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Autore: lulubellula    13/04/2014    3 recensioni
OutlawQueen
Regina si ritrova catapultata in un luogo sconosciuto dopo Neverland, qualcosa non è andato come avrebbe dovuto, è sola, stanca e ferita.
Sola con la sua coscienza, si ritroverà a fare un bilancio della sua vita, delle sue scelte e delle sue azioni, in un luogo in cui, dimenticare chi è stata non può farle che bene.
Un nuovo inizio, una nuova vita e anche un nuovo amore.
Alla ricerca della felicità e del lieto fine che ha sempre rincorso e che ora si merita.
"Robin si fermò un istante ad osservarla, i suoi occhi si soffermarono su di lei, pur non conoscendola, pur non sapendo chi lei fosse in realtà, non poté far a meno di restare stregato da lei, dalla sua figura sottile, da quel lampo di luce e di dolore che aveva colto quando lei si era voltata, qualche istante prima che perdesse i sensi".
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Regina Mills, Robin Hood, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Finding true love (because everyone needs a happy ending)
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Regina rimase basita mentre osservava la scena che aveva dinnanzi agli occhi, non aveva assolutamente idea che Robin avesse un figlio, pensava che fosse uno scapolo incallito alla ricerca perenne di riccastri a cui svuotare le tasche, non di certo un paparino affettuoso e presente.
Le si strinse il cuore, era arrivata troppo tardi, l’effetto della polvere fatata non sarebbe potuto di certo durare per sempre, no?
Vide Robin abbracciare il bambino che gli era saltato al collo, le maniche della tunica a scivolargli mettendo in mostra un avambraccio abbronzato dal sole di molte estati, il tatuaggio del leone, il segno intangibile e incontrovertibile che era arrivata troppo tardi per essere felice.
Non rimase sconvolta del tutto di fronte all’evidenza, dopotutto, come a suo tempo le era stato detto che i cattivi non meritano un lieto fine.
Forse si meritava di trascorrere il resto dei suoi giorni da sola, forse era proprio questa la vita che si era costruita nel corso dei decenni: una vita di solitudine, disprezzata dagli altri che non avrebbero mai smesso di vedere in lei la Regina Cattiva, che non avrebbero mai smesso di vederla come quella donna che, in procinto di venire giustiziata di fronte a Biancaneve, al Principe e a suo padre Henry, non si pentiva minimamente della morte, della distruzione e delle sciagure che aveva fatto piovere a piene mani sui capi dei suoi odiatissimi sudditi.
“Papà” ripeté quello scricciolo ricciuto, stringendo forte a sé Robin.
Doveva essergli mancato davvero molto,  pensò Regina, sentendosi in colpa per aver tenuto lontano l’uomo da suo figlio per tutti quei giorni, per averlo tenuto lontano da sua moglie.
Il solo pensiero le risuonò come una stilettata al petto, perché pur non conoscendo bene l’uomo, né essendosi follemente innamorata di lui al primo istante, si era tuttavia illusa, illusa che un giorno lontano potesse esserci qualcosa che andasse oltre la semplice amicizia o la reciproca sopportazione.
Avrebbe dovuto aver più coraggio quella sera e forse le cose per lei sarebbero andate meglio, forse quello che stava stringendo ora Robin sarebbe stato figlio anche suo, un figlio loro …
Respinse quel pensiero malsano dalla mente, non era proprio il caso di ritrattare gli ultimi quarant’anni, perché nonostante tutti i supplizi subiti e fatti subire ad altri, quei quarant’anni di buio le avevano restituito il bene più prezioso che lei avesse mai posseduto nella sua intera esistenza: suo figlio Henry.
“Roland. Anche tu mi sei mancato, giovanotto. Dimmi, Little John e gli altri come si sono comportati? Sei riuscito a reggere il fortino come si deve durante la mia assenza?” chiese Robin, che non aveva occhi se non per il suo piccolo e forse, ma solo, forse per la donna che aveva al suo fianco.
