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Autore: Vals Fanwriter    16/04/2014    2 recensioni
Thadastian (Thad/Sebastian) | Introspettivo, Sentimentale, Commedia, Triste | One-Shot | Verde
Dal testo: "Solo quando si fermò davanti al cancello aperto, si rese conto veramente di dov’era. C’era stato solo una volta in quella casa e, di certo, non era avvenuto per sua iniziativa. Ricordava perfettamente la sua ultima visita nella tana del lupo e, di conseguenza, non si stupì affatto nel vedere il bellissimo giardino che circondava la villetta, illuminato a giorno da una serie di faretti dalla luce bianca e accecante.
Si disse più volte che era una pessima idea, quella di presentarsi lì senza un invito o una motivazione decente – il motore ancora rombava, intanto, e la macchina era a due centimetri dal superare l’ingresso – ma oramai era lì e, davvero, non aveva idea di dove altro andare. Sapeva soltanto di aver bisogno di un po’ di quel carattere adorabilmente antipatico e di quello sguardo profondo e sicuro di sé. Era quello che lo aveva portato lì, inconsapevolmente."
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Lighthouse.
Pairing: Thadastian.
Parole: 7503 (una roba infinita insomma) secondo Word.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Commedia, Triste.
Avvertimenti: One-shot.
Rating: Verde.
Note: Ho un sacco di cose da dire riguardo questa storia, ma ve le scriverò alla fine, in modo tale da non intrattenervi troppo adesso. La storia non è propriamente breve e se già vi faccio perdere tempo qui non ne usciamo più. Un enorme grazie a chi avrà il coraggio di arrivare fino alla fine e a chi lo ha già fatto, prima che venisse postata. ♥

 
~

Lighthouse
 



 
 
La pioggia batteva incessantemente sul parabrezza della sua auto, ma Thad non se ne curava affatto. Era talmente preso dai pensieri che gli vorticavano in testa che nemmeno si rendeva conto della velocità insufficiente con cui i tergicristalli scorrevano sul vetro dinanzi ai suoi occhi. Del resto, anche quelli erano appannati; continuavano a farsi lucidi e liquidi senza che Thad riuscisse a controllarlo, senza che Thad riuscisse a proiettare la sua mente da un’altra parte.

Non aveva la minima idea di dove si stesse dirigendo, per altro; sapeva soltanto che voleva scappare. Allontanarsi il più possibile dalle persone che lo facevano soffrire e stare male e a cui sembrava non importare nulla di lui. Voleva avere la libertà di respirare solo per un momento. Per questo stava continuando a guidare e, intanto, cercava di scacciare dalla sua mente tutte quelle parole che gli rimbombavano in testa da ore ormai.

Iniziava a sentirsi stanco, però da qualche parte dentro di sé, ecco che appariva la via di fuga più ovvia. Non che ci stesse propriamente pensando; era come una sensazione, un suggerimento insito dentro se stesso, che lo induceva a svoltare a sinistra, in quella traversa che portava un po’ fuori città, e a proseguire ancora; a vedersi scorrere davanti agli occhi alberi di pino e boscaglia, fino ad un’unica grande abitazione appena un po’ isolata dal centro abitato.

Solo quando si fermò davanti al cancello aperto, si rese conto veramente di dov’era. C’era stato solo una volta in quella casa e, di certo, non era avvenuto per sua iniziativa. Ricordava perfettamente la sua ultima visita nella tana del lupo e, di conseguenza, non si stupì affatto nel vedere il bellissimo giardino che circondava la villetta, illuminato a giorno da una serie di faretti dalla luce bianca e accecante.

Si disse più volte che era una pessima idea, quella di presentarsi lì senza un invito o una motivazione decente – il motore ancora rombava, intanto, e la macchina era a due centimetri dal superare l’ingresso – ma oramai era lì e, davvero, non aveva idea di dove altro andare. Sapeva soltanto di aver bisogno di un po’ di quel carattere adorabilmente antipatico e di quello sguardo profondo e sicuro di sé. Era quello che lo aveva portato lì, inconsapevolmente.

Tirò su col naso e si asciugò gli occhi col dorso di una mano, e lasciò che un piccolo sorriso tremolante gli comparisse in viso. Forse era un po’ contorto pensarla in quel modo, ma Sebastian era davvero il suo personale toccasana, nonostante non fossero propriamente in buoni rapporti loro due. Ma vederlo e discutere con lui andava già bene, lo distraeva abbastanza e, oltretutto, Thad sapeva che Sebastian era l’unica persona, tra i suoi conoscenti, che non avrebbe fatto domande sul motivo della sua visita. Non aveva la minima voglia di ascoltare consigli e frasi di circostanza. Quello di cui aveva bisogno era una sorta di sacco da boxe e il suo si trovava proprio in quella casa.

Parcheggiò non molto lontano dalla villetta; il temporale si era fatto più insistente e la pioggia era diventata talmente fitta da rendergli quasi impossibile la vista, così si mise a sperare che lo spazio dove aveva posteggiato l’auto lo avvantaggiasse un po’ e lo facesse arrivare a destinazione, se non asciutto, in condizioni non troppo disastrose per lo meno.

Furono speranze vane, però. Thad sgusciò fuori dall’auto, tirandosi il cappuccio della felpa sulla testa e chiudendo lo sportello alla meglio, e poi corse, ma una volta raggiunto il portico si rese conto di quanto fosse stato sciocco anche solo pensare all’eventualità di non sembrare un completo idiota agli occhi di Sebastian. Era completamente fradicio.

«Cazzo…»

Osservò la pozzanghera d’acqua che si stava allargando lentamente sotto le suole delle sue scarpe e sospirò frustrato, emettendo un miagolio sommesso al contempo. I suoi nervi non avrebbero retto ancora a lungo, sarebbe scoppiato a piangere per la rabbia da un momento all’altro, perciò si decise ad avanzare e a bussare alla porta d’ingresso di Villa Smythe, desiderando ardentemente udire le parole di scherno che gli avrebbe sicuramente rivolto il suo compagno di stanza. Stava già meglio solo pensandoci, figurarsi a sentirle per davvero.

Aspettò che qualcuno lo andasse ad aprire. Non si era preoccupato per nulla del fatto che quel qualcuno potesse non essere propriamente Sebastian. Si rese conto solo in quel momento di quella possibilità. Sgranò leggermente gli occhi e fu tentato dal tornare indietro, alla sua auto, onde evitare figuracce, ma non ne ebbe il tempo. La porta si spalancò ma, fortunatamente, dietro di essa apparve la persona che cercava e Thad si lasciò scappare un sospiro di sollievo.

Tutto il malessere iniziava già a sparire.

«Harwood, ma che-?» Sebastian fece vagare il suo sguardo sui vestiti inzuppati di Thad, prima di riportarlo sui suoi occhi, improvvisamente luminosi e riconoscenti, nell’averlo di fronte. «Che diavolo hai combinato?»

