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Autore: breaking free    17/04/2014    0 recensioni
Blaine è un donnaiolo, frivolo e stronzo. Ah, anche coglione. Spreca la sua vita in bar e discoteche, bevendo e correndo il rischio di vivere troppo velocemente; Kurt è sensibile, ma allo stesso tempo forte, dice di non avere paura di niente quando sta scappando da se stesso. Ah, è anche malato.
Due persone completamente diverse, ma così dannatamente uguali.
Due persone che per scoprire loro stessi, dovranno perdersi del tutto.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Burt Hummel, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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"Se dovesse ricadere so che ci sarai tu a prenderlo."


Quando Blaine aveva scoperto che il signore pelato, nonché direttore dell’ospedale, era il padre di Kurt, aveva pensato che forse vivere insieme ad una persona che era stata così tante volte a contatto con la morte gli aveva portato sfortuna.
Non era ancora riuscito a capire come e perché Kurt fosse caduto sull’asfalto, qualche giorno prima, e se ci ripensava l’unica cosa che poteva fare era scoppiare a ridere per la sua goffaggine.
E sapeva anche che non era per la sua goffaggine che stava ritornando all'ospedale.
Quando la mattina di quel giorno stesso la polizia era andata a bussare al suo appartamento (quello che condivideva con Sammy) non poteva negare che aveva pensato al peggio: lei è arresto, oppure sua madre è in pericolo di vita.
Invece era un semplice Burt Hummel vuole vederla.
Per i primi dieci minuti di viaggio, da casa sua fino all'ospedale, si era domandato chi fosse questo Burt e poi, come uno sciocco, aveva ipotizzato che, avendo lo stesso cognome di Kurt, doveva essere il padre. E si ritrovò davanti l’uomo pelato della volta scorsa.
Con un cenno del capo salutò il signore ed entrò nel suo studio, sedendosi, senza aspettare un permesso speciale, su una delle due sedie che stavano davanti alla scrivania.
«Posseggo questo ospedale da… anni. »
Ed era vero. Sulle pareti bianche cadavere della stanza c’erano decine e decine di laure, fogli con firme importanti e attestati che puntualizzavano le capacità di Burt Hummel nel campo della medicina. Era davvero un bel traguardò, pensò allora Blaine. Se anche lui avesse intrapreso questa carriera, di sicuro i suoi sarebbero stati fieri di lui. Vedeva come sulla scrivania c’erano figli ammucchiati, ordinatamente, da un lato, penne disposte in fila in base alla loro grandezza, alcune spille e dei post-it di colore giallo acceso; c’era anche una lente di ingrandimento e un paio di occhiali gettati sopra al mucchio di fogli.
E poi, come se non dovesse spiccare alla vista, una fotografia incorniciata in fondo alla grande scrivania.
Un uomo con un capello da baseball in testa reggeva sulle spalle un bambino, con lo stesso capello macchiato di fango. Al lato del bimbo, invece, c’era una bellissima donna. Aveva la pelle chiara e gli occhi azzurri, e i capelli più biondi che Blaine avesse mai visto. E non gli ci volle molto per capire che quella era la famiglia di Kurt.
La madre del ragazzo era davvero una bella donna: sembrava così delicata e gentile, e non gli ricordava per niente la propria madre. E, chissà come, stava pensando al fatto che gli sarebbe piaciuto avere una mamma come quella di Kurt.
Come quando la campanella di scuola fa alzare i ragazzi dai propri banchi, così la voce nasale di Burt Hummel lo riportò alla realtà.
Lo stava fissando con insistenza, forse aspettandosi una risposta.
«Lo farai per me?»
Blaine alzò la testa, fissando senza nessun interesse il volto di Burt.
Biascicò un si, certo, un po’ titubante, non sapendo neanche a cosa si stesse riferendo: si grattò la testa e, in neanche trenta secondi, si ritrovò fuori dall’ospedale.
 
