Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: Amens Ophelia    14/04/2014    8 recensioni
[SasuHina]
Hinata ha poche certezze, dietro quegli occhi chiarissimi: sa che il sole sorge e tramonta sempre, anche dietro le nuvole, e che il suo astro personale è un ragazzo biondo, in classe con lei. Purtroppo è anche a conoscenza del fatto che lui non lo saprà mai.
Troppe sono le cose che ignora pericolosamente, come il posto che occupa nei pensieri di Sasuke Uchiha.
(NB: accenno SasuKarin)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

18. Con il capo cinto d’alloro

 
 
 
Se le avessero chiesto perché fosse lì, con quel vestito nero dagli inserti di pizzo che, fino ad almeno quella mattina, si era ripromessa di non indossare mai più, ad ascoltare – o, almeno, tentare di farlo – le parole di Itachi, senza soffermarsi a fissare la nuca di Sasuke, Hinata non avrebbe trovato una risposta adeguata. Non lo sapeva nemmeno lei, si era ritrovata nell’auditorium di Ingegneria quasi inconsapevolmente, quel venerdì pomeriggio del venti novembre.
            Osservava Neji, al suo fianco, che scrutava con sguardo attento la gestualità dell’ex compagno di allenamenti, mentre spiegava il contenuto della sua tesi di laurea, davanti a una commissione bardata di toghe che le trasmetteva un forte senso di rispetto e timore. Sembrava trovarsi a proprio agio, nonostante nemmeno lui conoscesse la maggior parte degli invitati.
            La Hyuga effettuò una scansione panoramica degli astanti, dedicando a ciascuno di loro un minuto della propria attenzione: oltre al nutrito numero di sconosciuti alle sue spalle, tre file davanti alla loro sedevano Fugaku e Mikoto Uchiha; la donna, dall’inizio della seduta, si era soffiata il naso e asciugata gli occhi già un paio di volte, visibilmente e comprensibilmente emozionata, mentre il marito non aveva dato segni di particolare commozione, seppur non avesse perso di vista per un solo istante il primogenito, sorridendo impercettibilmente quando il presidente della commissione aveva pronunciato il suo nome. La sua freddezza era pura apparenza, in fondo: lui era orgoglioso, lo aveva capito fin dal primo giorno in cui l’aveva visto, e se n’era convinta ancor di più in ospedale, quando lei aveva accennato all’altruismo dei suoi figli e il “Commissario di ghiaccio” – come era conosciuto in città – aveva stretto le labbra e alzato lo sguardo verso il vetro della finestra, guardando un punto impreciso e lontano. Hinata intese che era fiero dei suoi ragazzi, anche di Sasuke, nonostante gli alti e bassi che qualsiasi famiglia attraversava.
            Il secondogenito, poi, sedeva accanto alla madre, impeccabilmente vestito di tutto punto, con un completo nero e – ça va sans dire – costosissimo. La sua attenzione oscillava tra l’aniki e quella testa bionda al suo fianco che, di tanto in tanto, prorompeva in applausi fuori luogo o esclamazioni di giubilo che catturavano le eloquenti occhiatacce dei professori.
            Hinata sorrise all’ennesima dimostrazione d’entusiasmo dell’Uzumaki. Era in grado di farla sentire un po’ meno spaesata anche in quella circostanza; doveva essere una sorta di superpotere che lui metteva in atto senza nemmeno accorgersene. Tuttavia, la tiepida espressione rasserenata si raffreddò velocemente, non appena scorse il profilo di Sasuke: con la coda dell’occhio, preoccupato, ogni circa cinque minuti si girava brevemente a cercarla, quasi per accertarsi che lei fosse ancora lì, che non se ne fosse andata.
            Come poter fuggire? Era esattamente dove desiderava essere, sia per Itachi – per il quale provava un riverente e ammirato affetto – sia per lui, per quanto l’avesse accuratamente evitato per un mese intero, a scuola e fuori dal liceo.
 
Quel sabato pomeriggio di ottobre era davvero venuto a cercarla, attendendola per almeno due ore intere, sotto casa. Non aveva citofonato, non si era fatto annunciare da Shimoko, né l’aveva chiamata al cellulare: se n’era stato con la schiena appoggiata alla portiera della propria auto sportiva, con lo sguardo fisso alla finestra di quella che aveva intuito essere la sua camera, avendola intravista passare dietro al vetro in un paio di occasioni.
            Lei si era affacciata intimidita solo una volta, allo scoccare delle diciassette e trenta, nella speranza di non vederlo ancora lì, ma invano: i suoi occhi neri la colpirono come un dardo mortale, regalandole la certezza che non si sarebbe mosso dal suo appostamento fino al calare del buio.
            Non una parola, non una richiesta di scendere e parlare, da parte sua; solo quello sguardo ardente, desideroso di rivederla, e la voglia matta di far chiarezza su ciò che era avvenuto fra loro.
           Le opportunità per dialogare non erano mancate nemmeno a scuola, nelle settimane successive, ma ogni volta che Sasuke si spingeva in sua direzione, ostentando un passo sempre più deciso e impaziente, lei scampava il rischio di perdersi nelle sue iridi e venir meno al patto con se stessa prendendo sottobraccio Tenten e uscendo dall’aula, all’intervallo, o chiedendo a Neji di accompagnarla a casa il prima possibile, al rintoccare della campanella di fine lezioni, onde poter aver più tempo per studiare.
           Si sentiva un verme, una stupida, un’ingrata, ma era allo stesso tempo convinta di fare la cosa giusta. Non l’aveva più visto sereno o sorridente – non che Sasuke fosse mai stato il tipo da lasciarsi andare a risate di felicità – da quella volta in cui si erano baciati in palestra, ma era certa che quello fosse un prezzo ben abbordabile, pur di non cacciarlo più nei guai.
 
