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Autore: pandaivols    12/04/2014    2 recensioni
▪ DAL PROLOGO:« Signor Hidden, vuole invece rivelare ai telespettatori cosa dovranno aspettarsi i nuovi ventiquattro tributi di quest'anno dall'Arena? » [...]
« Ti dirò la verità, Flickerman: penso proprio
nulla. » Il volto del conduttore era la sorpresa e la confusione fatta persona, così come tutte le altre facce che componevano la platea di quella sala.
Inaspettatamente, dopo essersi goduto la reazione che aveva suscitato, Frank Hidden continuò: « Perché potrebbero aspettarsi veramente
di tutto. »
Un coro di espressioni sorprese - e desiderose di vedere quei secondi Hunger Games in azione - si sparse per tutto il pubblico.
[...]
Il presentatore si alzò, spalancando le braccia ed annunciando a gran voce: « Signore e signori, che i secondi Hunger Games abbiano inizio! »


Ecco a voi, intrepidi capitolini, la seconda edizione dei Giochi della Fame. Chi saranno i ventiquattro tributi pronti ad uccidersi, vivere o morire per la vittoria? Sta a voi deciderlo; e tenete gli occhi bene aperti, avventurosi lettori, perché il pericolo, il sangue e la morte potrebbero essere proprio dietro l'angolo.
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Altri tributi, Nuovi Tributi, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Lime, Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il sangue del vicino è sempre più rosso.'
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Il sangue del vicino è sempre
più rosso.

 

 







 

Fifteen thousand people scream.


Svolgimento


.




 

I was calling your name
But you would never hear me sing
You wouldn’t let me begin.

 [ Falling down - Muse ]


 

 

