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Autore: Gulliver_    11/04/2014    4 recensioni
Ma cosa significa essere liberi? Questa parola non dovrebbe esistere, dovrebbe essere cancellata dal vocabolario, perché non fa altro che confondere la gente sulla sua falsa esistenza. Una parola costruita da sette lettere, secondo me, messe a caso. Una parola che contiene mille illusioni. Una parola che non ha alcun significato. Perché riteniamo gli uccelli liberi? Perché possono volare. Ma si può chiamarla libertà, quella? Libertà vuol dire senza limiti. Tutti noi, a partire dai più piccoli animaletti insignificanti che ad occhio nudo fanno fatica a farsi vedere, fino a noi, esseri così complicati da complicarci anche la vita, ci poniamo dei limiti. Dei limiti che ovviamente nessuno riesce ad evitare, perché troppo impauriti dalle conseguenze.
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Dorotea, che ancora non ha capito
qual è la scelta giusta da fare.
 
Se solo tu potessi vedere ciò che vedo io,
capiresti perchè ti voglio così disperatamente.
 
Troppo tardi.
 18 novembre 2013
Caro diario,
 
e dopo la bellezza di due anni, sono ancora qui a raccontarti di come la mia vita sia cambiata da quel tardo pomeriggio del 18 novembre 2011. Solo adesso, dopo due anni, sono riuscito a capire le mie sofferenze da dove derivano. Dalla solitudine, da una vita che voleva essere accompagnata, magari dalla persona giusta. Dopo due anni, realizzo il fatto di non essere arrivato in tempo al mio traguardo, e dopo due anni non riesco a far altro che piangere colmando il mio vuoto con dell’acqua salata, sperando che un giorno riesca a cicatrizzare tutte le mie ferite. Ahimè, quel tardo pomeriggio in cui Liam mi invitò a casa sua. Quello stesso giorno in cui sua sorella tornò dalla Scozia, in viaggio da qualche mese. Ricordo, che quel giorno ero felice. Ma non ricordo il motivo. Ricordo che ero vivo, perché i miei desideri si erano già tutti avverati. Ricordo di non avere avuto nessuno accanto. Nessuna regola, nessun patto con qualcuno. Ma ero felice, perché ero libero. Ma cosa significa essere liberi? Questa parola non dovrebbe esistere, dovrebbe essere cancellata dal vocabolario, perché non fa altro che confondere la gente sulla sua falsa esistenza. Una parola costruita da sette lettere, secondo me, messe a caso. Una parola che contiene mille illusioni. Una parola che non ha alcun significato. Perché riteniamo gli uccelli liberi? Perché possono volare. Ma si può chiamarla libertà, quella? Libertà vuol dire senza limiti. Tutti noi, a partire dai più piccoli animaletti insignificanti che ad occhio nudo fanno fatica a farsi vedere, fino a noi, esseri così complicati da complicarci anche la vita, ci poniamo dei limiti. Dei limiti che ovviamente nessuno riesce ad evitare, perché troppo impauriti dalle conseguenze. Delle conseguenze molto drastiche che fanno pensare ad un futuro di solitudine. Ma si può essere più soli di così? Noi non abbiamo nessuno, ci riteniamo figli di qualcuno, ma non apparteniamo ad altri che a noi stessi. Io non mi ritenevo di nessuno, come non ritenevo nessuno mio. Niente era mio, solo gli oggetti. Ma le persone non possono appartenersi, perché sono vivi e hanno sentimenti, perché hanno paura e piangono, perché amano e odiano.
 
