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Autore: Sheep01    16/04/2014    3 recensioni
Si concentrò sulla schiena solida del fratello. L’unica cosa concreta a dargli un senso di stabilità e calore.
Barney era tutto per lui. Fratello, amico, consigliere, padre e madre assieme. Lui che del padre ricordava solo la voce tonante e l’alito che sapeva di alcool e il peso delle sue percosse. Che della madre ricordava solo il profumo dei suoi capelli e i singhiozzi spezzati, umiliati, nella notte. Il fratello era stato il pilastro della sua vita, l’unico esempio da seguire. Protettore e cavaliere dall’armatura scintillante. Ed ora il suo salvatore.
[A Tribute to Clint Barton]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2

[Barney]

“You have a destiny, and now is your time to fulfill it.” (Carnivàle)

 *


Tese l'arco, prese la mira, un solo alito di vento a distrarlo. Le voci erano sbiadite, una dopo l'altra si erano fatte ovattate, l'unico obiettivo quel bersaglio tutt'altro che ravvicinato.

Inspirò a fondo, rilasciò piano il fiato e scoccò la freccia.

Il boato che ne seguì fu l'indizio certo che, anche questa volta, aveva fatto centro.

“L'allievo che supera il maestro!” a dirlo non un occasionale spettatore ma Buck Chisholm, arciere e uomo di spettacolo, nonché attrazione di punta del Carson Carnival of Travelling Wonders. Si avvicinò a Clint con aperto orgoglio, un pacca sulla spalla a decretare la sua approvazione. “Ormai sei pronto”.

Clint avvertì di nuovo quel vago sentore d'ansia stringergli lo stomaco. Non era affatto sicuro che entrare effettivamente a far parte dello staff artistico del circo fosse la sua reale aspirazione.

Certo, usare arco e frecce gli riusciva bene, gli piaceva, l'allenamento lo faceva sentire vivo, ma non era sicuro che fosse proprio il successo ciò che andasse cercando, e non le esibizioni in mezzo a un numero imprecisato di bambinetti urlanti accompagnati da altrettanti genitori oziosi.

La verità era che la sensazione, l'assetto di arco e frecce gli era risultata congeniale. Un prolungamento del suo braccio, un'aspirazione che non pensava di avere. Liberare la mente, prendere la mira, e sganciare la freccia. Precisione. Buona vista. Erano tutto ciò che gli serviva.  Aveva trovato una dimensione in cui si trovava a suo agio, un luogo in cui non doveva rendere conto a nessuno. Se non a se stesso.

Gli piaceva come lo faceva sentire. E non c'erano molte cose che riuscivano nell'impresa.

L'adolescenza è una merda, avrebbe ricordato tempo dopo a chiunque gli avesse chiesto di quel periodo.

Ma arco e frecce le avrebbe sempre ricordate come il suo aggancio alle cose belle della vita.

 

Erano ormai passati tre anni da quando, orfani e soli, Clint e suo fratello Barney erano entrati a far parte del circo.

Le difficoltà iniziali, superate dall'aiuto di quell'improbabile spadaccino ubriacone che li aveva ripuliti, accolti, addestrati.

Il direttore Carson aveva avuto ragione fin dall'inizio: la vita del circo era dura. Soprattutto per due ragazzini apparentemente privi di qualsivoglia abilità in particolare.

Braccianti, schiavetti personali di artisti e operai. Inizialmente non un compito facile, ma non tardò ad arrivare, solo dopo alcune settimane, la simpatia di alcune delle persone  che lavoravano lì. Un po' colpiti dalla loro storia, un po' dalla tenacia con cui affrontavano quella situazione.

Diventarono, in breve tempo, le mascotte della comitiva. La permanenza in quel luogo estraneo fu un po' più facile.

Barney spiccava per il senso del dovere, la precisione, la sua instancabile voglia di rendersi operativo e collaborativo a qualsiasi iniziativa del circo.

Clint, più che altro, si distinse per la sua innata, quanto inaspettata forza di spirito e marcate doti atletiche. Per quanto più volte ripreso per la sua sconsiderata impulsività.

