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Autore: Koa__    15/04/2014    2 recensioni
La relazione tra Spock e il capitano Kirk visto in tre fasi cruciali del loro rapporto: amici, fratelli, amanti.
[TOS]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fratelli



Quando Kirk e la sua squadra esplorativa sbarcano sul pianeta Zlato II, si aspettano di trovare ben altro che una simile civiltà. D’altra parte, e nonostante i borbottii del dottor McCoy, il capitano sa perfettamente quanto imprevedibili possano essere certi luoghi della galassia. E ciò che nei database dell’Enterprise viene descritta come una civiltà pre-curvatura in rapido sviluppo, in realtà è un luogo selvaggio e primitivo. Una tribù di matti che vive tra i cespugli, come li ha appena scherzosamente definiti Checov mentre analizza gli alieni con il proprio tricorder scientifico. Nessuno tra i loro nuovi amici (o nemici dipende dall’evoluzione della faccenda) sembra essere pericoloso, ma probabilmente l’abbigliamento da diciannovesimo secolo stona un po’ con gonnellini di paglia, corni nel naso e collane di fiori.


Per qualche secondo nessuna delle due fazioni si azzarda a comunicare, il traduttore universale fa il suo dovere e infatti si riesce benissimo a comprendere quelle poche parole che si scambiano. Più che intenzionati a far conversazione, gli alieni sembrano spaventati. E anche Jim deve ammettere che lui stesso pare restio a fare anche una semplice mossa; d’altra parte sono andati contro la prima direttiva, come minimo riceverà un rimprovero dall’ammiraglio Comack. Già si immagina il suo volto severo comparire sullo schermo e poi quel tono di voce carico di rabbia malcelata, assieme al leggero negare col capo che sta ad indicare anche delusione. Non vuole tutto questo, Jim, è abituato ad obbedire alla Flotta e ormai non è più un problema, ma detesta quando lo rimproverano per cose del genere, è come se sapesse di star prendendo del tempo. Probabilmente sa di non poter cambiare mai, perché se nemmeno Spock è riuscito nell’impresa di fargli entrare in testa il regolamento, di certo non sarà Comack a ficcarglielo nel cervello. Pertanto, per un secondo, mentre studia quella gente primitiva, si domanda chi di loro abbia sbagliato. Se Spock nelle ricerche, Uhura nelle intercettazioni oppure se lui stesso nel dare ordine di sbarcare. Ma magari nessuno ha fatto errori, d’altra parte quando ci si ritrova ad esplorare l’ignoto può succedere di tutto. Quindi rimane fermo, immobile studia i propri avversari ben sapendo che deve decidere rapidamente il da farsi. E ha anche già una mezza idea quando un temerario membro del gruppo, più intraprendente e coraggioso, si fa strada verso di loro brandendo una lunga lancia. Si tratta di un tizio minuto e fisicamente insignificante che fa qualche passo in avanti, studiandoli con fare curioso. Jim non ha idea se possa essere un pericolo o meno, ciò di cui è sicuro è che da quando esplorano lo spazio hanno incontrato di tutto e niente è più in grado di stupirlo. Quell’individuo mingherlino potrebbe benissimo essere il più letale con il quale abbia mai avuto a che fare, per questo sa che non può permettersi di sottovalutarlo.


Ha un paio di idee sul come scappare, ma non ha ancora deciso quale strategia sia più giusto adottare. L’ipotesi più saggia potrebbe essere il teletrasportarsi via da lì, sarebbe rapido e indolore. Anche perché le espressioni sui volti degli alieni stanno mutando e lo fanno rapidamente, è allora che si rende conto che non solo il pericolo periste, ma che l’intera situazione potrebbe diventare difficile da gestire. Tuttavia, Jim non ha paura e non solo perché è un capitano d’astronave e non può permettersi di lasciarsi dominare dai sentimenti, ma soprattutto perché Spock è al suo fianco e sa che, quando sono insieme, niente lo può scalfire. Le loro spalle si sfiorano e lui percepisce tutto il suo calore, la sua presenza sempre e costantemente accanto. Sembra una specie di legame fraterno, qualcosa di profondo che li unisce in una maniera quasi magica. Sa di potersi fidare del suo primo ufficiale e che lo può fare quasi più che di sé stesso. E sa quello che deve fare adesso, nonostante si senta protetto accanto a Spock, si rende conto prendere una decisione è vitale. Sì, teletrasportarsi sulla nave pare essere la soluzione migliore e, se sono fortunati, quella civiltà primitiva arriverà a non credere ai propri occhi.

