Le cose, lentamente, avevano
iniziato a precipitare.
Sin dal momento in cui il caos era scoppiato davanti alla
sede semidistrutta della Asimov Tech., il corso degli eventi aveva
imboccato un
percorso distorto, frenetico ed allo stesso tempo innaturalmente
cadenzato.
Come se il destino avesse saputo esattamente cosa sarebbe accaduto da
lì a poco
tempo, e non avesse avuto fretta alcuna di svelarlo troppo presto.
Julius, il sangue colato dalle ferite ormai rappresosi ed
il pallore delle sue gote fattosi un poco meno spettrale, non aveva
ancora
accennato ad alzarsi dal freddo pavimento ricoperto da rovine e
calcinacci. Le
labbra strette, i capelli tanto biondi d’apparire bianchi che
ricadevano a
ciocche disordinate davanti ai suoi occhi,
il ragazzo non ebbe ancora il coraggio d’alzare
lo sguardo verso la
sorella minore. Dentro di lui la vergogna montava senza controllo,
mescolandosi
ad un sentimento più infimo, che pareva bruciare dentro di
lui come un fuoco
invisibile ad occhio nudo.
Rabbia.
Follia.
Le immagini apparvero sfocate ai suoi occhi e le voci
ovattate, come se qualcosa d’invisibile ma innegabilmente
potente si stesse
lentamente adagiando sul suo corpo; racchiudendo ed intensificando ogni
singola
sensazione da lui provata in quel momento.
Un colpo di tosse scosse il suo petto magro, e qualche
goccia di sangue scuro sporcò la superficie liscia del
pavimento di marmo.
Nonostante la trasformazione che aveva subito soltanto poche ore prima,
nonostante la mutazione provocata dal liquido di coltura nel quale era
precipitato, Julius era ancora vulnerabile.
Era ancora troppo debole, troppo umano.
Ciò che Gohan non aveva ancora compreso, ciò che
gli
altri non avevano ancora intuito, era che la mutazione genetica non
aveva
intaccato unicamente il suo corpo. La sua mente aveva subito a sua
volta gli
effetti devastanti ed irreversibili del liquido di coltura corrotto, ed
il suo
attacco improvviso tra la folla non sarebbe rimasto di certo il primo
ed unico
effetto collaterale di un mutamento tanto radicale.
Il suo sguardo appannato si posò sulla figura di Sherin,
in piedi a pochi metri di distanza, e le sue labbra si tesero in una
smorfia
carica d’odio. Quella sporca donna non lo riteneva
minimamente degno della sua
attenzione, mostrandogli le spalle come se fosse più che
certa del cessato
pericolo, del suo essere divenuto totalmente innocuo.
Ebbene, quella donna non avrebbe potuto commettere errore
più grande.
Sophie si asciugò le lacrime con due dita tremanti,
abbassando lo sguardo non appena percepì gli occhi di tutti
i presenti puntati
su di sé.
-Perciò non ho la benchè minima idea di come
aiutare
concretamente mio fratello, di come invertire il processo che lo ha
fatto
diventare una specie di mutante, o come si chiamano. In poche parole,
sono
davanti ad un vicolo cieco.
Se solo fosse possibile tornare indietro nel tempo ed
impedire che Julius entri in contatto col liquido di coltura, o
qualunque cosa
abbia provocato la mutazione generica, avremmo già fatto un
passo in avanti.-
Passò una mano dietro la nuca, scompigliando appena i
corti capelli neri prima di rivolgere uno sguardo nervoso al padre, in
piedi a
pochi metri dalla ragazzina. Ormai sull’orlo delle lacrime,
Sophie iniziò ad
aggirarsi tra i macchinari ancora funzionanti, esaminando gli schermi
illuminati, poggiando nervosamente le piccole mani bianche sopra quadri
di
comandi dei quali non conosceva le esatte funzioni, cercando
disperatamente una
via d’uscita da quella situazione assurda.