Sapeva di aver sedato e attutito questo suo imprevedibile lato del carattere. La paura delle ripercussioni – che spesso gli avevano provocato punizioni e percosse – in orfanotrofio avevano aiutato a placare la sua indole. Ma il circo pareva averla riaccesa. Forse per la quantità di libero arbitrio presente in un posto dove regole e buone maniere venivano plasmate a seconda delle necessità. Non un luogo di santi, non un luogo di classe. Certo non privo di una sua certa morale. Colori, luci, magie, abiti succinti e acrobazie, pagliacci e animali esotici, allettanti e vibranti a chi si affaccia ai primi stralci di vera vita.

Sul lavoro però non aveva mai dato problemi. Si era sempre rimesso alle decisioni del loro mentore. Duquesne aveva fatto loro da maestro. Aveva insegnato loro un lavoro, li aveva addestrati a basilari tecniche di combattimento (Perché, stronzetti, potrete crescere quanto volete, ma prima o poi vi capiterà di avere di fronte un uomo grosso abbastanza che vorrà farvela pagare per qualcosa... a me capita un sacco spesso, sapete) e dato grandi lezioni di vita. Come per esempio: mai ubriacarsi nei pressi delle vasche per l'acqua degli animali. O mai ubriacarsi… in qualunque occasione. Duquesne poteva essere divertente da brillo, ma a volte, riservava solo espressioni tutt’altro che rassicuranti. Era quello il momento di stargli alla larga.

In ogni caso l’alcool non li aveva mai particolarmente attratti. Non dopo il pessimo esempio che aveva dato loro il defunto padre.

Clint, a volte, ancora se lo sognava di notte. Poteva sentire il peso di quell'alito fetido, le parole  che decretavano il loro fallimento come figli... come se fosse loro la colpa della loro disastrosa situazione familiare.

Per quel che lo riguardava, Clint era più che soddisfatto che la sua famiglia ormai contasse di un unico elemento.

Poi era giunta l'inaspettata svolta.

Solo l'anno successivo, Buck l'arciere, conosciuto con il nome d'arte di Trick Shot aveva mostrato interesse artistico per il giovane Clint. Colpito dalla mira con cui lui e il fratello si divertivano a colpire barattoli in fila sulle staccionate con monete da cinque centesimi. Li aveva osservati per un pomeriggio intero. E poi aveva preso la sua decisione.

Duquesne non si era fatto troppi problemi a sganciare il ragazzo. Almeno era quella l'impressione che ne aveva dato, il giorno in cui Buck era venuto a chiederne il temporaneo affido professionale. Solo le cinque bottiglie di whiskey vuote, nascoste sotto al letto, avevano testimoniato, seppur celata, l'amarezza di quel distacco.

Barney non aveva accolto del tutto positivamente i progressi del fratello.

E Clint, spesso, sentiva su di sé il peso del suo illogico giudizio.

 

Come, nello specifico, quel giorno. Poteva avvertire, alle sue spalle, lo sguardo accusatorio di Barney. Come se sfruttare una delle doti che, finalmente, sembrano venire a galla, fosse un peccato mortale. O peggio lo fosse il volerlo escludere del tutto da quel trionfo.

Se mai si fosse preso la briga di domandargli che cosa ne pensasse di tutta quella faccenda, forse avrebbero potuto avere un confronto onesto, ma Barney non sembrava interessato e Clint non aveva voglia di intavolare conversazioni sgradevoli.

Come erano cambiate le cose.

Clint però non era il tipo da portare rancore, abbandonato arco e frecce, si lasciò acclamare dai complimenti della gente che aveva assistito al suo allenamento e aveva raggiunto Barney alle prese con un grosso sacco di mangime per animali.

“Ehi, ti serve una mano?” lo affiancò, senza ombra di fastidio, facendo per prendere il sacco dalla parte opposta. Barney si oppose con un movimento brusco.

“E mettere a repentaglio la salute di un astro nascente del circo? Non sia mai.”

Clint gli scoccò un'occhiata in tralice. Non era pronto ad un’uscita così diretta. Non ancora. Ma forse, era meglio levarsi immediatamente il dente prima che marcisse.