Salutato Ocean Keats, Augustus si allentò la cravatta verdeacqua, pronto a chiamare « L’incantevole Jamie Light Emily Sunders! » sul palco.
Quando Jamie entrò in scena, era veramente incantevole: aveva silenziosamente pregato Ice, la sua accompagnatrice albina, per indossare le sue punte e quella l’aveva accontentata. I capelli castani di Jamie erano fermati da un diadema e tirati indietro in una treccia a spirale che finiva in uno chignon a forma di fiore. Il viso era cosparso da uno spesso strato di cipria bianca, come tutto il corpo, pieno di glitter. Gli occhi ambra erano enfatizzati da un trucco a forma di ali di cigno che le occupava tutta la fascia degli occhi, coi colori neri e argento. Al collo portava il nastro di raso con il ciondolo a forma di punte da ballerina come portafortuna e indossava un body stretto a cuore, ricoperto completamente da piccole piume bianche.
« Guardate, il nostro piccolo brutto anatroccolo si è trasformato in un cigno! » esclamò, ma il commento non toccò minimamente la serenità della quattordicenne. « Il tuo abito è un tributo alla nostra cara Constance Lovestock? »
I riflettori inquadrarono fra le file d’onore la moglie del potente Menenius Snow, che stavolta non indossava il suo solito copricapo a cigno, bensì era ornata di gioielli e i capelli castani erano coperti da una riccia parrucca bianca piena di ragnatele, in cui vi era incastonata una pomposa corona, che la faceva somigliare ancor di più a una regina. Si reggeva il pancione, sorridendo dolcemente alla tributa del Distretto 5, sinceramente colpita.
Augustus si sedette sulla comoda poltrona, ma, osservando che l’altra restava in piedi, in una posa classica e raffinata, cercò di attirare la sua attenzione: « Jamie, hai intenzione di stare in piedi tutta la sera? » ridacchiò.
La castana fece un leggero inchino nella sua direzione, che lo lasciò confuso, per poi inchinarsi più profondamente verso il pubblico. E a quel punto iniziarono le danze.
Jamie prese davvero a ballare, elegantemente, come un uccello che vola a primavera, come le onde calme del mare che si trasformano in spuma.
Non poteva parlare, così danzava e raccontava la sua storia: i suoi ricordi iniziavano da quando la sua intera famiglia – madre, padre e le due sorelle – venne uccisa dall’esercito di Capitol City durante i primi anni di rivolta. Prima di quell’evento, il buio. Jamie mostrava la sua salvezza in quella caduta, che l’aveva fatta separare dal resto della sua famiglia, che le aveva fatto incontrare quell’anziana signora di nome Mealh, che poi l’aveva nascosta e accudita. I Giorni Bui erano stati davvero privi di luce, aveva vissuto senza corrente elettrica, nascosta sotto terra, scampando all’esplosione della centrale nucleare. Al ritorno in superficie, pochi sopravvissuti e la costante paura di non poter avere figli. Ma Jamie raccontò coi suoi movimenti fluidi anche di come era riuscita a trovare la serenità in tutto il resto della sua vita, dove non trovava il bisogno di parlare, dove veniva discriminata, dove non giudicava nessuno.
Quando finì, fece di nuovo alcuni profondi inchini e un boato di applausi esplose tra la folla di capitolini, ove alcuni si erano lasciati sfuggire qualche lacrima per quella danza, tra cui la nominata Constance.
« Voglio darle il mio sponsor » sussurrò al marito, al suo fianco.
L’uomo, annoiato, ci rifletté un poco. « Si potrebbe fare » mugugnò, « in fondo ha preso un bell’otto alla sessione. »
Augustus, sinceramente sconvolto e confuso, cercò di riprendersi, frustrato da tutti quegli applausi, e tossì per interrompere quel momento e riprendere la voce che la ragazza del Cinque sembrava avergli portato via.
« Insolito » commentò. « Ma non indugiamo, chiamiamo sul palco colui che abbiamo conosciuto come “il ragazzo a cui giravano gli elettroni”: un bell’applauso a Jason Bennet! »
Il moro entrò vestito con un abito ottocentesco: un frac blu scuro che si divideva in due punte sul retro, sotto un panciotto bianco, dei pantaloni di stoffa beije a vita alta e degli stivali da fantino; sul capo teneva un cilindro, al collo una cravatta bianca piena di merletti e in mano un bastone da passeggio.
Dopo una stretta di mano, i due si sedettero l’uno di fronte all’altro e Augustus sperò che almeno lui parlasse, non come la sua compagna.
« Allora, Jason, hai fatto colpo su molte donne alla sfilata » strizzò l’occhiolino a lui e alla folla, nella quale alcune donne si lasciarono sfuggire qualche gridolino eccitato. « Ma passiamo alla tua famiglia e non al tuo aspetto. Mi è giunta voce che siete numerosi a casa. »
« Ne eravamo di più » ammise, sincero, con una scrollata di spalle. Augustus inclinò il capo, spronandolo a continuare, mentre la nostalgia del passato si insinuava nel cuore del riccio. « Prima della rivolta eravamo in otto. »
« Una rivolta che vi ha auto-distrutti » lo interruppe. Jason fulminò il presentatore con uno sguardo, ma quello non vi badò, per poi continuare: « Tutti maschi? »
« Tutte femmine. »
« Non ti invidio. Io con un fratello sono fin troppo a posto » ridacchiò, seguito dal pubblico.
Jason non sapeva cosa trovarci di tanto divertente in quella frase, ma, paziente, proseguì il suo racconto: « Mio padre, mia madre, Jane, io, Elizabeth, Mary, Kitty e Lydia. Ci mantenevamo col lavoro da bibliotecario di mio padre, non che mia madre ne fosse contenta. »
« E poi, cosa successe? » chiese il presentatore, fingendosi interessato.
« Mia madre, Kitty e Lydia sono morte, uccise. Non avevamo un gran legame, ma erano pur sempre parte della famiglia. » Jason non riusciva a fingere un tono particolarmente grave per quelle morti, consapevole che, in fin dei conti, aveva odiato la madre e le sorelle per i loro comportamenti frivoli e capricciosi. Si considerava inopportuno a pensare che dopo che se ne fossero andate aveva vissuto meglio, ma era pur sempre la verità. « Mio padre è morto nell’esplosione della centrale nucleare e Mary… » lasciò la frase in sospeso, stavolta rattristandosi sul serio, « beh, lei non è più la stessa, non può più… »
