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Autore: Minerva    14/07/2008    1 recensioni
Uno scrittore intrattabile e misogino, terribilmente sarcastico e abituato a comandare.
Un'infermiera tutta d'un pezzo che non si lascia mettere i piedi in testa da nessuno, con la lingua più tagliente di tutto l'ospedale.
Metteteli assieme per un periodo di tempo indeterminato, condite il tutto con ironia e dispetti.
Avete ottenuto la nuova storia originale della sottoscritta: da un'idea di MikaEla.
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lei, la nostra infermiera.



Rachel amava molto il proprio lavoro. Allo stesso tempo odiava più della metà dei pazienti. Non così fortemente da spingerla ad avvelenarli o altro, semplicemente trovava insopportabili tutti quegli arroganti ricchi che, ogni giorno, venivano ricoverati al Saint Clare, la clinica esclusiva per VIP, politici, attori e altra gente della stessa risma. Persone abituate a comandare a bacchetta il loro prossimo forti del loro spropositato conto in banca. Nonostante tutte le sceneggiate da primadonna a cui Rachel assisteva giornalmente, ancora non aveva perso la passione per il lavoro di infermiera.
Già! Rachel non era né un rinomato chirurgo, né un diagnosta al pari del dottor House televisivo. Lei era una semplice infermiera. E la cosa la rendeva immensamente orgogliosa.
Aveva capito, dopo oltre dodici anni di onorata carriera, che nessun altro medico o presunto tale si preoccupava davvero del paziente.
Per i chirurghi il paziente non era altro che un pezzo di carne da sezionare. L'immagine mentale che Rachel si era fatta di loro comprendeva anche un cartellone simile a quelli che vedeva a volte nei supermercati. Quelli con sopra disegnati una mucca o un maiale sezionati, e le varie parti numerate con la legenda di fianco. Quella era la visione che, secondo Rachel, ogni chirurgo aveva del proprio paziente.
Per gli internisti il paziente si riduceva alla malattia. Non li chiamavano mai per nome, si limitavano a dire "Quello della trecentodue, con il Parkinson."
Per i vari specialisti, invece, il malato non era altro che la parte di cui loro si occupavano. Per un oculista gli occhi, per un neurologo solo il sistema nervoso e via dicendo.
Per Rachel il paziente poteva essere simpatico, scorbutico, isterico... ma mai in relazione alla malattia che lo affliggeva.
Non avrebbe mai considerato il signor Smith più degno d'attenzione del signor White solo in virtù del fatto che il primo aveva una malattia più interessante del secondo.
E, lo ammetteva candidamente, le prudevano le mani per la voglia di dare un paio di ceffoni quando vedeva certi medici e i loro assurdi comportamenti.
Non che non glielo facesse presente. Rachel non aveva un carattere timido o remissivo, tutt'altro! Sospirando, e recuperando le cartellette dei pazienti, iniziò il giro di visite della mattina.
- Signor Foster! Come andiamo oggi? - domandò con brio l'infermiera, entrano nella stanza. Il signor Foster era un semplice operaio, che doveva la sua permanenza alla clinica solo grazie ai soldi del figlio, un musicista di una band di successo di cui Rachel nemmeno ricordava il nome. Il fatto di non essere uno dei soliti ricchi che venivano ricoverati lo faceva apparire agli occhi dell'infermiera molto più simpatico.
Lei scostò le tende dalla finestra, lasciando che i raggi del sole mattutino illuminassero la stanza al posto delle luci artificiali al neon. Il signor Foster era impegnato a leggere il giornale, e le rispose solo dopo una manciata di secondi.
- Oh! Signorina Sullivan, è tornata a trovarmi? - il signor Foster, come già detto, poteva stare in quella clinica grazie ai soldi del figlio, ma per sua stessa ammissione avrebbe preferito di gran lunga essere in un ospedale meno pretenzioso e con accanto a sé l'unico membro della famiglia rimasto in vita.
Sua moglie era morta tanti anni prima, dando alla luce Nathan. Lui non aveva più voluto risposarsi o cercare un'altra compagna. Almeno, questo era quello che aveva raccontato a Rachel, e lei non stentava a credervi. Le disse anche di aver donato al figlio dedizione, amore e affetto. Di averlo spronato a raggiungere il successo. Ed ora che Nathan lo aveva raggiungo, quel successo cui tanto agognava, si era dimenticato dei sacrifici del genitore.
Da quando il signor Foster era stato ricoverato due settimane prima, il figlio non si era mai presentato nemmeno a salutarlo.
- Signor Foster, questo è il mio lavoro. - replicò lei, sprimacciando il cuscino e controllando la flebo. Benché capisse il suo stato d'animo, non poteva permettersi di indossare i panni di un'amica. Lei era lì per lavoro e così doveva essere. Affezionarsi ai pazienti non andava mai bene. Essere cortese e disponibile, sì, certamente. Comportarsi come una figlia perduta, no! Si rischiava solo di fare danni. Rachel ricordò con un mezzo sorriso il suo primo paziente quando era ancora una tirocinante.