“Credevo di essere un arciere, non un astro.” Tentò un approccio ben diverso da quello che gli aveva riservato il fratello, ma non parve attecchire. Barney sbuffò infastidito. “Non sono un bel niente, Barney. Solo un paio di frecce andate a bersaglio e la fai suonare come una colpa.”

Il ragazzo abbandonò il sacco di lato per poterlo fronteggiare.

“Credevo che il nostro obbiettivo fosse quello di fare abbastanza soldi per potercene andare da qui, un giorno. Non mi sembra che questo ci porti nelle condizioni di farlo...”

“Questo cosa?” allargò le braccia e osservò Barney con ostile stupore “Un paio di esibizioni in pubblico? Ma se non ho nemmeno iniziato? E poi, per quanto credi che potrà durare? Ci aiuterà a guadagnare di più, se è questo che ti preoccupa. Lo sanno tutti che gli artisti sono quelli che stanno messi meglio.”

“Ah, ovvio, che stupido, non ci avevo pensato che questa fosse una tecnica per portarci il più velocemente possibile lontano da qui.”

“Non credevo avessi così tanta fretta di andartene. Credevo ci stessi bene quanto me, qui.”

Barney fece una smorfia alla quale Clint non seppe dare grande interpretazione. Se mai avesse avuto bisogno di una conferma dell’affievolirsi della loro storica empatia, quella lo sembrava in modo preoccupante.

“Non ho detto il contrario”,  rispose criptico “a volte però mi dai l'impressione di volerci rimanere per sempre, in questo posto.”

Clint non riuscì a smentirlo, non subito almeno.

“Questa gente ci ha dato cibo e riparo”, fu l'unica cosa sensata che gli venne da ribattere con una scrollata di spalle “Hanno avuto per noi premure speciali... che altro-”

“Questo lo so”, lo troncò Barney “però eravamo d'accordo sull'andarcene da qui. Trovare un lavoro sicuro, un posto che si possa finalmente chiamare casa.”

“Anche questo posto lo puoi chiamare casa...” fu la flebile risposta di Clint.

Ed era vero. Sebbene avessero incontrato diverse difficoltà in una vita tanto precaria, scandita da ritmi tutt’altro che regolari, tutt’altro che incline a regalare qualcosa, c’era una cosa che, al di sopra di tutto il resto, non poteva trascurare: non aveva mai avuto paura.

Non quella paura di quando era bambino, a casa con i suoi genitori. Quella paura di sentire il cigolio della porta, del padre di ritorno da una nottata alcolica al bar del paese. La paura di aver commesso un’insignificante sgarro che gli sarebbe costato una punizione esemplare, che gli avrebbe regalato, percosse, denti rotti, abrasioni e lividi. La paura delle grida atterrite della madre, che prima o poi, ne erano sicuri, ci avrebbe lasciato le penne, stessa al suolo, dolorante, abbattuta come selvaggina.

Non la paura degli stanzoni pieni di bambini, dei tutori violenti, delle lezioni impartite a suon di insulti.

No, non quella paura. Nessuno li aveva mai umiliati come avevano fatto le persone che avrebbero davvero dovuto prendersi cura di loro. Una famiglia che non avevano ereditato, a cui non erano stati affidati. Ma che avevano scelto, tre anni prima, e che li aveva accolti, nel bene e nel male, senza fargli mancare mai niente.

“Una carovana di artisti da quattro soldi che se ne va in giro per gli Stati Uniti, senza nemmeno dare degna sepoltura ai suoi morti? Senza fissa dimora? E' vero, ci hanno dato tutto quello di cui avevamo bisogno e… non voglio sembrare un ingrato, ma non credo che avere aspirazioni diverse, dopo aver sputato sangue in questo posto per guadagnarci rispetto e profitto, sia da considerarsi tradimento.” Barney non sembrava affatto pensarla come lui.

“Non ho detto questo.” No, non aveva mai pensato alla parola tradimento. Non da parte loro.

“E allora vienimi incontro Clint. Vuoi farti una carriera in questo posto? Non credi sarebbe quantomeno di cattivo gusto illudere tutti quanti se un giorno avrai in mente di levare le tende?”