Si accarezzò il collo, proprio nel punto dove aveva la grossa voglia rosso scuro sotto al mento, come sempre quando era pensieroso, ma che ora gli doleva; pensò che forse anche ad Elizabeth ora stesse facendo male, che soffriva come lui al pensiero di Mary che pian piano si riduceva sempre più a un vegetale. Non riusciva a trovare le parole giuste per parlare e rifletteva sul fatto che forse era meglio omettere l’incontro della sua famiglia col colonnello ribelle Hugo Fitzwilliam e dell’amico Charles Bingley. Non voleva mettere nessuno in pericolo con la storia dei ribelli, soprattutto ora che Jane era riuscita ad aprirsi con Bingley e a trovare in lui un appiglio, dopo la morte di Fitzwilliam.
« E quella voglia? » domandò Augustus, risvegliando il diciassettenne dai suoi pensieri.
« Oh, questa » la indicò, alzando le spalle. « Non lo so, dopo l’esplosione è misteriosamente comparsa sia a me che ad Elizabeth. Pensavamo fosse un semplice neo, ma poi pian piano si è ingrandita. »
« Come mai? »
« Forse perché siamo gemelli » rispose sinceramente, dicendo la prima cosa che gli era passata per la mente. Il pubblico trovò quella frase stramente divertente, ma Jason non capì perché ridessero.
« No, nel senso, non hai paura che possa peggiorare? »
Jason trattenne l’istinto di grattarla ancora una volta, lanciando un’occhiata truce a Flickerman. « Beh, ora ne ho. »
Augustus ridacchiò, sadico, e si alzò per salutare Jason, che si allontanò scocciato.
« Dopo Jason Bennet, è l’ora di Wednesday Friday Addams! »
La dodicenne entrò con la pelle più bianca del solito, dipinta a teschio come quella del suo stilista, ma con decori messicani; occhi e labbra erano nero pece, come i capelli raccolti in due lunghe e morbide trecce che le ricadevano lungo le spalle. Nonostante la sua statura, portava un lungo vestito nero, con uno strascico che si prolungava per circa tre metri; era a collo alto, smanicato e aperto per tutta la schiena, dove vi erano delle ossa incrociate tra loro a reggere i due lembi di stoffa. Vi era disegnato tutto l’intero apparato scheletrico, con ossa aggiuntive che creavano un motivo a righe per tutto il vestito e continuava sullo strascico, dando l’impressione di una coda di drago. Le spalline erano costituite da due veri e propri crani e le braccia erano guantate sempre di nero e con lo stesso motivo scheletrico; fra le cui la giovane Addams stringeva la sua cara Maria Antonietta.
Wednesday si accomodò sulla poltrona senza il permesso di nessuno e neanche salutando il pubblico o lo stesso Augustus, che fece una smorfia irritata.
« Devo raccontare la storia della mia vita, vero? » sbuffò, annoiata.
Augustus la guardò di traverso: odiava chi metteva i bastoni fra le ruote al suo lavoro. « Bah, se la ritieni interessante. »
« Mio nonno, in realtà, era un capitolino » iniziò e il presentatore dovette ricredersi, perché a quella storia ora voleva sinceramente stare attento, « ma si fece costruire una villa nel Distretto 6 – ai margini della Zona Ovest, ora distrutta – perché in fondo, diciamocelo, questo posto è pieno di idioti. » La folla protestò, offesa, ma la dodicenne li ignorò e continuò il suo racconto: « Beato lui, è morto. Magari una simile fortuna a me! »
Flickerman sgranò gli occhi, incredulo. « C-come, prego? Fortuna? »
« Certo » confermò la mora. « Magari morissi io, meno male che mi hanno estratta, i primi Hunger Games sono stati così noiosi; forse il Fato voleva che mi estraessero per renderli cruenti come si deve e non una semplice passeggiata nel bosco, com’è stata per quella Jewel Walker. »
Il presentatore diede uno sguardo al pubblico, sinceramente attaccato alla preziosa vincitrice, ma lui si stava divertendo e cercò di reprimere un ghigno. Forse quella ragazzina gli avrebbe dato ciò che voleva: più sangue e dolce vendetta.
« Comunque mi è rimasta mia nonna materna. Lei e mia madre sì che ne sanno di erbe, non come quegli istruttori del Centro, dicevano un mucchio di cazzate. » Il pubblico scoppiò in un boato inorridito e pieno di proteste, che Wednesday continuò bellamente ad ignorare. « Poi, vediamo, rimane mio padre, Mano… »
Augustus la interruppe, notando quello strano nome. « Mano? Perché chiamate qualcuno così? »
Wednesday lo fissò seria, incrociando le braccia, alquanto scocciata, come se la risposta fosse ovvia. « Mi sembra chiaro, perché è una mano. » Augustus sgranò gli occhi ancora una volta, mentre l’altra proseguiva: « Lurch – il nostro maggiordomo – e poi ci sono i miei fratelli: quell’idiota di Pugsley, il maggiore, e, purtroppo, Pubert, il minore. »
Il presentatore verde-acqua ridacchiò nervosamente, allentandosi il colletto. Ora capiva perché Saevera parlava male dei suoi tributi. « Come mai così ostile verso tuo fratello? »
« Non so ancora perché non muore. Forse aspetta anche lui gli Hunger Games per essere estratto e vincere il premio come peggior morto della storia, quella schiappa. Ma il solo pensiero che Winnow possa toccarlo mi fa ribrezzo – e io allevo ragni! Pubert non sarà mai degno delle sue magnifiche creazioni. »
« Winnow Spottiswoode, se non sbaglio, è il tuo stilista » osservò l’uomo, unendo i palmi delle mani l’uno contro l’altro, vicino la bocca.
La dodicenne annuì. « Lui dice che sto attraversando quello strano periodo in cui tutte le ragazze hanno un chiodo fisso. »
L’altro ghignò, pensando che alla fin fine anche quella ragazzina fosse inutile come tutti gli altri, perdendosi in cose così frivole. Lei non avrebbe mai conosciuto il vero amore come l’aveva vissuto lui. Lei non l’avrebbe mai avuto perché il suo destino era morire e così doveva essere. Così Augustus si sarebbe potuto vendicare.
« Oh, l’amore? »
« No, l’omicidio. » Wednesday si alzò, sbadigliando. « Abbiamo finito? » chiese, ma prima che l’uomo potesse obiettare, aggiunse un « Pare di sì » e uscì di scena col suo strascico, pulendo il pavimento già lucido del palco.
