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Autore: _Nightingale    13/04/2014    2 recensioni
«Lei non è come noi, Harry» mi urlò Tommo dall’altra parte della stanza, guardandomi dritto negli occhi con i suoi cristalli di ghiaccio, mentre attorno a noi gli oggetti volavano liberi a mezz’aria, mossi dalla sua rabbia. «Lei non è come noi, fattene una cazzo di ragione!»
Fermai un vaso prima che si scontrasse contro la parete, mandai a fanculo tutti i miei buoni propositi ed alzai la voce anch’io. «Tu non puoi capire, tu non sei mai stato innamorato!»
«Senti piccola canaglia, te lo dirò un’ultima volta» sussurrò lui, avvicinandosi a me, senza interrompere il contatto visivo neppure per un battito di ciglia. «È una Horan, e gli Horan sono demoni, e noi siamo angeli, capisci? Siamo fatti per scontrarci ed ucciderci, non per innamorarci. Quindi vedi di farti passare questa pazzia, perché se lo scopre suo fratello sai benissimo che non ti coprirò»
Forse avrei dovuto ascoltarlo, quel pomeriggio di tanto tempo prima. Forse mi sarei risparmiato un sacco di botte, oltre che l'arresto. Forse mi sarei dovuto fidare di lui, e chissà, forse se l'avessi ascoltato ora non starei correndo a salvare Lacey da morte certa.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 4

- Blame It On That Boy -




NIALL

La stazione di Doncaster era praticamente deserta quando arrivai, a mezzogiorno. Un solo passeggero aspettava al binario 3, probabilmente l’unico in tutta l’Inghilterra che osava partire di domenica; durante il weekend si era fortunati a trovare un treno ogni tre ore, che ovviamente aveva come unica destinazione Londra.
Il viaggio di ritorno dalla capitale era durato quasi quattro ore, ma non mi erano pesate proprio per nulla. Nonostante non vedessi l’ora di rincasare e riabbracciare Lacey, avevo un po’ di paura ad affrontarla: da quando mi ero trasferito ad Oxford per studiare mi ero dedicato esclusivamente all’università tralasciando completamente mia sorella, anche se il nostro rapporto era andato a farsi fottere molto tempo prima. Dopo aver sbattuto Harry Styles in carcere a malapena ci eravamo scambiati gli auguri di buon compleanno, e forse era anche per quello che avevo ritardato così tanto la partenza.
 
Quello che si ostinava a non capire era che l’avevo dovuto fare per il suo bene, per proteggerla e tenerla al sicuro. Non avrebbe mai dovuto avvicinarsi a lui, mai, avrei dovuto metterla subito in guardia da quelli come lui. Se non altro avevo stroncato in tempo la loro relazione, ed avevo salvato la sua reputazione prima che avvenisse il peggio; come le era saltato in mente di uscire con lui ed infangare il nome della nostra nobile famiglia? come aveva anche solo potuto pensare di mescolare il nostro sangue puro con il suo, quello di un lurido angelo? Come aveva potuto tradire me, noi, la nostra dinastia, l’intera discendenza dei demoni?
Il fatto che lei non avesse ancora sviluppato nessun potere non la giustificava, anzi; nonostante non le avessi mai parlato apertamente della nostra origine, aveva capito che qualcosa ci distingueva dagli altri, che noi avevamo qualcosa in più, che c’era un motivo fondato per il mio odio verso gli Styles ed i Tomlinson. La nostra casata portava un nome importante che noi avevamo il dovere di difendere: nessun contatto con i mortali, nessun contatto con gli angeli. Cosa c’era di così difficile da capire quando le ripetevo di stare attenta, che lei era una gemma preziosa e che doveva evitare certa gente?
 