“Non credevo fosse un problema così grave. Faccio qualcosa che mi piace, tutto qui. Se un giorno avrò intenzione di andarmene nessuno me lo potrà impedire, non credi?”

Barney parve improvvisamente animato da qualcosa di violento.

“Cresci, Clint! Ci sono dei patti che vanno mantenuti, sei qui da tre anni, ancora non hai capito le regole di questo posto? Ricordi che è successo a Jack Mani di Pietra quando ha deciso di scappare con quella ragazzina, nel Texas?”

Clint lo ricordava bene. Lo avevano trovato, una mattina, legato a un albero con entrambi i polsi e le caviglie spezzate. Non avrebbe più potuto lavorare nel circo, e la sua promessa sposa  avrebbe dovuto portarselo a casa menomato e inservibile. Ma non erano entrambi giunti alla conclusione che non poteva essere stato solo quello il motivo per cui Jack si fosse meritato quella punizione? Nessuno dei due si era dimenticato i suoi eccessi, le sue mancanze sul lavoro, le sue condizioni prima e dopo ogni spettacolo. Il circo dava… e toglieva. A seconda di quello che tu eri disposto a fare per l’intera comunità. A sacrificare. Una semplice regola. L’unica vera regola.

Lui non avrebbe fatto la fine di Jack. Avrebbe svolto bene il suo lavoro. E quando si sarebbe stufato, avrebbe preso le redini della sua vita e dato le dimissioni. Pago dell’ottimo lavoro svolto. O almeno...

“So quello che sto facendo, Barney.”

“Sei davvero un ingenuo, Clint.” la voce sprezzante del fratello fu la goccia finale. Credeva di sapere sempre tutto? Erano passati i tempi in cui si faceva abbindolare. Se avvertì un vago sentore di colpa, per aver partorito il pensiero, fu scacciato altrettanto velocemente dall’irritazione.

“E tu sei invidioso!” per un attimo non fu certo di aver pronunciato per davvero quella frase, ma appena lo realizzò, non riuscì più a frenare quelle parole bloccate nella testa, nella gola, da troppo tempo “Abbi almeno la decenza di ammetterlo.”

“Cos-” Barney esplose in una risata che però risultò nervosa e forzata “Invidioso di cosa? Di te? Tiri solo frecce, ragazzino. Non fai niente di così straordinario!”

“A te però non riesce altrettanto bene, ah? Credi che non mi sia accorto di tutte le volte che prendi in prestito il mio arco per allenarti? Tu credi che io non ce li abbia gli occhi, che sia ancora quel ragazzino che ti seguiva in tutto e per tutto, ma sono cresciuto anche io Barney e sono capace di fare qualcosa in cui tu non eccelli! E per una volta che mi si prende sul serio a te non va giù.”

“Questa è una stronzata!” di nuovo quella risata, che per un istante ricordò a Clint quella roca e crudele del padre.

“Ti ho sempre reputato un esempio da seguire e a te è sempre piaciuto tanto istruirmi a dovere. Ma adesso che sembro sfuggire al tuo controllo, a te non va bene, mh?”

“Di che cazzo stai parlando? Ma non ti ascolti? Un minimo di popolarità e già ti sei montato la testa.”

“No, sei tu che non capisci...” e Clint improvvisamente non ebbe nemmeno voglia di spiegargli cosa ci fosse di sbagliato in quella discussione.

Erano passati i tempi in cui Barney era il suo lume di riferimento. Poteva prendere le sue decisioni, scegliere cosa farne della sua vita, senza dover rendere conto a un fratello che, da mesi, non aveva per lui nemmeno una parola di incoraggiamento.

Barney era cambiato o forse era cambiato lui. Una cosa era certa: non esisteva più quella condizione di totale dipendenza. Se Clint ancora non riusciva a considerarlo un progresso come individuo, era solo per il grosso debito che aveva nei suoi confronti. Gli voleva bene, avrebbe fatto di tutto per lui, ne avrebbe seguito i consigli, forse, ma assecondarlo e farsi dare ordini quando aveva deciso di prendere in mano le redini del proprio destino, no, non lo avrebbe accettato, non più.