 
Da quell’esperienza, Blaine aveva imparato una cosa fondamentale: mai distrarsi in una conversazione, mai. Non aveva prestato attenzione alle parole speranzose di Burt Hummel e adesso era lui a dover fare da baby-sitter a Kurt. Dopo essersi ritrovato ancora in ospedale- hey, mettetemi giù non sono mica un pacco, so camminare da solo!- capì di aver fatto un grosso errore. Burt gli aveva chiesto di diventare amico di Kurt e di prendersi cura di lui, neanche fosse un bambino! Gli aveva raccontato (per la seconda volta, e stavolta pizzicando il braccio di Blaine affinché non si distraesse) di come Kurt non era stato mai capace di trovare un amico e del fatto che Lima gli piaceva tanto e che lo vedeva sempre solo, stare in camera sua o al parco. E gli aveva raccontato di come le persone lo prendevano in giro per la sua voce, o per la sua passione per la moda, o per il suo atteggiamento.
Finocchio, frocio, pazzo, diverso, malato, così lo chiamavano. E Blaine sentì una morsa al petto, perché anche lui, per un periodo di tempo, era stato chiamato così.
Gli aveva anche detto che loro da lì a un mese si sarebbero trasferiti e che Blaine non avrebbe rivisto più Kurt e che quindi sarebbe stato libero. Allora Blaine aveva chiesto perché aveva scelto lui.
«Perché non hai aspettato due secondi nell’aiutare mio figlio, e sei forte, se dovesse ricadere so che ci sarai tu a prenderlo.»
Allora Kurt era davvero una mozzarella, se anche il padre aveva detto che cadeva spesso!
Questo pensiero fece intenerire Blaine, che accettò (per la seconda volta) la proposta di Blaine. Ma la cosa più sorprendente di tutta quella storia era che, oh mio Dio, non posso crederci!, Blaine sarebbe stato pagato.
Qualcosa come settanta dollari, e anche se non erano molti l’idea di guadagnare qualcosa con le propri mani lo rendeva felice.
E tanto sapeva che avrebbe ricattato Burt per aumentargli lo stipendio.
E così doveva soltanto fingere di voler a tutti i costi diventare amico di Kurt, di parlargli e di portarlo in giro e di farlo divertire. Solo per un mese. E veniva anche pagato.
Meglio di qualsiasi altro lavoro!
La sua mente si chiedeva perché, con insistenza. E poteva sentire che c’era puzza di imbroglio, che la storia che Burt gli aveva raccontato non era chiara ma chi se ne importa!, rifletté il lato egoista di Blaine. E mandò a puttane tutte le domande.
Così, quasi saltellando dalla gioia, si diresse verso la camera di Kurt. Non capiva perché stesse ancora in ospedale, in fondo era solo caduto ed aveva perso i sensi e gli sembrava che no, non aveva battuto la testa per terra. Con un sorriso furbo sul volto, Blaine Anderson, bussò alla porta.
Quando entrò, si sentì morire.
Kurt era pallido, più pallido delle pareti o delle lenzuola: aveva gli occhi chiusi e respirava a fatica,
abbassando e rialzando il petto ad un ritmo molto lento. Era steso sul letto, con le mani lungo i fianchi e il mento rialzato, visto che la sua testa era appoggiata sopra un cuscino. Vedeva come i tubi infilzati nella pelle gli procuravano dolore, come il sangue che stava scorrendo dentro lo disturbasse, come soffrisse. E Dio!, se avrebbe voluto aiutarlo.
Kurt aprì gli occhi a fatica, come se si stesse sforzando a farlo, e sorrise leggermente, alzando di poco la mano per salutarlo.
«Blaine.»
Voleva scappare, andare via. Mandare al diavolo Kurt, il padre e quei dannati soldi. Avrebbe voluto dire che di Kurt non gliene fregava niente, meno di zero. Invece si ritrovò vicino al suo letto, dandogli la mano.
«Ciao.»
Sussurrò piano, quasi senza muovere le labbra. Kurt lo seguì con lo sguardo e gli lasciò la mano, che utilizzò per aiutarsi ad alzarsi e a sedersi.
Si guardò intorno e, notando lo sguardo preoccupato del ragazzo, gli rivolse un sorriso di incoraggiamento.
«Qui si preoccupano troppo.»
E Blaine non poté che ridacchiare, sedendosi sul bordo del letto, guardandosi intorno, cercando di evitare lo sguardo di Kurt.
«Perché sei qui?»
Gli chiese allora Kurt, cercando di attirare la sua attenzione, alzando la testa verso di lui.
Forse era stato il suo sorriso non appena aveva visto Blaine, o forse lo stato in cui era ridotto Kurt, o forse la grande mancetta che tra meno di un mese avrebbe avuto che convinse Blaine ad alzarsi dal letto e a dire: «Andiamo, amico, alzati da quella merda e andiamo a divertirci!»
  
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