Quel pomeriggio di novembre di due anni fa, i miei pensieri cambiarono, i miei occhi videro la luce per la prima volta, le mie labbra restarono mute davanti a tanta bellezza, il mio cuore cominciò a battere per volere mio. Ma perché il cuore batte indipendentemente da noi? Perché se fosse il cervello a decidere per il nostro cuore, nessuno soffrirebbe più di tanto. Perché il cervello ragiona, il cuore ama. Perché il cuore vuole donarsi ad una persona che in quel momento vede con occhi suoi. Gli occhi che tutti vediamo sono comandati, vanno a comando del nostro cervello, che cerca in tutti i modi di distogliere dalla loro vista una persona importante. Ma il cervello, per quanto intelligente esso sia, non sa che anche il cuore ha degli occhi tutti suoi. Sono invisibili e hanno la capacità di parlare. Parlano attraverso i sorrisi involontari che solo quella persona importante ci sa donare, parlano attraverso le guance che diventano rosee al sol palpitare del cuore, che pompa il sangue più velocemente fino a farlo sprizzare per tutto il nostro corpo, e che ovviamente si incastra sotto la pelle del viso, mentre quella delle braccia si rialza mostrandosi fragile, delicata e appuntita come quella delle oche. Ricordo che appena Liam mi aprì la porta di casa, il cielo si incupì. Così come la mia felicità, come se già si sapesse che da quel momento in poi la mia vita sarebbe peggiorata.
“Fratello!”, esclamai ancora ignaro dal futuro crudele. Liam mi diede una pacca sulla spalla, facendomi strada fino al divano come se non la ricordassi. Come se anche lui sapesse del mio destino di inferno, come se mi volesse rassicurare e accompagnarmi verso ogni scorciatoia che porta sulla strada della serenità perduta. Prese la sua ciotola di patatine tra le mani, poggiando i piedi sul tavolino di fronte ad uno schermo che strava trasmettendo una partita di football. Giocava la sua squadra del cuore ed erano guai seri se qualcuno avesse avuto l’intenzione di cambiare canale o distrarlo dal match. Dalle scale si sentirono dei passi e una voce melodica e femminile mi otturò le orecchie. Una voce così fine e delicata, da far invidia al cinguettare degli uccelli. La vidi proprio in quel momento, quella bellissima ragazza dai lunghi capelli castani. Era impegnata a fare altro, però, tanto da non accorgersi della mia presenza, di una presenza che non aveva mai sentito prima. Si può essere così ciechi ma affascinanti da non accorgersi di un’ospite? Aveva il cellulare attaccato ad un orecchio, incapace di udire la mia voce semmai avessi voluto fargliela sentire. Si avvicinò a passi lenti ma decisi, con lo sguardo basso e concentrato sulle parole della persona dall’altro lato del telefono, mentre il mio cuore mi supplicava di fermare il suo battito così frequentemente attivo. Ma come ho detto prima, il cuore è indipendente, non può smettere di battere. Ma quel pomeriggio non finiva di battere così forte, tanto da farmi sentire debole. Prese una patatina dalla ciotola di Liam, che ringhiò per la poca attenzione che sua sorella diede nel mettersi davanti al televisore, forse nel momento più cruciale. Mi diede le spalle e lì non capii più niente. Riuscii ad intravedere il bottone e la lampo dei suoi jeans aderenti completamente all’aria, senza aver il minimo interesse di aver scoperto le sue mutandine a cuoricini. L’orlo dei jeans le arrivava fin sotto il sedere, e il cuore iniziò a farsi sentire fino alle palle. Non riuscii a capire niente, troppe emozioni in una sola volta, troppa bellezza in una sola persona, troppe voglie in un solo attimo.
 
“Harry..”, sentii la sua voce sussurrare il mio nome, mentre mi presentai alle sue spalle senza preavviso. Sapeva che ero io, riuscivo a sentire il suo disperato bisogno di me. Lo sentivo dal mio nome pronunciato in quel modo, che  mi supplicò di continuare nel mio intento, oppure di smetterla ma senza avere la forza di allontanarmi dal suo corpo così piccolo rispetto al mio. Le scostai i capelli dalla spalla per poter respirare a fondo il suo profumo alla ciliegia e per lasciarle una scia di baci umidi fino sotto l’orecchio, il suo punto debole. Gemette al contatto del mio respiro sulla pelle e le mordicchiai il lobo per ascoltare le sue voglie quanto erano disperate. Si girò verso di me e incontrai i suoi occhi illuminati di luce propria in una stanza completamente buia. “Cosa c’è, Harry?”, disse mentre mi stavo per avvicinare alle sue labbra con il fiato già corto. Quella domanda mi spiazzò, rendendomi vulnerabile e di pietra, e il mio cuore volle scappare. “Voglio te, non è evidente?”. Proprio non riusciva a capire quanto era forte il mio amore per lei? Quanto avevo bisogno di sentirmi tra le sue braccia? E di poterla proteggere da un destino che non ci apparteneva, così crudele? Non poteva respingermi, non poteva non volermi. La sentii tirare su con il naso e lì capii di aver fatto uno sbaglio. Ma non era colpa mia, troppo accecato da tanto splendore. Presi il suo piccolo viso tra le mie mani, in modo che vedesse come i miei occhi splendevano di luce riflessa. Come il Sole e la Luna. Come la Luna ha bisogno della luce del Sole per brillare nel cielo scuro di notte, per poter donarci almeno un po’ di luce quando la nostra fonte principale è dall’altra parte del mondo, così facevano i miei occhi. Brillavano alla sola vista dei suoi, alla sola vista del suo sorriso luminoso, che in quell’ultimo periodo non riuscii a vedere se non raramente. “Cos’ho detto di sbagliato?”, dissi flebile cercando di non esaurire troppe forze per la paura di non riuscire a portare avanti quella notte. “Niente. Tu non hai niente non vada, Harry. La colpa è solo mia, perché non ti merito.”, continuò strozzando parole nelle lacrime. Le sussurrai di fare silenzio, impedendole di continuare oltre e sparare altre stronzate. “Piccola.. – continuai a sussurrare lasciandole un lieve bacio sulle labbra morbide – Tu non hai niente che non vada, sei perfetta.”, cercò di allontanarsi da me, come se fossi una trappola e lei un topolino in cerca della libertà di non essere catturata e ammazzata. Come se io le avessi appena detto che fosse l’errore che non rifarei mai, per niente al mondo. Le stavo per giurare amore eterno, ciò che due anni prima non riuscivo nemmeno ad immaginare. “Ma non capisci? Io non riesco a renderti felice, non ci riuscirò.”, quasi urlò. “Tu già mi hai reso felice, mi rendi felice tuttora e mi renderai felice in eterno se solo fossi convinta del contrario di ciò che dici. Perché tu mi fai sentire importante piccola, come nessun altro. Mi fai sentire vivo, come nessun altro essere vivente è capace di sentirsi. Tu mi completi.”
 