“Immagino non ti vedrò stasera al mio debutto”, concluse, con una nota amara nella voce.

“Avrai già tutto il pubblico di cui hai bisogno.”

Quella sarebbe stata l'ultima vera discussione con Barney per un sacco di anni.

 

*

 

Il pubblico andò in visibilio all'ennesimo centro.

La mela che Clint aveva colpito, era saltata dalla testa della ragazza, esplodendo, letteralmente in mille pezzi, in una polpa scomposta.

Il fragore della folla lo inondò ubriacante. Guardandosi attorno non riuscì a percepire che immagini confuse di luci e colori, la concentrazione svanita appena concluso lo straordinario numero.

Quello certo, fu uno dei debutti più indimenticabili del Circo del direttore Carson.

Qualcuno cominciò a gridare qualcosa dalla folla festante. Un turbine di parole che, ben presto si concretizzarono all'unanime grido di: Occhio di Falco.

Clint non capiva, non realizzava. Non sapeva ancora che quello sarebbe stato il nome con cui si sarebbe fatto conoscere negli anni a venire, quali che fossero gli avvenimenti a cui avrebbe dovuto partecipare. Circensi, o meno.

Trick Shot lo aspettava dietro le quinte, bottiglie alla mano e violenti abbracci da chi voleva accertarsi che fosse proprio lui quel ragazzino tutto ossa che aveva chiesto asilo solo qualche anno prima.

Incredulo e confuso, Clint fu sicuro di non essere mai stato più felice di così. Il mal di stomaco ancora presente, concreto, ma adesso velato di sfumature tutt'altro che spiacevoli.

Unico neo in quella straordinaria serata: l'invisibile ma consistente mancanza dell'unica persona che avrebbe dovuto davvero brindare al suo successo.

Barney non si era nemmeno presentato. Aveva passato la serata ad assorbire gli echi del tendone, dal suo carrozzone, sdraiato al buio sulla sua branda.

A rimuginare su un confronto che si era concluso amaramente, a pensare a come dare una svolta rapida alla sua esistenza, il più lontano possibile da quel posto.

Forse Clint non aveva del tutto torto. Forse era davvero invidioso. E doveva fare qualcosa, prima che la sua invidia si tramutasse in qualcosa di pericoloso.

 

Clint non aveva potuto resistere all'insistenza di una bevuta. Fu così quella la prima sera che provò la vera ebbrezza dell'alcool. Non era sicuro gli dispiacesse poi così tanto. Non ebbe nemmeno la possibilità di abbracciare il senso di colpa. Si sentiva troppo bene per pensare alle conseguenze negative della cosa. Decise di godersi quell'inaspettato successo, quell'attimo d'incolpevole gloria, di eccitazione per qualcosa che aveva prodotto grazie ai suoi talenti. Si concesse l'azzardo di pensare di far parte finalmente di qualcosa di grande, di essere accettato e ben voluto, di avere, finalmente, tutte le gratificazioni che meritava.

Non inadeguato, non il figlio ingrato, non il fratello debole. Solo Clint. L'Occhio di Falco, capace di fare cose straordinarie.

Non riuscì nemmeno a provare sorpresa quando Olivia, una delle trapeziste dello spettacolo della domenica sera, occhi da gatta e capelli sottili come fili d’argento, gli si avvicinò con la scusa di un brindisi e si trovò ad assaggiare invece il sapore delle sue labbra e la vischiosa consistenza della sua lingua.

Gli era capitato di baciare altre ragazze (ricordava ancora con una certa malinconia la ragazzina con le treccine rosse, delle lunghe giornate estive, nell’Iowa), ma nessuna mai si era avvicinata tanto dalla promessa di qualcosa di più concreto.

Era sicuro che Olivia fosse ben più navigata di lui in quel campo per età anagrafica e note esperienze pregresse.

Assecondò volentieri l'occasione e si fece trascinare, letteralmente, sul suo camper, accompagnato dal tifo entusiasta dei colleghi che ben conoscevano la sua inesperienza.

Si trovò ad studiare parti anatomiche aveva sempre solo potuto intuire dietro quei costumi succinti, durante le esibizioni. Sentì su di sé il peso di quel corpo solido e muscoloso. Quel seno piccolo ma sodo, quelle cosce tornite e un profumo che non seppe precisare.

