Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: MadLucy    16/04/2014    5 recensioni
Il principato di Dorne -l'unico a non essere stato sottomesso dai Targaryen.
Lancia del Sole -la capitale dove vengono orditi nuovi intrighi, che scuoteranno Westeros.
Un sole rosso trafitto da una lancia -lo stemma che raffigura le armi predilette dai dorniani.
Mai inchinati, mai piegati, mai spezzati -il motto implacabile di una famiglia implacabile.
Loro discendono dalla stirpe della leggendaria principessa guerriera dei Rhoynar, Nymeria; loro sono i Martell. E vogliono partecipare al gioco del trono.
|raccolta di one-shot/flashfic sull'ottava grande casata di GoT|
#1: Elia Martell
#2: Oberyn Martell
#3: Doran Martell
#4: Ellaria Sand
#5: Arianne Martell
#6: Quentyn Martell
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Arianne, Martell, Elia, Martell, Oberyn, Martell, Vipere, delle, Sabbie
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Oberyn
Oberyn Martell.
Ruggine.









Entrasti nella sala sbattendo la porta, con tutta l'esplosiva irruenza dei tuoi otto anni, il riso sulle labbra e il vento fra i capelli, portando con te l'ombra insanguinata di quell'estate torrida. Una veste dall'orlo scucito recava sui fianchi le ferite dell'ennesimo turbolento pomeriggio d'avventure, mentre la sabbia ti incrostava le caviglie -come se Dorne non volesse mai lasciarti andare. Un boato di pietra fragoroso e un raffica d'arsura lancinante annunciarono l'arrivo di Oberyn Martell. I consiglieri di tuo fratello, riuniti in Concilio, ti riservarono un sorriso impermalito, gli occhi acuminati di disappunto; è solo un bambino, sospirò qualcuno a quel tavolo di uomini massicci e noiosi. Il buio, che così compitamente aveva protetto la frescura fra quelle mura possenti e aveva generato negli angoli una nebbia d'umidità, dipanata da una parte all'altra come una ragnatela, era stato oltraggiosamente depredato dalla vorace ferocia di quell'estate impaziente, a seguirti ovunque, custode della tua infanzia, a preoccuparsi che sulla tua infanzia splendesse sempre il sole di Dorne. Ma la loro disapprovazione non ti raggiungeva; quando Oberyn Martell arrivava, tutti erano tenuti ad accorgersene.
-Doran! Guarda, Doran!- La tua voce schizzava come acqua di cascata che s'infrange contro gli scogli.
Tuo fratello, dalla postazione elevata del suo trono, ti rivolgeva uno sguardo indecifrabile. Le ciocche bionde adagiate sulla sua fronte gli sfioravano le palpebre indolenti e sfregavano morbidamente contro le ciglia; le mani stuzzicavano i ricami dei braccioli. Mani piccole, gracili, vulnerabili: non adatte ad un regnante, così come il resto della sua costituzione fisica, quella magrezza arida che ricordava l'erba assetata, quel profilo asciutto e spezzato che sembrava disegnato con un gesso. Ma tu sapevi -lo sapevi già allora- che non era quello a fare di Doran Martell un principe; occhi drastici, perentori, irriducibili. Occhi con i quali solo tu potevi competere in uno scontro. Non parlò, nè parve intenzionato a farlo.
Cogliendo il silenzio come un invito, ti avvicinasti a grandi falcate e dondolasti trionfante quel che trattenevi fra le dita. Era uno scorpione, nero e lucido come il petrolio, e si dimenava frenetico mulinando la coda. Ti divertiva quello strenuo tendersi alla libertà, quasi che anche un minuscolo abitante del deserto riuscisse a fiutare il miasma dell'inferno -in seguito, quella svendita a basso prezzo della dignità ti avrebbe fatto orrore.
-L'ho trovato mentre correvo.- rivelasti con un sorriso schermato di vezzosa superbia.
Doran Martell non ti sgridò per la maniera maleducata in cui avevi interrotto la riunione, non ti rimproverò per il rischio che avevi corso per catturare l'animale, non lodò nemmeno la tua velocità e il tuo valore, come forse speravi segretamente. Doran Martell chinò appena il capo a sinistra, contro la spalla, gli occhi fissi -insondabili- ad esaminare lo scorpione.
-Stai sempre bene attento, Oberyn, a trovarti dalla parte giusta.- Questo disse.
Quando, esattamente otto anni più tardi, Edgar Yronwood ti sfidò a duello, quelle parole riaffiorate dal passato più pastoso ti ottenebrarono i sensi. Trovarsi dalla parte giusta. E, mentre il veleno della tua spada si diffondeva dolcemente nel corpo dell'avversario, decidesti che no, non saresti mai stato lo scorpione. D'un tratto, l'immagine della bestia fremente e disperata ti parve terrificante -perchè non era di quella che bisognava avere paura.
