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Autore: sereve    16/04/2014    1 recensioni
Raf e Cry, una storia romantica in uno sfondo apocalittico, ma, come si sa, non si può decidere quando l'amore ti colpirà.
tratto dal ... capitolo: "Mi ritrovai davanti ad un paio di occhi grigi; quasi facevano paura da quanto erano chiari. Cercavo di muovermi ma ero come bloccata, ipnotizzata, quasi, da quello sguardo, che sembrava volermi leggere dentro. Vidi dietro di lui uno spostamento d’ombre e osservai, terrorizzata, il mostro che avanzava lentamente verso il ragazzo sconosciuto, puntando dritto al suo collo."
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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questo capitolo è lunghetto, per compensare quello di ieri! spero vi piaccia
sereve.


in trappola


~~ *“ero avvolta in un vestito lungo; le rifiniture dorate nel fianco sinistro formavano disegni tribali sopra il color smeraldo del tessuto. Una scollatura a cuore lasciava scoperte le spalle ma, anche se ero in mezzo la neve, non sentivo freddo; coi piedi scalzi, camminavo, facendo sciogliere i cristalli di neve e,ad ogni passo, lo scricchiolio del terreno si faceva sentire di meno.
Camminavo lungo una collinetta, imbiancata, dove i segni del mio passaggio si cancellavano mano a mano che scendeva la neve. Lucy era al mio fianco in silenzio, magari aspettando che fossi io la prima a parlare.
- Chi è Rafael? – chiesi, dopo un certo periodo di tempo, camminando ancora
- Lo sai chi è, sorella, vi siete già incontrati-
- Non è vero. Oppure si, ma dammi più informazioni, te ne prego- mi fermai, afferrandola per un braccio e facendola voltare. Indossava un vestito sbarazzino, un tubino nero e corto che le fasciava il corpo e che non lasciava spazio all’immaginazione. Ai piedi portava della ballerine nere a pois bianchi.
- Non posso, non ancora, ma abbi fiducia in me Cry.. – disse mentre ai miei occhi si colorava tutto di nero.. “
Un urlo mi si strozzò in gola mentre aprivo gli occhi. Ero ancora dentro la farmacia,distesa sul pavimento gelido, mentre cercavo di fermare il tremore che si era impossessato del mio corpo; dovevo assolutamente uscire Da questo posto e tornare a casa, il più velocemente possibile.
Feci per alzarmi, ma qualcosa mi teneva ancorata al terreno. Presa dal panico, cercai di rimettermi in piedi e di togliere qualsiasi cosa mi stesse tenendo ferma; mi dimenai, per quando potessi riuscirci, dato che ero completamente prima di forze: il morso si faceva sentire ogni volta che voleva, e nei momenti peggiori.
Con le mani mi aggrappai a ciò che mi teneva per le spalle, ma mai mi sarei aspettata di trovare qualcosa di caldo, per la precisione a due mani, forti e mascoline. Alzai lo sguardo, finché non incontrai gli occhi grigi del ragazzo, che mi guardavano con un aria leggermente preoccupata. Smisi di agitarmi e feci per rilassarmi, quando un conato di vomito non fece per salirmi in gola.
- Ti prego- lo scongiurai – ti prego, lasciami.
Gli volsi lo sguardo più supplichevole che avevo e, mentre lui mi osservava indeciso e,avendo abbandonato un po’ la pressione sulle mie spalle, sgusciai via da lui e mi diressi traballante nel bagno. Feci a tempo a chiudere la porta che mi accasciai sopra al water per rimettere la mela sfortunata.
Mi abbandonai così al fresco pavimento, ma prima di chiudere gli occhi del tutto e svenire di nuovo, vidi aprirsi la porta ed entrare un paio di Nike bianche e grigie.