Il suono del campanello, fra le dita del presidente, avvertì il pubblico che la commissione si sarebbe presa qualche istante per discutere il voto. Itachi raggiunse la propria famiglia, cercando di dribblare – inutilmente – un Naruto sovreccitato, che gli si gettò al collo, complimentandosi con lui per quel discorso prolisso e complicato che aveva ascoltato per sì e no tre minuti.
            Sasuke si alzò e si stiracchiò lievemente, per poi dare un’affettuosa pacca sulla spalla dell’aniki, e Neji s’incamminò con calma verso il ventitreenne, dietro la schiera di compagni di corso che già l’aveva accerchiato, sottraendolo ai genitori.
            Hinata carpì uno sguardo fugace e sereno del giovane laureando, e gli sorrise da lontano, troppo timida e frastornata da tutta quella pompa magna per riuscire a raggiungerlo e anche solo stringergli la mano, prima della proclamazione ufficiale.
            Notò un’ombra appropinquarsi alla fila in cui sedeva e, ancor prima di poter cercare la sua figura nella folla che attorniava il protagonista della cerimonia, comprese di chi potesse trattarsi.
            Cosa fare? Scappare? E dove? Come poteva evitarlo, in un ambiente chiuso e tanto rigoroso da non ammettere rocambolesche uscite?
            Trattenne il respiro, stringendo l’orlo del vestito fra le dita e continuando a fissare il palco, nell’attesa che quel maledetto campanello venisse scosso. Niente da fare, però: i docenti erano ancora nel pieno del confronto, probabilmente indecisi se concedere o meno la lode al candidato.
            Poteva avvertire il suo sguardo fissarla con una perizia che avrebbe sicuramente lusingato altre ragazze, ma non lei, specialmente in quel frangente in cui era diventato difficile persino riuscire a rimanere seduta.
            Un passo avanti, verso il suo seggiolino. Hinata cominciò ad affondare un’unghia nella coscia.
            Un altro, sempre in sua direzione, e gli incisivi sprofondarono nel labbro inferiore.
            Un terzo, e i suoi occhi si chiusero di scatto, come se ciò fosse stato sufficiente per farla scomparire.
            Sasuke rimase immobile, di fronte a quella reazione. Era evidente cosa significasse, ma non riusciva a capire perché. Arrestò i suoi passi e, finalmente, la vide sciogliersi da quella morsa di tensione che le aveva quasi tagliato le labbra.
            La ragazza si girò lentamente, riaprendo gli occhi, e ritrovò il suo viso. Era vicino, ma non abbastanza da poter capire se fosse felice di rivederla, o piuttosto disgustato da trovarsela fra i piedi pure lì. Avrebbe voluto quasi chiederglielo, tentare di salutarlo, o anche solo accennare un sorriso, ma il suo cervello si era appena ammutinato. Poté solo ammirarlo in silenzio, senza quasi sbattere le palpebre, mentre lui appoggiava una mano sullo schienale di una poltroncina per non perdere l’equilibrio, di fronte a quelle iridi che, finalmente, l’avevano degnato di uno sguardo.
            Le apparve bellissima, ancora più angelica che alla festa di Naruto, in quell’abito nero che lui stesso le aveva comprato per l’occasione. Era profondamente felice del fatto che avesse deciso di non buttarlo, di indossarlo ancora, soprattutto in sua presenza; interpretò quella semplice scelta di abbigliamento come un segnale positivo, che però cozzava violentemente con l’atteggiamento che la Hyuga aveva mantenuto nei suoi confronti, in quelle settimane.
            Moriva dalla voglia di parlarle, anzi, no: rivolgerle la parola sarebbe stato un nuovo buco nell’acqua, come il sabato del suo rientro a scuola – l’ultima volta in cui era riuscito a comunicare verbalmente con lei. Molto meglio quel silenzio assordante, nella loro bolla di sapone, in mezzo alla moltitudine che si era riunita per festeggiare Itachi. Aveva sempre pensato che i suoi meravigliosi occhi di perla potessero esprimersi più efficacemente delle parole e non aveva torto ad esserne convinto.
            Eppure, nemmeno quello sguardo gli bastava più, ora che lei aveva smesso di torturarsi le mani, rimanendo candida e immobile come una statua del Canova. Voleva sfiorare la sua pelle, riscaldarla, proteggerla, fare del suo derma un nuovo tegumento, per lei, come quella notte maledetta. E baciarla. Avrebbe consegnato la sua anima al diavolo, per un suo bacio.
            Ma ciò non avvenne; il sogno evaporò ancor prima che potesse iniziare ad addensarsi, spazzato via dal suono del campanello.
            Sasuke sospirò, abbassando il capo e sorridendo con una punta d’amaro in bocca. La giornata era ancora lunga, l’avrebbe di sicuro rivista.
 
***
           
A un primo impatto, Itachi poteva apparire un ragazzo piuttosto sulle sue, poco incline al dialogo o a mantenere i contatti con tante persone, ma la cerchia di amici che lo circondava, nel locale del rinfresco, fece ricredere persino suo fratello. L’aniki usciva assai meno spesso di lui, si concedeva esigue serate al pub e un ancor minor numero di scorribande, avendo sempre prediletto il dovere al piacere, eppure poteva contare sulla stima e l’affetto di tanti compagni di corso e, persino, di qualcuno del liceo.
            Osservò Naruto, letteralmente in visibilio per il centodieci e lode con cui il ventitreenne era stato proclamato dottore, e sorrise ampiamente, fiero di quell’alloro che cingeva le tempie del giovane. Era suo fratello, era l’orgoglio della famiglia, il modello cui anche lui si sarebbe dovuto ispirare e finalmente l’invidia e la freddezza che li aveva separati sembrava essersi definitivamente dileguata. Doveva quel risanamento solo a una persona, ne era consapevole, perché senza di lei nulla sarebbe cambiato, fra loro.
            Hinata aveva fatto sì che Sasuke e Itachi tornassero a parlarsi per cose importanti, non solo per scambiarsi battute al vetriolo, e che stringessero un sodalizio profondo, imperituro, vitale quanto il loro stesso sangue. Era sicuro che nemmeno se ne rendesse conto, lei, abituata com’era a fare della modestia il suo miglior pregio, eppure avrebbe tanto voluto ringraziarla, nonché sfiorare ancora una sua mano, naturalmente.
            Non capiva nemmeno perché non riuscisse a prenderla in disparte e parlarle: da quando uno come lui si faceva problemi ad aggiudicarsi ciò che voleva, senza troppi complimenti? Qualcosa lo bloccava ed era una forza tanto sconosciuta, quanto potente; alcuni la chiamavano “amore”, lui, per il momento, “follia”. Cos’altro poteva essere, d’altronde? Non si era mai innamorato di nessuna ragazza, nel vero senso della parola. Aveva provato i piaceri della carne, appagando qualsiasi desiderio potesse saltargli in mente, fino a svuotarsi completamente, arrivando a sentirsi un verme, come nei confronti di Sakura, ma mai era stato rapito da un sentimento che sembrava prediligere solo gli altri. Trovava oltremodo assurdo, impossibile, che adesso toccasse a lui fare i conti con quel genere di situazione.
            Sospirò, lasciandosi cadere su un divanetto ai bordi della sala, non appena i suoi genitori lasciarono campo libero alla gioventù, dirigendosi a casa. Non aveva voglia di ballare, né di bere o scambiare chiacchiere con gli altri ragazzi. Voleva solo una cosa e quella gli si negava costantemente.
            La osservò con uno sguardo arrendevole che faceva a pugni con il suo spirito ostinato a non volerla perdere così, senza un vero motivo, senza un litigio, senza un contatto.
 