Aveva una punta di sorpresa nello sguardo e nella voce, adesso, ma il suo viso sembrava annoiato e infastidito come suo solito, e questo a Thad andava più che bene. Era la sua quotidianità.

«Ho…» iniziò Thad, ma non aveva idea di come proseguire. Abbassò di nuovo lo sguardo sui suoi vestiti e allargò le braccia, come per rendere ancora più evidenti le sue condizioni. Sbuffò, senza sapere come spiegarsi, poi lo guardò nuovamente, di sottecchi, con fare sconsolato. «Non è che mi faresti entrare?»

Sebastian parve colpito – Thad si convinse che fosse per la richiesta che gli aveva fatto, ma probabilmente era un’altra la ragione, magari quello sguardo. Si schiarì la voce e sollevò il mento, tornando freddo e distaccato.

«Entra, impiastro.»

Si scostò dall’uscio, tenendogli la porta aperta, ma non smise di osservarlo con discreta circospezione. Si stava di sicuro chiedendo cosa ci facesse lì, sulla veranda di casa sua, mentre imperversava un temporale terrificante. Lo sapeva che a Thad non piacevano i temporali, conosceva tutte le sue paure e, in genere, le usava contro di lui, per combatterlo e vincerlo, ma adesso, forse, aveva scorto qualcos’altro, aveva intuito che qualcosa non andava, e Sebastian quando lottava con lui lo faceva lealmente. Non sfruttava mai i vantaggi di un eventuale malumore, sapeva allontanarsi quando era il momento giusto.

Thad gli fu grato di quell’accortezza e glielo comunicò con lo sguardo. Non erano soliti dirsi frasi del genere a voce alta, le lasciavano trapelare da un gesto o da un’occhiata veloce. Nulla di più.

Lo superò, andando incontro alla luce calda e accogliente che si espandeva nell’atrio della villetta, e mentre avanzava, continuò a sentirsi addosso gli occhi di Sebastian. Stavano analizzando il modo in cui i vestiti gli si incollavano addosso, lo capiva dai brividi che gli scivolavano lentamente lungo la schiena, come fossero dei sensori adibiti esclusivamente a quello scopo.

Cercò di non badarci e di curarsi soltanto della sensazione di familiarità e benessere che gli procurava quel luogo – era infinitamente elegante, forse troppo per i suoi gusti, ma sapeva di casa. Si sfilò il cappuccio della felpa e sobbalzò impercettibilmente quando udì lo scatto della porta che si chiudeva. Si voltò verso Sebastian. Gli si stava avvicinando.

«Puoi anche andare avanti. La strada la sai» lo incitò quello, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni con disinvoltura.

Era raro vedere Sebastian con una tuta indosso. Perfino stando sempre in camera con lui, Thad non aveva molte occasioni di vederlo scomposto e in disordine – anche quando indossava il pigiama aveva la capacità di risultare impeccabile – quindi rimase per un attimo incantato a registrare quella nuova immagine, da qualche parte nel suo cervello. Era bello, ma non come al solito. Era semplicemente bello.

«Ci svegliamo, Harwood? Il salotto è di là.»

Sebastian fece un cenno vago con la testa e Thad parve ricominciare a prestargli completamente attenzione. Avvertì le guance farsi più calde a causa di quella gaffe – e dell’imbarazzo – e si affrettò a rispondere.

«Lo so, mi ricordo.»

«Allora muoviti, mi stai allagando il parquet» replicò Sebastian e lo precedette lungo il corridoio a grandi passi.

Quello sguardo insistente lo aveva irritato forse. Thad non poteva saperlo dato che quello non era molto differente dal trattamento che Sebastian gli riservava di solito. Nelle sue parole non c’era quasi mai gentilezza e, se c’era, Sebastian sapeva nasconderla bene. Quindi era abbastanza abituato alle sue frasi scortesi e dirette e sapeva come rispondere ad ognuna di esse.

Ma stavolta non lo fece. Lo seguì docile in salotto – quella era pur sempre casa sua e Thad era soltanto un ospite di passaggio – e si fermò soltanto quando fu a pochi passi dal tappeto che giaceva al centro della stanza.

Sebastian fece altrettanto e si prese un attimo per studiare quanto gravi fossero le sue condizioni e decidere se fosse il caso invitarlo a sedersi sul suo costoso divano di pelle. Non passò neanche un minuto, però, che storse la bocca e, indugiando sulla sua felpa – e un po’ anche sul tremore delle sue spalle – probabilmente pensò che se l’avesse strizzata ne avrebbe ricavato almeno due litri d’acqua.

«Prima ti asciughi e poi mi dici che diavolo ci fai qui» tagliò corto, prima di avviarsi verso la rampa di scale che portava al piano superiore.

Thad annuì e si strinse le braccia al petto e attorno alla vita, rendendosi conto solo in quel momento di quanto sentisse freddo e di come fosse stato immediato, per Sebastian, accorgersene. In fondo, lo sapeva che il parquet e la tappezzeria del divano erano solo una scusa per tenersi alla larga da qualsivoglia forma di premura. In fondo, lo sapeva che un po’ si preoccupava della sua salute.

Mise piede nella sua camera da letto poco dopo, ma rimase vicino alla porta. L’ultima volta che aveva provato ad entrare lì dentro Sebastian non era parso molto contento – ma quella volta la colpa era stata di Jeff, non sua, ecco tutto – così evitò di invadere il suo prezioso spazio e rimase lì, mentre Sebastian apriva l’armadio e frugava tra le grucce.

«Quei vestiti sono fradici» stava spiegando, «ti presto qualcosa di mio, così non sembri Spongebob la spugna di mare.»

Thad sorrise lievemente a quella frase, perché Sebastian era scontroso e antipatico, certo, ma era anche molto altro, tra le righe.

«Grazie, Sebastian.»

Stavolta lo disse a voce alta, perché Sebastian se lo meritava, ed osservò le sue spalle sollevarsi e irrigidirsi appena proprio mentre la sua mano si chiudeva su una gruccia in particolare. Non era abituato a quello, era chiaro.

«Poche smancerie, Harwood» replicò, tirando fuori dall’armadio una tuta gemella alla sua, dai colori un po’ più sgargianti rispetto a quella che indossava; poi gli si avvicinò, la sfilò dalla gruccia e gliela porse. «Vai nel bagno in fondo al corridoio. L’asciugamano lo trovi nell’armadietto bianco. L’asciugacapelli pure. Quando hai finito, raggiungimi di sotto. Domande?»

Thad scosse la testa e cercò di non stringere troppo la tuta di Sebastian tra le braccia per non bagnarla – nonostante gli venisse quasi naturale farlo.

