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Autore: Anaire_Celebrindal    11/04/2014    3 recensioni
(Seguito di “L’Ombra del Doriath”) - Ripresi gli aggiornamenti!
Anno 474 della Prima Era: l'oscuro potere senza nome che avvelena i boschi di Neldoreth è finalmente venuto alla luce. Sauron, nei panni dell’elfo Mithor, infiltratosi alla corte di Thingol, con un incantesimo ha trasformato i Sindar in un esercito di assassini al suo comando. Quindi, imprigionata Melian in una cella incantata, ha assoggettato la foresta al potere di Morgoth.
Nel frattempo, le sue spie colpiscono i regni del Beleriand: Turgon è scampato per pura fortuna a un attentato mortale, Fingolfin, vittima di un agguato, è disperso nel cuore degli Echoriath, Fingon è stato rapito e portato a Menegroth, dove è tenuto come ostaggio per condurre Maedhros tra le grinfie di Sauron, mentre Maglor, rimasto solo al colle di Himring, si ritrova a dover fronteggiare un assedio.
La speranza vacilla per i popoli del Beleriand, ma non tutto è perduto: solo pochi sono a conoscenza della verità, e faranno in modo che questa venga alla luce. Una compagnia di celeberrimi Noldor e Sindar, tra cui Ereinion Gil-galad, figlio di Fingon, è partita alla volta di Menegroth, per liberare il Doriath dall’ombra di Sauron. L’identità del nemico è svelata: ora non resta che combattere.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Gil-galad, Lúthien, Sauron, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'ombra del Doriath '
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È un record: sono riuscita ad aggiornare entro il millennio. 
Se il tempo scorresse nella mia storia così come nella realtà, si sarebbe già arrivati alla Guerra dell'Anello (ovvero 6/7000 anni dopo), ma poco importa; sono di nuovo qui ed è già abbastanza!
Vi preannuncio che in questo capitolo torneranno ad essere i protagonisti personaggi di cui non avete sentito raccontare per molto tempo... lascio la parola alla storia e vi auguro una buona lettura! Vi sarei grata se lasciaste una recensione :) 




Quando il primo granello di luce filtrò attraverso il cumulo di roccia, l’elfo tirò un profondo sospiro. Si mosse lentamente, con cautela quasi temesse di far crollare l’intera montagna su di lui.
Proprio quello che sarebbe dovuto accadere.
Era troppo tardi per tornare indietro, quando Fingolfin aveva oltrepassato il cancello d’oro. Gli Echoriath erano semplicemente esplosi: le torri del cancello di ferro erano state disintegrate dalla forza sconosciuta che aveva dato origine alla frana e massi del diametro di dieci piedi erano stati scagliati tutt’intorno, come una pioggia infermale.
Era per un miracolo che Fingolfin aveva evitato di essere colpito da quei proiettili letali, riparatosi dietro le torri del cancello d’argento che nonostante fossero state bombardate con estrema violenza, non avevano ceduto.
Dopo l’esplosione era arrivata la frana: tonnellate roccia tenera che avevano riempito lo stretto passaggio tra le montagne, riversandosi contro di lui e intrappolandolo sotto le cime dei monti cerchianti.
 -Ah, Elbereth Gilthoniel... - sussurrò Fingolfin, con voce roca.
Da giorni era immerso nel buio più totale ed era riuscito a salvare poche delle provviste che aveva con sé al momento della frana. Di Rochallor, il suo destriero, non aveva trovato traccia, così come delle guardie che sostavano presso il cancello d’argento.
Se solo fosse giunto pochi minuti prima, sarebbe stato investito in pieno dalla furia della montagna.
Era stato incredibilmente fortunato: il cancello d’argento non era ancora stato aperto e aveva arginato la maggior parte delle rocce e dei detriti che si erano riversati o erano precipitati dai picchi sgretolatisi con l’esplosione.
Resosi conto di tutto ciò, il Re Supremo dei Noldor doveva trovare al più presto un modo per uscire dalla sua prigione sotterranea.
Aveva trovato riparo sotto un pilone di roccia solida, ma ogni via d’uscita era stata sigillata dalle pietre cadute. C’erano degli spifferi d’aria dall’esterno, Fingolfin li sentiva, ma provenivano da spiragli collocati troppo in alto o erano troppo lontani perché lui potesse raggiungerli.
Sebbene non potesse vederla, si era reso conto di avere una grave ferita a una gamba: non riusciva a muoverla, né ad appoggiarvi il peso del corpo, e doveva avere qualche costola rotta a causa dell’impatto.
Erano già trascorsi tre giorni dall’incidente quando finalmente era riuscito a liberare una lama di luce, scavando tra la roccia argillosa e aiutandosi con la spada.
Sollevato, Fingolfin si guardò intorno, distinguendo le sagome dei macigni che componevano la stretta caverna in cui si trovava. Era ampia poco più di quattro piedi, ma in una direzione il pavimento roccioso si sollevava verso un’apertura sottile da cui proveniva un getto d’aria abbastanza potente da indurre chiunque a cercare una via d’uscita da quella parte.
Peccato che Fingolfin fosse incastrato in una fenditura di roccia dura come l’acciaio, che non era possibile scalfire se non con un piccone, con una gamba con ogni probabilità rotta e diverse altre ferite più o meno gravi.
Aveva pochissime probabilità di sopravvivere e ne era consapevole: tonnellate di pietra si interponevano tra lui e l’aria aperta, ma per quanto remote potessero essere le possibilità, lui intendeva sfruttarle fino a che fosse stato possibile.
Si sollevò a fatica verso lo spiraglio di luce, issandosi su uno spuntone di roccia più vicino all’apertura da cui intendeva provare a uscire. Non volle attendere oltre: iniziò subito la scalata.  
Fingolfin si mise a tracolla la bisaccia con gli ultimi viveri e assicurò il fodero della spada alla cintura. Cercò sulla parete liscia un appiglio per la mano e in breve lo trovò.
Ma la gamba ferita non resse il suo peso: Fingolfin perse l’appiglio sulla mano sinistra e annaspò nel vuoto per lunghi istanti, prima di ritrovare abilmente la presa e sollevarsi, aiutandosi con la gamba sana.
Ansimante, accostò il capo alla parete. Era esausto e aveva percorso solo pochi metri. Altrettanti ne mancavano fino al punto più vicino in cui avrebbe potuto riposarsi.
L’impresa si prospettava ardua quasi quanto l’attraversamento dell’Helcaraxë o il duello contro Morgoth.
Sei il Re Supremo dei Noldor, renditi degno di questo nome.
Con un sottile gemito, Fingolfin continuò a salire, guardando in alto, verso la luce che sembrava essere lontana miglia da lui.
 