***
 
Per l’intera serata era riuscita nel suo intento: sguardi bassi, risate forzate, qualche breve parola con Itachi e Neji e, tutt’al più, una conversazione con Naruto. Era grata al laureato per averlo invitato, perché era l’unico in grado di toglierla dall’imbarazzo e di scacciare l’opprimente senso di dover spezzare il ghiaccio per forza, onde non risultare troppo taciturna; per quello ci pensava l’Uzumaki, prorompendo in risate fragorose e contagiose, o incappando in magre figure, di tanto in tanto, quando si azzardava a fare qualche osservazione su quella ragazza dai capelli blu e gli occhi ambrati che passava tutta la serata a piegare tovaglioli per creare origami, affianco a un giovane dalla chioma arancione e con diversi piercing sul volto. Con lei non attaccava, sembrava molto seria.
            Hinata l’aveva osservata per buona parte della festa: era davvero bella, elegante, raffinata, seppur molto semplice; non le erano sfuggiti nemmeno gli sguardi di Itachi a lei rivolti e, spinta da chissà quale forza, si era avvicinata proprio al ventitreenne, quando le luci del locale erano calate e il deejay stava cominciando a selezionare dischi più lenti.
            Konan danzava stretta a Yahiko – così le pareva si chiamassero, i due – con lo sguardo perso altrove e la Hyuga provò un certo senso di tristezza nell’osservare Itachi seduto su un divanetto a guardarla, mentre tutti erano in pista.
            Non senza una certa dose d’imbarazzo, decise comunque di appressarsi al festeggiato; sentiva di doversi complimentare con lui e, nel suo piccolo, cercare di risollevargli il morale.
            «Ti stai divertendo?», le chiese prontamente lui, vedendola comparire davanti a sé.
            «S-sì», sorrise timidamente, ignorando lo sguardo di Sasuke, seduto a pochi posti di distanza dal fratello. Adesso che sapeva di essere osservata da un altro paio di occhi profondissimi e scuri, oltre a quelli del laureato, le parole le si impastavano irrimediabilmente in bocca, così come i pensieri s’ingarbugliavano fra loro, costringendola a ragionare su quanto fosse stato stupido e forse anche poco modesto, da parte sua, credere di poter strappare a Itachi un sorriso.
            «Nessuno ti ha ancora invitata a ballare?», si stupì il ventitreenne. Era incredibile come riuscisse sempre a pensare agli altri, anche in una giornata dove il protagonista sarebbe dovuto essere lui.
            «No… io non amo ballare, non ne sono capace», si affrettò a precisare.
            Bugia. Non era stata forse lei la piccola étoile della sua scuola di danza? La verità era che non aveva più volteggiato, da quel tragico giorno. Aveva dimenticato i passi, qualsiasi nozione minima, persino come si allacciassero le scarpette da punta, senza contare che quella canzone che ora risuonava per l’ampia sala era totalmente diversa dalle note classiche su cui lei aveva imparato a piroettare.
            «Allora, dal momento che questo musone non ti ha ancora prenotata, permettimi di essere il tuo cavaliere, almeno per un giro», le sorrise, porgendole la mano e lanciando un’occhiata ironica all’otouto.
 
Senza nemmeno accorgersene – proprio come non si era resa conto di aver davvero assistito alla laurea del maggiore degli Uchiha – Hinata si trovò in pista, con le mani appoggiate timidamente sulle spalle di Itachi. Era imbarazzata al pensiero di essere tanto vicina al fratello di Sasuke, soprattutto perché poteva benissimo immaginare di essere tenuta sott’occhio dal suo compagno di classe. Chissà come aveva interpretato quel gesto… Avrebbe pensato che si era intenzionalmente avvicinata all’aniki per attirare la sua attenzione? O, peggio ancora, per istigarlo? Che stupida! Perché era stata tanto avventata? Come aveva potuto stimarsi capace di eclissare il lieve malumore del ragazzo che ora aveva cinto con delicatezza le mani dietro la sua schiena?
            «Vedrai che ti chiederà di ballare. Non sopporta che io lo batta in qualcosa», ridacchiò sottovoce, guardando di sfuggita il fratello, che lo stava osservando con aria infastidita.
            «Oh, no, non è il mio obiettivo», arrossì lei. Ne era davvero certa? Non sapeva dirlo, se incrociava il suo sguardo. «Mi sono comportata male, con lui. Avrei voluto ringraziarlo, anzi, ringraziarvi. Avete fatto così tanto, per me», s’incupì la ragazza, premendo il viso sul proprio braccio, nel tentativo di nascondersi.
             Era crollata. Sperava di non scoppiare a piangere, ma sapeva bene fin dall’inizio che non avrebbe retto in eterno il peso d’ignorare Sasuke. Per un mese era riuscita a sostenere la pressione dei suoi sguardi, a scuola, e a eludere i suoi tentativi di riavvicinamento, ma tutto ciò le era costato parecchio, a livello psicologico. Certo, era forte, era maturata a vista d’occhio, nelle ultime settimane, riuscendo persino ad addormentarsi senza troppi pensieri funesti o rammarichi, ma condividere la felicità d’Itachi con quel fardello sulla coscienza e il senso d’ingratitudine a gravarle sul cuore era qualcosa che andava oltre le capacità stoiche di qualsiasi Hyuga. Semplicemente, era ingiusto comportarsi così, se ne rendeva conto. Era scorretto verso il giovane laureato, che l’aveva da subito presa in simpatia, e, soprattutto, era atrocemente crudele nei confronti di Sasuke, nonché dei propri sentimenti, che proprio non ne volevano sapere di relegarlo in secondo piano.
              «Non c’è bisogno di ringraziarci, Hinata. Chiunque l’avrebbe fatto», la rassicurò il giovane, rallentando il ritmo della danza, fino a fermarsi per accarezzarle una spalla. «Senza contare che tu stessa hai fatto tanto, per lui».
               La fanciulla si asciugò le lacrime con un gesto repentino del braccio e osservò con uno sguardo fugace la sagoma del diciottenne, da sopra la scapola di suo fratello. Itachi stava sicuramente raccontandole una bugia bianca per farla sentire meglio; com’era possibile, infatti, che lei potesse essere stata d’aiuto a quel ragazzo che, ancora sul divano, teneva gli occhi fissi su di loro?
                «Ad ogni modo, conto che queste cose te le dirà lui di persona, quando se la sentirà, com’è giusto che sia», concluse il ragazzo, ritornando a seguire la melodia e a guidarla nel ballo.
                Gli era profondamente grata, così riconoscente da non trovare le parole giuste per esprimere tutto ciò che voleva dirgli senza apparire noiosa o scontata. Gli doveva molto e sperò che lui potesse minimamente comprendere quanto gli fosse affezionata anche solo dal timido abbraccio donatogli nel breve arco di una piroetta.
 