«Capitano, guardi là!» La voce di Checov spezza il corso dei suoi pensieri e la sua mano gli passa davanti al viso, attirando la sua attenzione e prendendo ad indicare qualcuno dietro le colline, in lontananza.
«Saranno un centinaio» mormora il dottore, allibito, guardandosi poi attorno spaventato mentre alieni prendono a correre giù per le discese.
«Capitano» interviene ora Spock «le suggerisco di teletrasportaci sull’Enterprise. Il numero di zlataniani che ci circonda inizia ad essere elevato e se cinque uomini sono innocui, un centinaio (come dice il dottore) potrebbero essere pericolosi.»

Jim annuisce, sa che ha ragione e infatti si affretta a rovistare nelle tasche dei pantaloni alla ricerca del comunicatore. Chiama il ponte di comandando, ordinando a Sulu di tirarli via da lì il prima possibile. Il suo timoniere però borbotta qualcosa, di un guasto alla matrice e di Scott che sta facendo il possibile. Quindi deve pensare e deve farlo anche in fretta se vuole salvare lui e i suoi uomini che, a quel punto, sono costretti a trovare un riparo. C’è una caverna che ha notato esplorando la zona e gli sembra il luogo adatto nel quale nascondersi. Pertanto ordina alla sua squadra di indietreggiare e di farlo rapidamente. Spock però si offre di restare lì per creare un diversivo. Le menti semplici di quei primitivi saranno facilmente illudibili, basterebbe un niente per allontanarli definitivamente, si giustifica il vulcaniano. Kirk però non vuole, quell’idea gli sembra un inutile azzardo; sa che come iniziativa sarebbe lodevole e che come soluzione sarebbe anche logica, ma per un momento ha paura. Senza l’uomo che considera come suo fratello, a fianco, ha paura che possa accadere qualcosa di brutto. Un capitano non deve temere nulla, se non che succeda qualcosa di brutto al proprio equipaggio o alla propria astronave, ma quando Spock non c’è è come se gli mancasse un parte di sé stesso e sente un vuoto terribile dentro. Quindi tentenna, Jim, tentenna in quella landa brulla e soffocante, circondato da centinaia di alieni, tentenna sapendo di non doverlo fare. Perché Spock è insistente e lui è il capitano, sa di dover agire per il meglio e di non dar retta alle proprie paranoie. Quindi gli dice di sì e con il dottore e Checov fugge verso la caverna mentre un pezzetto di lui rimane accanto al suo primo ufficiale, lì con suo fratello.



 
oOoOo



Passa più di un’ora, ma Spock ancora non si vede. Jim si agita, cammina avanti e indietro poi si mette a sedere ed infine si rialza, manda anche al diavolo McCoy il quale invece non vuole fare altro se non aiutarlo e rassicurarlo. Il fatto che è proprio non ci riesce a stare sereno. Perché il suo primo ufficiale ancora non si vede e sta iniziando ad avere paura, una paura del diavolo.
«Vado a cercarlo» mormora, chiedendo a Bones il tricorder così da poterlo intercettare il prima possibile.
«Ci vado io» gli risponde invece il dottore, offrendosi.
«Mi offro volontario» interviene quindi Checov.
«Negativo. Tu sei l’unico medico» mormora indicando McCoy «e se ti accadesse qualcosa chi ci curerebbe? È meglio se stai al sicuro, Spock lo recupero io: è un ordine, dottore. Checov, lei invece stia di guardia e difenda la caverna; se tra dieci minuti non vede né me, né il primo ufficiale chiamate Sulu e fatevi teletrasportare.» Il russo annuisce, ma il dottore invece borbotta. Sa che McCoy non ci sta e che vorrebbe ribattere, infatti si agita e sbraita frasi che non sente più nemmeno, ma quando questi inizia a lamentarsi seriamente, Jim è già fuori dall’antro e niente potrebbe fermarlo. Il fatto è che ha una brutta sensazione: lì alla bocca dello stomaco, c’è qualcosa che gli dice che il suo fidato ufficiale è nei guai. È più di un presentimento e sa benissimo che è illogico e completamente campato per aria, ma esiste e non lo può ignorare. Non può non ascoltare quella voce che gli grida che colui che considera come un suo fratello, è in mortale pericolo. Si ferma un attimo e dà un’occhiata al tricorder constatando che ci sono dati biologici vulcaniani a dieci gradi ovest, ma quell’aggeggio non sembra riuscire a dirgli dell’altro riguardo il suo stato di salute, forse è perché sta troppo lontano. Pertanto inizia a correre, seguendo quelle tracce passo dopo passo e fermandosi solo quando è convinto d’aver raggiunto il posto giusto. E lì che il bio scanner lo informa è che sul posto eppure, anche guardandosi attorno, non riesce proprio a vederlo: attorno a sé ci sono solo sterpaglie e arbusti. Il pensiero che potrebbe star male inizia ad assalirlo, così come l’ansia di perderlo. Perché lui non può morire, Spock è la sua logica, la sua ragione, il suo buon senso, è il rigore vulcaniano misto ad un percento d’istinto terrestre. È il suo esatto opposto e la ragione per la quale Jim è ancora in vita.
Il loro rapporto è migliorato tanto da che lo ha conosciuto ed è assurdo il fatto che lo consideri molto più che un amico e non gliel’abbia mai nemmeno detto.


