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Autore: ToscaSam    14/04/2014    0 recensioni
Dopo la caduta di Lord Voldemort, Draco ha intrapreso un lungo viaggio interiore alla riscoperta di quello che effettivamente voleva essere. Ma i suoi pregiudizi, così profondamente radicati in lui, hanno attanagliato la sua anima per troppo tempo. Solo una mano gentile e capace potrà estirpare le erbacce e dare nuova ai fiori desiderosi di sbocciare.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Daphne Greengrass, Draco Malfoy, Pansy Parkinson | Coppie: Draco/Astoria
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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- Questa storia fa parte della serie 'Non avevo mai conosciuto Draco malfoy, che sarei io'
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Non era stato facile uscire da quella Sala passando inosservati.
Non era stato facile non sentirsi coinvolti in quanto era accaduto .
Non era stato facile riuscire a guardare in faccia i sorrisi dei vincitori.
Ma quello che era stato più difficile, era ammettere a una piccola ma importante parte di sé, che quello che più desiderava era sorridere con loro, ma non poterlo fare; dover attenersi alla maschera che qualcun altro aveva appiccicato alla sua persona da sempre e alla quale senza indugi aveva aderito. Ma come poteva scegliere, quando era bambino?
Gli avevano detto che cosa era giusto, come ci si comportava, cosa dire e cosa fare. È chiaro che un bambino cresce con i principi che i genitori gli infondono.
Ma lui, si sarebbe mai liberato del plumbeo corredo di educazione che gli avevano fornito quei genitori? Non era più sicuro di voler essere loro parente, non era più sicuro di sentirsi veramente a suo agio fra loro.
Mai gli era passato per la testa che quello che faceva era sbagliato; lui agiva per quello che gli pareva il bene.
Eppure in quel momento, dopo tutto quello che aveva passato, sentiva ribollire il desiderio stranissimo di avere un altro volto e di poter sgattaiolare a sorridere e fare festa a Potter; essere uno di quelli che piangevano di gioia perché era tutto finito. Era una sensazione veramente vergognosa … ma le difficoltà per Draco Malfoy erano appena cominciate.
 
« Tesoro, dovresti mangiare quella minestra …» La voce di sua madre suonò flebile ma supplichevole, come se lo stesse pregando di non infliggerle più un dolore fisico.
Draco alzò gli occhi verso di lei; non si era reso conto che aveva fissato il suo piatto per, quanto tempo? Probabilmente una mezz’ora.
Sospirò.
Non gli andava molto di parlare. Probabilmente l’ultima volta ad averlo fatto era stato prima di quella devastante battaglia a Hogwarts.
Ragionava a sbuffi e monosillabi con i genitori e se proprio doveva rispondere lo faceva con frasi brevi e cenni del capo.
Narcissa aveva un volto scarno e incavato. Era sempre stata magra  e pallida, ma adesso quelle guance infossate e quelle ombre pesanti sotto gli occhi la facevano assomigliare molto alla sua defunta sorella. Sembrava che qualcuno avesse messo a Bellatrix una parrucca bionda e fluente.
Lucius, suo marito, dal canto suo aveva mantenuto maniere altezzose, ma era imbarazzante vederlo borbottare scuse per ogni cosa e cercare di essere gentile. Non faceva parte di lui.
Draco si domandò quanto fosse possibile una sorta di redenzione per sé: per suo padre non era concepibile.
Da un po’ aveva questo bruciore nello stomaco, Draco: si sentiva in dovere di cambiare, di strapparsi via da ciò che era stato per rinascere in qualcosa di diverso. Era una sensazione stranamente orripilante.
Le sue certezze erano crollate negli ultimi anni e il momento di massima devastazione era stata quella maledetta battaglia, quando d’improvviso aveva provato il cocente desiderio di essere partecipe della gioia degli altri.
Senza toccare il cucchiaio, lasciando la pietanza intatta, Draco si alzò e si diresse verso camera sua.
Colse il sospiro della madre, come se un ennesima goccia di essenza vitale le fosse stata spremuta con la forza. Draco la ignorò, aveva fin troppi problemi nella sua testa per pensare a quelli degli altri.
La porta della sua camera si aprì e lui diede un’occhiata al posto, come se fosse la prima volta che lo vedeva: era tutto in uno strano disordine, per lui che era sempre stato piuttosto composto e ordinato; quella che doveva essere la scrivania, bella di legno intarsiato,  era ammassata di scatole e pile di oggetti che avevano ritenuto inutili. Erano in partenza. O almeno era la loro costante idea ma poi non trovavano il coraggio o gli appoggi adeguati per farlo. Non avevano una buona reputazione da nessuna parte, tanto valeva rimanere lì, nel loro maestoso maniero di famiglia, che adesso li metteva ancora di più in imbarazzo. Essere così tanto visibili li turbava molto.
Sul letto a baldacchino, disfatto da giorni, c’erano panni buttati a casaccio, piume, provette vuote, pergamene srotolate e quella lettera di Pansy Parkinson che l’aveva molto turbato e aveva del tutto finto di non aver mai ricevuto.
Draco si fece largo fra i vestiti appallottolati sul letto e prese la lettera, rigirandosela fra le mani. La scorse di nuovo, sperando che a una seconda lettura, quelle ferite che gli erano bruciate se ne rimanessero buone al loro posto. Gli bastò scorgere qualche frase con gli occhi per capire che non era una buona idea leggerla.
            “… Non mi importa niente se Lui è morto, perché io credo in te …”
“ … so che tu non mollerai mai e che gliela farai vedere a quel Potter. Crede di aver guadagnato qualche anno di vita?! …”
“… Se avrai bisogno di aiuto nella tua vendetta io ci sarò sempre …”
“ … non mi dimentico di essere una Serpeverde e lo dimostrerò a tutti insieme a te, perché so che ci tieni come niente al mondo …”
No.
Assolutamente una pessima idea.
Scaraventò la lettera sul pavimento e guardò il soffitto del letto a baldacchino.
Forse doveva rispondere a Pansy un evasivo e freddo “Lasciami in pace”; lei non avrebbe lagnato troppo; di solito era abituata a quel tipo di trattamento da lui.
Decise di ignorarla proprio, perché in fondo, a lui, quella ragazzina non piaceva nemmeno poi così tanto. Era petulante e noiosa.
Sempre le solite storie, gli ripeteva. E solo adesso si rese conto che non glie ne fregava nulla di sapere che Hermione Granger aveva preso un voto basso in Pozioni, o che Harry Potter stava con Ginny Weasley, o che aveva cantato “Perché Weasley è il nostro re” e Ron Weasley si era infuriato.  Non me ne importa un fico secco, smettila e lasciami in pace. Ecco cosa gli veniva in mente e che non gli aveva mai detto. Faceva sempre un sacco di discorsi che potevano essere divertenti la prima volta che li si ascoltavano, ma alla decima ripetizione erano insopportabili. Ciance da ragazzina stupida e civetta.
In quel momento decise che Pansy Parkinson non avrebbe mai più attirato la sua attenzione come amica. Probabilmente era solo il primo dei molti cambiamenti che lo avrebbero portato a diventare la persona che davvero voleva essere.
Non un santo come Harry Potter.
Non uno sfigato babbanofilo come quello stupido Weasley.
Solo sé stesso.
  
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