«Perfetto» disse Sebastian, spiccio, e lo aggirò per avviarsi di nuovo in salotto, ma prima di iniziare a scendere i gradini aggiunse, «Tè o cioccolata calda?»

Sebastian non cambiava mai. Ci provava gusto a trattarlo male e a fare la parte della persona cinica e distaccata ma, alla fine, si scopriva con un nonnulla. E si mostrava più gentile di quanto volesse.

«La cioccolata andrà bene.»
 


 
*


 
Mentre lo aspettava al piano di sotto, la mente di Sebastian lavorava frenetica. Cercava di tenersi impegnato continuando a girare distrattamente il cucchiaio nel pentolino, ma non la smetteva comunque di pensare all’espressione sconvolta che aveva visto sul volto di Thad, ai suoi occhi spenti e alle poche parole che avevano lasciato le sue labbra. Conosceva perfettamente ogni singola sfumatura del suo umore ed era certo che quella sul suo viso fosse delusione.

Thad era instancabile di solito, Thad non gli lasciava mai l’ultima parola, Thad rispondeva ad ogni sua frecciatina, Thad rideva di lui delle volte. Quel giorno, invece, era arreso. Si lasciava scalfire e incassava; e Sebastian, che non conosceva il motivo del suo abbattimento, non riusciva a smettere di figurarsi in testa gli scenari più disparati che conducevano alla causa del problema.

«Avrà litigato con la testa bionda. Di sicuro» sbuffò, ma non era infastidito dalla sua intrusione; era nervoso perché – in fondo, molto in fondo – non gli piaceva l’idea di vederlo in quello stato. «O forse…»

Tump.

Smise di rimuginare quando quel rumore gli arrivò alle orecchie. Abbandonò con noncuranza il cucchiaio nel pentolino e distolse lo sguardo dal piano cottura per accertarsi che Harwood non fosse rotolato giù per le scale.

«Sei ancora vivo?» domandò, cercando di farsi udire oltre il muro che li divideva. Spense i fornelli senza farci troppo caso e allungò il collo per far entrare il compagno nel suo campo visivo.

«Sì» rispose quello e Sebastian lo sentì sospirare, «è che la tuta mi va grande e… Sì, stavo inciampando. Non ridere.»

Sebastian fece una smorfia, osservando l’ombra di Thad che si espandeva dal punto in cui stanziava. Pareva stare davvero bene, dato che era in piedi, quindi niente ambulanze per quella sera, si disse.

«Mi preoccupavo di più dei soprammobili di mia madre, in realtà.»

Lo accontentò e trattenne la risata che stava per nascere sulle sue labbra – pura concessione dovuta alla compassione che gli faceva, o almeno così gli piaceva pensare – e si concentrò sulle tazze posate sul ripiano dinanzi a lui. Vi versò la cioccolata all’interno, una copertura di panna montata e, infine, una spolverata di cacao, perché a lui così piaceva e in casa sua la cioccolata o si beveva così, o niente.

«Non ti distruggo casa, tranquillo.»

Sebastian sorrise – sorrise, non ghignò – nell’udire la risposta di Thad. Quella era una reazione, seppur minima, e si convinse che continuare a punzecchiarlo fosse la strada giusta da seguire per riavere il buon vecchio Harwood.

Mise le due tazze su di un piccolo vassoio e lo raggiunse in salotto. Thad si era seduto sul divano a tre posti, quello di fronte al caminetto, ed ora si stava torcendo le mani nervosamente, un po’ a disagio negli abiti nuovi. Fu la prima cosa che notò Sebastian, il modo in cui le maniche della felpa – già arrotolate a dovere – gli coprivano i palmi e lasciavano intravedere soltanto le sue dita sottili e il loro movimento sconclusionato.

Fortunatamente ebbe il buon senso di posare il vassoio sul tavolo, prima di far scorrere lo sguardo sul resto del suo corpo. Gli sarebbe tremato pericolosamente tra le mani se avesse fatto altrimenti.

Non gli era mai passato per la testa di immaginare Thad con una taglia più grande di lui addosso. Certo, nel suo guardaroba, in Accademia, vi era qualche felpa slabbrata che Thad indossava soltanto quando rimaneva a studiare in camera, quindi non era da considerarsi proprio una novità quella visione. Ma quello era un altro conto. Quelli erano i suoi vestiti e gli andavano talmente grandi da ispirare tenerezza e protezione a Sebastian – oltre che renderlo più sexy di quanto già non fosse.

Tuttavia riuscì a rimanere composto e a nascondere ciò che provava dietro la sua consueta maschera. Era rimasto solo un secondo ad osservarlo più del dovuto, poi si era schiarito la voce, aveva preso la sua tazza verde e si era accomodato in poltrona, alla sinistra di Thad, accavallando una gamba sull’altra con fare elegante e mettendosi ad analizzare i ghirigori formati dalla panna montata, in silenzio.

«I tuoi genitori non ci sono, giusto?» chiese Thad, ma fu una domanda retorica più che altro, una domanda fatta esclusivamente per sottrarsi da quel silenzio pesante.

«Al lavoro, come sempre.»

«E quando…?»

«Bevi la tua cioccolata e non fare domande.»

Sebastian non osò sollevare lo sguardo su di lui, ma sentì distintamente il tintinnio del cucchiaino contro la ceramica della tazza di Thad. Stava bevendo e forse lo stava anche guardando, aspettandosi che dicesse qualcosa, che pretendesse un minimo di spiegazione o che gli rivelasse quanto ridicolo apparisse con quei vestiti addosso. Ma non lo fece, rimase apparentemente rilassato.

«È buona» sussurrò Thad, nel bel mezzo del silenzio più totale, quando il livello della sua cioccolata ebbe raggiunto la metà tazza, e solo allora Sebastian si concesse di riportare l’attenzione su di lui e di fare la fatidica domanda.

«Che ci fai qui, Harwood?»

Thad fuggì dal suo sguardo non appena la domanda arrivò a destinazione. Iniziò a rigirarsi la tazza tra le mani un po’ a fatica, ostacolato dal lieve tremore delle sue dita e dall’impaccio delle maniche troppo lunghe, e ragionò a lungo sulla risposta da dargli.

«Non sapevo dove andare» disse alla fine, nulla di più di quello che Sebastian già sapeva.

La sua ultima spiaggia.

«Quindi ho indovinato, hai litigato con la tua fata madrina.» Sebastian si aprì in un ghigno amaro e il suo tono di voce stranamente acido indusse Thad ad aggrottare la fronte in un cipiglio confuso. «Mi dispiace ma non sarò in grado di intercedere per te. Barbie mi odia, lo sai» proseguì, bevendo un altro sorso dalla sua tazza.

«Sebastian, io e Jeff non abbiamo litigato.»