Prese a fargli il solletico e il piccolo scoppiò in una risata contagiosa.
“Certo, papà, qui stiamo tutti bene e quel farlocco dello Sceriffo di Nottingham non è riuscito ad acchiapparci nemmeno stavolta”.
Robin sorrise: “Quante volte ti ho detto di non chiamarlo in quel modo, signorino, è forse il caso che faccia quattro chiacchiere con Little John?” domandò tra il serio e il divertito.
 Ma Roland non lo ascoltava più.
“Chi siete voi?” chiese incuriosito a Regina.
La donna restò qualche istante come inebetita, quel bambino era così simile a Henry da piccolo, gli occhi grandi, i capelli indomabili e un po’ arruffati, quelle manine così infantili e così dolci.
Le si strinse il cuore, a tal punto da farle male.
“Io sono Regina” disse semplicemente, senza sapere che altro aggiungere.
Roland si voltò ad osservare il padre in cerca di ulteriori delucidazioni.
“Regina e poi?” chiese dall’alto della sua ingenuità di bambino.
Lei non sapeva bene che altro dire.
Robin le venne in soccorso.
“Lei è Regina e starà con noi per un po’, vive in un reame molto lontano e ha bisogno di rimettersi in forze perché era molto ammalata quando ci siamo incontrati nella foresta”.
Roland sgranò gli occhi e osservò meglio Regina per capire che cosa non andasse in lei.
“Il tuo papà mi ha salvato la vita, Roland, avevo la febbre e una brutta ferita al fianco e lui mi ha curata finché non sono stata di nuovo in grado di camminare da sola e venire fin qui”.
Roland sorrise, aveva finalmente capito tutto o almeno credeva di aver afferrato completamente il nesso logico.
“Wow – esclamò – ora ho capito! Papà è stato un eroe! Come il Principe delle favole che salva la Principessa dalle streghe, dai draghi, dai trolls! Allora voi due vi sposerete?” chiese il piccolo con tutto il candore e l’innocenza di questo mondo e di quegli altri.
Robin scoppiò a ridere nervosamente, mentre Regina avrebbe tanto voluto evitare di rispondere, quel bambino era fin troppo curioso e acuto per essere solo un fanciullo di quattro anni.
Regina si schiarì la voce: “No, Robin, io e il tuo papà non ci sposeremo, lui poi è già impegnato con la tua mamm-”.
Furono interrotti da un Little John a dir poco furibondo.
“Allora è così che ci ripaghi, Robin! Dopo tutti questi anni passati a sfuggire al Principe John e ai suoi scagnozzi, ora ci porti lei!” gridò con la voce piena di disprezzo.
“Lei chi?” chiese innocentemente Roland, avvicinandosi a Regina.
“Stai lontano da lei, Roland, prima che ti faccia male o peggio ti strappi il cuore dal petto e lo stringa tra le sue mani insanguinate fino a ridurlo in polvere!”.
Roland si voltò a guardare la donna e rimase scioccato, non poteva essere una persona malvagia, sembrava così buona, così materna, così simile alla mamma che sognava gli rimboccasse le coperte prima di addormentarsi.
Regina era ferita, adirata, addolorata, la rabbia le scorreva a fiotti nelle vene, dal palmo della mano destra le fluì una sfera infuocata, sfera che prontamente spense dischiudendovi il palmo sinistro.
Aveva promesso a se stessa che non avrebbe mai più usato la magia per ferire agli altri, ma soprattutto l’aveva promesso ad Henry e nonostante lui non fosse lì per vederla mantenere la parola data, questo non significava che non avrebbe cercato di mostrarsi quello che ora era: una donna in cerca di redenzione.
“Sì, ma lei chi è?” indicandola con le sue dita  grassocce.
“La Regina Cattiva!” gridò, preparandosi a ferirla, l’arco teso, una freccia pronta per essere scoccata nel cuore della donna.
“No!” gridò Robin frapponendosi tra lei e Little John.