All’improvviso lo sentì irrigidirsi, quasi bloccarsi di colpo, e fu una sorpresa, per lei, trovarsi a dover condurre il lento.
            Seguì lo sguardo del suo cavaliere e comprese il motivo di quell’arresto repentino: nella visuale entrarono dei capelli blu semi-raccolti. D’un tratto, Hinata si ricordò la ragione per cui era stata spinta ad avvicinarsi ad Itachi, qualche minuto prima, e provò nuovamente un senso di profonda tristezza.
            «È lei, non è vero?», domandò in un sussurro, tornando a fissare le sue labbra dischiuse e tremanti. Servivano conferme? «La ragazza dalla chioma blu per cui hai un debole, come avevi accennato quel giorno in auto».
            «Te ne sei accorta, eh?», cercò di schernirsi, sorridendo lievemente.
            «È davvero bellissima. Non capisco perché tu non stia ballando con lei, ora», tentò di spronarlo, guardandolo serenamente.
            Itachi sospirò, chiudendo gli occhi. «Non sarebbe la cosa giusta».
            «Ma come? Come puoi dirlo?». Anche una giovane placida come la Hyuga poteva sbottare per la sorpresa, di fronte ad affermazioni irrazionali. «Non vuoi nemmeno provare ad avvicinarti a lei e cambiare le cose?».
            «Ho capito che, nel mio caso, è bene lasciare che tutto avvenga per come deve essere, soprattutto la felicità. Porsi domande, ostinarsi a voler sondare ogni evento esclusivamente sotto la lente della ragione o quella del cuore è dannoso, oltreché sbagliato. Questa non è matematica, non serve la logica, e non è nemmeno un romanzo: è la vita, deve fare il suo corso», sorrise, osservando gli occhi chiari della ragazza sgranarsi sempre di più, di secondo in secondo.
            «Ti sei arreso?».
            «Non è una capitolazione… è consapevolezza. Guardala: è felice, non trovi?», le chiese con aria tranquilla.
            La Hyuga si girò titubante verso la coppia che ballava lentamente in fondo alla sala, lontana dal resto della folla. Quei due non seguivano un ritmo consono alla melodia, né si preoccupavano di confarsi agli altri; sembravano trovarsi perfettamente a proprio agio, nella loro incongruenza al resto del mondo.
            Konan sorrise a Yahiko, chiudendo gli occhi e appoggiando una guancia sulla sua spalla, mentre si lasciava cullare dalle braccia del ragazzo. Sì, era senz’altro felice, ma Hinata non voleva crederci, non lo riteneva giusto: Itachi avrebbe meritato mille volte di più quel sorriso.
            «Io non sarei in grado di essere la sua felicità. Non sono quello giusto per lei», ammise in tutta sincerità il neolaureato.
            Come poteva dirlo? La diciassettenne si affrettò a smentire la sua dichiarazione: «Non è vero! Insomma, tu sei gentile, premuroso, intelligente, brillante, altruista…».
            «Ma non ne sono innamorato, non come credevo. L’ho capito guardandoli, soprattutto stasera. Io non la conosco bene quanto lui… senza contare che il suo cuore è già occupato. Sarebbe oltremodo stupido e crudele ostacolare il loro sentimento con la mia intrusione, per assecondare un capriccio personale, qualcosa che non potrà mai essere ricambiato».
            Hinata gli strinse un braccio, con leggerezza, come a voler dire “Ti capisco, ma è ingiusto, perché tu meriti la serenità quanto loro”. Trovava che Itachi fosse la persona più saggia e di buon cuore mai incontrata: era riuscito a far andare di pari passo ragione e sensibilità, arrivando persino ad accettare l’idea di vedere insieme quei due giovani, nel giorno della sua laurea. Chi altri li avrebbe mai invitati?
            Le pallide dita sciolsero la stretta dalla sua giacca. «Hai voluto comunque condividere la tua gioia con loro, oggi», comprese lei, con ammirazione.
            «È pur sempre un modo per averla al mio fianco, no?», le strizzò l’occhio, allentando con delicatezza la gentile presa sulle sue braccia e lasciandola andare, alla fine della canzone.
 