Deludendo le aspettative della sua famiglia, non si era
mai interessata al lavoro del padre. Aveva scelto un percorso di studi
quanto
più distante possibile dalla biotecnologia, inquietata e
spaventata dalla
possibilità
che l’uomo aveva conquistato di modificare anche in via
definitiva
il proprio dna. Era un mondo col quale non avrebbe mai voluto avere a
che fare,
e l’ironia che le aveva riservato il destino quasi non la
fece scoppiare in una
risata isterica.
Lei era una Asimov, e non sarebbe mai potuta sfuggire al
suo stesso sangue.
A soli pochi metri di distanza da lei, inginocchiato sul
freddo pavimento, Julius non aveva distolto una sola volta i suoi occhi
da due
persone in particolare, due persone che sembravano averlo ossessionato
sin dal
primo istante in cui erano apparse nel suo campo visivo.
Quella donna.
Sebbene non avesse avuto una particolare ragione, un motivo razionale
per provare
qualcosa di simile, Julius non sapeva come chiamare quel sentimento
bruciante
se non odio. Odio, astio, desiderio di poterla cancellare con un solo
schiocco
delle dita.
Una rabbia totalmente irrazionale, sbocciata
silenziosamente sotto la spinta di un virus genetico che oramai aveva
preso il
completo controllo del suo corpo e della sua mente, cancellando minuto
dopo
minuto tracce del vero Julius Asimov. Dentro di lui una parte della sua
razionalità stava ancora combattendo per sopravvivere,
ostinatamente, ma
nessuno avrebbe potuto dire con certezza quanto a lungo sarebbe durata
quella
silenziosa ribellione.
Sophie sollevò lo sguardo, affrettandosi ad asciugare le
lacrime che avevano iniziato a rigarle le guance prima di rendersi
conto che
si, uno dei due uomini più muscolosi le aveva appena rivolto
la parola.
Vegeta strinse le labbra, irritato dal momentaneo
silenzio della ragazzina, ed iniziò ad avvicinarsi
velocemente a lei con uno
sguardo minaccioso dipinto sul volto. Uno sguardo che di certo non
aiutò la
giovane a ritrovare le parole.
-Se non sbaglio hai detto che ti piacerebbe tornare
indietro nel tempo, giusto? Allora apri bene le orecchie, e rispondi a
questa
domanda: il tuo caro paparino ha mai avuto la brillante idea di farsi
costruire
una macchina del tempo?-
Fu come un lampo nella nebbia, ed ogni singola persona
presente nella stanza diede a sé stessa
dell’imbecille per non averci pensato
prima. Considerando ciò che avevano vissuto in passato,
grazie all’incontro col
Trunks venuto dal futuro, l’idea di utilizzare una macchina
del tempo avrebbe
dovuto maturare molto prima nelle loro menti. Sherin, dal canto suo, fu
pericolosamente tentata di schiarirsi le idee colpendo il muro con la
fronte, e
probabilmente l’avrebbe fatto se Piccolo non
l’avesse prontamente afferrata per
la vita.
Proviamoci, e vediamo come va.-
Il viso di Gohan si distese ed i suoi occhi parvero
acquistare immediatamente una luce più viva, scacciando
almeno in parte
l’angoscia che quelle ore terribili avevano insinuato in
ognuno di loro. Si
voltò verso il padre, cercando e trovando nel cenno che
questi gli rivolse
l’approvazione della quale ebbe bisogno per attivarsi e
cercare di mettere in
atto l’idea di Vegeta.
Sophie comprese ciò che il ragazzo aveva in mente di fare
e, allontanatasi rapidamente dal macchinario al quale si era aggrappata
poco
prima, premette due dita contro una tempia nel silenzioso sforzo di
ricordare.