Il labbro inferiore dell’uomo pronto ad attaccare si increspò per la stizza e l’ira.
“Cosa diavolo stai tentando di fare, Hood?” gli parlava come se non fossero migliori amici da anni, come se lui in quel momento fosse un estraneo, quasi un nemico.
Regina dal canto suo voleva scappare via, lontano, dall’accampamento, da Robin che aveva già un figlio e con buone probabilità una moglie che lo amava come lei non sarebbe mai stata in grado di fare, da un ridicolo arciere delle dimensioni di una montagna che sebbene non la conoscesse di persona, la additava come quello che in passato era stata, una donna cattiva, malvagia, senza cuore.
“Non azzardarti a farle del male, John, lei sarà nostra ospite e tu non le torcerai un capello, intesi? Forse una volta sarà anche stata la regina cattiva, ma ora è solo una donna innocente da proteggere, una di noi e io non permetterò che nessuno di voi – indicò la folla che si era radunata attorno a loro – né nessun altro le faccia del male. Quanti di voi non sono d’accordo con me possono anche andarsene, quella è la porta – indicò l’imbocco del sentiero che portava verso la Contea di Nottingham – tutti quelli che resteranno dovranno accettare la mia decisione”.
John lo guardò dritto negli occhi, due pozzi neri, ma che in fondo non erano in grado di odiare il suo amico fraterno, nemmeno ora che non riusciva a comprendere che cosa gli stesse passando per la testa.
Abbassò l’arco e rimise la freccia al suo posto.
“D’accordo, Robin, sia quello che dici tu, lo accetto, tuttavia non ti vorrai aspettare che, come d’incanto, io e lei diventiamo migliori amici, no?”.
Robin gli diede una pacca sulla spalla e sorrise.
“Sapevo che saresti stato ragionevole, vecchio mio, ora vieni qui, vieni a conoscere Regina”.
Little John e Regina erano reciprocamente titubanti ad approfondire la conoscenza, ma l’uomo protese la mano destra verso la donna e lei, seppure non ne avesse la minima intenzione, fece uno sforzo, e gliele strinse per qualche istante.
“I-io sono molto stanca, credo che farei meglio a riposare” disse lei, indossando una maschera di ghiaccio per impedirgli di leggerle la delusione e il dolore che le scorrevano negli occhi.
Essere senza Henry, nell’Inghilterra dei Re e dei feudatari, in un accampamento di villici che la avrebbero preferita veder ardere al rogo piuttosto che dividere le loro tende e i loro pasti con lei e Robin …
Robin non la avrebbe mai abbandonata a se stessa, l’avrebbe protetta con la sua stessa vita se solo fosse stato necessario ma che, per colpa della paura di Regina di trovare il vero amore la sera in cui Trilli le aveva rivelato la profezia, ora l’aveva trovato in un’altra.
“Certo – le rispose comprensivo l’uomo – venite, vi mostrerò il luogo dove potrete riposare un po’ e recuperare le forze. Seguitemi, Regina. Roland, tu resta con Little John e poi va a giocare con gli altri bambini”.
Roland annuì non del tutto convinto, nonostante la sfuriata del suo padrino, lui non riusciva a credere che Regina fosse cattiva.
Una donna con il sorriso così dolce e gli occhi così brillanti e belli non poteva essere una persona crudele e senza scrupoli.
Nelle favole le streghe e gli esseri malvagi erano brutti, vecchi e pieni di pustole, invece lei era bellissima, avevi gli occhi grandi e scuri come i suoi e dei capelli corvini che le ricadevano appena sopra le spalle e un sorriso buono.
Little John si sbagliava, doveva essersi confuso con qualcun’altra.
Regina e Robin si avviarono verso le tende, a qualche manciata di passi di distanza dal luogo in cui alcune donne erano intente a preparare quella che aveva tutta l’aria di essere una minestra di lardo e verdure.
“Mi dispiace, Regina, sono desolato. Non avrei mai pensato che Little John potesse reagire in un modo così sconsiderato nei vostri confronti”.