Forse ero stato troppo severo con lei, forse avevo esagerato ed ero finito per comportarmi più da genitore che da fratello. Ma una volta tornato ad Oxford alla fine dell’estate le avevo concesso piena libertà – per farmi perdonare – anche se chiaramente le avevo posto una ed un’unica condizione: dimenticarsi di lui. E, a quanto mi raccontava Zayn, dall’ospedale psichiatrico si era tenuta bene alla larga. Se avesse saputo che avevo lasciato il mio migliore amico a tenerla d’occhio mi avrebbe strangolato con le sue stesse mani, ma per fortuna lui non si era mai fatto beccare, e lei sospettava meno di zero.
Avrei dovuto fare un salto anche da lui, il giorno seguente, giusto per fare un po’ il punto della situazione. Quando passai davanti a casa sua non potei non sorridere ai ricordi che quella mi suscitava; i pomeriggi passati a giocare nel suo giardino, le merende improvvisate di sua madre, le corse in bicicletta sul vialetto, le coccole del suo cane salivoso, perfino le innumerevoli notti in cui scappavo da lui per lo spuntino di mezzanotte a base di cocacola e patatine, che nella mia cucina erano bandite. Era così che passavo le giornate dopo la scuola, aiutavo Lacey con i compiti e poi di filato da lui, a progettare il nostro futuro. Alla fine io ero partito per l’università, e lui era rimasto qui a dare una mano nel ristorante dei suoi dove da sempre lavorava nei weekend. Magari ci avrei potuto portare Lacey a cena, perché no? Se non altro avrei avuto qualche scusa per farli incontrare e chissà, la presenza del bel moro avrebbe potuto calmare l’animo iracondo di mia sorella.
I piani per la sera mi accompagnarono fino alla nostra villetta in periferia, dove la mia famiglia alloggiava da più di due secoli – con ovvi rimodernamenti. Raccolsi dallo zerbino un paio di lettere, le sfogliai con disinteresse e appuntai nella mente di rimproverare la piccola padrona di casa che come sempre si era dimenticata di ritirare la posta.
 
Aprii la porta di casa con un calcio e subito notai che qualcosa non andava: Nuveau e Toussì, i nostri gatti, si stavano trascinando svogliati per il salotto, lamentandosi instancabilmente l’uno con l’altro e graffiando arruffati le imbottiture del divano. Solitamente quando entravo si fiondavano contro di me per strusciarsi contro le mie gambe e farmi le fusa; sicuramente nessuno aveva dato loro da mangiare quella mattina, e quello era il loro modo per passare la fame.
Mi tolsi le Converse e le lasciai in cucina, presi una birra dal frigo e spalancai le imposte delle finestre ancora chiuse. La luce invase completamente l’ambiente riscaldando l’aria che profumava d’arancio, si riflesse sulle superfici a specchio e si rinfranse in mille sfumature dorate, che andarono ad illuminare anche la mia triste figura. Salii al piano superiore convinto di trovarci mia sorella ancora a dormire, magari reduce di una sbornia, ma come di sotto regnava il più assoluto silenzio.
Corsi verso la sua porta che trovai spalancata, vidi la finestra rotta e i vetri a terra, il letto sfatto, il parquet intriso di sangue.
 
«Lacey!»
Che le era successo?
Che fine aveva fatto mia sorella?
Di chi era tutto quel sangue?
Iniziai a vedere doppio, la testa mi girava, le gambe mi tremavano.
Era impossibile.
Chi aveva potuto superare la barriera di incantesimi che proteggeva la casa? Chi aveva un potere così forte da infrangere tutti quei malefici di prim’ordine? Chi aveva osato toccare mia sorella?
Alzai la testa verso lo specchio appeso sopra il comò di mogano alla ricerca di risposte, vi guardai dentro e vi vidi un lampo verde smeraldo.
«STYLES!»



 
LOUIS
 
«Lou! Lou!»
Harry piombò su di mee mi scosse preoccupato le spalle, cercando di farmi riprendere dall’improvviso scatto che avevo avuto. Passivamente risposi ai suoi stimoli con un cenno del cappo, ma non vi fu verso di farmi rispondere alle sue domande su cos’avevo visto. Il fatto era.. che non lo sapevo neanch’io.
Era tutto un groviglio di oscurità e suoni indecifrabili, lampi di luce, grida strazianti, una finestra che si rompeva, la voce di Harry. Era stata proprio quest’ultima a farmi reagire così. Non dubitavo di lui, ma sapevo come poteva diventare di fronte ad un rifiuto; magari una volta fuori dall’ospedale aveva colto l’occasione ed aveva deciso di passarla a prendere per una romantica fuga a due, ma lei non era stata della stessa idea.
Lo guardai dritto negli occhi, un solo secondo, il tempo di un battito di ciglia, e vi lessi la rassegnazione, la frustrazione, la paura. Non poteva essere stato lui, no, non le avrebbe mai torto neppure un capello.
 
