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Autore: soel95    16/04/2014    1 recensioni
L'arte è ricchezza, passione, studio, dedizione. A tutto questo François ha dedicato l'intera esistenza, ha consacrato sé stesso; quell'idea, quel concetto vago, eppure, allo stesso tempo, tanto definito, ha mosso la sua mano, spingendolo oltre i limiti della storia. Oltre il tempo e lo spazio.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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Il Direttorio era stato costretto dichiarare la bancarotta dello stato francese; la degradazione nelle strade aveva raggiunto livelli non più controllabili; gli angusti vicoli di Parigi, un tempo caratteristici, per quanto abitati dagli strati più poveri della società, si erano oramai trasformati in luoghi putridi e malsani, delle fogne a cielo aperto, frequentati da ogni sorta di individui. François attraversava sbigottito la città che era stato costretto ad abbandonare l'estate di tre anni prima, troppo provato, troppo disgustato dalla violenza indiscriminata che invadeva le strade, dai continui linciaggi, dallo stridio in Place de la Revolution che non cessava mai, dalla terra pregna del sangue che con il suo odore nauseabondo ammorbava l’intera Parigi.
Era fuggito da tutto questo per ritirarsi in campagna dove aveva acquistato una piccola casetta su una collina e lì aveva trascorso le proprie giornate immergendosi nella propria arte, e nella pace che poteva scorgere dalla finestra del nuovo studio. Ma che ingenuo era stato! Si era illuso che bastasse allontanarsi da Parigi per non udire più, in lontananza, il tumulto della folla, mai sazia di nuove vite, si era illuso che il fuoco della rivoluzione si sarebbe spento con la morte di Robespierre e Saint-Just, si era illuso che la Francia potesse essere finalmente pacificata. Non aveva fatto altro che illudersi per tre lunghissimi, interminabili anni; ora ne pagava le conseguenze: osservava con i propri occhi ciò che la città era diventata, non poteva più sperare di rimanerne indifferente e distaccato, non poteva più voltarsi dall'altra parte e ignorare la realtà. Il suo mondo di sterile bellezza non era altro che un vano miraggio nel quale non poteva più sperare di imprigionarsi, nemmeno se lo avesse voluto: la realtà nella quale era immerso, nella quale viveva, non aveva nulla di perfetto, nulla di divino, nulla di epico che valesse la pena esaltare. Era né più né meno del palcoscenico sul quale ogni giorno si svolgeva la triste rappresentazione del vizio e della limitatezza dell’uomo. Finalmente lo aveva compreso.
Quel giorno le vie erano in movimento, le piazze in subbuglio; la gente si riversava fuori dalle case per accalcarsi nei luoghi dove, solitamente, venivano trasmesse le notizie importanti rendendo ostico il passaggio a chi, come François, aveva in mente una destinazione ben precisa
-Ce l'ha fatta!!!- esplose da lontano una voce richiamando su di sé l'attenzione di tutti i passanti -Evviva il generale Bonaparte!!!- la folla mormorava, bisbigliava concitata
-Evviva la Francia!!!- proruppero altri -Evviva la Francia!!!- i passanti arrestavano il loro cammino, interrompevano ogni azione; la notizia della riuscita di un'impresa, come quella tentata da Napoleone, lasciava tutto il popolo senza parole. I cittadini, a lungo con il fiato sospeso per le sorti della guerra, ora esternavano la propria gioia, la propria soddisfazione, il proprio orgoglio troppo a lungo soffocato.