A passo svelto, subito dopo, entrò il tributo del Distretto 6 conosciuto come Zhu Koeyn, che teneva i capelli castani raccolti in un alto codino e indossava un kimono rosso dalle rifiniture dorate, trasportando una katana in spalla.
Augustus, ancora al suo posto, lo guardò interrogativamente. « Non ti ho ancora chiamato… » mormorò.
A quella frase, Zhu si immobilizzò subito, sentendosi a disagio. « Ah » si lasciò sfuggire, « non pensavo fosse necessario. »
Si sedette immediatamente, in imbarazzo e maledicendo la propria impulsività. Anche se non lo voleva ammettere, era così nervoso per l’intervista che aveva pensato che prima fosse finito quello strazio, meglio sarebbe stato.
« Non indugiamo con futili convenevoli » iniziò il presentatore, tenendo sulle spine Zhu, che temeva quello che gli avrebbe potuto chiedere. « Tutti si staranno chiedendo quale sia la storia della tua cicatrice. »
Zhu si paralizzò, neanche prese fiato, non sapendo cosa dire, anche se si era già aspettato una domanda del genere. Non voleva incrociare il suo sguardo con quello chiaro dell’uomo, ma sembrava incapace di distogliere gli occhi, fissi come una calamita.
Cosa avrebbe dovuto dire? Che si era lasciato sfuggire che lo sterminio di innocenti fosse una cosa disumana nel bel mezzo di una riunione militare anti-ribelli in casa sua? Che suo padre – che tanto lo odiava – l’aveva sfidato in combattimento e alla fine l’aveva marchiato col fuoco, provocandogli quella gigantesca ustione?
Ripensò istintivamente a quel sergente, Frederick Donowitz, di come aveva provato a difenderlo. Non aveva cambiato nulla, ma Zhu aveva apprezzato quel gesto. Lo stesso che avrebbero fatto suo zio Roi o sua madre, ma che per un motivo o per un altro non erano lì quel giorno.
« Siamo curiosi di sentirla » lo spronò Augustus, che teneva ancora gli occhi fissi su di lui.
Zhu si voltò verso il pubblico e notò che era calato in uno strano silenzio: tutti pendevano dalle sue labbra, tutti desideravano ascoltarlo. Ma lui non poteva proprio riportare a galla quello spiacevole evento.
« Io… » tentennò, guardando la platea, a disagio, e cercando di farsi forza, quella che aveva sempre dimostrato. « Io sto cercando di riprendermi il mio onore » confessò infine, deludendo tutti.
Augustus storse il muso in una smorfia seccata, notando però che il moro aveva chinato il capo e stringeva fra le mani un ciondolo azzurro legato ad un cinturino di cuoio e non perse l’occasione di mettere il dito nelle questioni del povero sventurato.
« E’ il tuo portafortuna, Zu-Zu, dico bene? » domandò, sorridente, attirando l’attenzione del diciassettenne che notò la coincidenza con cui l’uomo aveva usato lo stesso soprannome che talvolta usava sua sorella Zula. « Apparteneva a qualcuno in particolare? »
E ora? Certo che apparteneva a qualcuno in particolare, ma chissà se era ancora viva. Aveva passato talmente tanto tempo a combattere il gruppo di ribelli di Katae, che lui stesso non riusciva a capire cosa provasse, nemmeno se fosse una nemica o qualcuno di cui fidarsi. Ricordava chiaramente il giorno in cui, combattendo, il terreno da poco bombardato franò sotto i loro piedi e si ritrovarono imprigionati sotto terra. La cosa che più spaventava il giovane Koeyn, però, era che l’aveva trovata affine, simpatica, come lui, ma allo stesso tempo dannatamente diversa. E alla fine l’aveva lasciata scappare, aveva preferito tornare a casa piuttosto che vivere da ribelle; e l’unica cosa che gli rimaneva di lei era quel ciondolo trovato per caso tra le macerie.
Ma non poteva dire la verità. Come l’avrebbe giustificato a suo padre e sua sorella? E se Capitol City l’avesse trovata e fatto del male?
« Era di mia madre » mentì, « ma lei è scomparsa. »
« Scomparsa? »
« Morta » si corresse. In realtà Zhu non aveva mai pensato che sua madre fosse morta veramente. Lui lo sapeva che non era così, che qualunque fosse stato il motivo per cui se n’era andata era stato per proteggerlo; ma Azoi, suo padre, non ne voleva sapere nulla e riteneva la donna oramai bella che morta e sepolta.
Da dietro le quinte un addetto alle luci fece segno di troncare l’intervista e Augustus annuì, scattando in piedi, seguito dal diciassettenne.
« Beh, chissà se non la rincontrerai con gli Hunger Games » rise l’uomo, stringendo la mano al ragazzo e congedandolo.
Zhu sentì improvvisamente la rabbia ribollire nelle sue vene e chissà cos’avrebbe fatto, se non fosse stato per Winnow dietro le quinte che gli ordinava di scendere dal palco; e nessuno gli tolse il permesso di borbottare imprecazioni mentre ubbidiva.
« Per voi, la dolce Haylee Scott! » gridava Flickerman, nel frattempo.
I capelli lunghi e rossi di Haylee erano stati cotonati e modellati con un frisé per renderli più gonfi e non lisci come spaghetti come apparivano di solito; sotto erano state applicate extension di lunghe e morbide trecce che le arrivavano fino ai piedi, ornate da piume di corvo. Aveva delle finte ciglia piumate, le palpebre decorate solo con una sottile e lunga scia di eye-liner e le piccole lentiggini non erano state coperte col fondotinta. Il lungo vestito le ricadeva a terra, ampliandosi, e dal basso, sulla stoffa bianca, partivano linee nere di vari spessori, che si ramificavano in diverse direzioni e tendevano verso l’alto, creando una vera e propria foresta. L’abito, privo di spalline, presentava una scollatura lunga fino all’ombelico, coperta però dal motivo ramificato dell’abito che risaliva fin sopra le spalle e dilungava per le braccia.
Ad Haylee quel vestito sapeva enormemente di casa, di quegli alberi tra cui giocava da bambina e che erano andati distrutti dall’incendio durante i Giorni Bui.
« Dopo il cigno, abbiamo il corvo » commentò Augustus, baciando la mano di Haylee e facendola accomodare. « Dio mio, Haylee! » esclamò l’uomo, fingendosi sconvolto. « Che cos’hai fatto per meritare un tre alla Sessione Privata? »