***
 
Il suo sguardo vellutato, che dava sempre l’impressione di essere a metà tra la più pia tristezza e la beatitudine suprema, faceva la spola tra il calice di punch analcolico – fra le mani – e la pista, ma mai trovava il coraggio per raggiungere e fermarsi sull’unica figura cui, in quella semi-oscurità rischiarata da sprazzi di luce colorata, stava dando volontariamente le spalle. Ancora una volta, si sentiva profondamente crudele, ingrata nei confronti di Sasuke, e prometteva a se stessa che, dopo una breve conta di cinque secondi, si sarebbe girata e gli avrebbe perlomeno sorriso, ma finiva sempre con l’arrivare a dieci, mordendosi le labbra e reprimendo delle lacrime che sapevano di rabbia e pentimento.
            Ne era innamorata? Sì, senza dubbio, e in maniera più profonda di quanto avesse creduto con Naruto. I continui ripensamenti, il dolore, il bruciore agli occhi e la voglia di fuggire – fra le sue braccia o con le proprie gambe – erano la prova tangibile che quello che avvertiva era affetto sincero. Non trovava il coraggio di definire il vortice di sensazioni con quella parola che il suo cuore urlava, “amore”, perché lei, tale sentimento, non l’aveva mai destinato ad alcuno all’infuori della sua famiglia. Eppure, capì che il muscolo cardiaco non mentiva e che faceva esattamente ciò che voleva, mandando al diavolo la ragione.
            Lei non era Itachi, purtroppo; non era in grado di trovare un compromesso tra istinto e intelletto, ma finiva irrimediabilmente schiacciata dalla volontà della sua anima.
            I battiti non ingannavano, né potevano essere falsificati. Non appena sentì quei passi avvicinarsi, il suono della musica cessò di attraversare i suoi timpani, obbligandola a trattenere il respiro. C’erano solo il leggero scalpiccio dei suoi piedi e l’incessante pulsare del sangue nelle orecchie.
            «Hinata», sussurrò con un tono quasi impaziente.
            La giovane chiuse gli occhi, sorridendo lievemente. Gli era grata per averle evitato l’ennesima guerra verso la propria irrisolutezza, per averle risparmiato una nuova sconfitta e una notte di tormenti. Quando risollevò le palpebre, se lo ritrovò finalmente davanti.
            La guardava con apprensione, ma il senso di sollievo traboccava pure dai suoi occhi, poteva giurarlo; ebbe la certezza che gli era mancata quanto lui a lei.
            Era splendido, seppur avvolto da una tensione che gli faceva nascere una ruga fra le sopracciglia. Lo ammirava estasiata, senza troppa difficoltà, ma incapace di articolare un solo suono o muovere un muscolo facciale. Le gambe non volevano saperne di rimetterla in piedi, né le braccia di sollevarsi verso di lui e permettere alle mani di toccarlo, dopo tanto tempo.
 
«Hinata!», la chiamò una voce squillante, da dietro le spalle di Sasuke.
            La capigliatura bionda di Naruto si distingueva nettamente, nella fosca luce del locale, così come la cravatta arancione che si era malamente annodato al collo, diverse ore prima. Era l’immagine della spensieratezza, della gioia di vivere, di tutto ciò che lei aveva sempre desiderato, ma che ora aveva scovato inaspettatamente in qualcun altro. Non aveva più bisogno del sole, adesso che aveva imparato ad amare un’oscurità confortante e sicura.
            Vederli così vicini le faceva male, ma, in qualche modo, la aiutava anche a far maggior chiarezza e ad estinguere gli ultimi, fugaci dubbi sui propri sentimenti. Erano diversissimi, sia fisicamente, sia caratterialmente: uno sobrio e spesso taciturno, l’altro esuberante e fin troppo prolisso; il primo dalla carnagione chiara quanto la sua e i capelli corvini, il secondo dal colorito più abbronzato e la chioma color del grano. Il passato e il futuro, di fronte ai suoi occhi.
             «Che vuoi, Naruto?», bofonchiò l’Uchiha, regalandogli una gelida occhiata di sottecchi.
            «Beh, mi chiedevo se a Hinata andasse un giro in pista con me. Ho provato a domandare a diverse ragazze, ma non tutte sono state…».
            «Certo», lo interruppe lei, senza alcun tentennamento. «Certo che mi va», gli sorrise, scattando in piedi. “Non sai mentire”, l’ammonì una voce nella sua testa, che decise d’ignorare.
            Non aveva più dilemmi, quindi perché non concedere un ballo all’Uzumaki?
            «Hinata…», mormorò incredulo Sasuke, osservandola allontanarsi, trascinata dall’amico.
            A malincuore, la Hyuga evitò scrupolosamente d’incrociare il suo sguardo, ormai sicura che sarebbe stata, però, l’ultima volta.
 