Le parole di Thad non contenevano nessuna nota di ovvietà, come se sapesse quanto fraintendibile potesse risultare la sua scelta di rifugiarsi a casa di Sebastian; e infatti quest’ultimo non capiva cosa lo avesse spinto ad optare per quella soluzione autolesionista. Lui non c’era mai per Thad, lui si interessava silenziosamente, senza tutte quelle stronzate dell’ascoltare o del consigliare che di solito spettavano a Sterling. Ma Thad, quella sera, aveva scelto comunque di andare da lui, perché?

«Avresti potuto andare da Sterling, allora. Sono certo che avrebbe accolto i tuoi piagnucolii con immensa gioia» lo incalzò, con voce lenta e quanto più neutra possibile, ma dentro si sentiva stranamente sollevato. Thad era lì, nel bel mezzo di una tempesta, e non poteva neanche addurre come scusa il fatto che stesse passando di lì. Casa sua non era né vicina al centro, né vicina a casa di Thad.

Si ritrovò a ghignare e ad inchiodarlo con lo sguardo, inarcando un sopracciglio. Per lui quello era l’ennesimo pretesto per ingaggiare una lotta silenziosa. E stavolta era decisamente in vantaggio. Attese la risposta di Thad, rimanendo immobile sulla poltrona. Si chiedeva che cosa si sarebbe inventato adesso per giustificarsi.

«Non mi andava di mettere in mezzo Jeff.» Thad lo disse con semplicità, senza preoccuparsi di quanto potesse apparire strano a sentirsi. Non tornò sui suoi passi, però, nel tempo in cui Sebastian stette in silenzio a guardarlo con un lieve accenno di scetticismo sul viso. «E non avevo neanche voglia di tornare in Accademia sapendo che…»

«Che..?»

Thad alzò gli occhi e gli rivolse un piccolo sorriso incerto e triste che strinse lo stomaco di Sebastian in una piccola morsa e lo fece rabbrividire, nonostante il calore della cioccolata che aveva ingerito.

«Sapendo che non ti avrei trovato in camera.» Si prese il labbro tra i denti, in seguito a quella rivelazione, e arrossì appena. La luce della lampada accanto al divano gli illuminava perfettamente il volto, quindi Sebastian non ebbe dubbi a riguardo. «Cioè, non che ti volessi in camera a tutti i costi ma… La tua presenza molesta mi distrae» si corresse prima che l’altro ragazzo potesse dire qualcosa di compromettente.

Ma tanto lo avrebbe fatto lo stesso. Prima o dopo non avrebbe fatto differenza.

«E in che modo ti distrarrebbe la mia presenza molesta?» Sibilò, con quella nota maliziosa nella voce che Thad aveva previsto con ampio anticipo.

Inarcò un sopracciglio, quindi, e fece una smorfia, provando a mantenersi serio nonostante il rossore ancora vivido sulle guance.

«Non nel modo che credi tu.»

Non gli piaceva fare quei discorsi con Sebastian e lui lo sapeva, ma Sebastian si divertiva troppo a metterlo in difficoltà – faceva parte delle loro lotte, in fondo.

Tuttavia, per quella sera, Sebastian non insistette più di tanto. Una volta svuotate le tazze – senza che nessuno dei due emettesse più un fiato – le rimise sul vassoietto, che aveva adoperato poco prima per servire le cioccolate, e si voltò, incamminandosi in direzione della cucina. Poco prima di sparire oltre la soglia, però, arrestò il passo e disse qualcosa che sorprese Thad nel profondo.

‹‹Ti sistemerò nella stanza degli ospiti.››
 


 
*


 
Thad ci aveva provato con tutte le sue forze a convincere Sebastian che stesse meglio e che non avesse bisogno di un posto dove stare. Un conto era chiedere ospitalità per un’oretta o due al suo compagno di stanza – con il quale non aveva il più roseo dei rapporti –, un altro conto ancora era farsi prestare dei vestiti da lui e Dio solo sapeva quanto Sebastian ci tenesse al suo guardaroba, di qualunque capo d’abbigliamento si trattasse, ma mai Thad avrebbe preteso, o accettato, di restare per la notte in quella casa che sembrava fin troppo grande persino per l’intera famiglia di Sebastian. Fuori, il temporale continuava a imperversare incessantemente e, certo, lui non aveva poi così tanta voglia di rimettersi al volante, tuttavia non dovette preoccuparsi a lungo di quella prospettiva, in quanto Sebastian parve abbastanza irremovibile riguardo la sua decisione, nonostante continuasse ad ostentare noia ed indifferenza di fronte ai problemi o all’umore di Thad.

Alla fine, il ragazzo riuscì soltanto a pattuire con lui a proposito della stanza degli ospiti. Gli disse che gli sarebbe andato bene anche dormire sul divano e che non occorreva mettere in mezzo lenzuola pulite solo per una notte. Sebastian acconsentì senza alcun cenno di premura, ma Thad fu sicuro di ciò che gli stava passando per la testa, quando quello domandò:

‹‹Vuoi chiamare i tuoi?››

Il suo sguardo diceva: “A seconda della risposta che darai, io capirò”, ma nonostante ciò, Thad fu costretto a fornirgli una risposta negativa e, insieme ad essa, la chiave per avere un po’ più di chiarezza in tutta quella faccenda.

Tenne lo sguardo puntato sul ragazzo, in silenzio, mentre quello gli sistemava le coperte sul divano in pelle e vi posava accuratamente un cuscino recuperato poco prima dal piano di sopra. Dopodiché vide Sebastian osservare il suo operato, con le mani posate sui fianchi e lo sguardo critico che nascondeva pensieri su pensieri, e infine voltarsi a guardarlo – i muscoli della fronte che man mano si distendevano lasciando spazio ad un’espressione meno dura.

‹‹Se hai bisogno di qualcosa, sono di sopra›› disse, e Thad annuì, senza aggiungere null’altro. Sebastian si passò una mano dietro il collo mentre aggirava il divano e si incamminava in direzione delle scale.

Prima di salire, si fermò dinanzi all’interruttore della luce, guardò Thad da sopra una spalla e quest’ultimo ebbe un tuffo al cuore nel capire le sue intenzioni. A disagio e sentendosi un po’ stupido, si affrettò ad infilarsi sotto le coperte e a posare la guancia sul cuscino che profumava di pulito.

‹‹Buonanotte, Harwood›› disse, con voce neutra, e spense la luce, lasciando Thad completamente al buio e da solo, col cuore che batteva ancora forte e la stanchezza di quella giornata a gravargli sulle spalle.