***
 
 -State attento, mio signore!-
Maglor si scansò appena in tempo per evitare un colpo mortale, ma la frusta del Balrog lo ferì a un braccio.
L’elfo sussultò, con una smorfia di dolore, stringendo la presa sull’elsa della spada.
L’assedio della fortezza andava avanti da settimane e si era presto affermata una posizione di stallo. Maglor era riuscito a evitare che i nemici prendessero la cittadella, ma le forze del colle di Himring erano limitate e l’esercito non era abbastanza potente per sconfiggere definitivamente la moltitudine di orchi e Balrog che sembrava moltiplicarsi sotto i loro occhi.
Era inutile tentare di mandare messaggeri per ottenere dei rinforzi: il colle era circondato su ogni lato, nonostante le pendici fossero libere e le mura non fossero state neanche scalfite.
Inoltre le provviste di cui la cittadella disponeva si stavano esaurendo rapidamente e le scorte di acqua potabile erano pericolosamente scarse. Dopo il violento acquazzone di tre settimane prima le nuvole erano state spazzate verso sud da venti gelidi e violenti, lasciando che il sole asciugasse e bruciasse ogni cosa; ma la bella stagione era vicina e con essa Maglor sperava che giungessero i tanto attesi temporali estivi.
Sempre che lo Himring non fosse stato preso prima.
Da ore Maglor combatteva con lo stesso demone: un Balrog violento e agguerrito lo aveva preso di mira, ma lui era già stanco e faticava a tenergli testa.
I pochi guerrieri che lo avevano affiancato nell’arduo duello erano stati dispersi in seguito al fendente del Balrog, ed egli si trovò a fronteggiarlo da solo.
Il servitore di Morgoth fece schioccare la frusta e ruggì, soddisfatto. Maglor si riparò dietro un cumolo di rocce, mentre l’arma si abbatteva nel punto in cui lui si trovava un istante prima.
L’elfo ansimava, esausto. Si appoggiò alle rocce, pulendosi il sangue misto al sudore dalla fronte e si preparò a tornare all’attacco.
Un orco gli tagliò la strada, parandosi davanti a lui, ma Maglor gli mozzò la testa con un solo colpo e corse ad arrampicarsi sul cumulo di roccia, per avere una visuale migliore della battaglia. Gli schieramenti erano invariati: c’erano uguali perdite in entrambi i fronti, ma la situazione degli assediati stava lentamente peggiorando.
Un ruggito del Balrog riportò Maglor alla realtà.
L’elfo balzò di lato, evitando un secondo fendente del demone, e con un movimento fluido portò la spada di fianco, troncando la frusta infuocata.
Aveva privato il demone della sua arma più letale. Sarebbe stato molto più facile, da quel momento. Il Balrog agitò il pezzo d’arma che era rimasto, lungo meno della metà di prima, accecato dalla rabbia, e lo scagliò lontano.
Approfittando dell’esitazione del demone, Maglor si arrampicò più in alto sul colle, avvicinandosi al braccio che reggeva la frusta. Era in una posizione strategica, ma pericolosa: doveva muoversi, o sarebbe stato colpito. Così si lanciò senza esitare addosso al mostro, in una manovra avventata.
La sua spada affondò con facilità sull’arto fiammeggiante del Balrog.
Maglor fu sbalzato via, in mano l’elsa spezzata della spada. Atterrò bruscamente sul terreno e si allontanò frettolosamente dal demone, la cui collera stava devastando le pendici del colle. Sangue nero zampillava dalla sua ferita per cadere sul pendio erboso, bruciando ogni arbusto che incontrava.
Maglor era disarmato. Un pugnale era troppo poco per continuare a combattere. Doveva procurarsi una spada o una lancia prima possibile.     
Si allontanò, correndo, dalla furia del Balrog, avvicinandosi ai suoi alleati.