***
 
A differenza di Itachi, Naruto non sembrava aver minimamente cognizione dei più elementari requisiti del ballo: non conosceva cosa fosse il ritmo, probabilmente e, di certo, nemmeno la grazia. Si muoveva come meglio credeva, su e giù per il largo spazio destinato ai danzatori, lasciando che i suoi piedi andassero dove volessero, alla velocità che più loro piacesse, e travolgendo qualche povera coppia che incappava sul suo cammino.
            Se, fino a qualche tempo prima, quell’atteggiamento spontaneo e vivace l’aveva fatta sorridere, ora, invece, Hinata era incapace di partecipare all’entusiasmo del biondo. Le sue labbra erano curvate verso l’alto, certo, ma i suoi occhi erano puntati sulla lontana sagoma di Sasuke.
            Ancora una volta, la stava osservando con aria cupa e occhi infuocati. Le si strinse il cuore quando lui bevve un bicchiere di Long Island e uscì dal locale.
            Aveva sbagliato tutto, desiderava rimediare, ma riusciva solo a chiedersi cosa ci facesse lì, quella sera. Perché Itachi l’aveva invitata? Perché suo padre aveva accordato a Neji il permesso di accompagnarla? Perché, poi, le sue mani erano appoggiate alle spalle di Naruto?
            Danzare con lui non le provocava emozioni: si lasciava guidare come un tronco, un peso morto, senza tentare di condurre il ballo. Era inerte, rigida e totalmente incapace di muoversi, proprio come durante l’esercizio della presa dell’angelo, quel giorno, in palestra. Nonostante la vicinanza, erano lontanissimi e, di nuovo, ebbe la conferma di non essere innamorata dell’Uzumaki.
            «Grazie per avermi scelto», le sorrise, spingendosi al centro della sala.
            «Come?!», sgranò gli occhi lei, incredula. Che avesse travisato quella cortesia?
            «Sì, insomma… hai declinato l’invito di Sasuke, no? Beh, d’altronde non sa ballare bene quanto me! Sai, mi sto allenando tanto in vista della festa di fine anno: non voglio che Sakura si penta di avermi accettato come suo cavaliere», ridacchiò lui, obbligandola a roteare su se stessa, onde sottolineare – piuttosto malamente, in verità – il concetto.
            La giovane sorrise, anzi, quasi scoppiò a ridere, rincuorata. Che sciocca ad agitarsi tanto, senza motivo: per Naruto, grazie al cielo, non esisteva altro che l’Haruno. Ne era innamorato da tempo, in fondo, e lei era stata preda di una mera illusione che – comprese – l’aveva salvata, preservando il suo amore per qualcuno che lo meritasse.
            «Non ti ho scelto», sospirò, osservando la sua cravatta arancione. «Sei solo stato l’alternativa migliore», ammise senza imbarazzo, per la prima volta, davanti a lui.
            Era così, era evidente. Una volta avrebbe fatto i salti mortali pur di stare al suo fianco, mentre ora, nonostante la scena che aveva sempre sognato si fosse davvero realizzata, avrebbe voluto essere altrove. Fuori, ad esempio, accanto a Sasuke. Anche senza musica, senza un ballo, senza un contatto, in pieno silenzio, avrebbe voluto essere con lui. L’Uchiha era la sua scelta, senza alternative.
            Diede un rapido sguardo alle altre persone che occupavano il salone, cogliendo i loro sorrisi, le manifestazioni di serenità e gioia; anche il festeggiato era riuscito quasi a lasciarsi andare, danzando con una splendida ragazza dalla chioma corvina quanto la sua, abbandonando la consueta e impeccabile compostezza. Vederlo così sollevato, naturale, profondamente lieto – come sempre sarebbe dovuto essere – la spinse a partecipare al comune sentimento di allegria e, inaspettatamente, a liberare il proprio cuore da un peso che da troppo lo comprimeva.
            «Sai, Naruto…», cominciò, riportando gli occhi sul volto del suo cavaliere. «C’è una cosa che non ti ho mai detto». Quella semplice frase le era costata una certa fatica, ma era ancora niente rispetto a quello che sentiva di dover esporre. «Sono stata a lungo… innamorata di te». La voce non aveva tremato, né avvertiva quel forte calore sul viso che, invece, avrebbe provato se a guardarla fossero state due brillanti ossidiane scure, anziché degli occhi cerulei.
            «Hi-Hina…», mormorò lui, arrestando di colpo la danza.
            Non poteva permettersi di lasciare tutto così, in sospeso; aveva bisogno di confessare ogni cosa, liberare la mente e il cuore, chiudere quella porta lasciata spalancata troppo a lungo, in attesa di vedere l’Uzumaki farvi capolino, e tentare di riaprirla a Sasuke – sempre se lui, a questo punto, avesse desiderato 
ancora avere a che fare con lei.
            «Almeno, questo credevo. Proiettavo su di te tutta la felicità che pensavo io meritassi; ritenevo che tu saresti stata la persona in grado di assicurarmela, perché sei totalmente diverso da me. Sei un’esplosione di gioia, una ventata di serenità senza fine, l’àncora su cui fare sempre affidamento… poi, però, ho compreso che non potevi essere questo, per me. Ho capito che quello non era amore, che non lo sarebbe mai stato. Era solo il mio punto di vista, cieco e condizionato dalla tua allegria, mai diretta a me. Non provo rancore per il sentimento che Sakura t’ispira, anzi, vi auguro il meglio e… e ti ringrazio profondamente, Naruto».
            Non una lacrima, né un balbettio. Il discorso era perfettamente fluito dall’anima alle labbra, articolandosi in suoni sicuri, in maniera più o meno logica. Era consapevole di non essere riuscita ad esprimere abbastanza efficacemente tutto ciò che desiderava portare alla luce, ma si rese conto che cercare di descrivere ciò che aveva provato per Naruto da quando era solo una bambina ad allora sarebbe stato impossibile anche per il più acuto scrittore o magniloquente oratore, senza contare che lei non era propriamente una ragazza di tante parole o a proprio agio nella comunicazione verbale. Aveva fatto del suo meglio e non era caduta nelle trappole dell’emotività, riuscendo ad andare alla meta.
 
Naruto la fissava con un volto improvvisamente stralunato, immobile, in mezzo alla pista, mentre tutti danzavano. Il mondo andava avanti, le persone ridevano, la musica rimbombava, ma il tempo si era cristallizzato. Apparentemente, sembrava non capire, con quella sua espressione assente ma allegra, e, invece, tutto gli era chiaro, da molto prima di Sasuke, probabilmente.
            Non era sconvolto dalla verità appena rivelatagli perché, per quanto ottuso, era giunto a tale conclusione da diverso tempo, soprattutto nelle ultime settimane, ma non era mai stato in grado di prendere la Hyuga da parte e cercare di ascoltarla, cavarle di bocca una timida confessione, scusarsi sinceramente con lei per non ricambiare il medesimo sentimento, abbracciarla e provare a instaurare con lei una sana, tranquilla amicizia. Aveva sempre provato simpatia, per lei, e intuendo ciò che ella avvertiva nei suoi confronti, non era mai stato capace di affrontarla, necessariamente ferirla e risanare immediatamente le piaghe con un sorriso luminoso dei suoi.
            Stavolta era ammutolito perché lei, l’impacciatissima Hinata Hyuga, aveva dimostrato di possedere un coraggio senza precedenti ed era riuscita ad affrontare i propri impulsi. Improvvisamente, si sentì svuotato di tutta la spensieratezza che di solito dispensava agli altri e capì che a catalizzarla era stata la ragazza di fronte a lui, senza alcuna richiesta particolare.
            «Mi spiace, Hinata. Non volevo…». Le parole gli morirono in gola, anzi, non erano neppure riuscite a nascergli nella mente, con chiarezza. Che patetico tentativo di dialogo! Consolarla? Ma l’aveva vista?! Era il ritratto della pace.
            «No, Naruto. Non devi dispiacerti di nulla, davvero, perché senza di te non l’avrei mai capito. Senza il tuo legittimo amore verso Sakura e la mia marcata inconsistenza, non mi sarei resa conto di cosa significhi amare, fare affidamento su qualcuno e sentirsi a casa in qualsiasi luogo nel mondo, anche al centro dell’Inferno», lo rassicurò, abbracciandolo d’istinto, senza ormai alcuna paura. «Non rimpiango gli anni passati inutilmente a rincorrerti, seriamente, ma solo le settimane perse nei silenzi, quando avrei potuto costruire la mia felicità assieme a qualcun altro. È solo colpa mia, ma ho deciso di rimediare», asserì emozionata, staccandosi da lui.
            L’Uzumaki sorrise con una smorfia ancora dispiaciuta, ma serena. Comprendeva tutto ed era felice di vederla così risoluta, finalmente. Ricordava ancora la bambina delle elementari colpita a palle di neve dal cugino, la sua improbabile promessa di matrimonio – che all’epoca rifilava a tutte, su esempio di Jiraiya – e le guance rosse della ottenne. Era nato tutto da lì, forse, da un equivoco, dalla sua infantile spregiudicatezza, ma si sentì decisamente sollevato nel constatare quanto lei, negli ultimi tempi, fosse riuscita ad andare avanti e troncare un’illusione.
            Le accarezzò affettuosamente una spalla, per poi pizzicarle una guancia. «Dovresti andare da lui», le sussurrò, strizzandole l’occhio e allontanandosi.
            Certo che doveva andare da lui.
 