Si, suo padre non parlava volentieri del suo lavoro ma, a
volte, capitava che questi decidesse di aprire ai propri figli un
effimero
scorcio su quella che era la sua vita professionale, ed era stato
durante una
di queste rare occasioni che Sophie ricordò di averlo
sentito parlare di
qualcosa del genere. Non aveva usato esattamente le parole
“macchina del
tempo”, ma era certa che suo padre avesse voluto intendere
qualcosa di molto
simile dicendo di aver finalmente ottenuto la possibilità di
modificare il
corso degli eventi. E di poterlo fare solamente con l’ausilio
di un solo
macchinario.
Poteva funzionare. Doveva funzionare, per il bene di suo
fratello, per il bene di tutti.
Senza quasi che la ragazza potesse rendersene conto, le
sue gambe iniziarono a muoversi sempre più rapidamente, alla
ricerca di
qualcosa che somigliasse anche solo lontanamente ad una di quelle
“macchine del
tempo”. Se c’era anche solo una
possibilità di riportare suo fratello alla
normalità, e così facendo di salvare la vita di
suo padre e quella dei suoi
collaboratori, Sophie non se la sarebbe lasciata sfuggire per nessuna
ragione
al mondo.
A quel pensiero gli occhi della ragazza si fecero
pericolosamente umidi, sotto il peso schiacciante della consapevolezza
che
nessuno avrebbe potuto sopravvivere ad un’esplosione come
quella che aveva
squarciato il cuore pulsante della Asimov Tech.
La voce di Piccolo risuonò chiaramente nell’aria,
e
Sherin fu la prima a precipitarsi nella sua direzione.
Le dita affusolate della dona si strinsero attorno ad un
lungo telo bianco reso lurido dai calcinacci e dalla cenere, sistemato
a
coprire quella che sembrava essere una specie di macchina di medie
dimensioni,
strappandone lunghi brandelli quanto più velocemente
potesse. Nonostante la
spalla ferita e le forze che cominciavano lentamente a venir meno,
Sherin non
aveva ancora perso il suo vigore, vigore che Piccolo potè
percepire chiaramente
bruciare nella luce che si accese negli occhi di lei.
Solamente per qualche attimo gli sembrò di rivedere
l’antica forza vitale che anni addietro aveva visto in lei,
quella stessa forza
che tanto lo aveva travolto il giorno del loro primo incontro. Una
forza che il
corpo della donna emanava come un’aura invisibile ma allo
stesso tempo
terribilmente intensa.
Sherin non aveva bisogno di un vero e proprio motivo per
continuare a vivere, ma di tanti piccoli tasselli, tasselli che avrebbe
pian
piano unito in quella specie di puzzle complesso ed irrisolvibile che
era
diventata la loro vita. Aiutare Julius non era che un tassello in
più, qualcosa
alla quale aggrapparsi per non perdere il contatto con la vecchia
sé stessa,
quella Sherin che per nulla al mondo avrebbe lasciato svanire.
Ai loro occhi si svelò un macchinario coperto di polvere,
più simile ad una cabina ricoperta da schermi e comandi che
ad una vera e
propria macchina del tempo, macchinario che parve ridestare
immediatamente la
vitalità della giovane Sophie.
Questa vi si avvicinò di corsa, lasciando poi correre le
mani sui vari pulsanti e tasti nella silenziosa ricerca di quello che
avrebbe
dato avvio all’accensione della macchina. Sebbene avesse
immediatamente riconosciuto
il dispositivo dei racconti di suo padre, Sophie non aveva la
benchè minima
idea di come “accendere” quella sottospecie di
macchina del tempo, e non seppe
trattenere un sospiro di sollievo nel vedere Bulma accorrere in suo
soccorso.
-Sai come funzionano apparecchi del genere?-
Bulma si concesse qualche attimo di silenzio prima di
rispondere con un lieve cenno del capo, i grandi occhi azzurri fissi
sul quadro
comandi principali della macchina del tempo, vigili ed attivi come la
mente che
stava lavorando assieme ad essi.
-Più o meno, piccina, più o meno. Macchinari come
questi
sono stati costruiti utilizzando tecnologie molto potenti, ma
inspiegabilmente
le aziende più famose non decisero di utilizzarle per i loro
prodotti, così
sono stati relegati ad un mercato più di nicchia.