Quando rinvenni, mi resi conto di non essere più dentro la farmacia, bensì in una stanza bianca, distesa sopra un morbido letto a baldacchino: le coperte blu cobalto entravano in contrasto con il rosso acceso dei mobili; una libreria piena di libri, di cui non riuscivo a leggere i titoli, era posizionata vicino alla finestra. Le tende erano scostate per far entrare più luce possibile, finché il sole di quell’ora l’avrebbe permesso. Notai che i vetri non erano sbarrati, quindi dovevamo essere al secondo o terzo piano di una casa; tanto meglio, almeno non avrei dovuto usare quell’orribile luce elettrica. Continuando ad osservare l’ambiente circostante, mi resi conto che mi resi conto che non c’era niente di femminile in quella camera e, quando notai delle armi,tra spade e pistole, appese alla parete ne ebbi la certezza.
Scostando le coperte pesanti, mi resi conto di essere senza pantaloni e di avere la coscia ferita completamente fasciata; le garze mi bloccavano i movimenti, quindi feci più fatica del solito a scendere dal letto. Indossavo solo una lunga e logora felpa verde, le cui maniche scendevano fino a coprirmi le mani; dovetti infatti arrotolare le maniche più e più volte per riuscire a vederle.
I calzini, che tendevo a portare lunghi fino al ginocchio, se non oltre, erano scesi fino alla caviglia, così mi avvicinai alla sponda del letto e ci appoggiai il piede per tirare su il calzino; mentre stavo tirando su l’altro, la porta si aprii e mi voltai di  scatto. Il ragazzo con gli occhi grigi, in quel momento un po’ sgranati, mi osservava con dei vestiti in mano e la bocca un po’ aperta.
-cosa?- chiedo io di rimando
-cosa?-  ripeté lui, non capendo. Io mi limitai a indicarlo col il dito e finii di tirarmi su il calzino. Appoggiai nuovamente la gamba fasciata e mi voltai, incontrando la mia immagine nello specchio nell’angolo, che non avevo notato prima: i capelli neri mi arrivavano un po’ sotto la vita, mentre la felpa mi copriva metà coscia. I calzini neri con i rombi marroncini e bianchi completavano il tutto.
Imbarazzata come non mai, mi rivoltai verso lo sconosciuto e abbassai la testa, con le guance in fiamme; non avevo assolutamente intenzione di chiedergli se mi avesse cambiato lui, troppo sconcertante. Quando fui sicura che il rossore fosse passato, alzai lentamente gli occhi e lo trovai a fissarmi attentamente; non sapevo cosa dire o fare, quindi mi misi a torturare la base inferiore della felpa, un po’ per tirarla il più giù possibile, un po’ per l’imbarazzo. Alcuna ciocche corvine mi finirono in faccia, così allungai prontamente la mano per riportarle dietro l’orecchio; il movimento di per sé non faceva male ma,quando sfiorai il collo, trattenni a stento un mugolio di dolore: il morso aveva incominciato a pulsare e mi serviva assolutamente la pomata della farmacia.
Per tutto il tempo il ragazzo che avevo davanti non aveva fiatato e non si era mosso di un millimetro; alzai di scatto la testa spaventata quando sentii dei passi verso di me.
Scema, è lui! – mi rimproverò la mia vocina interiore; chiusi gli occhi per non fargli vedere che stavo roteando gli occhi.
Certo che so che è lui, ma ho preso un colpo, lo capisci?- quella voce era fastidiosamente assillante, quando voleva. Riaprii gli occhi, trovandomi a fissarne altri due grigio chiari: non sapevo bene quando si era avvicinato, ma poteva essere pericoloso; forse era meglio mettere delle distanze tra me e lui.