La rossa subito assunse un’espressione mortificata, mettendo su il suo miglior tono dispiaciuto e sorpreso. « Lo giuro, Augu – posso chiamarti “Augu”, vero? –, non è stata colpa mia! Un terribile incidente! Gli strateghi, però, non hanno voluto sentir ragioni. A mio parere sono stati fin troppo severi. »
Flickerman annuì, dandole ragione. « Ma, purtroppo, devono esserlo. »
« Certo, certo » confermò Haylee, fingendo di comprendere la situazione.
Quei due, se solo la gente avesse saputo, sarebbero potuti andare dannatamente d’accordo: così falsi e senza scrupoli soltanto per raggiungere i propri obiettivi.
« Dicci: come hai affrontato la rivolta? » domandò il presentatore, cercando qualche punto debole nella ragazza.
« Che vuoi che ti dica, Augu? » sospirò la ragazza. « Si fa quel che si può e finché si obbedisce al volere di Capitol City non c’è nulla da temere. Insomma, se non si ha fatto niente, di cosa ci si dovrebbe preoccupare? » sorrise, voltandosi verso il pubblico, che l’applaudì.
All’uomo già stava dando sui nervi: stava facendo tutte quelle moine e stava dicendo tutte quelle cazzate solo per ingraziarsi il pubblico. Non aveva capito che lì era lui a condurre i Giochi.
« E in famiglia? » proseguì con le domande.
Haylee iniziò a contare sulle dita. « Allora… siamo mia madre, mio fratello Jeremy, io e mia sorella Emma. »
« Se non sbaglio c’è un Jeremy fra i tributi » rifletté Augustus, accarezzandosi la morbida barba verdeacqua. « Del Distretto 12, sì. Non ti fa strano dover uccidere qualcuno con lo stesso nome di tuo fratello? »
Ad Haylee, ripensando al tributo appena citato e a cosa era successo durante l’addestramento, venne il nervoso; se poi si aggiungeva che i suoi fratelli non l’avevano mai sul serio presa in considerazione e che li riteneva inferiori, allora proprio non poteva sopportarlo.
« Suppongo di sì » rispose, facendosi sfuggire una punta di acidità nella voce.
« E tuo padre? »
A quella domanda, però, qualcosa in Haylee si incrinò: si disse che doveva convincersi a piangere, che era la sua occasione per attirare sponsor con una storia drammatica; ma allo stesso tempo odiava che quell’arrogante presentatore avesse osato tirare in ballo suo padre, l’unica persona che avesse avuto realmente l’affetto della rossa. Ma non doveva imporsi di piangere. Senza rendersene conto lo stava già facendo, e quelle lacrime erano vere.
Sentì la mano dell’uomo accarezzarle il viso e costringerla a guardarla. Il capitolino le rivolse uno sguardo fintamente dolce e comprensivo, per poi rivolgersi al pubblico: « Uccello del malaugurio? Ma guardatela: non vi sembra un tenero coniglietto? »
Il pubblico applaudì, addolcito e commosso, ma ad Haylee ribolliva la rabbia nelle vene: nessuno poteva chiamarla con quel nomignolo, nessuno che fosse ancora in vita!
Prima che potesse fare o dire qualsiasi cosa, fu congedata da un altro baciamano e Augustus annunciò « William Alexander Wyngardaen » come prossimo tributo.
Il moro diciottenne indossava uno smoking completamente a quadri, di tonalità che andavano sul verde e sul rosso, col papillon dello stesso motivo, che però faceva risaltare i suoi occhi verde smeraldo.
« Iniziamo subito: Will, so che tuo padre è a capo di una delle più importanti falegnamerie del Distretto 7, il Giardino. »
William annuì, momentaneamente a suo agio. « Sì, aiuto mio padre col legname, sono piuttosto bravo, tanto che oramai la gente mi chiama Chopper. Sai, Augustus, effettivamente erano anni che non sentivo il mio vero nome, fino a che la mia accompagnatrice non l’ha letto su quel biglietto. »
Il pubblico rise e applaudì, prendendo quelle parole come uno scherzo. A dirla tutta, quella era proprio la verità e William non ci avrebbe scherzato così tanto, se non fosse stato per Volumnia – appunto, la sua accompagnatrice – che l’aveva praticamente minacciato di mostrarsi amichevole per attirare qualche sponsor. “Un piccolo sforzo e poi potrai fare il porco del comodo tuo ed essere scontroso quanto ti pare!”, gli aveva detto e lui l’aveva presa in parola.
« Ma per te la rivolta non deve essere stata facile. Tutti siamo a conoscenza dell’allagamento nel Distretto 7 » proseguì il maggiore, con tono grave.
Il moro sospirò, chinando il capo e immergendosi nei ricordi. « Beh, non è stato proprio quello il problema principale. »
« Vuoi parlarcene? Scommetto che in molti sono ansiosi di ascoltare la tua storia » e accompagnò quelle parole con un gesto del braccio, indicando il pubblico silenzioso.
« Beh… abbiamo viaggiato molto… » cercò le parole giuste da dire per omettere che suo padre era stato un ribelle molto attivo e ricercato. « La mia famiglia era originaria del Distretto 5, ma con l’esplosione della centrale nucleare e la morte di mia sorella Roxanne, i miei genitori decisero che quello non era più un posto sicuro e allora partimmo in cerca di un posto dove andare. »
« Eravate solo in due, come fratelli? » chiese l’uomo, fingendosi interessato, per lo più cercando di far sfuggire dalla bocca di William qualcosa di segreto e inopportuno.
« Beh, dovevo avere anche un fratello maggiore, ma è morto alla nascita. Io e Roxanne eravamo gemelli » spiegò.
« E dove volevate andare? »
« Nel Distretto 13, ma la diga del Distretto 7 ci ha bloccati. »
« Per fortuna! » si affrettò ad esclamare Augustus. « Se foste veramente riusciti ad arrivare nel Distretto 13, ora di certo non saresti qui, mio caro Chopper. »
« Già, per fortuna… » ripeté William, costringendosi in un sorriso appena abbozzato. Ripensò alla sua famiglia nascosta per non farsi trovare dai soldati capitolini, a suo padre che cercava di mandare telegrammi agli altri ribelli, a quello scantinato buio e puzzolente dove doveva sempre rifugiarsi per non venir catturato. Ma poi gli spuntò un flebile e sincero sorriso sulle labbra, pensando che se avessero davvero raggiunto il Distretto 13, non avrebbero mai incontrato quel ragazzino di nome Isadore Nicodemus. « Nel Sette mia madre – dottoressa – ha cercato di aiutare come poteva » proseguì. « Tanto che prese a cuore un bambino ustionato e ferito, senza un braccio. All’inizio pensavo che i miei genitori volessero rimpiazzare Roxanne, ma poi… »