Regina parve non ascoltarlo, non le interessava quello che un villico qualunque pensasse di lei, era troppo preoccupata a pensare a come fare per tornare a Storybrooke e a come rivedere il suo ragazzino, per prestare ascolto alle parole dell’uomo.
“Eccoci, siamo arrivati” le indicò una tenda non molto grande ma nemmeno troppo angusta dove lei avrebbe potuto sistemarsi e riposare in quel giorno e nelle notti successive.
All’interno vi era una branda che aveva l’aria di essere incredibilmente scomoda, un tavolo con una gamba zoppa e uno specchio lievemente scheggiato ai bordi.
Regina entrò e diede un’occhiata, una lacrima solitaria le sfuggì colandole lungo il volto: se non fosse riuscita a trovare una via per tornare alla vita di prima, quello era esattamente il luogo e il tempo in cui le sarebbe toccato trascorrere il resto dei suoi giorni.
La tenda a rammentarle la grande casa in Mifflin Street in cui aveva cresciuto Henry, lo specchio a ricordarle un passato ancor più remoto che non aveva alcuna voglia di rammentare, il vuoto, la solitudine come monito e pena di una vita che dopotutto forse ora si meritava.
“Regina? Vi sentite bene?” le chiese preoccupato l’uomo.
Prese un respiro profondo, si asciugò gli occhi, si schiarì la voce e si voltò.
“Benissimo. Non potrebbe andare meglio”.
La sua voce era scarsamente convincente e il volto la tradiva persino di più, ma Robin non se la sentì di contraddirla e le disse solamente: “ Tra poco meno di un’ora sarà pronta la cena, non c’è molto, ma sarò, ehm, saremo lieti di condividerlo con voi. Dovreste anche lasciarmi dare un’occhiata alla vostra ferita, non vorrei che si fosse riaperta dopo questa giornata di cammino ed emozioni forti”.
Regina respirò profondamente e rifiutò con cortesia, ma fermezza sia il cibo che le cure.
“Penserò io stessa a medicarmi, dove posso trovare qualche benda pulita e un po’ di acqua calda?”.
“Vado a prendervele io - si offrì prontamente – aspettatemi qui”.
“Non vado da nessuna parte” rispose lei quasi in un sussurro.
Lui uscì dalla tenda e lei tirò un sospiro di sollievo, dischiuse al meglio la tela e si tolse la giacca, prima la manica destra, poi con maggiore attenzione la sinistra, sia la giacca che la camicia erano ormai logore, da buttare, solo che non sapeva cos’altro indossare visto che non aveva avuto né il tempo, né l’occasione di portare con sé il suo sterminato guardaroba quando era stata risucchiata da quel dannato vortice e si era ritrovata nella Foresta di Sherwood.
I suoi tacchi dodici, i tubini, la giacche, le gonne, i pantaloni con il taglio diritto e tutti i suoi amati accessori erano rimasti lì e sebbene non le mancassero nemmeno troppo, un cambio d’abito in più in quel momento le avrebbe fatto di certo comodo.
La ferita era ancora arrossata e non del tutto cicatrizzata, oltretutto ora si trovava nel luogo più impolverato ed anti igienico del mondo e doveva prestare particolare attenzione a non contrarre nessuna strana infezione che la condannasse ad ammalarsi di nuovo, anche perché era certa che gran parte dell’accampamento avrebbe fatto festa a vederla agonizzante in una branda arrugginita.
Scostò le coperte e il lenzuolo di iuta e si mise a letto, senza nemmeno togliersi la camicetta incrostata di polvere e sangue secco, senza nemmeno attendere che Robin arrivasse con l’acqua e le bende.
Era ormai l’imbrunire là fuori e quella sera non c’erano nemmeno le stelle, tutto appariva scuro, tutto appariva minaccioso e pieno di pericoli.