Tremante sotto il suo sguardo vigile, feci qualche passo indietro, ma più ne facevo e più si avvicinava; e ora? Sentivo quasi già il muro alle mie spalle, quindi allungai le mani in avanti, per bloccarlo; purtroppo, per niente intimorito dal mio gesto di tenerlo lontano, si avvicinò ancora di più e arrivò a poggiare il suo petto nelle mie mani. Io, d’altronde, non potei che arrossire: non ero mai stata così vicina ad un ragazzo che non fosse stato mio padre o uno dei miei parenti; in più nella mia classe alle superiori, la mia era l’unica ad avere ventidue studentesse e zero studenti. In più non amavo tantissimo il contatto fisico, o la sola vicinanza di qualcuno che non conoscessi.
Ero in trappola e non avevo la minima idea di cosa fare; girai la testa sia a destra che a sinistra in cerca d’una via di fuga, ma, avendo capito le mie intenzioni, il ragazzo si appoggio contro il muro con i palmi delle mani. La sua faccia era sempre più vicina alla mia, quindi potevo benissimo notare i dettagli del suo volto: le labbra carnose, la barba mattutina che non si era ancora rasato; le guance rosate che in alcuni punti presentavano delle piccolissime cicatrici, notabili solo da vicino; un leggero accenno di occhiaie, magari per aver passato la notte sveglio, e gli occhi. Oh, quei bellissimi occhi grigi, contenenti delle pagliuzze dorate e argentate, risplendevano, illuminate dalla luce che filtrava dalle tende vicino a noi.
Dopo un attenta analisi del suo viso bellissimo, passarono cinque minuti pesanti, intrisi di nervosismo da parte mia e di curiosità (forse) da parte sua. Mi schiarii la gola per richiamare la sua attenzione e gli chiesi : -ehm, scusa, potresti … - lasciando in sospeso la domanda, lasciando intendere il mio desiderio di riavere i miei spazi personali.
-Si?- disse, con un misto di curiosità e ilarità che potevo benissimo leggere nei suoi occhi.
Oddio, e ora che gli dico?- tienimi stretta e non abbandonarmi mai!- non glielo dico neanche morta, idiota- guarda che mi chiamo Summer- da quando ti chiami così scusa?- che ti posso dire.. mi piace questo nome!- lasciamo stare.
-allora?- mi chiede di nuovo, spronandomi a completare la domanda.
-potresti per favore spostarti?- chiesi, nevosa
-no
-come no, scusa? – gli chiedo vagamente confusa
- N. O.
Lo incenerisco con lo sguardo più cattivo che possiedo, ma a quanto pare non fa effetto, dato che scoppia a ridere. Ma guarda te se mi dovevo trovare un deficiente come salvatore, aiuto!
-levati di mezzo!- gli rispose bruscamente, e fortuna che mi ero trattenuta: quelle poche volte in cui mi arrabbiavo diventavo peggio di una stronza. Non doveva aver capito la frase, quindi gliela ripetei di nuovo.
- senti,- iniziai di nuovo, cercando di stare più calma possibile- potresti levarti, sei troppo vicino.
-di che hai paura stando vicina a me?
-beh, non ti conosco, dimmi perché non dovrei preoccuparmi? - chiedo ironicamente; ma questo qui c’è o ci fa?
-perché ti ho salvato per due volte?
No, ora stava esagerando; una volta lo ricordavo, ma due? Decisi di non rispondergli, quindi mi limitai a guardarlo negli occhi e a starmene zitta. Non sperare che sprechi il mio fiato per uno che non ascolta quello che gli  chiedo e fa il saputello.
I minuti passarono in completo silenzio, senza smettere di osservarci a vicenda. Stavo seriamente incominciando a stufarmi e notavo che la luce che entrava dalla finestra si stava affievolendo; dovevo assolutamente andare via di lì per tornare nel mio rifugio sicuro e non sapevo di mi trovavo. Sbiancai al pensiero di farmi Windermere a piedi di notte con quei mostri: sicuramente uscivano di più di notte che di giorno. “ok”, mi dissi, “vocina.. Summer, pensa con me ti prego”
Stupralo, magari poi ti lascia andare, chi lo sa. O dagli una botta in testa  e tenta la fuga.
