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Autore: Mattia_Brambilla    10/04/2014    1 recensioni
Mi stringo lo stomaco con la mano destra. Me lo stringo forte, per sentire dolore, ma è inutile. Non mi sento meglio.
Genere: Drammatico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il gallo avrebbe dovuto cantare a quest'ora. E invece non canta, ma mi chiama Clodis. 
Dice ce devo andare in un posto, dice. Dice che è per lavoro. Dice che questo è uno che pensa in grande, dice, e non me lo devo far scappare.
«Non fare come con gli altri, mi raccomando.»
«BLA BLA BLA»
«Come?»
«Fottiti, cazzo!»
Mi vesto: completo beige la cui giacca ha il collo alla coreana.
Esco du casa e cerco le sigarette, per abitudine. Poi mi ricordo che sto smettendo di fumare e torno in casa a prendere un paio di Chupa Chups con cui rimpiazzerò le sigarette.
Scendendo dalle scale becco la padrona di casa. La devo l'affitto. Gliene devo tre, tre mesi di arretrati, domani anche il quarto. Ma non glielo pagherò. Passo. Ma è come se non mi vedesse. Lo sguardo è vacuo, vuoto, vitreo. Solitamente si lamenta per l'affitto anche quando sgarravo di un giorno, anche quando non sgarravo, ma ora... Chissà che le è preso.
Mi si stringe il cuore. Mi si stringe talmente che non posso fare a meno di trornare indietro e dirle almeno "Ciao".
«Ciao!»
Nessuna risposta. Lo sguardo assente di prima, la bocca fissa in un sorriso e gli occhi che mirano il suo vaso di narcisi sulla rampa di scale. Quel fottuto vaso su cui inciampo sempre. Si tiene con la mano ossuta e smorta alla rampa di ferro che verniciai di giallo l'anno scorso, al posto che pagara l'affitto del mese di giugno.
«Ciao.» ripeto, ma invano.
Mi sento male, peggio di una merda. Mi stringo lo stomaco con la mano destra. Me lo stringo forte, per sentire dolore, ma è inutile. Non mi sento meglio. E provo a ripetere:«Ciao...»
I suo occhi rotondi vorticano verso me. Il viso rimane immobile nella forma. Le sue rughe, quei solchi terribili e moribondi sono statici, il sorriso rimane immutato, pare quasi beffardo, oserei dire maligno. No, sono solo io, è la mia immaginazione. È semplicemente un sorriso triste, assente; è un sorriso lontano, nostalgico dei tempi andati.
Capisco.
E mi chiedo perché non le avessi mai fatto domande, perché, oltre a litigare per l'affitto, non avessimo mai parlato (che so) di politica, o di storia, o del suo defunto marito sovietico. Ma ormai è tardi. Capisco dalla luce spenta dei suoi occhi che non vive più nel presente, che non vuole, o non riesce, per quanto sia importante definirlo.
Mi volto desolato e sussurro nuovamente:«Ciao...»
  
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