 -Mio signore!- esclamò uno dei soldati, vedendolo giungere -dov’eravate?-
 -La tua lancia, presto, per favore!- gli disse Maglor, in fretta.
Afferrata la lancia che l’elfo gli porgeva, si voltò a fronteggiare il Balrog.
Mormorò a mezza voce un incantesimo: la magia che conosceva era rudimentale, ma i demoni di Morgoth non potevano essere sconfitti altrimenti.
Scagliò la lancia con tutte le sue forze contro il Balrog. Ruggendo e gemendo, questo si accasciò al suolo, inondando di sangue le pendici del colle.
 -Mio signore- ripeté l’elfo -gli orchi hanno raggiunto le mura, a ovest.-
 -Non possiamo ricacciarli indietro?- disse Maglor, trafelato.
 -Siamo troppo pochi, mio signore- rispose il soldato -lasceremmo scoperte le mura orientali.-
Maglor sospirò.
 -D’accordo, non possiamo più sostenere il confronto su questo fronte. Ritiriamoci dentro le mura. Evacua l’esercito, Tammol.-
 -Sì, mio signore.-
 -Ripiegare sulla fortezza! Ritirata! Presto, dentro le mura!-
 -Ritirata dentro le mura!- gridò Maglor a un gruppo di arcieri al fronte settentrionale.
I soldati lo seguirono, senza smettere di tirare frecce alla moltitudine di orchi che ormai aveva infestato il colle.
Il cuore di Maglor si strinse alla vista dei pochi soldati che erano ritornati dentro le mura. Erano meno della metà di quella mattina stessa.
 -Chiudete il cancello!- ordinò ad altre guardie -Non c’è più nessuno, fuori.-
La porta delle mura si chiuse, cigolando.
L’esercito di Angband non tardò a organizzarsi per assalire le mura: dopo poche ore le fruste dei Balrog schioccavano e sibilavano a pochi piedi dalle prime feritoie.
Maglor sentì il respiro affannoso. Non negava di avere paura.
Da dopo la Battaglia della Fiamma Improvvisa, il colle di Himring era l’unico baluardo a interporsi tra il dominio di Morgoth e le terre ancora libere degli elfi e degli uomini. Se la fortezza fosse stata presa, sarebbe stata colpa sua.Tutto il Beleriand orientale sarebbe stato esposto alla furia di Angband... Maglor non riusciva nemmeno a immaginare quali sarebbero state le conseguenze.
Sentì più che mai la mancanza del fratello, che riusciva sempre a non perdere la calma.
Maedhros sapeva sempre cosa fare, aveva un piano di riserva in ogni situazione. Era sempre stato accanto a lui, per dirgli di non preoccuparsi, che tutto sarebbe finito bene.
Lo aveva detto anche quella sera, quando loro padre li aveva portati a Tirion e aveva pronunciato quel discorso, con gli occhi fiammeggianti d’ira e desiderio di vendetta.
Anche allora Maglor aveva avuto paura; ma non aveva esitato a balzare accanto al padre e a pronunciare il Giuramento. Né dubbi, né timore lo avevano attanagliato allora, nessun pensiero rivolto al futuro.
 -Mio signore Maglor!-
 -Cosa c’è, Tammol?-
 -Le mura meridionali sono state attaccate, bisogna mandare dei rinforzi!-
 -Sì... -sussurrò Maglor -Sì, manda trecento arcieri. Qui possiamo farne a meno.-
Era ora che la sua mente si staccasse dai rimpianti e dagli antichi ricordi per concentrarsi sul campo di battaglia. Non poteva più concedersi un istante di distrazione: doveva essere lucido, se voleva che le difese reggessero.
Potevano ancora farcela... molti dei Balrog erano stati sconfitti, anche se rimanevano ancora le schiere di orchi. Presto anche loro sarebbero stati stanchi dell’assedio. C’era ancora una speranza di resistere, fino a che un messaggio non fosse pervenuto a qualcuno che potesse aiutarli.
Una speranza che diventava sempre più flebile. A Maglor sembrava di sentirla assottigliarsi minuto per minuto, ma c’era ancora speranza.
Forse. 




 
   
 
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