-Che cosa è accaduto?- chiese incuriosito François ad un manipolo di curiosi che si era radunato di fronte all'ingresso del Journal de Paris, speranzoso di ottenere maggiori dettagli
-Il generale gliel'ha messa nel culo a quei bastardi austriaci...- rispose una voce non meglio identificabile in mezzo al clamore concitato della folla -E' l'ora della nostra rivincita-
-Incredibile...- si ritrovò a sussurrare sinceramente meravigliato da un evento di tale portata; sebbene avesse sempre riposto fiducia nell'operato di Napoleone, sin da quando, giovane tenente, aveva guidato l'esercito per salvaguardare la pace, era stato inizialmente scettico riguardo la possibilità di condurre l'Austria, uno degli imperi più potenti, sulla via dei negoziati. Era felice ora di doversi ricredere; il generale aveva dimostrato il proprio valore ancora una volta riportando il paese in cima al mondo. Era riuscito dove molti, prima di lui, aveva fallito miseramente.
Mosso da una curiosità rinnovata decise di dirigersi verso il palazzo del Direttorio. Era convinto che, visto il successo di Bonaparte, non sarebbe trascorso molto tempo prima che l'annuncio venisse ufficializzato anche nel centro nevralgico della nazione, nel luogo dove veniva presa ogni decisione importante, e le sorti del paese discusse da coloro che avevano a cuore unicamente la sua prosperità ed il benessere dei suoi cittadini. La folla lo trascinava, lo spingeva, lo conducevano e lui non poteva far altro che lasciarsi trasportare dal fiume umano che aveva riempito le strade e che, forte ed energico, sembrava non trovare ostacoli neanche nei muri esterni delle antiche abitazioni popolari né nei limiti che questi naturalmente offrivano. Ogni tentativo di resistenza si perdeva nell'aria, si dissolveva al vento che soffiava tra le persone senza lasciare di sé alcuna traccia, senza lasciare traccia del proprio passaggio; correva via, come se non fosse mai esistita. Correva lontano sino ad abbandonare per sempre i cuori e le menti, sino a cancellare la propria esistenza da questo mondo. I cori entusiasti rimbombavano nella mente, trapassavano i timpani, i clamori, supportati da un vigoroso battere di mani, accompagnavano l'inno intonato a pieni polmoni dalla massa compatta; da lontano, dall'ombra, l'imponente palazzo delle Tuileries si delineava con sempre maggior nitidezza, emergeva dalle nebbie delle costruzioni, dai labirinti delle strade, dai cunicoli oscuri della capitale sino a svettare, una volta giunti alla piazza, in tutta la propria possanza, sino a risplendere delle proprie forme, a vantarsi della propria perfezione. Sino a colpire in pieno viso i parigini smarriti.

Aveva faticato parecchio per convincere le guardie metropolitane, preposte alla sorveglianza degli ingressi dell'edificio, a lasciarlo passare per permettergli di assistere, seppure relegato in un angolo, ai dibattiti che si stavano svolgendo; dalle finestre aperte che davano sul cortile era stato in grado di percepire gli animi riscaldarsi, i toni farsi concitati e l'aria saturarsi di tensione mentre i rappresentanti discutevano sui successi riportati dal generale Bonaparte nel corso dei numerosi conflitti: alcuni sarebbero stati favorevoli ad un ampliamento dei poteri a lui concessi, ad una sua eventuale promozione, altri temevano che un tale accentramento di potere nelle mani di un singolo uomo, in grado, per altro, di mettere in ginocchio la potenza austriaca, rappresentasse una potenziale minaccia per la sopravvivenza delle istituzioni dello stato. Alla fine, tuttavia, era stato in grado di farsi aprire la porta con la scusa di voler rappresentare quanto vi stava avvenendo; molti pittori, infatti, approfittavano di eventi politici, manifestazioni pubbliche, per schizzare in maniera rapida dei semplici appunti grafici che poi avrebbero potuto rielaborare con calma nei loro studi così da trarne un'opera completa. Quando erano stati giustiziati i sovrani, aveva scorto, tra la folla esultante, il suo stesso amico David disegnare su un blocchetto il dramma; non era poi così diverso da quanto aveva intenzione di fare all'interno del Direttorio.