Pochi giorni dopo, eri la Vipera Rossa di Dorne. Così tu entravi nella vita delle persone: sbattendo la porta.
-La fama è facile procurarsela; più difficile piuttosto mantenerla.- commentò Doran, quando la storia fu ormai di dominio pubblico. C'era una luce nuova nel suo sguardo -come se una lama avesse squarciato il sole e il suo abbacinante nucleo fosse stato denudato. Era un'occasione quella che ti venne offerta; tu, rivolgendogli un sorriso pronto, giurasti. Divenne una promessa.
La fredda sala delle riunioni non faceva per te, quella era competenza dell'apatia assorta di Doran; l'intuizione che avevi da bambino s'era rivelata certezza, si trattava d'un nido di ragni, niente di più, niente di meno. Ovunque nei Sette Regni giravano voci riguardo la Vipera Rossa: che era entrato nei Secondi Figli, che era stato avvistato a Tyrosh, che frequentava i bordelli di Lys e studiava alla Cittadella; eppure nessuno poteva raggiungerti nè afferrarti, soltanto mangiare polvere e misurare una scia di sangue. Eri diventato materia di leggenda, un'ombra aguzza che affascinava i fanciulli e dilaniava i nemici nei loro letti, perchè, anche se ogni ferita d'arma da taglio era una lezione da assimilare, Oberyn Martell non perdonava mai chi s'atteggiava a maestro davanti a lui, e questo ben presto lo seppero tutti; nel tuo caso, importi dei limiti significava già considerare di valicarli -significava essere oltre. Ogni tappa ti concedeva un dono e pretendeva un pedaggio, ogni popolo aveva un affronto da rivolgerti ed una storia da raccontare, ogni notte ti salutava affamato e ti ritrovava sorridente. Comunque, quando tornasti a Dorne, avevi imparato quanto basta -la tua imprudenza aveva un nuovo sapore e molte erano le cicatrici, a disegnare sul tuo corpo la mappa del viaggio.
Nel momento in cui realizzasti che non avresti visto Elia mai più, non piangesti. Lei ti affollò in un istante. L'effluvio fiammante delle candele aromatiche ch'ella accendeva nelle sue stanze, capace di pizzicarti il naso e spalancarti il cuore; la maniera in cui, quando Elia addentava una pesca, il succo colava dalla sua bocca e le gocce auree rotolavano, scavalcando il labbro e percorrendo il mento; le sere in cui scappavate nel letto dell'uno o dell'altra per parlare, senza nulla da dire, e ridere in un soffio sotto le coperte; le mattine in cui, morbidi, caldi e scompigliati di sonno, dopo aver dormito insieme, rimanevate rannicchiati gli uni contro gli altri; la sensazione delle sue labbra contro la tua fronte, l'invocazione perentoria delle sue braccia a cingerti e la dolce pretesa del suo collo soffice come giaciglio, la ricerca del sentore rosato del profumo delicato dei suoi capelli serici, il pigro piacere d'essere soltanto un peso esanime su di lei, l'incontaminata gentilezza delle sue guance e delle sue ciglia e dei suoi polsi e delle sue mani; e ancora le sue briose risate levate al cielo, bevute dalla brezza salmastra, imparate dal ritmo delle onde.
Così tu entravi nella vita delle persone, sbattendo la porta; mentre lei invece se n'era andata dalla tua in punta di piedi, senza nemmeno che tu te ne accorgessi.
Nel momento in cui realizzasti che nessun esercito sarebbe partito da Dorne per recuperare con le lance quel piccolo fagotto insanguinato, oh sì, piangesti.
-Ti prego, Doran. Ti prego. Ti prego.-
Era un pianto di rabbia, senza vergogna, selvaggio come pioggia battente, tumultuoso come una tempesta di sabbia, e le lacrime sgorgavano come sangue da quegli occhi dilaniati; era un pianto di furore. Doran Martell teneva il capo reclino, in un atteggiamento solenne e reverenziale, quasi di preghiera; composta e discreta la sua sofferenza che non voleva disturbare. Non piaceva fare rumore, a Doran. La luce indovinò forse un fievole riflesso sulla guancia -una sola goccia, in mille anni, può in segreto corrodere la roccia. Ma tu non avevi mille anni per aspettare, non in quel momento. Un istante per agire, piuttosto; un istante per correre, un istante per uccidere.