«Capitano.» Una voce, quella di Spock, ma più bassa e roca di quanto lo è di solito e che proviene da lì, dietro un grande cespuglio di rovi. Lo raggiunge, si fa largo fra i rami spinosi e finalmente lo vede, se ne sta seduto a terra tenendosi una gamba decisamente malridotta. Dà una rapida occhiata e non può non notare che c’è sangue verde ovunque, a terra, impregnato nei pantaloni neri, sangue verde misto a terra argillosa e sudore. Però è il volto di Spock che lo spaventa, non l’ha mai visto così pallido.
«La ferita non è grave» gli dice.
«Questo lo lasci decidere a McCoy, venga: andiamocene da questo posto.»


Il suo primo ufficiale gli mormora qualcosa, ma Jim nemmeno lo sta a sentire; ciò che gli interessa in quel momento è portarlo dal dottore. Lo aiuta ad alzarsi prendendolo per un fianco. Percepisce il cuore battere contro la propria pancia e quel suono, lento e regolare, è come una manna che scende dal cielo. Almeno sta bene, si dice, anche se non ha idea per quanto tempo ancora. Spock gli si aggrappa addosso, zoppica vistosamente e sono molto lenti nell’incedere tanto che rischiano più volte di franare rovinosamente a terra. Per fortuna non si vedono alieni! Non ha idea di che cosa abbia fatto il suo ufficiale vulcaniano, ma qualunque cosa abbia architettato ha di certo funzionato alla perfezione.


Quando raggiungono la caverna, Spock sta quasi per perdere i sensi. Deve aver sanguinato più di quanto non voglia ammettere. Lo deposita gentilmente a terra e Bones è subito su di lui; non chiede nulla a nessuno, il dottore, impreca e si china al suo fianco mentre si mette ad analizzare. Sanno tutti benissimo che in quelle condizioni non si può fare molto, pertanto, la prima cosa che Jim si ritrova a fare è chiamare l’Enterprise. La solfa però è sempre la stessa. Questa volta però Sulu gli dice che il capo ingegnere ha quasi fatto e che il danno sta per essere riparato. Mentre si parlano, Kirk è quasi tentato di ordinargli di mandar giù una navetta, ma hanno trasgredito a sufficienza la prima direttiva e non possono permettersi di fare altri errori.
«Cos’ha?» domanda il capitano, poco dopo, raggiungendoli a quel giaciglio improvvisato e guardando il suo medico dritto negli occhi. In risposta però, McCoy scuote la testa e sospira. Ah, detesta quando Bones fa così! Che parli, che sedi la sua ansia invece di aumentarla, dannazione.
«Ha una ferita profonda all’arteria femorale, sta prendendo molto sangue e io non posso fare niente più di quanto ho già fatto. Forse necessiterà di una trasfusione, ma non posso esserne sicuro. I vulcaniani hanno una fibra resistente, ma al solito mi domando fino a che punto.»
«Abbiamo sangue vulcaniano a bordo, vero?»
«Sì e parecchio, ma dobbiamo fare in fretta. Sono stato costretto ad attuare metodi arcaici e gli ho messo un laccio emostatico improvvisato, tu spera solo che Scotty ripari il danno in tempo o le condizioni di quella gamba potrebbero anche peggiorare.»