“oddio, ma sei peggio di Lu!”. La mia povera sorellina..
A pensarci mi si inumidirono gli occhi; chissà se stava girando per la città cercando di nutrirsi di qualche povero innocente, come lo era una volta lei, oppure era stata uccisa di nuovo.. forse era meglio non rifletterci troppo su.
La mia pancia, che borbottava di tanto in tanto, si chiuse in una morsa letale: se pensavo al cibo mi salivano già i conati di vomito. Mi portai una mano sorta la felpa, alla bocca dello stomaco e iniziai a massaggiare lentamente e con movimenti circolari per far passare un po’ il dolore; ero ancora in trance quando sentii una mano bloccare il mio massaggio.
-sei incinta?- mi chiese schiettamente il ragazzo, guardandomi attentamente.
Mi risvegliai bruscamente, come quando la sveglia suona e ti riporta nel mondo reale. Mi aveva veramente chiesto una cosa simile? Ma stava scherzando, vero? Ah, no, aspetta. Sto parlando con un cretino, giusto.
-no razza di cretino/idiota/maleducato/che non ha intenzione di spostarsi. Ma che domande del cavolo poni?- gli domandai infuriata. È così rovinò tutto. Zitta, scema.
- scusa, credevo- disse subito, alzando le mani in segno di resa, facendo in modo che potessi scappare da un lato. Feci una finta a destra e, nel momento in cui si lanciò per bloccarmi, mi spostai a sinistra, facendogli sbattere la spalla sul muro. Corsi alla porta, per scoprire che era chiusa a chiave. Ma quando era successo?
-sei intrappola zuccherino- disse il ragazzo, rialzandosi. Avevo sentito benissimo il soprannome che mi aveva affibbiato e lo odiavo già.
Emisi un ringhio basso, prendendo la rincorsa e cercando di sfondare la porta con la spalla, ma niente da fare: era stata sicuramente rinforzata con dell’altro legno o delle lastre d’acciaio al di fuori. Mi appoggiai con la schiena alla porta e mi lasciai scivolare fino a toccare il pavimento; lì,mi raggomitolai prendendo tra le braccia le caviglie e nascondendo la faccia tra le gambe, come una bambina.
-volevi spaccarti una spalla?- esclamò ironicamente il cretino.
Non risposi. Ero stanca, il morso faceva male, non sapevo in che situazione mi ero cacciata e non avevo con me nessun tipo di armi; almeno nessuno avrebbe sentito la mia mancanza perché non avevo più nessuno. Non esisteva chi poteva venire a salvarmi.
Mi alzai lentamente e mi trascinai a sedere su una sponda del letto, con la testa china. Sentii a malapena quando il ragazzo borbottò un “resterai qui finché lo riterrò necessario”; quando si richiuse la porta a chiave alle spalle, lasciai andare una risata amara, che presto si trasformò in un pianto con qualche singhiozzo. In quel momento avevo solamente voglia di tornare nella mia casetta, in camera mia, in compagnia del fantasma della mia vita passata e uno dei miei libri preferiti.
Chiusi gli occhi, affaticata, e cercai di riposarmi, un’impresa assai difficile nelle condizioni in cui ero presa. Non li riaprii nemmeno quando sentii la porta riaprirsi ed entrare il ragazzo di prima, portando qualcosa da mangiare: lo intuii dal profumo che aveva avvolto la stanza. Sentii la presenza del misterioso tizio che mi fissava insistentemente, così con un po’ di sforzo aprii gli occhi.
-cosa c’è?- chiesi flebilmente, notando il suo sguardo preoccupato
-stai male?
-diciamo di si- gli diedi mezza risposta, non volendo dirgli del morso; mi avrebbe uccisa subito sennò.
-di cosa hai bisogno?
Sentivo le forze scivolare via, risucchiate dal dolore che aveva occupato tutto il mio corpo senza permesso. Riuscii a dire -Belthezer – prima di svenire.

 




 
  
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