-Ti prego.-
Sapevi già quale sarebbe stata la sua risposta -qual era la sua scelta. Eppure lo stavi supplicando di tornare indietro, di dirti quel sì.
Avresti potuto sprecare tutte le parole che ti rimanevano per cercare di persuaderlo: non quella volta. Quella volta non ci fu spazio per le parole. Sapevi già, sapevi già. Non c'era bisogno di infrangere ancora la tua forza contro il granito di quel pavimento. Avevi un solo istante, e l'istante fuggì.
In realtà, stavi supplicando tuo fratello di non deluderti.
Doran Martell abbassò la testa; Dorne abbassò le lance. E pace fu. 
Elia era sempre stata quella che, mentre correvate fra le dune di Dorne, ti rimproverava di stare andando troppo veloce: il tuo ultimo freno inibitore. Da quel giorno, il tuo mondo si tinse di rosso. L'ultima lezione era stata impartita.
Giacevi fra le braccia di Ellaria, pensando alla ruggine che deteriorava la tua lancia, alla ruggine che deteriorava i tuoi ricordi -alla ruggine che invecchiava la tua rabbia ed ammorbava il sangue di Elia, essiccato da troppo tempo. Arrugginiva Oberyn, imprigionato nell'iniqua inerzia d'una pace bugiarda, nelle sleali leggi d'una tregua contraffatta. Quel debito che i Lannister non avevano pagato ti stava depredando il respiro, schiacciando lo sterno. E tu spezzavi lance, ti riducevi in polvere fino a confonderti con la sabbia.
Elia appariva nel delirio delle allucinazioni e all'apice del dolore -per il resto, s'era dileguata più in fretta del profumo delle sue candele. E poco -nulla- importavano i tuoi tentativi d'opporti all'oblio inesplicabile di quelle stanze vuote. Per dimenticare di stare dimenticando ti sottoponevi a ogni genere di prova, ti sfiancavi nel deserto fino a sciogliere la tua identità, vomitavi il fiele insieme agli ansiti. Il furore del tuo sangue ruggiva imperioso: quando urlavi, non riuscivi più a sentire la tua voce. La vita ti stava mangiando vivo.
-Ho promesso a Doran che avrei lasciato perdere, Ellaria. E adoro infrangere le promesse.-
Sorrise, Ellaria, perchè sapeva quanta remota bellezza si celava in quelle parole- quanta infinita disillusione. Sapeva che tu appartenevi alla leggenda, alla voce delle madri che raccontano in un sussurro le fiabe ai loro figli. Vincolato ad un nome, come un'ombra che si allungava sempre di più.
-Mai quanto le promesse adorino infrangere te.-
Dovevi stare ben attento a trovarti dalla parte giusta, la parte giusta; eppure quelle dita ti stavano già serrando stretto, la morsa d'un amore ch'era uno spasmo di viscere, il flusso del sangue. Ma d'altronde, niente era più come prima. Il tuo sole sorgeva ad ovest. Le tue notti erano infestate di fantasmi. E le tue lance si spezzavano.
Quindi, non restava che andare troppo veloce.


Fu quasi con un sorriso beffardo che accogliesti quel pensiero, alla fine -che il sangue in bocca suscita un vago sentore di ruggine. L'ultima cosa che riuscisti a fare fu sputarlo sul pallore della rena.


































Note dell'Autrice: Ciao a tutti. ^-^ Innanzitutto volevo ringraziarvi per il calore con cui avete accolto questa mia umile raccolta, a quanto pare Elia ha molti fan. Sono lieta di constatarlo. Ma in generale tutti i Martell sono fantastici... E il protagonista di questo capitolo, a mio parere, è uno dei migliori.
Oberyn Martell, che abbiamo avuto modo di ammirare nella prima puntata della quarta stagione (occasione che spero si ripresenterà stasera su Sky Atlantic...), è un figo, un combattente, ma sostanzialmente una testa calda con un cuore tenero. Nonostante la sua furbizia e la sua spavalderia, la famiglia significa molto per lui -come per gli Stark e i Lannister, d'altronde.
E qui ho cercato di rendere il suo bellissimo rapporto con Elia, che credo sia stata addirittura una figura materna per lui, in quanto sorella maggiore, ed allo stesso tempo amica e confidente. E poi è successo quel che è successo...
Mi piace creare correlazioni come queste nei vari capitoli, nei quali alla fine non si parla soltanto dello specifico protagonista, ma allo stesso tempo anche di altri, sotto diversi punti di vista.
Che dire? Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che esprimiate il vostro parere. L'appuntamento è la prossima settimana con Doran. Grazie ancora per avere letto fin qui,
Lucy

  
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