E’ probabile che tuo padre
fosse stato tra i pochi in grado di intuire il loro potenziale.
Fortunatamente,
anche il mio decise di sperimentare dispositivi come questo,
perciò so almeno
come “accenderlo” ed evitare che si blocchi prima
di funzionare del tutto.-
Mentre parlava, le dita di Bulma si muovevano rapide sui
tasti e vicino agli schermi già accesi, mentre serie di
numeri indecifrabili
presero a scorrere incessantemente su di essi.
Tra di loro calò un pesante silenzio. Nessuno ebbe il
coraggio di commentare, di pronunciare anche solo una parola, o di
respirare
più pesantemente del dovuto. Gli occhi di tutti erano
puntati su Bulma, tranne
quelli di due persone. Sherin e Piccolo erano in piedi davanti alla
macchina
del tempo, l’uno vicino all’altra, le braccia tanto
vicine da sfiorarsi e gli
occhi che di tanto in tanto si posavano sul viso dell’altro.
Come se stessero
tacitamente comunicando tra di loro, come se non sentissero il bisogno
di dire
alcunchè. Attendevano, in silenzio, mentre Sherin finalmente
cercò l’abbraccio
del compagno, in un gesto carico d’affetto che soltanto Gohan
ebbe la
delicatezza e la fortuna di cogliere.
Julius, che sino a quel momento era rimasto praticamente
immobile dove Sherin lo aveva depositato poco dopo essere entrati nella
sala
semi distrutta, sembrò perdere definitivamente il senno.
Lunghi brividi iniziarono a percorrere il suo corpo, e la
calma che era riuscito a mantenere sino a pochi istanti prima
svanì
completamente, lasciando il posto ad una rabbia tanto incontrollata
quanto
irrazionale. Percepì un odio mai provato prima, una voglia
incontenibile di
distruggere, di dimostrare al mondo intero quanto fosse diventato potente. Di cosa era divenuto in grado
di fare.
Con un grido di rabbia tese le mani unite verso il
gruppo, ancora radunatosi attorno alla macchina del tempo, e tutta
l’energia
del suo corpo venne incanalata nella punta delle sue dita, ove si
formò una
sfera lucente bruciante d’energia. Una sfera che non attese
un solo attimo in
più prima di mutare in un dardo dorato e sfrecciare proprio
al centro del
macchinario in piena funzione. Quell’unico lampo di pura
energia penetrò
all’interno di esso, distruggendo microcip ed innescando una
vera e propria
reazione a catena che si rivelò essere a dir poco
disastrosa.
-Yamcha! Prendi Bulma e vattene da qui, vattene da qui
assieme a tutti gli altri.
-Gohan, ti affido Sophie! Portala al sicuro, presto!
Nel caos più completo, nessuno dei presenti potè
ignorare
il tremendo boato che scaturì dall’interno della
macchina, fragore che si
rivelò essere solamente il preludio a qualcosa di molto
più pericoloso ed
imprevedibile. Lentamente, un bagliore di un candore abbagliante si
allargò
dove il metallo polveroso era stato squarciato, occupando sempre
più spazio man
mano che i secondi passavano. Goku, Vegeta si allontanarono
immediatamente da
esso, mentre il resto del gruppo sfrecciò lontano seguendo
gli ordini che
questi avevano impartito loro solo pochi attimi prima, non senza
l’amarezza nel
cuore per aver abbandonato i compagni in una situazione tanto critica.
Goku si guardò rapidamente attorno, combattendo contro
l’angoscia crescente per cercare di elaborare al
più spesso un modo per
risolvere quel problema, o anche solo per impedire che anche uno solo
dei suoi
amici ne uscisse ferito, o peggio.
Fu in quel momento che si accorse che qualcosa non
andava. Quella specie di varco, o di qualunque cosa si trattasse, stava
attirando tutto ciò che aveva attorno come se possedesse una
propria,
invincibile forza di gravità.