« Ma poi ti ci sei affezionato » concluse il presentatore e Will annuì. « Oltre a lui – e Roxanne, se solo ci fosse ancora – hai lasciato qualcun altro di molto importante? »
William si fece serio, respirando profondamente. Ci mise un bel po’ a riflettere se fosse giusto farlo o no. Ma, in fondo, che cosa aveva da perdere? Forse sarebbe morto l’indomani, in fin dei conti.
« C’era una bambina, nel Cinque » iniziò, titubante, tamburellando le dita sulla poltrona in pelle, « ma oramai è cresciuta, ovviamente » ridacchiò, nel completo silenzio della sala, sentendosi forse anche un po’ stupido. « Ho provato varie volte a riavvicinarmi a lei, ma sembra non ricordare nulla. Sembra avermi dimenticato, forse non ero poi così importante » si lasciò sfuggire, smettendo di fissare il pavimento e guardando un punto imprecisato nel pubblico, lasciandosi sfuggire un sorriso malinconico. « Sai, a lei piaceva davvero ballare. Era bravissima. »
Il pubblico esplose in un tumulto di mormorii e sussurri, pieni di capitolini con facce stupite e sconvolte dalla notizia. Persino Augustus era realmente colpito, benché i suoi occhi facessero trapelare un’eccitante fremito di gioia nell’aver scoperto quel piccolo legame che avrebbe potuto giocare a suo favore.
Diede una pacca sulla spalla a Chopper e, dopo un cenno, si strinsero le mani e chiamò « Kenia Reaper! » a gran voce, mentre il moro usciva.
Shelly e Jim Carson sarebbero stati enormemente fieri della dodicenne dalla pelle scura: la lunga cascata di riccioli bruni era legata in due alte codine ornate di giganteschi fiocchi rosa confetto, l’unico colore di cui la piccola Reaper era vestita. Era piena zeppa di gioielli e perline ovunque, truccata con del semplice ombretto e mascara e del lucidalabbra pieno di glitter. Portava un corto abito a palloncino, la gonna era formata da più veli e merletti e sotto di essa sembrava indossare dei mutandoni d’epoca. Le spalline erano bombate, i bordi tutti ricamati e un grosso fiocco era appuntato sul petto, mentre alle gambe indossava delle parigine e ai piedi delle alte zeppe sempre in tema. E, ovviamente, fra le braccia vi era la sua adorata e malandata Betty.
« So che il pubblico ha soprannominato te e il tuo compagno come “Barbie e Ken”, titolo che prima toccava a due nostri cari strateghi. »
Augustus le porse una mano – che Kenia accettò – per sedersi.
« Non volevo rubare il titolo a nessuno » ammise innocentemente, « ma oramai penso che questo nome mi perseguiterà per sempre. Anche a casa mi chiamano così. »
« Davvero? » chiese il presentatore in tono curioso, accarezzandosi la curata barba verdeacqua.
La dodicenne sospirò, pronta a raccontare, come aveva visto fare ad altri quattordici tributi prima di lei: « Non ho mai conosciuto i miei genitori, in realtà. Ho sempre vissuto con mia nonna, cucivamo bambole, finché non è morta. »
« Sei dovuta stare in orfanotrofio, quindi? » La riccia annuì, timidamente, e Augustus rifletté un momento: « Anche l’anno scorso c’è stato un tributo proveniente dall’orfanotrofio del Distretto 8. »
« Loggy » si affrettò a dire Kenia, spalancando gli occhi, come se il presentatore avesse la facoltà di dirle che il suo Biondino non era realmente morto, ma sarebbe stato lì sul palco accanto a lei fra qualche istante.
« Logan Reaper, esatto » confermò l’uomo con un cenno della testa, ricollegando tutti i pezzi del puzzle. « Quindi tu devi essere la figlia di Kingsley Reaper. E’ stato un ottimo soldato durante la guerra, me lo ricordo. »
« Kingsley ha adottato me e Logan durante la rivolta » continuò il suo racconto. « E’ stato così che ho ricevuto il mio soprannome. »
Kenia ricordò il periodo trascorso in orfanotrofio, del suo rapporto rispettoso ma diffidente fra lei e Logan, di come una volta le aveva detto “Io non faccio male a te, tu non fai male a me”, di come era stata terribilmente invidiosa quando Logan venne adottato mentre lei no. E poi venne la febbre e Kingsley la salvò e la portò a casa sua, dove Kenia poté avere finalmente una famiglia.
« C’è Cher, la mia sorellastra, che dà soprannomi a tutti. Lei si fa chiamare Occhi Blu, ma secondo me è un nome ridicolo » osservò, con una punta di superiorità, che fece divertire alcuni capitolini fra il pubblico. « Denny è Diamond, Marcus è Golem, Sun e Moon sono gli Angeli della Morte, Charlie è Blade e infine Cip e Ciop sono gli Scoiattoli. »
Augustus ridacchiò per via di quei nomi bizzarri. « Come mai tutti questi soprannomi? A tua sorella non piacevano quelli veri? »
La mora ripensò a come Cher le aveva spiegato, il primo giorno in quella casa, come funzionava il “lavoro” e quale era la gerarchia da seguire; le aveva illustrato tutti i soprannomi, come ognuno di essi fosse collegato ai loro talenti e al modo in cui uccidevano le vittime che Kingsley affidava loro.
Kenia scrollò le spalle. « Stiamo parlando di una che si fa chiamare Occhi Blu. »
Il pubblico rise a come la dodicenne si divertiva a schernire la propria sorellastra e la giovane Reaper sorrise in risposta, contenta che il suo racconto stesse piacendo al pubblico.
« E tu? » domandò il presentatore, catturando l’attenzione. « Perché “Barbie”? »
La riccia sollevò Betty, come se la risposta fosse ovvia. « Mi piacciono le bambole » e quella, effettivamente, era una mezza verità.
« Non ho mai capito perché Kingsley e sua moglie adottassero così tanti bambini. »
« Perché loro sono buoni » si affrettò a concludere la mora.
Bugia.
Kenia aveva gonfiato le guance e fissava il presentatore negli occhi, con lo sguardo di una bambina testarda che difendeva la propria famiglia, anche se quella le aveva mentito, anche se l’avevano solamente usata e le fiabe che Kingsley le raccontava la notte non erano altro che storie di politici corrotti che lei avrebbe dovuto uccidere.