La ragazza dai capelli blu come la notte sorrise, premendosi una mano sul cuore e spalancando il portone del locale. Lo stesso colore della sua chioma la inghiottì, là fuori, ma, una volta di più, non provò alcuna paura dell’oscurità.
 
***
           
La vide arrivare, meravigliosamente eterea, seppur vestita di nero. I suoi passi erano lenti, ma decisi, e lo sguardo non era rivolto al terreno, stranamente, bensì su di lui. Forse stava sognando, perché la ragazza che ricordava non ardiva a guardarlo in faccia da tempo, ma sperò che quella fosse la realtà, finalmente.
            Faceva freddo, ottobre era passato da un pezzo con il suo clima più che benevolo, rispetto alla rigidezza novembrina, eppure lei non aveva indossato il cappotto. Stringeva le mani sulle braccia, ma sembrava farlo più per infondersi coraggio che per tentare di scaldarsi.
            Sasuke sorrise, era più forte di lui: intravedere i suoi sforzi di reprimere l’impaccio con dei gesti tanto semplici gli stringeva il cuore e gli faceva ricordare, ancor di più, perché tanto gli piacesse. Se avesse posseduto lui stesso un giubbotto, in quel momento, non avrebbe esitato ad adagiarglielo sulle spalle, probabilmente, riuscendo a dimenticare il malumore di poco prima.
            Tirò avidamente l’ultima boccata di fumo, prima di gettare la sigaretta a terra e calpestarla con la suola della scarpa. Quando rialzò il volto, quello di Hinata era di fronte al suo, candido e luminescente quanto la superficie lunare.
            Dire che era splendida era quasi un insulto alla sua bellezza, e che gli era mancata ancor più riduttivo. Non si spiegava ancora cosa l’avesse trattenuto dal prenderla con la forza, a scuola, e stringerla fra le sue braccia, nel sottoscala, anche senza dire una parola, o baciarla. Aveva solo desiderato poter affondare il naso fra i suoi capelli di seta, percepire la morbidezza del suo corpo contro il proprio petto e permettere ai loro battiti cardiaci di amalgamarsi.
            Non sopportava che tale privilegio fosse toccato a Itachi, quella sera e, soprattutto, a Naruto, colui che era stato un inaspettato rivale. L’Uzumaki aveva potuto stringerla, sfiorare quel vestito che lui le aveva appositamente comprato per la sua festa, osservarla così da vicino, mentre danzava e si abbandonava fra le sue braccia… Sì, l’aveva invidiato, e una rabbia accecante gli era montata dentro, costringendolo a uscire.
            Non capiva perché lei l’avesse evitato tanto a lungo, durante le ultime settimane; anzi, aveva compreso quale potesse essere il motivo della sua ritrosia, ma non si spiegava la ragione per la quale, invece, non avesse rinunciato a danzare con il fratello e Naruto. La giustificazione del trauma subìto quella notte al cantiere non reggeva di fronte al comportamento che lei aveva adottato poco prima.
            Eppure, la ragazza era lì, adesso. Aveva lasciato l’Uzumaki in mezzo alla pista, senza portare a termine il ballo che avevano cominciato assieme, dal momento che la canzone stava finendo di suonare solo in quel preciso momento.
            Hinata era di fronte a lui, con gli occhi lucidi e le labbra serrate, immobile, e l’Uchiha era diviso tra la maledetta voglia di urlarle qualcosa, qualsiasi cosa, e quella di stringerla e rimanere in silenzio ancora a lungo, sperimentando nuovi metodi per colmare l’assenza di parole.
            «Sa-Sasuke». Il suo nome. Sì, aveva sentito bene, l’aveva sussurrato, seppur a fatica.
            Quella debolezza, dopo il barlume d’impeto che l’aveva spinta di fronte a lui, lo costringeva a propendere per la seconda soluzione, facendo dileguare l’ira dal suo petto. Tuttavia, non si mosse, né mutò d’espressione, anzi, calcò ancor di più la maschera imperturbabile che indossava.
             «Mi dispiace», mormorò la ragazza, chinando il volto.
             Cosa si aspettava? Che l’avrebbe accolta a braccia aperte, dopo l’indifferenza che gli aveva riservato a scuola? Non aveva nessun diritto per attendere un trattamento gentile, da parte sua, e la presunzione di poter essere perdonata e, addirittura, consolata era veramente sciocca. Gli aveva scombussolato la vita, ne era consapevole… proprio come lui aveva fatto con la sua, seppur nel modo più positivo possibile, a sua differenza.
              «Scusami, davvero», disse impercettibilmente, indietreggiando di qualche passo e ridandogli le spalle, pronta a tornare nel locale.
              «Smettila di evitarmi, non lo sopporto!», sbottò lui, spazientito.
              I piedi della giovane si bloccarono di colpo. Stava dicendo a lei? Non trovava la forza per accertarsene, seppur desiderasse davvero affondare di nuovo nei suoi occhi.
              «Ho detto di smetterla di evitarmi, Hinata!», ripeté lui, bloccandole un braccio e obbligandola a roteare su se stessa con ancor minor grazia di quella che Naruto aveva impresso nel ballo, poco prima.
              Non le importavano il dolore e il senso di vergogna, perché lei l’avrebbe sempre perdonato. Fintanto che i loro sguardi fossero stati in grado di avvinghiarsi senza bisogno di spiegare verbalmente il caos che dentro di loro tempestava, la Hyuga avrebbe sempre trovato un motivo per amare Sasuke, nonostante il suo caratteraccio e le forme poco ortodosse per richiamare la sua attenzione. Era stato proprio ciò a salvarla, ancor prima dell’ospedale: il modo in cui l’aveva costretta a salire in auto e recarsi a casa sua, per la ricerca sull’età vittoriana; la maniera schietta in cui le aveva parlato, arrivando subito al sodo, al punto cruciale, alla sua infatuazione per Naruto… e sì, l’espressività dei suoi gesti, del suo viso. Lui l’aveva sempre guardata per ciò che era: una creatura umana, esattamente uguale a tutte le altre, nonostante i punti deboli, ma estremamente diversa da ognuna di loro. Sasuke era stato capace di dare una scossa alla sua esistenza, permettendole di riprendere i contatti con suo padre, dopo una convivenza che, negli ultimi cinque anni, si era fatta forzata e silenziosa, e con Neji. L’Uchiha l’aveva salvata, l’aveva riportata alla vita; con un solo bacio, le aveva insegnato quanto incantevole potesse essere perdere il controllo e lasciarsi andare alle emozioni, senza paura delle conseguenze, e aveva ottenuto prova di quanto fosse rassicurante contare sulle persone.
             C’erano mille motivi per cui gli era grata e si sentiva una stupida a non riuscire ad esprimerne nessuno.
            «Ho sbagliato. Non volevo ferirti, Sasuke…».
            «Ferirmi? Tu pensi di avermi ferito?», la interruppe lui, sorpreso da quell’uscita e sul punto di scoppiare a ridere istericamente.
            «Non mi sono comportata correttamente, con te. Sei sempre stato molto gentile, mi hai aiutata…».
            «Se stai per chiedermi di rimanere amici, ti fermo subito, Hinata, perché non siamo mai stati tali, noi», dichiarò stentoreo, lasciandole il braccio. Gli occhi sgranati e lucidi della ragazza lo fissavano con stupore, sul punto di scheggiarsi in un pianto che lui non avrebbe sostenuto, perché ingiusto. «Odio quella cazzata! Ciò che c’è stato e che c’è ancora, fra noi, ha da subito superato i confini dell’amicizia, lo sai!», spiegò, facendo ricorso a tutto il proprio autocontrollo.
             Non poteva smontare quel ragionamento, anche perché lui non aveva mai cercato di guadagnarsi la sua fiducia in quel modo innocente e divertente che, ad esempio, era proprio di Kiba o degli altri compagni di classe. Semplicemente, era stata lei a concedergliela, sentendosi incredibilmente invulnerabile, al suo fianco, nonostante la timidezza.
             «Hai ragione», ammise la diciassettenne, annuendo.
             «Perché lo fai? Non mi degni di uno sguardo, non pronunci il mio nome, non mi parli, mi rifuggi come la peste… ti faccio schifo?», quasi urlò, allargando le braccia in un gesto esasperato.
             «No, non è questo il punto», si affrettò a controbattere, turbata al pensiero di avergli dato quell’impressione.
             «Allora qual è? Dimmelo, per favore, perché sto impazzendo», quasi la implorò.
             Era vero, poteva leggergli in viso la stanca frustrazione cui la sua forzata indifferenza l’aveva condotto. Se solo si fosse accorta prima di quanto lo stesse ferendo – perché era evidente che fosse così, sebbene lui l’avesse spavaldamente negato – Hinata non avrebbe aspettato un solo minuto di più per riprendere i contatti con lui, infischiandosene della richiesta di suo padre e della volontà della ragione.
              «Era solo il mio modo di proteggerti», confessò, finalmente, fra le lacrime.
              «Proteggermi? Pensi che io abbia bisogno della tua protezione, Hyuga?», domandò retoricamente, con un’espressione divertita e sorpresa, sul volto. «Pensi che non sappia badare a me stesso, che tema qualche ritorsione da quel bastardo che ti ha ridotta in quello stato? O che possa lasciarmi fermare da tuo padre, casomai? Non m’importa di nulla, se non di te».
              La ragazza tremò, al suono di quelle parole. Non era ciò che aveva sempre desiderato udire, dalle sue labbra? Allora perché il suo pianto si era ancora più intensificato, da quando lui le aveva preso la testa fra le mani? Le sue lunghe dita chiare, fra le ciocche scure, all’altezza delle tempie, erano per lei più preziose di qualsiasi corona d’alloro.
             «Sono una perdita di tempo», sottolineò umilmente, eclissando le iridi perlacee dietro le folte ciglia nere.
             «Lascia che sia io, a giudicare», commentò lui, spazzandole via le ultime lacrime con un gesto delicato dei pollici.
             «Dovresti allontanarmi, non sono la persona giusta».
             «Lascia che sia io, a giudicare», ripeté lui, sorridendo e accorciando, invece, la distanza fra i loro volti. «Inoltre, non posso, né voglio perderti», aggiunse, costringendola a strizzare gli occhi per l’incredulità. «Perché questo è il mio modo di amarti», concluse, ormai sulle sue labbra.
 