Era sicuro di dover fare qualcosa, ma un po' per l'alcool, un po' per ingenuità, lasciò che fosse lei a dirigere le operazioni. Si sentiva stanco ed euforico al tempo stesso. Era una sensazione possibile?

Sentiva l'eccitazione crescere senza che potesse fare niente per frenarla e se per un attimo il dubbio che tutta quella frenesia avrebbe potuto produrre un clamoroso fallimento, venne a stuzzicargli la coscienza, fu spazzato via, quando sentì le mani di lei, armeggiare con i suoi pantaloni, insinuare la mano e occuparsi di quel giocattolo a cui, fino a quel momento, solo lui aveva avuto accesso per divertimenti in solitaria.

Si concesse un paio di imbarazzanti singhiozzi, prima che lei non decidesse fosse arrivato il momento di fare sul serio.

Clint non ebbe proprio niente in contrario a riguardo.

Furono una manciata di minuti piuttosto intensi. Per lui.

Appena tutto si fu concluso, lei si limitò a rivolgergli uno sguardo divertito che, non fosse stato per la mente ancora annebbiata da un amplesso frettoloso e quel poco di alcool ancora in corpo, sarebbe bastato a farlo sentire in imbarazzo per le settimane a venire. La sentì aggiungere che ci sarebbe stato tempo per istruirlo a dovere, che aveva del potenziale. Lui si limitò ad annuire, esausto e completamente fuori fase.

Quella notte dormì come non aveva mai fatto in vita sua.

 

Si svegliò che l'alba era appena spuntata. La ragazza dormiva al suo fianco, ancora nuda. L'immagine di quella schiena pallida e invitante avrebbe popolato i suoi sogni anche in età adulta.

Aveva un gran mal di testa e i muscoli impazzivano per il dolore. La tensione che aveva accumulato nei giorni precedenti si era allentata tutta insieme. Recuperò i suoi vestiti e ci poté sentire l'odore dell'alcool, impregnato nelle trame del tessuto. Fece una smorfia, mentre ricordi sfocati della sera precedente, dopo l'esibizione, presero a vorticargli nella mente.

Per quanto fosse ancora acceso per il successo riscosso, arrivò improvviso il ricordo della mancanza della serata. Fosse stato come un tempo, avrebbe passato l'intera notte a raccontare a ripetizione l'evento a Barney. Il confidente di una vita.

Sentì qualcosa che gli si aggrovigliava alla base dello stomaco.

Doveva per forza essere così? Doveva per forza essersi tutto concluso con quella brusca discussione?

La decisione fu presa all'istante e senza discernimento. Aveva bisogno di parlare con Barney, anche solo per avere la conferma che a lui non sarebbe importato nulla di quello che aveva da dire.

Ancora inondato da quella sferzata di positività, ottimismo e buon umore, doveva raccontargli tutto, fare chiarezza mentale, fargli capire che non era colpa sua se i loro desideri per il futuro non riuscivano più a collimare, che gli avrebbe sempre voluto bene, che anche se non riuscivano più a capirsi, come quando erano ragazzini, non per questo dovevano portare insensato rancore.

Ma sì, avrebbe ricevuto l'approvazione che desiderava, Barney avrebbe capito e Clint avrebbe capito lui. Era ancora la sua famiglia, la sua unica famiglia, e con chi altri avrebbe dovuto condividere un momento del genere, se non con l'unica persona che, nonostante tutto, gli era stata sempre vicina? Per proteggerlo. Per assicurargli un futuro.

Percorse silenziosamente la strada che conduceva al carrozzone che li ospitava, sicuro di trovare il fratello ancora addormentato. Sarebbe entrato, senza far rumore, lo avrebbe svegliato e gli avrebbe chiesto di uscire, di veder nascere l'alba, di fare due chiacchiere, da uomo a uomo, perché erano ciò in cui si stavano trasformando, no? Due uomini, maturi abbastanza per discuterne con razionalità.

 

Quando aprì la porta però il letto di Barney era vuoto e la schiena di Duquesne si stagliava come un'ombra sullo sfondo della carrozza, le mani in un borsone stracolmo.