Come avrebbe voluto una storia di Delphi, in quel momento, perché sentiva le lacrime pungerle sull’orlo degli occhi e le voci mormorare pian piano sempre più alte nella sua mente e sapeva che quando Delphi le insegnava una nuova canzone, quelle si placavano immediatamente.
Augustus colse quello sguardo come una sfida e accavallò una gamba, proseguendo con le domande. « E qual era il soprannome di Logan? »
La riccia si arrestò, il suo sguardo chiaro non era più duro. D’un tratto, Kenia si sentì andare in mille pezzi, come una bambola di porcellana. Di nuovo.
« Il Biondino » confessò, piano, cercando di reprimere il tremolio della sua voce e aggrappandosi ai braccioli della poltroncina in pelle.
« Un’ultima domanda, Barbie, poi ti lascio in pace » sussurrò il presentatore con finto tono dolce. « I tuoi occhi s’intonano con me. E’ strano vedere una bambina così scura con degli occhi così chiari. Come mai? »
La dodicenne tentennò: aveva sempre considerato quegli occhi una maledizione. Anche se sua nonna non glielo diceva esplicitamente in faccia, l’aveva sempre capito da come la guardava quando incrociava il suo sguardo, da come cercasse sempre di non guardarla negli occhi.
« Non lo so » ammise, debolmente.
« E’ tutto » concluse l’altro, soddisfatto, alzandosi per congedare Kenia, che fuggiva dietro le quinte su quelle zeppe poco stabili. « Il prossimo tributo, signore e signori, è Brian Will Stark! Un bell’applauso! »
Seguirono gli applausi del pubblico, ma del tributo neanche l’ombra, il che fece calare un silenzio imbarazzante nella sala, mentre Augustus si costrinse a fare un sorriso nervoso per calmare il pubblico. Tese nuovamente la mano verso le quinte, sperando che quell’insulso ragazzino non rovinasse il suo spettacolo.
« Brian Will Stark! » ripeté. « Brian, ci sei? Non essere timido, qui nessuno ti mangia… se ti presenti. Vero, ragazzi? » chiese al pubblico, che rispose con un freddo applauso d’incoraggiamento.
Finalmente il quindicenne alto e scuro si decise a entrare a passo svelto sul palco, vestito con dei semplici boxer bianchi e un elastico viola legato al polso, e si sedette al suo posto, incrociando le braccia al petto con un sonoro sbuffo contrariato e lasciando tutti gli spettatori a bocca aperta.
« Brian… Vuoi illuminarci sul tuo vestito per l’occasione? » lo spronò Augustus, sedendosi cautamente al suo posto, anch’esso stupefatto.
« In realtà no » ribatté il tributo del Distretto 8 con un grugnito, « ma voglio aggiungere solamente che i miei stilisti sono delle totali teste di cazzo e che io quel completo rosa di lino non lo metto neanche a crepare! » sbottò, gridando e gesticolando minacciosamente verso le quinte. « E tu » si voltò verso l’uomo verdeacqua, guardandolo aspramente, « prova anche tu a chiamarmi “Ken” e giuro che ti ritrovi il microfono in bocca, passando per qualche altro buco! »
Augustus si allentò la cravatta, a disagio. « Vedo che non ti è piaciuto il soprannome che ti ha dato Capitol City… Beh, pazienza, spero che almeno ti sia piaciuto il tuo appartamento. » Brian fece un altro grugnito in risposta e il presentatore decise che era meglio cambiare discorso: « Ho sentito che la tua compagna di distretto ti chiama Brick. Questo posto sembra spopolare di soprannomi. Puoi dirci come mai? »
« Perché una volta ho ucciso un Pacificatore con un mattone » confessò, senza pensare alle conseguenze. Di fatti l’intero pubblico capitolino rimase scandalizzato, alcuni lanciarono vari  gridolini terrorizzati e sconcertati da quella crudeltà. Crudeltà?, penso Brian con la rabbia che gli ribolliva nelle vene. Come potevano quegli eccentrici scandalizzarsi se stavano mandando a morire ventiquattro poveri e “innocenti” ragazzini? Brian avrebbe tanto voluto metterli al loro posto. « Stava uccidendo la mia ragazza! » si giustificò, cercando di rimediare al danno, ma accorgendosi troppo tardi di quello che aveva appena detto. « Cioè, no, non era la mia ragazza, non lo era ancora. No, no, non voglio dire che ora lo è, Clary non è assolutamente la mia ragazza! » gridò, alzandosi di scatto dalla poltrona e gesticolando con le mani.
Si guardò attorno e saltò giù dal palco, correndo verso il cameraman più vicino e prendendo la telecamera fra le mani. « Clary, se stai guardando, non ascoltarmi. Non intendevo sul serio, me lo sono lasciato sfuggire per il nervoso! Cioè, non sono nervoso… No, non sono nervoso, lo giuro. Clary, se provi a ridere di me quando torno ti faccio… »
Si fermò improvvisamente, a disagio; si grattò la nuca e poi, mogio mogio, salì nuovamente sul palco, ponendosi al centro di esso e riacquistando la sicurezza che sempre – o quasi – l’aveva caratterizzato.
Aprì le braccia, di fronte alla platea, in tutta la loro lunghezza. « Beh, sapete che vi dico? Fanculo! » gridò, mentre la folla andava in subbuglio. « E chi se ne frega, facciano quello che pare a loro, tanto se devo morire voglio mettere le cose in chiaro: sì, voglio molto bene a Clary, è più di una sorella, anche perché non è neanche mia sorella, magari mia madre se la fa con suo padre, però non me l’ha voluto dire neanche prima di partire quinti ‘sti cazzi. E non statevi a scervellarvi su chi sia Clary, perché chi se ne frega di lei. Cioè, no, a me frega, ma a voi non deve. Insomma… » batté un piede per terra, frustrato dalle parole che si accavallavano l’una sopra l’altra, confondendolo. « Beh, io l’ho salvata e non me ne pento! E’ morto quel Pacificatore? Oddio, mi dispiace! » si atteggiò da capitolino, facendo loro il verso. « Ma vi sentite? Vi guardate? Ci state mandando a morire tutti e vi interessa di un pover’uomo che stava per uccidere una ragazzina! Quando il vero nemico è proprio vicino a voi! E non parlo di quella sciocca di Kenia Reaper, che fa tanto la santarellina ma poi quasi ha ucciso la mia Clary, una volta. No, io intendo sopra le vostre teste! Sì, esatto, è lui il vero volto della morte, il nostro caro pre- »
Improvvisamente degli uomini vestiti di bianco irruppero sul palco e buttarono a terra il quindicenne, provocando più scompiglio di quanto già non ci fosse.
 