Era stato scortato all'interno, attraverso i lunghi corridoi rischiarati dalle ampie vetrate, percorrendo interminabili piani di marmo su cui rimbombavano, come un eco lontano, i passi concitati delle guardie; era la prima volta che aveva la possibilità di ammirare da vicino la bellezza, lo splendore disarmante, di una delle antiche dimore reali. Si sentiva pervaso da un moto mai prima d'ora provato, da un formicolio all'altezza delle dita che lo portava a sfregarsele in continuazione, un rimbombo nella mente lo incitava a prendere in mano il carboncino che teneva nella borsa, ad abbandonarsi ad una colonna, appoggiandovi la schiena e, rivolgendo lo sguardo oltre le finestre, perdersi vastità del paesaggio parigino rischiarato da una limpida giornata di ottobre.
-Forza! Entrate amico!- lo esortò all'improvviso un soldato quando giunsero d'innanzi ad un'immensa porta, ricca di stucchi dorati -Ma badate bene non fatevi udire da alcuno- continuò -voi non dovreste proprio trovarvi qui-
-Vi ringrazio infinitamente- replicò François con lieta sincerità dopo avergli stretto con vigore la mano
-Ah... questi artisti...- lo sentì borbottare mentre si allontanava fischiettando un motivetto popolare che avrebbe fatto arrossire qualunque giovane rispettabile.
Cautamente accostò la propria mano alla maniglia del salone così da scostarne l'uscio di quanto gli era necessario per entrare.
Ringraziava il cielo per aver deciso di raffigurare i lavori del Direttorio poiché, se quella mattina avesse stabilito di riposarsi dopo giorni interminabili di emozioni intense, non avrebbe mai avuto la possibilità di bearsi di tanta bellezza, di tanta perfezione racchiusa all'interno di una sola stanza. L'ampio salone, dal soffitto elegantemente decorato, era incorniciato da un'alta fila di lucidi seggi in legno dove i rappresentanti si agitavano e dibattevano animatamente, il nome di Napoleone veniva solo sussurrato o invocato a pieni polmoni allo stesso tempo.
Si era seduto in disparte, un angolo nell’ombra lontano da sguardi indiscreti, a disegnare, a tracciare con precisione segni scuri sui numerosi fogli che sempre recava con sé. L’uditorio gli era comunque perfettamente visibile nella sua interezza, i volti contratti, corrucciati o entusiasti, emergevano dalla fitta rete di appunti disordinati, risaltavano sul fondo chiaro delle carte e lo colpivano per la sincerità e la forza delle emozioni che esprimevano. La mano correva incontrollata, mossa da un potere superiore, a mente ideava, rielaborava le immagini e generava bellezza. Una bellezza nuova. Una bellezza imperniata su quegli avvenimenti ai quali mai avrebbe immaginato di assistere, eventi che lo avevano profondamente segnato e cambiato nello spirito.

-E' la prima volta che vi vedo partire da uno studio preparatorio...- Madame Betrand aveva finito da un po' di riordinare lo studio e François ne aveva approfittato per domandarle di fargli compagnia mentre lavorava alla sua ultima creazione. Erano mesi che non riusciva più a sopportare la solitudine; questa giungeva di soppiatto e lo attanagliava all'improvviso, ma lo pervadeva rapidamente facendogli perdere lucidità e controllo di sé, ne incatenava l'animo e con esso la fantasia nelle profondità di oscuri labirinti.
-Ho voluto sperimentare... oggi ho assistito ai lavori dell'assemblea, discutevano i recenti successi di Napoleone. E' stato incredibilmente... illuminante- replicò allegro, sereno come non lo era più stato da tanto. Troppo.
I colori si accostavano con precisione, la luce scolpiva le figure donando profondità e pervadendo gli ambienti di un’atmosfera quasi mistica; il generale si ergeva imponente tra la folla esultante; il popolo acclamava la guida a lungo cercata, il punto di riferimento che li avrebbe risollevati riscattandoli dalla disperazione della storia, l'uomo che con superbia indicava un drappo sgualcito ed un corteo di nobili che a lui si inchinavano. Un corteo che chinava il capo dinnanzi al tricolore.
  
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