‹‹Buonanotte, Smythe.››


 
*
 


Il pensiero di Thad, che dormiva ad un piano di distanza dal suo, lo aveva tormentato per tutta la notte. Ogni volta che stava per lasciarsi andare al mondo dei sogni, gli bastava un attimo per rimettere in moto gli ingranaggi del suo cervello e riconcentrarsi sugli occhi lucidi e sul viso devastato del compagno. Gli bastava un attimo per preoccuparsi. Tutto quello non era da lui, ma rimaneva comunque incuriosito dal motivo che aveva spinto Thad a fuggire da casa sua e dai suoi genitori – perché quello ormai era certo, Thad doveva aver avuto un diverbio con loro. Anche volendo, quindi, fermare quei pensieri era impossibile, e si ritrovò a cadere preda del sonno per la spossatezza, non per sua volontà.

Al mattino, si svegliò relativamente presto, e non ci fu verso di riaddormentarsi e recuperare le ore di sonno che aveva perso durante la notte. Dunque, scese in salotto, stando attento a non fare troppo rumore e a non disturbare il sonno del compagno.

Non era premura la sua, si disse, era soltanto pura e semplice cortesia.

Raggiunse il divano e posò le mani sui cuscini dello schienale, sporgendosi in avanti per spiare il ragazzo che vi giaceva sopra. Lo aveva visto mille volte dormire, quindi non avrebbe dovuto stupirsi e incantarsi dinanzi a quella visione. Ma forse fu il contesto a fregarlo: il fatto che Thad stesse dormendo sul suo divano, in casa sua, e come al solito avesse le coperte tirate fin sul mento, le guance più colorite a causa del sonno e i capelli scompigliati. La causa del suo stupore era tutta lì, nella sua coperta preferita che lo avvolgeva, nei suoi abiti che lo vestivano, nella tappezzeria del suo divano che gli faceva da contorno. Era vicino come non lo era mai stato.

Fu il rumore della serratura di casa a destarlo da quei pensieri e a fargli distogliere lo sguardo dal compagno. Vide sua madre entrare in salotto, poco dopo, ed indugiare soltanto un momento sul cumulo di coperte che riempivano il divano a tre posti, dopodiché sollevò lo sguardo su suo figlio, ma non proferì parola. Sebastian si era portato un indice all’altezza del naso.


 
*
 


I sensi di Thad stavano tornando vigili man mano che il profumo di caffè appena fatto si espandeva in tutta la stanza. Non aveva voglia di aprire gli occhi, si sentiva ancora stanco e avvertiva i muscoli intorpiditi, a causa della tensione che aveva scaricato durante quelle ore di sonno, ma c’era qualcosa che, messa bene a fuoco, non quadrava in quel contesto. Non se n’era accorto mentre dormiva, ma qualcuno gli stava passando dolcemente le dita tra i capelli e, ora che ci faceva caso, il profumo di caffè era davvero troppo vicino. Gli ci volle un attimo per ricordarsi che era ancora a casa di Sebastian. Il cuore iniziò a battergli forte nel petto, al pensiero che quelle dita delicate fossero proprio le sue. Rimase immobile, mentre quelle continuavano a scorrere tra le ciocche, ma poi si decise a schiudere le palpebre e ad accertarsi che fosse davvero lui.  Ma il corpo sottile, che stava elegantemente seduto al suo fianco, non apparteneva a Sebastian, bensì a una donna. Aveva le dita dell’altra mano, dalle unghie smaltate di rosso, chiuse attorno a quella tazza che emanava un forte profumo di caffè e che iniziava a far gola a Thad. Guardandola in viso, il ragazzo non poté fare a meno di notare che le sue labbra e il contorno degli occhi fossero pressoché identici a quelli di Sebastian – se si tralasciavano le iridi castane – e gli fu immediatamente chiaro chi fosse quella donna dallo sguardo incredibilmente gentile.

‹‹Si- Signora, Smythe. Mi scusi, io-›› arrancò, cercando di sfuggire dalle carezze della sua mano e di mettersi a sedere, ma la donna gli posò una mano sulla spalla, in un gesto quasi materno, atto semplicemente a tranquillizzarlo.

Strofinò il pollice su di essa, mentre lo rassicurava, dicendo: ‹‹So già tutto, stai tranquillo, Thad.››

Non si erano mai incontrati prima, eppure quella donna lo aveva chiamato per nome. Sulla sua espressione non vi era alcun fastidio. Thad si sarebbe aspettato tutt’altro. Per esempio, non si sarebbe mai sognato di rimanere per la notte, sapendo che la madre di Sebastian sarebbe potuta tornare a momenti, e questo semplicemente perché ad un padrone di casa normale non avrebbe fatto piacere avere ospiti senza preavviso. Invece, Anne – quello era il suo nome – aveva lo stesso sguardo in volto che si sarebbe potuto rivolgere a un bambino che si era perso tra la folla e che era stato ritrovato per caso. Si sentì subito a suo agio, ma non poté evitare di guardarsi intorno, alla ricerca dell’aiuto di Sebastian, e di mormorare con voce ancora un po’ imbarazzata:

‹‹Sebastian, suo figlio, mi ha costretto a rimanere e-››

‹‹Non hai bisogno di spiegarmi nulla, so già quello che devo sapere.›› E detto ciò, la Signora Smythe gli porse la tazza che reggeva ancora tra le mani, e con un sorriso dolce aggiunse: ‹‹Stai attento, è bollente.››

Non aveva idea di cosa Sebastian le avesse raccontato e neanche ebbe modo di pensarci, dato che si sentì scaldare il cuore dai gesti della Signora Anne. Prese la tazza fumante e profumata tra le mani e la guardò andar via in silenzio e sparire oltre l’uscio della cucina. Dopodiché, sollevando lo sguardo sull’orologio a parete, si rese conto del motivo per cui era stato svegliato in quel modo. Erano ormai le undici passate e lui si sentiva forse più stanco di quanto lo fosse stato prima di addormentarsi.

Sebastian ricomparve in salotto solo dieci minuti dopo, quando la tazza era ormai vuota, ma lo sguardo di Thad era ancora fisso su di essa, assorto. Stava ripensando all’accaduto, perciò l’arrivo del compagno fu provvidenziale. Si lasciò cadere sul divano, accanto a lui – le gambe di Thad ora erano rannicchiate contro il suo petto, pur essendo ancora nascoste dalla coperta – e posò, su un rettangolo di cuscino libero, i vestiti di Thad, puliti, asciutti e accuratamente ripiegati – “Da lui?” si domandò Thad, ma lasciò che quella domanda rimanesse nella sua mente.

Sebastian, i gomiti appoggiati sullo schienale del divano, le braccia penzoloni e le gambe accavallate l’una all’altra, si voltò a guardarlo con un sopracciglio inarcato.

‹‹Dormito bene?›› chiese.

‹‹Abbastanza›› rispose Thad, piegando le labbra all’interno ed esaminando la sua espressione per cercare di carpire qualcosa. L’altro, probabilmente, stava cercando di fare lo stesso con lui. Thad lo vide abbassare lo sguardo sulla tazza vuota che stringeva tra le mani e storcere un po’ la bocca.