Gracchiava una vecchia canzone, alla radio.

 

If I leave here tomorrow, would you still remember me?*

 

 “Jaques?” la voce si spense in un’eco tutt'altro che rassicurante. La strofa della canzone interrotta.

L'uomo si volse, con un espressione di puro terrore dipinta in viso, gli occhi sgranati, allucinati, da pazzo.

“Che stai facendo?” nessuna risposta, solo con la coda dell'occhio riuscì ad individuare il movimento di alcune banconote che cadevano da quel borsone.

Soldi.

Era pieno di soldi?

“Niente che possa interessarti. Fuori dai c-coglioni, Clint...”

“Di chi sono quei soldi, Jaques?” Clint insisteva, c'era qualcosa di profondamente sbagliato in ciò a cui stava assistendo. L'uomo sembrava non avere nemmeno voglia di starlo ad ascoltare, compromesso, in un modo un cui Clint avrebbe ben presto imparato a conoscere.

Imparare a non sottovalutare mai la paura e la forza della disperazione, sarebbe stata la regola principale del resto della sua esistenza.

“Ho detto di levarti dai coglioni! Non ci senti?” tuonò l'uomo, avanzando di qualche passo nella sua direzione, imperioso, orribile. Trasfigurato.

Il tanfo dell'alcool a scandire ogni sua singola parola. Non era ubriaco, quello no. L'alcool tendeva a stendere Duquesne o a renderlo divertente, questa volta era qualcosa di peggio di una bottiglia di whiskey ad animarlo.

“Sono i soldi dell'incasso di ieri sera, quelli?” aveva riconosciuto la borsa. Come diavolo aveva fatto a forzare la cassaforte? Forse la notte di bagordi aveva coinvolto tutti, direttore compreso?

Quali che fossero stati i suoi mezzi, Clint ebbe subito chiaro quello che stava accadendo e come dovesse impedire che si concludesse.

Duquesne forse aveva intuito le sue intenzioni perché si fece improvvisamente tranquillo. L'aria sopita, da pazzo, però rimaneva nascosta ma ben visibile dietro quegli occhi.

“Possiamo fare a metà, Clint. Tu ed io. Sono molti soldi. Ce n'è abbastanza per tutti e due.”

Clint fece una smorfia, non registrò il brivido che gli era appena scorso lungo la schiena.

“C-che cazzo stai dicendo Jaques... ?”

“Basterebbero per te... e per Barney. Non volevate andarvene da qui un giorno? Potrebbe essere la vostra occasione, no? Un modo per riconciliarvi...” sorrise in modo inquietante “so tutto. So che avete litigato. Conosco le tue motivazioni. Stella nascente o meno, presto verrai messo anche tu da parte... è questo il destino di ogni circense, lo sai, no? Si perdono le qualità, la forza fisica, la memoria. Si viene messi da parte, abbandonati. Rimpiazzati più rapidamente di quanto pensi. I rimpianti non aiutano, lo sai. E allora perché non prendere la palla al balzo? Partire, abbandonare tutto, prima che sia troppo tardi, prima che la decadenza si abbatta su di te, come è successo ad altri cento, prima...” come è successo a te “rifarsi una vita. E' allettante, non è vero? Puoi farlo Clint. Come posso farlo io... basta saper cogliere le occasioni.”

Clint lo guardava come si osservano i folli. Se davvero credeva di averlo intortato con quel discorso da quattro soldi, si sbagliava di grosso.

“Se avessi messo da parte i tuoi guadagni, invece di barattare il tuo lavoro per casse di whiskey, a quest'ora avresti potuto andartene da qui senza dover rubare interi incassi! Sono soldi di gente che ha lavorato, quelli!”

“Oh, non venire a farmi la predica, ragazzino. Sono soldi che mi sono guadagnato! Dopo anni, ho diritto a una degna liquidazione!”

“Ma non sottraendoli in questo modo!” cercò disperatamente di fargli capire che cosa c'era di sbagliato ma non vide nessun guizzo di comprensione, dietro quelle iridi torbide, cattive.