Ci scusiamo per l’interruzione.
Per motivi tecnici la connessione è stata sospesa.
Restate sintonizzati sul canale.
Il programma riprenderà tra breve.

 

Essere innocenti è pericoloso perché non si hanno alibi.
(
Boris Makaresko)













 



L'angolo di Pandaivols.

Salve a tutti, e benvenuti nel magico mondo di pandamito e Ivola. *sigla*
Il copia-incolla è un'arte. Anche il copia-incolla del copia-incolla.
L'indovinello degli strateghi, l'abbiamo detto nel capitolo precedente, l'ha indovinato _lu, mentre stavolta non avete neanche provato a indovinare che il tributo del vestito rosa era Brian, che poteva essere uno sponsor bonus.
Vi invitiamo ancora a leggere le raccolte sui Giorni Bui Bianca come la neve e rossa come il sangue del vicino e Butterflies & Hurricanes, perché danno dei punti bonus per gli sponsor.
Benvenuti, signore e signori, alla seconda tappa del Cisalpina Tour della band Pandaivols! Cos'è il Cisalpina Tour l'abbiamo già detto nel precedente capitolo e quindi non lo ripetiamo.
Se il capitolo precedente era chiamato Genue per via dei Genui, ovvero la ship Beryl/Ocean, questo ovviamente è Mitod perché Mito ha una ship cone le D e quindi ha colpito ancora. Ivola esprime tutto il suo odio verso questa coppia canon che shippa pure, ma che... va be, lasciamo perdere.
Do re mi fa sol la si. Queste sono le note di oggi. La prossima tappa è:
19 APR - ESTATHEF
Che come gli altri ha un nome ragionato. E' pure il compleanno di James Franco e, nessuno può saperlo, ma anche James è collegato indirettamente col capitolo.
L'indovinello, inoltre, verrà detto nel prossimo episodio.
To be continued.
Bao e cotolette, ce se vede il 19 con ESTATHEF! #copiaincolla

 
pandaivols.


 
  
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