Distolsi subito lo sguardo dal suo e mi alzai titubante, indietreggiando con i piedi tremanti.
«H-Haz» mormorai. «Haz, portala di sopra, sta arrivando la polizia»
Un colpo al campanello ruppe l’atmosfera di mistero che si era creata, Harry prese il corpo tra le braccia e lo fece sparire assieme al suo. Non era certamente la prima volta che lo vedevo diventare invisibile – a volte anche con degli oggetti, quando era particolarmente concentrato – ma ogni volta mi faceva uno strano effetto. Ti giravi e puff! era scomparso. Magari nel bel mezzo di una conversazione, o di una partita a nascondino, e allora sì che erano cazzi.
Un altro squillo insistente mi ricordò dell’agente in borghese fermo davanti alla mia porta, buttai l’occhio fuori dalla finestra e vidi degli altri agenti perquisirmi il giardino. Preparai il mio sorriso più smagliante e corsi ad aprire, consapevole che avrei dovuto sfoggiare tutte le mie mosse più convincenti per non farli tornare con un mandato.
 
«Louis Tomlinson?»
Un uomo sulla cinquantina, con la pelata lucida e la fronte gronda di sudore stava in piedi sull’ultimo gradino, spostando impazientemente il peso dalla gamba sinistra a quella destra. Quando mi vide il suo voltò si rasserenò un poco, infilò la mano nel taschino interno della giacca e tirò fuori un distintivo sbiadito dal tempo.
«Agente Harris» lessi, simulando una voce seria e grave in netto contrasto con la mia più squillante e scherzosa.
Mi feci da parte per lasciarlo entrare, mentre con la mente vagavo tra i suoi pensieri; non era una lettura profonda come quella che avevo fatto a Lacey, ma mi permetteva di capire che tipo fosse, cosa gli piacesse mangiare a colazione e quanto odiasse il suo capo che di domenica mattina lo aveva costretto ad andare al lavoro.
«A cosa devo questa visita?» mi sentii in permesso di chiedere.
L’aria attorno a noi era tesa come una corda di violino pronta per essere pizzicata dall’archetto; non sapevo come smorzarla – non che lui si stesse impegnando per far sembrare tutto una chiacchierata amichevole – così mi sedetti sul divano portandomi i piedi scalzi sotto le cosce, come ricordavo fare gli psicologi che avevano avuto in cura Harry dopo che sua madre se n’era andata.
«Harry Styles» rispose educatamente, lasciando trasalire una nota di disprezzo.
Si asciugò la fronte con un fazzoletto consunto, lamentandosi per il calore eccessivo di quei giorni e per gli straordinari che gli era toccato fare. Brontolò tra sé e sé finché non si ricordò di essere lì per interrogarmi, così si asciugò un’ultima volta e mi guardò, come in attesa di una mia domanda.
«Bè, che ha fatto il povero Harold?» esclamai quasi veramente sorpreso, come se non avessi capito il motivo di tutta quella farsa.
Il viso di Harris si corrugò, le palpebre gli si fecero pesanti, il naso più rosso; stava pensando alla sbornia della sera precedente, alle mani e alla bocca di quella prostituta che lo aveva sedotto e gli aveva spillato mezzo stipendio, a sua moglie che lo aveva aspettato sveglia, e che non si era risparmiata in grida e pianti.
 