-Sherin. SHERIN, NO!
Il grido che si liberò al di sopra del frastuono non
provenne dalle labbra del sayan, bensì da quelle di Piccolo,
le cui mani si chiusero
attorno al nulla nel tentativo di afferrare quelle della compagna.
Sherin ebbe soltanto il tempo di gridare il nome di
Piccolo prima di venire completamente inghiottita da quella voragine di
luce
bianca, e passarono interi secondi prima che il suo urlo di
disperazione si
spegnesse definitivamente. Pochi secondi prima di scomparire, avvolta
da fasci
di luce candida, i suoi compagni ebbero il tempo di cogliere
un’ultima immagine
dei suoi occhi, neri come la pece, rilucere in contrasto con quel
bianco
terrificante.
Pochi secondi dopo, di lei non vi fu più traccia.
Incapace di reagire, di muovere anche solo un muscolo,
Piccolo rimase immobile. I grandi occhi spalancati, le labbra schiuse
in un
grido privo di voce, il guerriero
si
voltò lentamente verso Goku; muovendo lentamente le labbra a
formare silenziose
parole che questi riuscì a comprendere solamente quando fu
ormai troppo tardi.
Il grido di Goku giunse troppo tardi alle orecchie del
namecciano, troppo tardi il sayan scattò verso di lui per
tentare di afferrarlo
ed impedirgli di mettere in atto la sua folle idea. Piccolo si era
già lanciato
in direzione del varco, della voragine che aveva trascinato dentro di
sé
l’unica persona che sarebbe mai stato in grado di amare,
l’unica ragione per la
quale costringeva sé stesso ad andare avanti giorno dopo
giorno.
Un accecante lampo di luce, e Piccolo scomparve.
Un solo istante, e i due guerrieri rimasti videro la
macchina del tempo inglobare dentro di sé ciò che
il raggio lanciato da Julius
aveva generato, mentre il freddo glaciale che aveva pervaso la stanza
sfumò
lentamente sino a scomparire del tutto.
Così come erano precipitate, le cose sembrarono ritornare
ad un’apparente normalità, una
normalità che si presentò pervasa da una
sfumatura inquietante, cruda ed inaccettabile. Goku rimase immobile, la
sua
mente ancora incapace di accettare ciò che i suoi occhi
avevano appena visto
accadere. Due dei suoi amici più cari erano letteralmente
svaniti nel nulla,
inghiottiti da un varco temporale che nessuno sapeva se li avrebbe mai
restituiti alla loro realtà.
In quel momento, le parole di Piccolo risuonarono chiare
nella sua mente, e lo sguardo disperato quanto deciso del namecciano
balenò
davanti ai suoi occhi. Come se fosse ancora lì, davanti a
lui.
Vado a riprenderla.
Surprise,
mutherfuckers.
Siete stupiti?
Non vi preoccupate, lo è anche la sottoscritta.
Lo sono perché
mai avrei creduto che questa storia potesse continuare a vivere, che le
vicende
di Goku, Piccolo, Sherin, Vegeta e tutti gli altri riprendessero a
muoversi
attraverso la mia scrittura.
Avete presente
il blocco dello scrittore? Ecco, per ben tre anni ne ho sperimentato
uno alla
massima potenza e poi, un mese fa, è svanito nel nulla.
Ho preso carta
e penna, e le parole hanno iniziato a fluire come un fiume in piena.
Sherin e
tutti gli altri hanno finalmente ripreso a
“muoversi”, ed io mi sono sentita
ancora una volta completa.
Perché si,
questa storia ormai fa parte di me, con tutti i suoi pregi ed i suoi
difetti.
E’ parte di me, ed ho deciso di riprovarci ancora una volta.
Certe cose sono
“worth the risk”, e Behind the Sunrise lo
sarà sempre.
Grazie a tutti
quelli che leggeranno questo capitolo, e a tutti quelli che avranno
voglia di
ricordarsi di questa mia storia tormentata ed a modo suo ancora un poco
ingenua.