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Autore: NorwegianWinds    10/04/2014    2 recensioni
Alex è un giovane musicista allo sbando: è appena stato cacciato dalla sua band, i We Love Thighs, e non sa cosa fare del proprio futuro. Tra tostapani molesti, amici fedeli, pornobimbe silenziose, vecchie guide ed ex mogli alla ribalta, riuscirà Alex a ritrovare la propria strada e la propria musica?
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Passo la notte al commissariato. Di primo mattino viene un avvocato che non ho mai visto a pagare la cauzione e mi porta nel suo studio legale.

 Dopo ore e ore di spiegazioni che afferro a malapena, viene fuori che sì, il vecchio Bill aveva ragione, e sì, i We Love Thighs sono stati derubati per anni. E ora Scott Henderson rischia la galera per un periodo di tempo quasi altrettanto lungo.

 Certo non avrei dovuto reagire in quel modo, assolutamente, ma i danni che dovrò risarcire a lui saranno una spesa minuscola in confronto a i soldi che lui dovrà dare a me.

 A metà pomeriggio sono un milionario.

 Non solo. Sono una star.

 La foto del mio poderoso pugno a Scott è su tutti i tabloid. La notizia ha fatto il giro dell'Inghilterra in men che non si dica. Vengo assediato dai giornalisti.

Dal suicidio di gruppo dei miei amici non c'era stato più uno scoop simile.

In due giorni vengo riabilitato davanti al mondo della musica.

Alex Caviezel, povera vittima della frode e della corruzione. Derubato del frutto del suo lavoro, della sua band, costretto a vivere per mesi come un outsider, senza un centesimo, senza una casa (che mi sono finalmente ripreso, facendo riparare tutti i danni), odiato da tutti coloro che prima l'adoravano. Vittima dello spietato mondo del rock e di un agente scaltro e calcolatore. Un puro di cuore che non si è mai voluto occupare dello sporco denaro... Fino ad ora. Puro sì, ma mica idiota.

 

Le mie giornate sono scandite alternativamente da interviste e sedute in tribunale. Vinco la causa, ovviamente.

Non so esattamente come sentirmi di fronte a tutto questo. Per la maggior parte del tempo sono semplicemente sbigottito. A sprazzi felice. Ma ho ancora delle faccende in sospeso, e non le ho dimenticate.

In un buco tra un'intervista e l'altra riesco a evadere e a infilarmi di nascosto all'Interzone. E' pomeriggio e temo che non ci sia nessuno. Invece Dawson è lì, con uno straccio e degli orribili guanti verdi, e pulisce il pavimento. Quando mi vede entrare, lo fa cadere a terra di schianto per lo stupore.

- Ho dovuto licenziare l'uomo delle pulizie - dice meccanicamente come prima cosa, per giustificare la sua strana tenuta, - Non mi bastavano i soldi -.

Sono attanagliato dal rimorso. Se l'Interzone sta fallendo è anche colpa mia, e di quel concerto mancato che gli ha rovinato la reputazione.

- Parliamo un attimo - dico al mio più caro amico, dopo qualche istante di silenzio, - Ti va? -

Annuisce. Ci sediamo a un tavolino, imbarazzati.

- Ho saputo delle ultime vicende. Non pensavo che fosse un tale bastardo, il tuo agente. Sono contento che le cose si siano sistemate - mi dice.

- Non si è sistemato tutto - rispondo, - E' per questo che sono qui. -

Mi guarda coi suoi grandi occhi neri, contornati di kajal - Ti ascolto. -

 Respiro a fondo. E' il momento di buttare fuori tutto - Dawson. Tu sei una delle persone più preziose che io abbia mai avuto la fortuna di incontrare. Perdonami per non aver rispettato i tuoi sentimenti e averti ferito, non so dove avessi la testa in quel momento, ma non ragionavo lucidamente di sicuro. Non voglio illuderti: non provo per te un amore totale e incondizionato come il tuo. Però sei importante per me e non voglio perderti come amico. Dico sul serio. -

Dawson è commosso. Mi prende una mano - Grazie, Alex - sussurra, - Ma non sei stato l'unico a sbagliare. Ti ho messo pressione in un momento molto difficile, ti ho fatto scenate di gelosia sciocche e inutili. Ti chiedo scusa per questo, spero che riuscirai a perdonarmi...-

- Non hai niente per cui farti perdonare - rispondo, poi scoppio a ridere per la felicità. Non l'ho perso, ora ne sono sicuro.

Ci abbracciamo. Mi cade l'occhio sull'orologio. E' già quasi ora di andare, dannazione. All'Interzone si sta così bene, mi sento a casa. Ma devo sbrigarmi a concludere.

 Così, in modo chiaro e conciso, gli faccio la mia proposta.

- Dawson. Voglio che sia tu il mio nuovo agente. Sei intelligente, ti intendi di musica e di affari, e sei affidabile. Diventa il mio agente e organizzami un concerto, proprio qui. Posso permettermi di auto finanziarmi. Fai in modo che ci siano critici e giornalisti, e che le persone che avevano preso il biglietto per quel disastroso concerto di un mese e mezzo fa possano entrare gratis -

Dawson spalanca la bocca - Scherzi? -

Sorrido - No. Sono nelle tue mani. Pensi di potercela fare? -

- Che domande, certo che sì! Puoi suonare anche fra due settimane se vuoi...-

- Va benissimo. Non aspetto altro -.