La baciò lentamente, nonostante entrambi avessero desiderato a lungo quel momento.
            Non v’era fretta. Le loro bocche avevano tutto il tempo necessario per riprendere il discorso interrotto in palestra, imparando a riconoscere tattilmente le lievi increspature che le solcavano.
            Nessuno li avrebbe visti. Testimone era soltanto la luna, ma – Sasuke ne era certo – le sue labbra d’argento avrebbero indubbiamente taciuto il segreto che ora lui condivideva con la sua terrestre sorella. 






Il capitolo più lungo che abbia mai scritto per una fiction e in cui ho riversato tutto  ciò che volevo accadesse fra i personaggi principali. C'è un po' di chiarezza sui sentimenti, finalmente :)
Beh, ora sapete perché ci ho messo tanto a stenderlo, ma spero intensamente che vi sia piaciuto, perché tengo tanto a quest'episodio. Sarei davvero lieta di conoscere le vostre impressioni, ragazzi! :)

Siamo alle fasi finali, manca poco. Il prossimo capitolo sarà più stringato, dai XD Ho il cuore in gola per la tensione (e anche per la tristezza, perché scrivere questa storia è stato piacevole, nonostante i tempi quasi biblici ahahah). 
Che dire, amici? Vi auguro una serena Pasqua (uova di cioccolato, gite fuori porta, Pasquetta...), intanto, e assicuro che aggionerò presto anche l'altra long, per chi la stesse seguendo :)
Grazie a tutti per il sostegno! A prestissimo, spero! 
Buon tutto! ;)
Baci 


Ophelia
 
   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Amens Ophelia