«Lo-lo sai che ore sono, vero?»
La donna nella piccola camicia da notte bianca si alzò dalla poltrona e raggiunse l’uomo accanto alla porta, che si stava sostenendo alla parete per non cadere.
«Lasciami stare, Molly» mugugnò tra un colpo di tosse ed un altro, mentre la moglie lo aiutava a reggersi in piedi e a raggiungere il tavolo della cucina.
Era la quarta sera che dopo il lavoro tornava ridotto così, ubriaco marcio. Era la quarta sera che cercava di prendere sonno e non ci riusciva, era la quarta sera che pensava al suo matrimonio, era la quarta sera che si chiedeva se era giunto al termine.
Versò un bicchiere d’acqua del rubinetto e glielo porse con mano tremante, mentre sceglieva accuratamente le parole per affrontarlo.
«Sei stato ancora al Berfi’s, vero? Lo sai che lì ci vanno solo i malati? Quelli che vanno a puttane? I barboni, i drogati, i matti da legare, non i padri di famiglia! Quello non è il tuo posto! Il tuo posto è qui!»
Uno schiaffo risuonò sonoro nel silenzio della notte, accompagnato dal leggero tremolio delle lacrime che scorrevano lungo le guance fredde della donna.
I passi dei bambini si fecero sempre più forti, mentre scendevano incuriositi a vedere chi stesse parlando con mamma. Un ultimo sguardo, e Molly si alzò e se ne andò, per sempre.
 

«Che ha fatto? Ma li legge i giornali? Stanotte è evaso dall’istituto psichiatrico dove stava scontando la sua pena, questa mattina le inservienti hanno trovato una grossa crepa nel muro e la camera d’isolamento vuota. Quando l’ha visto l’ultima volta?»
Accompagnò le sue parole scarabocchiando qualche appunto su un quadernino nero, dove evidentemente riportava i punti salienti degli interrogatori che conduceva.
«All’udienza in tribunale» confessai, sollevato all’idea di conoscere per una volta la risposta esatta.
Harris sbuffò, si guardò attorno, sbuffò un’altra volta e si alzò in piedi, pronto ad andarsene.
«Un’ultima cosa, signor Tomlinson» concluse «Ha un alibi per questa notte?»
«Certo, sono rimasto qui tutto solo a guardarmi la TV in santa pace, via cavo davano Quella scatenata dozzina»
Sorrisi spontaneamente e lo salutai, mentre i suoi colleghi lo raggiungevano nell’auto pattuglia. Se voleva delle prove, le telecamere di sicurezza lo avrebbero confermato; dopotutto, non registravano eventi sovrannaturali.
 



HARRY
 
Certo che quell’agente Harris era proprio tonto; neppure fingeva di opporsi alle manipolazioni di Louis. Soltanto io mi sentivo in colpa fino al midollo per averlo messo in quel casino, anche se sospettavo che, in qualsiasi momento della mia vita fossi evaso, si sarebbero subito rivolti a lui; dopotutto era pur sempre il mio migliore amico di sempre ed era quasi scontato pensare che avrei cercato rifugio da lui. Dovevo essere meno prevedibile, rimproverai a me stesso. Ma d’altronde, da chi altro potevo andare? A chi potevo rivolgermi? Non mi era rimasto più nessuno qui a Doncaster, non da quando..
 

Erano passati venti minuti dal suono della prima campanella, venti lunghissimi minuti in cui il professor Whet aveva parlato soltanto di costanti e funzioni esponenziali, di equazioni e sistemi di secondo grado. Io me ne stavo in ultimo banco, come sempre, a scarabocchiare svogliato il quaderno di matematica pensando al compito di letteratura su Shakespeare che mi attendeva l’ora successiva.
Più o meno quando Whet mi indicò per chiamarmi fuori alla lavagna qualcuno bussò alla porta della nostra aula, interrompendo la lezione. Fece capolino la testa di Miss Claire, la vicepreside; aveva gli occhi rossi come dopo un lungo pianto, le labbra incurvate all’ingiù e l’umore sotto i tacchi.
«Scusate, avrei bisogno di parlare con Styles» mormorò sottovoce, mentre io coglievo al volo l’occasione per allontanarmi dalla cattedra ed uscire in corridoio, scappando quindi dalla valanga di esercizi che Whet mi avrebbe assegnato una volta resosi conto che non avevo ascoltato una sola parola di quello che aveva detto.
In silenzio mi trascinò nel suo ufficio, si sedette su un divanetto e fece segno a me di imitarla. Avrei dovuto capire subito dal suo atteggiamento che qualcosa non andava, e invece ero convinto che mi avesse convocato per quel votaccio che avevo preso in biologia.
«Harry»
Notai una nota di malinconia nella sua voce, che poco si abbinava al suo animo eccentrico e variopinto; anche quel giorno indossava una camicia arancione con un paio di jeans dai risvolti fuxia, ma ciononostante non emanava per nulla sensazioni positive.
«Abbiamo.. abbiamo ricevuto una chiamata dal Michigan» confessò tremante, con le lacrime già in gola.
Mamma.
Si trovava a Detroit per una conferenza sulla pittura tardogotica italiana, il suo volo sarebbe atterrato a Gatwick nel tardo pomeriggio, e per cena sarebbe stata a casa.
Che era successo?
«Anne.. tua madre.. il suo aereo.. oceano Atlantico.. mi dispiace»
Riuscii ad udire soltanto alcune delle parole soffocate che mi stava mormorando. Ero abbastanza intelligente da aver collegato la chiamata al suo ritorno, ed avevo capito che era sprofondato in fondo al mare.
Puntai i pugni contro le cosce, la vista mi si stava appannando, ma non volevo mostrarmi debole.
Mi alzai in piedi e corsi fuori, corsi più forte che potei, corsi per non piangere, corsi per dimenticare.
 