Gli abitanti di quel luogo si erano radunati attorno al fuoco per cenare insieme, c’erano delle grandi tavolate in legno, apparecchiate con ciotole di coccio e vi erano pagnotte di farina nera e frutta fresca appena colta.
Roland e gli altri bambini stavano già cenando quando passò di lì Robin Hood con bende e un secchio d’acqua calda, si avvicinò al figlioletto e gli scompigliò i capelli.
“Quando avrai finito di mangiare, mi raggiungerai alla tenda, d’accordo, ometto?” gli scompigliò i capelli.
Il bambino alzò gli occhi verso di lui e gli sorrise.
“Certo, papà. Regina non cena con noi?”.
“Magari ci raggiungerà dopo” rispose suo padre, afferrando del pane e una fetta di formaggio e addentandone un morso, allontanandosi.
L’uomo si incamminò verso la tenda della donna, che si trovava proprio a fianco della sua e chiamò la donna a voce bassa.
Non sentendo risposta, entrò timidamente e non vide nessuno, finchè il suo sguardo non si posò sulla branda e la vide.
La donna dormiva, il respiro leggero e regolare, il volto pallido e i capelli che le ricadevano sul cuscino.
Sorrise.
Regina doveva essere molto stanca ed era crollata in un sonno profondo senza aver però toccato cibo in tutta la giornata.
Si avvicinò a lei, era tentato di svegliarla, sapeva che avrebbe dovuto mangiare qualcosa per rimettersi completamente in forze e riuscire a trovare il modo per tornare nel suo mondo.
Non lo fece però, lei dormiva in un modo tanto angelico e tranquillo, che non se la sentì di strapparla ai suoi sogni per riportarla alla cruda e triste realtà, nella quale un secondo sì e uno no c’era qualcuno pronto a ferirla per il suo passato o qualcosa a ricordarle il presente a cui aveva dovuto dire addio.
Uscì dalla tenda e si sedette fuori sull’erba, la schiena contro la nuova casa di Regina, prese il pane e il formaggio e finì di cenare in modo frugale, aspettando il ritorno del figlioletto.
“Papà!” gridò Roland, di ritorno dalla cena.
“Shsh! Piccoletto” lo zittì dolcemente.
“Che c’è?” chiese incuriosito.
“Non urlare, lì dentro c’è Regina che sta dormendo” indicò la tenda.
“Non vuoi svegliarla, vero, papà? Anche se, lo sai come va a finire nelle storie del mio libro …”.
“E sentiamo, piccoletto, come va a finire?”.
“Che la bella principessa viene svegliata dal suo principe e loro due vivono per sempre felici e contenti” rispose lui con aria sognante.
Robin rimase sconvolto dalle parole del figlio.
“Che c’entra, Roland? Regina non è una principessa che ha bisogno di essere svegliata da una Maledizione”.
“E allora, nemmeno tu sei un principe, papà!” gli fece notare il piccolo.
“Dunque?” chiese Robin sempre più confuso e turbato.
“Dunque, ho sonno, andiamo a dormire anche noi. Però prima posso dare un bacio io a Regina?”.
“Non hai paura di lei? Nemmeno dopo le parole che ha detto Little John?”.
Robin sapeva che suo figlio si fidava ciecamente del suo migliore amico.
“No, perché lui si sbaglia! Regina non è cattiva, lei ha gli occhi buoni ma anche tristi. Dici che potrei provare a farla sorridere?”.
“Certo, Roland, dovresti proprio farlo. Vai a darle un bacio e poi corri a dormire”.
Il bambino non se lo fece ripetere due volte, entrò nella tenda e diede un bacio sulla guancia a Regina e poi sgattaiolò fuori correndo.
“Allora? Si è svegliata la tua Principessa, piccolo?”.
“Guarda che lei non è mica la mia Principessa, papà!” rispose convinto.
“Ah, no?”.
“No, Regina è la tua principessa!” disse senza fiato, lasciando suo padre sconvolto, ma in fondo piacevolmente sorpreso.
 
   
 
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