‹‹Ti conviene vestirti›› disse, senza giri di parole, allungando una mano per sottrargli la tazza e, successivamente, alzandosi in piedi. ‹‹Papà tornerà per ora di pranzo e sarebbe carino se tu non ti sedessi a tavola in pigiama.›› Incurvò leggermente un angolo delle labbra e abbassò lo sguardo sul suo petto. ‹‹Anche se quello non è propriamente un pigiama.››

Un attimo dopo, lo sguardo di Sebastian si puntò nuovamente nel suo e quel solo gesto bastò a far sentire Thad più accaldato. Si sforzò di non guardarlo negli occhi e borbottò:

‹‹Veramente non avevo intenzione di rimanere a pranzo.››

‹‹Quindi torni a casa?››

Quella domanda gli fece annodare lo stomaco. La sola idea di rivedere i suoi genitori gli metteva angoscia.

‹‹Magari… passo da Jeff prima›› tentennò, senza sapere cosa fare.

Non ricevette risposta per un lunghissimo momento – probabilmente Sebastian lo stava ancora radiografando con lo sguardo – ma proprio quando si alzò dal divano, lasciando la coperta su di esso e recuperando con mani un po’ tremanti i suoi vestiti, quella arrivò.

‹‹A mia madre farebbe piacere conoscere meglio la mia famosa spina nel fianco, quindi, se non fremi così tanto all’idea di riabbracciare Raperonzolo, saremo felici di riservarti un posto a tavola.››

Furono due le cose che convinsero Thad a rimanere, in quel momento: la prima, quella relativamente meno importante, fu Anne, la sua gentilezza e suoi sguardi gentili, avrebbe avuto davvero piacere di constatare che la sua non fosse soltanto cortesia di circostanza; la seconda, naturalmente, fu Sebastian. Avrebbe potuto usare tutto il sarcasmo che voleva, ma, agli occhi di Thad, fu improvvisamente palese l’apprensione che provava tuttora nei suoi confronti.

Si ritrovò a sorridere, allora, e a rispondergli:

‹‹A pensarci bene, no. Non ho tutta questa fretta.››
 


 
*


 
Mentre sedevano tutti a tavola per pranzare, il cellulare di Thad squillò quattro volte. Sebastian le contò una ad una e, a dire la verità, non fece attenzione soltanto a quello. Per tutto il tempo, qualcosa dentro di lui lo spinse a non perdere mai di vista il compagno e a non lasciarlo mai alla mercé delle domande impertinenti e sospettose di suo padre.

Thomas si fidava di suo figlio, lo costringeva a rispettare le regole della casa e sapeva che Sebastian aveva abbastanza intelligenza da non infrangerle e guadagnarsi, in tal modo, le sue “coccole” sporadiche. Anne era molto più flessibile, a differenza sua. Non era soltanto sua madre, era anche la sua migliore amica e unica confidente, colei che lo assecondava e incoraggiava; per questo motivo, Thomas era quasi obbligato ad essere quello rigido, dall’apparenza fredda e severa. L’essere venuto a conoscenza del fatto che un ragazzo fosse rimasto da loro per la notte, quando entrambi i padroni di casa erano fuori, gli puzzava di bruciato e così aveva dato il via ad un interrogatorio di quelli professionali, quelli che ti costringono a mettere a nudo la falla del tuo piano e a far decadere tutti i tuoi alibi.

Thad parve non accorgersene, nonostante fosse palese che si sentisse in soggezione dinanzi allo sguardo del Signor Smythe, e continuò a mangiare con gusto e a rispondere con cortesia e sorrisi alle domande che gli venivano poste. Fu al quarto squillo – rigorosamente rifiutato dal destinatario – che Thomas lasciò che la domanda più importante, quella in cima alla lista del suo interrogatorio, lasciasse la sua bocca.

‹‹Non rispondi? Puoi farlo tranquillamente, anche se sei a tavola.››

Thad parve farsi nervoso e teso, e la capacità di proferire parola parve abbandonarlo. Abbassò lo sguardo sul display del suo cellulare e boccheggiò sconclusionatamente.

‹‹I tuoi genitori non sanno che sei qui, dico bene?›› proseguì Thomas, al che sua moglie lo incalzò con un’occhiataccia di rimprovero. Lei sapeva, Sebastian le aveva già raccontato lo stretto indispensabile.

Il ragazzo sollevò appena lo sguardo sul padrone di casa, l’espressione leggermente impanicata.

‹‹No, loro non-››

‹‹Li chiamerà più tardi›› lo interruppe Sebastian, guadagnandosi uno sguardo sorpreso da parte di Thad. Sul suo volto stanziava la stessa espressione severa e impassibile del Signor Smythe, come se stesse combattendo silenziosamente contro di lui. ‹‹Adesso lasciamolo mangiare.››

Thomas rimase in silenzio per qualche minuto, a decifrare lo sguardo di suo figlio, dopodiché si riconcentrò sul piatto mezzo vuoto e cambiò argomento, passando a parlare degli affari dell’azienda di cui era a capo. Solo allora, Sebastian si permise di espirare profondamente e, solo allora, si rese conto di quanto l’insistenza di suo padre lo avesse infastidito. Inconsciamente, aveva cercato di difendere l’umore già fragile del suo compagno di stanza.

Voltando il capo alla sua sinistra, si rese conto che Thad lo stava osservando. Aveva un’espressione a metà tra il sorpreso e l’incantato e, grazie ad essa, Sebastian fu certo del fatto che il suo gesto fosse stato apprezzato. Gli rivolse il suo solito sorriso storto e, con un lieve cenno del capo, lo indusse a riprendere a mangiare. A quel punto, gli occhi di Thad si sgranarono un po’, come se si fosse appena risvegliato da uno stato di trance; si riconcentrò sul suo piatto e, col passare dei secondi, le sue guance si colorarono appena di rosso. A quella vista, lo stomaco di Sebastian si strinse automaticamente in una morsa piacevole.


 
*
 


Il Signor Smythe aveva lasciato la sala da pranzo non appena la tavola era stata sparecchiata e non prima di aver alternato lo sguardo, per un’ultima volta, tra Sebastian e Thad. Sua moglie lo aveva distratto con un bacio veloce, permettendo ai ragazzi di salvarsi in calcio d’angolo da altre raccomandazioni e domande, e lo aveva indotto ad andare ad occuparsi di quelle scartoffie che si era portato a casa dal lavoro. Thomas non aveva proferito parola, ma probabilmente le aveva suggerito con una delle sue occhiate di tenere d’occhio i ragazzi.

Thad aveva tirato un sospiro di sollievo, quando l’uomo era andato via, e automaticamente si era sfilato di nuovo il cellulare dalla tasca, osservando con sguardo spento le chiamate perse che stanziavano sul display.