Non gli dice nient’altro, Bones riprende ad armeggiare al fianco del proprio paziente e non solleva mai lo sguardo, nemmeno dopo che Jim s’inchina al capezzale di Spock. Gli prede la mano, in un gesto istintivo e lo fa stringendola tra la sua. Farlo gli dà sicurezza, lo fa sentire più vicino e non ha idea del motivo. Nota Spock inverdire appena, ma ipotizza che forse può essere per via della ferita riportata. Dopo però, il vulcaniano solleva gli occhi su di lui e si ritrovano a fissarsi. C’è sempre stato qualcosa nello sguardo del suo primo ufficiale che lo fa sentire inquieto, come se gli sfuggisse un dettaglio, un particolare. Ma non vuole pensarci ora, tutte le sue attenzioni devono essere per lui e deve ammettere che è insolito il vederlo tanto vulnerabile. L’ansia inizia a prendere i contorni del terrore e la paura di perderlo è quasi indomabile. E Jim non è abituato ad essere tanto codardo, ma è che quando si tratta di Spock tutta la sua mente va in subbuglio. A farlo arrabbiare adesso c’è anche il senso d’impotenza che lo pervade, il non poter far nulla infatti lo rende furioso. Guarda Spock di nuovo, vorrebbe stringere ancora di più la sua mano per poterlo rassicurare e dirgli che andrà tutto bene, per rincuorarlo e far sparire dal suo sguardo quella punta di ansia che intravede. Più di tutto però, Jim vuole rassicurare sé stesso perché non dovrebbe, ma è terrorizzato.
«Non è colpa sua, capitano» mormora, indebolito.
«Certo che lo è» ribatte Kirk, immediatamente e infervorandosi fino al punto da lasciare la presa. «Ho la responsabilità delle vostre vite.»
«Non sia emotivo, la mia ferita non ha leso organi vitali, appena faremo ritorno sull’Enterprise il dottore mi curerà.»
«Il fatto è che siamo bloccati qui e mi sento impotente, lei sa bene quanto odio il non poter agire. Potessi donarle il mio sangue lo farei senza battere ciglio, ma…»
«Sarà sempre e comunque mio fratello, Jim, anche se il suo sangue è rosso» gli dice Spock, e questa volta è lui a voler intrecciare le dita alle sue. Gli stringe la mano e lo fa accennando ad un lieve sorriso. Spock non sorride e non lo fa mai, è illogico, è un emozione e quando mostra emozioni spesso lo fa in modo incontrollato. Ma quella volta lo stiramento di labbra è tenue e appena percettibile, però c’è: Jim lo ha visto. E, anche se non vorrebbe mai ammetterlo, per un momento quasi si ritrova commosso. È verissimo, stava pensando proprio al loro legame fraterno e non capisce come abbia fatto ad interpretare i suoi pensieri. Anzi, come riesca a farlo sempre rimane un vero e proprio mistero. Spock ha intuito ciò che gli è passato per la mente, a che cosa ha pensato. È mai possibile che abbia mostrato così tanto di sé, che abbia lasciato ad intendere tante cose della sua persona, del suo carattere o maniera di pensare e agire? Lui e Spock in fondo non si conoscono da molto tempo, un anno o più, possibile che abbia capito già tutto di lui? Perché di tanto in tanto ha la sensazione che lo conosca da una vita. Quando Bones li prende in giro scherzando sul fatto che sembrano vivere in simbiosi, Jim non si limita a ridere e a zittirlo, ciò che fa è pensarci a fondo e trascorrere la nottata in bianco a riflettere su quelle parole. Come può Spock capirlo fino a quel punto? E come riesce Kirk, un capitano della Flotta come ce ne sono altri, a capire così bene l’animo di un vulcaniano davvero non lo sa. Perché è così e non c’è molto altro da dire. Per quanto sia difficile sapere ciò che passa per la mente di un individuo tanto controllato e rigido, spesso, lui riesce ad intuire molto dei sentimenti del suo primo ufficiale scientifico. Quindi anche adesso, come in molte altre simili occasioni, sa a che cosa sta pensando perché la sola cosa che traspare da quel logico sguardo è il desiderio che il suo capitano torni sull’astronave sano e salvo. E a Jim per un attimo manca il fiato. Gli sorride e vorrebbe anche dirgli dell’altro (rassicurarlo, ad esempio), ma il cicalino del comunicatore prende a suonare e la voce di Sulu lo interrompe. Kirk riprende a respirare nell’esatto momento in cui sente la voce del suo timoniere parlargli con voce allegra.


«Siamo pronti, capitano» dice il giovane Hikaru.


Si fermerà a riflettere sul rapporto che ha con Spock, questa fratellanza che sente di avere come e che lo fa considerare parte della sua famiglia, quasi avessero il medesimo sangue o parenti in comune. E penserà anche a quella simbiosi che hanno, quel loro capirsi con poco meno che un’occhiata sfuggente. Però non è questo il momento. Perché qualunque cosa sia ad unirli, è estremamente complesso e difficile da comprendere, lo stesso Jim spesse volte si ritrova a chiedersi perché sente quelle cose per Spock. Come sia possibile che, tra tutti coloro che ha incontrato in vita sua, la persona con la quale si trova più a suo agio è un vulcaniano incapace d’esprimere sentimenti. Deve pensare a cosa li lega, ma no, non è questo il momento adatto. Ciò che domina i pensieri in quegli attimi mentre recupera il comunicatore, e che sovrasta tutto il resto, ciò che domina il suo animo di capitano, è il desiderio di portare Spock sull’Enterprise, in salvo. Tutto il resto non conta.


«Emergenza medica, Sulu» mormora parlando all’apparecchio «energia.»



Fine
   
 
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