“E allora cosa pensi di fare, Clint, ah? Cosa? Vuoi fermarmi? Vuoi chiamare la vigilanza? Uh, che paura.” il tono di Duquesne era tornato sprezzante, crudele, venato di minacce.

Gli si parò di fronte, con il pesante borsone, con aria di sfida, con quello sguardo che lo invitava ad agire, a fare la prima mossa, ma attenuato dallo scetticismo di chi ha la certezza che non sarebbe successo.

Clint, invece, dopo un unico terribile minuto di incertezza, levò le mani e prese con forza il borsone, che rimase impigliato negli artigli delle mani di Duquesne.

Non poteva permetterlo. Doveva impedirgli di fare una stronzata colossale.

Preso alla sprovvista da quella mossa, la reazione dell'uomo non si fece attendere: abbatté un pugno dritto sul viso del ragazzo che barcollò, più per lo stupore che per la reale potenza del contraccolpo.

Duquesne aveva abbandonato il borsone di lato, pronto allora a un vero e proprio scontro.

Clint gli si avventò addosso con tutta la forza di cui era capace, e per qualche minuto non ci furono che pugni e violente piroette.

Duquesne era un abile combattente, ma aveva insegnato bene ai suoi pupilli. E l'età non lo aiutava, né con i tempi di reazione, né con la forza fisica.

Quando Clint già pregustava l'amaro sapore della vittoria, Duquesne sembrò chiedere una tregua.

“H-hai vinto, C-Clint... lasciami... lasciami prendere fiato...” in ginocchio di fronte a lui, l'aria da penitente, un labbro spaccato e gocce di sudore a velare quel viso ormai decadente, fra quei capelli brizzolati, radi. Gli apparve, per la prima volta, vecchissimo.

Diffidente, Clint non fece altro che abbassare per un misero secondo la guardia, forse, dopotutto, non sarebbe stato necessario denunciarlo. Doveva essere stato un infelice momento di debolezza. Chi non ne aveva mai avuti, dopotutto?

Non si aspettò certo la conclusione che si palesò di lì a poco.

Duquesne aveva estratto dalla cintola un lungo coltello a serramanico. Si levò in piedi, con una rapidità che non gli era appartenuta in quel breve scontro e, con un colpo diretto, rapido, aveva spinto la lama nel ventre di Clint, che non riuscì nemmeno a registrare il dolore.

Solo quando vide il manico di quel coltello, spuntare dal suo stomaco, aggrappato alle sue carni e alla camicia che cominciava ad arrossarsi in un intruglio caldo, vischioso, allora si rese conto che il pizzicore allo stomaco non era solo una sensazione… era appena stato pugnalato.

Gli lanciò uno sguardo incredulo, stranito. Duquesne gli restituiva lo stesso sguardo, come se si fosse trovato solo ad assistere a quella scena, come se non fosse stato davvero lui.

 

'Cause I'm as free as a bird now, and this bird you'll never change, oh...

 

Se per un attimo l’improbabile risveglio di coscienza sembrò rianimare Duquesne, appena Clint fece per estrarre la lama, l’uomo gli si abbatté di nuovo contro. La paura che il ragazzo potesse chiamare i rinforzi, il terrore della realizzazione di quello che aveva appena fatto. Coprire gli strati di coscienza con quell’impeto violento che riusciva ad annullarlo.

Solo quando Clint fu di nuovo al suolo, indebolito e distrutto, andò a recuperare il borsone, in un mostruoso delirio da ubriaco.

 “Non doveva finire così, ragazzo.” Si ripulì le mani, sporche di sangue, sulla giacca sgualcita.

Non si volse nemmeno a guardarlo un'ultima volta, dopo che fu uscito dal caravan che li aveva accolti.

Il canale alla radio, come a decretare la fine di qualcosa, perse del tutto il segnale.

 

“Clint… Clint rispondi! Clint!”

Forse stava solo sognando.

Sensazioni ovattate.

“Clint, cazzo! SVEGLIATI!”

Barney?

“AIUTO! Per favore, aiuto!”

Che sogno del cazzo.

 

___


*La canzone è: Freebird dei Lynyrd Skynyrd.

  
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