‹‹Potresti mandargli un messaggio, se non ti va di parlare con loro.››

Non aveva ancora realizzato quali fossero stati i dettagli che avevano condotto Sebastian sulla giusta risoluzione di quel mistero e tuttora si domandava come facesse ad essere così indifferente e, allo stesso tempo, a sembrare così apprensivo nei suoi confronti. Nessuno dei suoi gesti, o delle sue parole, era dolce o gentile, erano come mascherati da un velo sottile che li faceva apparire offuscati e non completamente chiari ai suoi occhi. Eppure Thad sapeva di non essersi mai accorto di quella piccola crepa nella freddezza di Sebastian, era la prima volta che la notava, che riusciva a vedere il suo lato buono e umano, e doveva ammettere che gli piaceva sapere che, nonostante tutto, Sebastian stesse cercando di capirlo e fargli da appoggio.

‹‹Credo sia meglio, sì›› rispose, mentre entrambi si spostavano sul divano e Sebastian si allungava a recuperare il telecomando della televisione. Vi armeggiò per un po’, con le labbra strette nella sua solita espressione marmorea e indecifrabile, e Thad, guardandolo con la coda dell’occhio, si chiese a cosa stesse pensando.

Pigiò sul display del cellulare un po’ alla cieca, poi una volta finito di scrivere, smise definitivamente di gettare occhiate furtive al compagno e rilesse ciò che aveva buttato giù. Arrivò all’ultima parola, aggrottò la fronte ed indugiò sul tasto di cancellazione.

‹‹Forse dovrei tornare a casa. Sono stato via a lungo›› mormorò, al che Sebastian smise di fare zapping e si voltò a guardarlo con un sopracciglio inarcato.

‹‹Dipende da cos’hanno fatto per farti incazzare così tanto›› disse e, probabilmente, in maniera indiretta e distaccata, quella voleva essere una domanda, un modo per entrare nel mondo di Thad e permettergli di spiegarsi.

Thad spostò il pollice da sopra al display e lasciò perdere per un attimo il messaggio. Incontrò lo sguardo di Sebastian e, senza accorgersene, si ritrovò ad aggrapparsi a lui, con gli occhi, con le parole, con le dita serrate attorno al cellulare.

‹‹Non voglio fare l’avvocato o il commercialista, è per questo che-›› Si prese il labbro tra i denti, quando avvertì un fastidio alla gola, sintomo del fatto che stesse tornando ad essere tutto troppo reale, doloroso e ingiusto. Sebastian rilassò i muscoli del viso e rimase fermo a fissarlo, senza dire una parola – forse perché voleva lasciargli spazio, forse perché non sapeva cosa dire, o forse perché, inaspettatamente, gli occhi ora lucidi dell’altro ragazzo stavano avendo un effetto strano su di lui.

‹‹Io voglio essere un fotografo›› riprese Thad, dopo aver respirato a fondo, ‹‹un vero fotografo. È questo che voglio fare e- Loro non lo capiscono. Non ho mai chiesto nulla in vita mia, ma questo-››

‹‹Diglielo›› lo interruppe Sebastian, l’espressione ancora immobile. ‹‹Digli che la loro opinione per te non conta un cazzo. Scappare di casa non serve a niente. Quando tornerai, le loro intenzioni non saranno cambiate, lo sai, vero?››

Thad emise un profondo sospiro e annuì lentamente, metabolizzando le parole del compagno. Sebastian era così: le cose, lui le diceva senza giri di parole, feriva e pugnalava a fondo ma non si pentiva mai di nulla. Thad avrebbe dovuto imparare un po’ da lui, e non allo scopo di essere meschino, ma semplicemente per difendere i suoi obbiettivi.

‹‹Torna a casa e fagli il culo.››

Non era certo di aver sentito bene le parole di Sebastian, dato si era perso nuovamente nelle sue elucubrazioni, così quando sollevò lo sguardo per accertarsene e vide sul suo volto il suo solito sorrisino indisponente, si ritrovò a sbattere le palpebre, per un attimo, e poi a seguire il suo esempio.

‹‹Non sei male quando non pensi soltanto a te stesso›› commentò.

Sebastian fece finta di nulla. Si passò una mano tra i capelli e tornò a fare zapping col telecomando, scrollando leggermente le spalle.

‹‹Non ne hai proprio idea, Harwood.››
 


 
*


 
Quando Sebastian mise piede nella sua camera alla Dalton, in seguito alle lezioni del mattino, non sapeva che vi avrebbe trovato Thad e di certo non si aspettava che sul suo viso vi avrebbe letto tutta quella serenità. Semplicemente, aprì la porta e rimase immobile sulla soglia per almeno un minuto intero. Thad era seduto sul suo letto e aveva tra le mani uno di quei libri che Sebastian era solito lasciare sul comodino fino a che non ne avesse terminata la lettura. Notò che stava sbirciando esattamente la pagina alla quale lui si era fermato, quella alla quale era stato posto il segnalibro – che altro non era se non un vecchio scontrino del Lima Bean.

Non avendolo visto a lezione, Sebastian aveva automaticamente dedotto che fosse rimasto a casa a scontare la pena che meritava per essere scappato ed aver mandato in panico i suoi, ma a vederlo, adesso, sembrava che la tempesta si fosse placata. Un piccolo sorriso gli increspava le labbra mentre leggeva, un piccolo sorriso che scaldò inaspettatamente il cuore di Sebastian.

«Non credevo fossi qui» disse, attirando l’attenzione di Thad, che pareva perso in chissà quale mondo – forse proprio quello relativo al libro. «Credevo ti avessero sequestrato.»

Si ritrovò i suoi occhi addosso e faticò non poco a concentrarsi sul movimento del braccio, col quale si premurò di chiudere la porta.

«È questo che fa tuo padre quando fai qualche sgarro? Ti sequestra?» domandò Thad, con un pizzico di divertimento nella voce.

Sebastian roteò gli occhi, in seguito a quella velata frecciatina. «Il tuo tentativo di fare lo spiritoso non è apprezzato, Harwood» borbottò, prima di voltarsi per andare a posare la tracolla su una sedia. Mentre lo faceva, avvertì una serie di fruscii che gli segnalavano il fatto che Thad si fosse alzato e lo avesse seguito.

Sebastian si fermò accanto alla scrivania e così fece l’altro, andando a posare la schiena all’angolo del muro ed osservandolo ancora con quello sguardo a metà tra il riconoscente e il curioso. Gli gettò soltanto qualche occhiata fugace, mentre fingeva di essere impegnato a tirare fuori i libri dalla cartella. Era la prima volta che il suo sguardo gli metteva soggezione, forse perché non sapeva cosa aspettarsi dal suo comportamento. Thad non gli ronzava mai attorno in maniera così evidente.