Quelle furono le ultime parole che riuscii a pronunciarle. Prima che lei mi abbandonasse e mi lasciasse da solo. Svegliandomi nudo nel suo letto con una marea di pieghe al posto del suo corpo. E lei se ne è andata, senza dirmi niente. All’improvviso, senza preavviso. Lasciandomi con mille domande e senza nemmeno una risposta. Avrei tanto voluto svegliarmi con il suo corpo tra le braccia, con le sue dita tra i capelli, con le ciglia che le accarezzavano il volto roseo e coperto da alcuni ciuffi ribelli. Come avrei voluto trascorrere una vita intera con lei. Come avrei voluto imparare qualcosa di più da una donna grande di due anni rispetto a me, ma che tornava bambina non appena i suoi occhi incontravano la mia figura che sembrava dargli sicurezza. Come avrei voluto che mi avesse detto delle sue condizioni, della sua malattia. Come avrei voluto sapere da lei che non voleva innamorarsi per non soffrire e per poter vivere felice almeno i suoi ultimi istanti di vita. Ma adesso quello che soffre sono io, senza la speranza di riaverla accanto. Senza poterle promettere una lunga vita insieme, senza che potessi urlare al mondo almeno una volta quanto l’ho amata. E quanto lo faccia tuttora. E mi piacerebbe poterla raggiungere, solamente per poterla salutare un’ultima volta, oppure per rimanere lì con lei per sempre. Per il resto dell’eterno.
Quanto mi sarebbe piaciuto sentirle dire che mi amava, che mi desiderava quanto la desideravo io. Che mi voleva accanto quanto la voglio io.
Quanto mi sarebbe piaciuto riuscir a dirle almeno una volta ‘ti amo’. Se solo avessi saputo tutto molto prima, forse ci sarei riuscito. Ma adesso è troppo tardi. E lei non c’è più. Ed io sono disperato e affogo nelle mie stesse lacrime ogni notte, cercando di addormentarmi il prima possibile per raggiungerla nei sogni. Perché adesso è li che vive. Perché adesso è da lì che mi guarda, ed è da qui che io non posso farlo. È da lì che sorride osservandomi in ogni mio movimento, mentre cerca di trasmettermi il suo sorriso.
Peccato che funzionasse solamente quando entrambi ci guardavamo senza fiato, senza realtà, senza dolori e sofferenze. Peccato che succedeva solo quando non avevo il dolore in mente che mi impedisce addirittura di ricordarla. Perché io non ricordo nemmeno più il suo viso, le sue carezze, i suoi occhi che tanto amavo e che tanto facevano brillare i miei. Peccato che tu non sia qui, peccato che non riesca a consolarti come meriti mentre tu forse stai piangendo a causa della mia poca cura per me stesso. Peccato che non possa sentire la tua voce un’ultima volta.
Peccato che io ti ami ancora.
 
Per sempre tuo, con amore, Harry.
   
 
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