è che hanno una bastarda per scrittrice, ma sorvoliamo. Comunque, grazie mille per il commento, spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento! A presto!
Kimi o aishiteiru: dai, per ora Molly l’ho tenuta priva di sensi, ma nel prossimo capitolo dovrà svegliarsi. Porca miseria, poverini quei tre… o poverini soltanto John e Noah… o povera Molly. Poveri, insomma. E piantala di dire che non sai scrivere, sei bravissima! Dillo ancora e non pubblico più! E ti sguinzaglio Irene alle calcagna. Dopo, capperi tuoi, eh! Comunque, come sempre i tuoi complimenti sono… troppo! Insomma, io non sono brava. Quella lo sei tu. Però spero che tu non debba rimangiarti tutto dopo questo capitolo… porca miseria, ho creato un mostro di scritto. Vabbé, ormai il danno è fatto. Grazie ancora, saluti a sorella e amiche e a prestissimissimo!
Sparrow: sono felice che le descrizioni abbiano sortito il loro effetto. In realtà mi sono trovata parecchio in difficoltà perché non è facile gestire il comportamento dei draghi. Quello degli umani sì, è prevedibile, ma quello dei serpentoni alati… cavolo. Comunque, se riesco a ritrovare il disegno di Sherlock con soprabito lo pubblico, ma devo raccattarlo in mezzo al mare di fogli sparsi in giro per casa. Sempre che non sia finito in bocca al cane. Incrocia le dita! Grazie e a presto!

Tomi Dark Angel
 
  
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