Sto già per uscire dall'Interzone quando Dawson mi blocca e mi abbraccia, a lungo.

- Sono così felice che tu sia tornato - dice, emozionato.

Non può immaginare quanto lo sia io.

 

Il giorno dopo mi accingo a sistemare la seconda faccenda in sospeso.

No, non è Debbie. Quella preferisco lasciarla per ultima. Inoltre non si è più fatta viva dopo quella notte, quindi non so bene come agire. Ho visto che è riuscita ad accaparrarsi delle interviste su un paio di tabloid in cui spiattellava al mondo intero la sua storia con Eddie.

"Come ho rovinato il mio matrimonio con Alex".

...Ho scoperto più cose leggendo quegli articoli che parlando con lei, ma pazienza.

Comunque, vado al Dusty Den, per dire al vecchio Bill che potrò pagare le registrazioni, per ringraziarlo, per proporgli di aiutarlo economicamente. Già a pochi metri dal portone di ferro mi accorgo che c'è qualcosa che non va. La porta è sprangata, con tanto di lucchetti qua e là. E c'è un cartello appiccicato sopra.

Mi avvicino e cerco di decifrare le parole sul foglio, che la pioggia ha fatto sbavare. Non ci metto poi così tanto, ma resto imbambolato a fissarlo per un quarto d'ora buono.

Non credo di voler davvero capire cosa c'è scritto, in realtà.

Mi volto di scatto e inizio a camminare in modo meccanico. Proprio dietro l'angolo c'è la casa di Bill, una villetta vecchio stile, dove la sua decrepita sorella, Edwige, regna incontrastata. Le poche volte che l'ho incontrata, mi ha letteralmente annegato in litri e litri di thé, rimpinzato di biscotti allo zenzero mollicci, e ha cercato di immobilizzarmi con chilometrici centrini di pizzo ricamati dalle sue dolci, artritiche manine.

Mi sento franare il terreno sotto i piedi quando vedo i drappi neri intorno alla porta di casa. So che è brutto da dire, ma spero che ad aver tirato le cuoia sia Edwige. Bill non può andarsene adesso, non può piantarmi in asso proprio a questa fondamentale svolta della mia vita. Io ho bisogno che lui ci sia.

La porta si spalanca e vedo solo una traballante impalcatura di capelli grigi, tenuta insieme da quintali di lacca, che si fionda verso di me. Parecchio più in basso c'è la testolina rugosa e lacrimevole di Edwige, che cerca di abbracciarmi con fare materno, ma mi arriva a malapena al petto.

Sprofondo.

- Oh, Alex, che gentile da parte tua passare... Vieni, caro, vieni dentro, posso offrirti un po' di thè -

E così, mi ritrovo nuovamente strizzato su un divano minuscolo, con l'amabile vecchietta che armeggia con la teiera. Soltanto che stavolta non si sente più Bill che si sposta da una stanza all'altra, bestemmiando perché non trova qualche cosa che gli serve per la sala prove.

Oggi regna un silenzio terrificante. Il silenzio dell'assenza.

Edwige mi schiaffa in mano una tazza ricolma di thè e latte. Stavolta non mi sforzo nemmeno di assaggiarlo.

- Come è successo? - sussurro.

- Era malato di cuore da tanto tempo ormai - mi dice Edwige tirando su col naso, - Il colpo di grazia è stato l'arrivo dei pignoratori del Dusty Den. Sono arrivati senza preavviso... Sai com'era Bill, sempre così suscettibile... E' montato su tutte le furie e il suo cuore non ha retto -.

Mi sembra che il divano mi inghiotta. Sprofondo all'indietro, contro lo schienale, e chiudo gli occhi.

- E il Dusty Den? - chiedo, sempre più abbattuto.

Edwige alza le spalle, rassegnata - Non possiamo farci più niente. Era in una condizione economica disastrosa. E' stato pignorato, e credo che ci faranno una sala giochi -. Tace per qualche istante, poi aggiunge, dolcemente triste - I tempi cambiano, ragazzo mio. La musica non ha più il valore di un tempo, né per chi la fa, né per chi la ascolta. Bill non ha voluto accettare la realtà, ed ecco com'è finito. Noi che siamo rimasti, invece, dobbiamo imparare a farlo... Adattarci, ecco -

Edwige dice quelle parole per consolarmi, ma hanno su di me l'effetto di un clacson nelle orecchie. Scatto in piedi improvvisamente, rovesciando thé sul tavolo e sul divano, e sibilo

- Adattarci? Col cazzo! -

Edwige spalanca la bocca, attonita, e resta immobile con quell'espressione anche quando le poso un bacio sulla fronte e me ne vado di corsa.

Il giorno seguente, sono il nuovo proprietario del Dusty Den.

  
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