«Avanti, che c’è?» chiese allora, con fare un po’ brusco, sollevandosi e lasciando definitivamente perdere i suoi libri. «Perché mi fissi in quel modo?»

Thad parve sussultare appena, colto alla sprovvista per un attimo, ma subito dopo tornò a sorridergli e Sebastian avvertì distintamente lo stomaco contorcersi in una morsa ingiustificata – o almeno, così gli piaceva credere.

«Nulla» disse semplicemente Thad, accompagnando le parole con un movimento leggero delle spalle. «Aspettavo solo che mi chiedessi com’era andata.»

«E perché avrei dovuto?»

«Perché… sotto sotto ti interessa?»

«Non dire cazzate.»

Sebastian scosse la testa e sbuffò una risata sommessa e sarcastica, fingendosi esasperato dalle parole del compagno, ma il sorriso storto che gli comparve in volto non era totalmente distaccato e indifferente come al solito. Thad se ne accorse e lo guardò con un po’ più di dolcezza. Aspettò qualche minuto, prima di proseguire, giusto il tempo di permettere a Sebastian di ricomporsi, di scacciare la morsa allo stomaco e di riprendere ad ignorare la sua presenza. Si sedette alla scrivania, infatti, e aprì un libro a caso, immaginando che così sarebbe riuscito a liberarsi di quella pulce fastidiosa.

«Avevi ragione tu comunque.» Sebastian lo stava ascoltando e Thad lo sapeva. «Scappare era inutile.»

«Ma davvero?» sibilò Sebastian senza alzare lo sguardo.

«Sì, ma… è servito ugualmente, in un certo senso.»

Aggrottò la fronte, a quelle parole, ma rimase immobile e in silenzio, aspettando che Thad continuasse e si spiegasse da solo, nonostante avesse già dei sospetti a riguardo.

«Quando sono tornato, ho spiegato tutto ai miei genitori. Ho spiegato che ci tenevo davvero, che c’era ancora tempo ma che non avrei cambiato idea.» Fece una pausa, poi abbassò la voce. «Loro hanno capito praticamente subito e mi hanno pregato di non farli preoccupare mai più così tanto.»

Sebastian annuì e in volto, inconsapevolmente, gli comparve una smorfia delusa. «Appunto. Era inutile scappare» borbottò.

«Appunto. Non tanto» gli fece il verso Thad, e Sebastian non faticò ad immaginare il sorriso che faceva da contorno alle sue parole. «Sei stato gentile a farmi restare a casa tua, ed io non ti ho neanche ringraziato.»

Non ce la fece più a tenere lo sguardo basso. Fu costretto a sollevarlo, quasi senza accorgersene, quasi a volersi accertare di non essersi immaginato tutto. Perché Sebastian poteva essere freddo quanto voleva, poteva indossare maschere su maschere, ma la verità era che non aspettava altro che quelle parole. Non aspettava altro se non avere la certezza di aver fatto qualcosa di buono, di aver avvicinato Thad, per la prima volta, in una maniera diversa dal suo solito.

«Sei stato il mio faro in mezzo al mare. Davvero.» Thad fece una smorfia, in seguito a quella metafora, e Sebastian lo imitò praticamente subito.

«Ti converrà fare a meno della mia luce, la prossima volta.»

In realtà, però, da qualche parte dentro di sé, sperava che Thad non lo facesse, che si affidasse a lui, che indossasse di nuovo la sua tuta e dormisse di nuovo dentro le mura sicure di casa sua. Non era ancora pronto ad accettarlo, o a dirlo a voce alta, ma il solo moto di protezione, che iniziava ad albergare dentro di sé, era già un buon punto di partenza.

«Cercherò di non approfittarne, promesso.»

 
Fine (per ora).
 
~

 
Forse c’erano delle premesse che avrei dovuto fare all’inizio, ma non mi andava di condizionare la vostra lettura e mettervi in testa strane idee. Sono qui per spiegare tutto però, e cercherò di farlo con ordine.

1~ Come avrete potuto notare, in questa storia, la Thadastian c’è soltanto “tra le righe”. Ci sono soltanto loro che si gettano sguardi significativi e si prendono cura l’uno dell’altro senza farlo esplicitamente. Per come avevo concepito la storia all’inizio – perché l’ho iniziata a scrivere che era tipo Agosto e poi l’ho appesa per mesi – Sebastian e Thad non dovevano avere un rapporto molto approfondito, doveva essere il solito loro rapporto di finto odio che nasconde interesse e quindi ho lasciato le cose come stavano, ben sapendo che la storia non si sarebbe conclusa con un’eclatante confessione d’amore. Il loro è un semplice studiarsi e imparare a proteggersi a vicenda e a scendere a patto con l’idea che non sono indifferenti l’uno all’altro. È naturale, poi, che il finale sia una causa diretta della storia d’amore che nascerà nei mesi successivi. ♥

2~ Come al solito ho buttato dentro i paragrafi un sacco di introspezione. Ho pensato che il rapporto dei Thadastian non fosse abbastanza approfondito per fare in modo che si dicessero determinate cose a voce alta. E non ho resistito e ho speso pagine e pagine a parlare io al loro posto. La mia metà dice che non ho propriamente esagerato, ma prometto che la prossima volta cercherò di contenermi. :P

3~ I signori Harwood: secondo l’headcanon mio e di Robs, non sono esattamente così severi e insensibili come appaiono in questa storia (e io ci tengo agli headcanon che stabiliamo io e lei), ma siccome ho iniziato a scrivere la storia un botto di tempo fa, non ho potuto cambiarne le dinamiche. Ho cercato di “addolcirli” tramite il racconto di Thad, quello che li vede accettare la decisione del figlio per la sua felicità, senza insistere ulteriormente.

4~ I signori Smythe: io li adoro e, davvero, spenderei parole e parole su di loro per spiegarvi le dinamiche della loro caratterizzazione, ma purtroppo non posso, altrimenti voi finirete per chiudere questa pagina e addio (cosa che forse avete già fatto). Spero che quei pochi paragrafi che ho dedicato loro bastino a farveli inquadrare almeno un pochino. Non sapete quanta voglia ho di scrivere una long solo su di loro, non potete neanche immaginarlo.

5~ Il titolo, “Lighthouse”, è preso direttamente dalla canzone dei Mallory Knox (naturalmente).

6~ Non scrivevo da tantissimo ed è stata una liberazione e – vedete? – non riesco a mettere la parola fine a queste note. Spero di non aver dimenticato nulla e spero che la storia vi sia piaciuta. Non vi prometto nulla, ma è probabile che prima o poi avrà un seguito (molto più breve di questa cosa, ve lo giuro). Vi saluto e ringrazio tutti quelli che sono ancora qui a leggere le mie boiate. Siete belli! :*

 
Vals
   
 
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