Avevo sedici anni, e da un giorno all’altro mi ero ritrovato con una madre al cimitero ed un padre che se n’era andato il giorno stesso in cui ero stato concepito. Se non fosse stato per Louis sarei finito in mezzo ad una strada: era stato lui a starmi vicino, ad insegnarmi a cavarmela da solo, a rivelarmi la mia natura di Angelo. Ero cresciuto da solo, senza sentire mai il bisogno di qualcun altro nella mia vita; e forse era per quello che mi ero stupito così tanto quando, per la prima volta, avevo tremato di fronte agli occhi sorridenti di Lacey.
La sua presenza aveva sconvolto la mia vita, e per lei avrei dato di tutto, anche la mia stessa esistenza, ed il solo pensiero che qualcuno le potesse fare del male mi uccideva dentro.
 
Fu per quello che, a metà dell’interrogatorio di Harris, abbandonai il salotto e tornai in camera di Lottie, la sorella di Tommo, dove stava "riposando". Tutte le finestre erano chiuse, eppure dalla stanza proveniva una strana luce che illuminava l’intero piano; reduce e spaventato dalla notte precedente spalancai la porta, e non credetti ai miei occhi.
Il suo corpo inerme galleggiava a mezz’aria, avvolta da una cupola dorata e luminosa che la proteggeva dall’ambiente esterno e sembrava essere attraversata da continue scariche elettriche. Provai a toccare quello strano scudo, ma subito una potente scarica mi colpì facendomi rimbalzare all’indietro in corridoio.
Non avevo mai visto una cosa del genere, non sapevo da cosa potesse essere stata causata, e non avevo la più pallida idea di come rimuoverla.
 
Udii i passi del padrone di casa rimbombare per le scale, ma non me ne curai più di tanto.
Il mistero di quella notte si faceva sempre più fitto e sempre più intricato, e non ne vedevo via d’uscita.
In che guai si era cacciata Lacey?




 




 
BUONA DOMENICA MIEI CARI LETTORI
Ammetto di non avere nessunissima voglia di scrivervi una nota - ho già dato abbastanza su Little White Lies - e di dover correre a finire di studiare la Trasfigurazione di Raffaello.
MA siccome quando vi scrivo che ve la metto il giorno dopo non lo faccio mai, ora mi metto d'impegno e cerco di buttar giù qualcosa di serio.
Primo POV del signorino Niall: non pensate a lui come il Niall pazzo e fuori di testa che tutti conosciamo, perché tra poco conoscerete lati del suo carattere che mai avreste immaginato (io neppure!)
Ho deciso di dipingerlo come il fratello maggiore un po' troppo possessivo; un po' si è già capito nei capitoli scorsi con le parole di Harry e Louis, ma da ora in poi salterà fuori ancor di più!
Per quanto riguarda gli altri due (gli angioletti, giusto per intenderci) abbiamo una svolta nelle loro avventure..
Che è successo a Lacey?
Okay, l'ho scritto, quindi riformulo la domanda in modo più appropriato.
Che è successo a Lacey?
Ci rinuncio, non so come altro dirlo.
In ogni caso, mi aspetto qualche recensione *facciadacucciola* pleeeeeease
Ora scappo sul serio, adios

_Nightingale
   
 
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