Kornad Liegis, un ottantaquattrenne che aveva subito un lieve infarto. Nessuno dei suoi figli, né tantomeno i nipoti, erano mai passati a trovarlo. Rachel si era assunta il ruolo di una specie di nipotina. Restava a fargli compagnia anche oltre il suo turno normale, restando con lui per ore intere. Dietro insistenza dello stesso Liegis era arrivata a passare con lui anche la pausa pranzo. Non si era resa conto che col suo comportamento stava trascurando gli altri pazienti. Aveva in mente solo il povero signor Liegis, a cui dedicava anche le parti di attenzioni di tutti gli altri pazienti. Quando poi era stato dimesso, questi non aveva mai nemmeno mandato una cartolina a Rachel, ignorandola semplicemente come se non fosse mai esistita. Era tornato alla sua vita di sempre, e della giovanissima tirocinante che lo aveva accudito con tanto affetto non poteva che interessarsene meno di nulla.
Era stato un piccolo, ma quantomai utile colpo per l'infermiera. Aveva capito che il lavoro era solo un lavoro.
Con una scrollata di capo, Rachel tornò al presente e vide l'espressione del signor Foster rabbuiarsi aggiunse - Ma, non lo dica a nessuno, lei è il mio paziente preferito! - un mezzo sorriso si dipinse sul volto dell'anziano degente.
- Adesso si lasci misurare la febbre. - esordì lei piazzandogli un termometro sotto l'ascella. Segnò le temperature, misurò la pressione e tastò le giunture chiedendo se dolessero. Quella prassi si ripeteva dal giorno del suo ricovero. Adesso Rachel avrebbe spuntato alcune voci sui fogli che si portava perennemente appresso, lo avrebbe salutato e avrebbe imboccato la porta per andare dal paziente successivo.
Avvenne tutto con regolarità, proprio come il signor Foster aveva previsto.
- Signorina Sullivan. - la chiamò mentre lei stava per uscire dalla stanza.
- Sì? - rispose distratta, leggendo la cartella del paziente successivo.
- Come sta lei oggi? - domandò il paziente.
- Come? - Rachel era realmente stupita, nessuno dei suoi pazienti si era mai preoccupato di come stesse lei. - Bene, come al solito. - rispose alzando leggermente le spalle. Il signor Foster non replicò oltre, si limitò a sorriderle per poi tornare a leggere il giornale.
Senza ulteriori indugi l'infermiera si diresse nella camera successiva. Tanto il signor Foster era simpatico, quando il signor "Lamentela continua" era insopportabile. Rachel contò preventivamente fino a dieci e respirò profondamente, ancor prima di abbassare la maniglia.
- Buongiorno signor Harrison. - salutò neutra mentre prendeva la cartelletta appesa ai piedi del letto e iniziava a segnare.
- Finalmente si è degnata di arrivare! - sbottò quello in risposta, tirandosi mezzo a sedere con sorprendente agilità per chi accusa un doloroso mal di schiena. - Lei non sa cosa ho passato questa notte! - aggiunse poi, puntandole un dito contro.
Puntellò i gomiti sul soffice materasso, continuando a tenere la schiena in una posizione innaturale. Né sollevata, né distesa.
Non ci è rimasto secco, in ogni caso! Pensò Rachel scuotendo impercettibilmente il capo. Senza nemmeno rispondere prese i valori di temperatura e pressione, appuntandoli nelle caselle della scheda medica.
- Ma mi sta ascoltando?! - più che una domanda era un'accusa, Rachel sospirò.
- No. In realtà no, dato che per una persona che soffre di mal di schiena stare in quella posizione è qualcosa di impossibile. - spiegò calma lei. L'altro si rabbuiò immediatamente, rendendosi conto di esser stato colto in fallo. Rachel non aveva di certo la speranza che bastasse questo a zittirlo, tutt'altro. Molto probabilmente lo aveva appena reso più acido di prima.
- Sta forse insinuando che io non stia davvero male? - ecco... ecco che iniziava.
- Potrei. Credo di essere anche abbastanza qualificata per giudicarlo. - replicò, continuando il sistematico controllo del paziente.
- Come si permette! Io... -
- Lei ora si stenderà, e la smetterà di piagnucolare perché io non ho intenzione di ascoltare delle assurde lamentele infondate. Lei potrà essere un ospite pagante di questa clinica, ma nulla la autorizza a tartassare le infermiere con le sue manie di protagonismo. - e con un gesto deciso lo rispinse supino - Ora mi ascolti bene, perché non mi ripeterò. I suoi dolori alla schiena derivano solo da un'errata posizione quando lei sta seduto o sdraiato, esattamente come prima. Non ha alcuna ernia o infezione o il diavolo sa cos'altro! Se ne faccia una ragione e si decida a correggere quei vizi. Qui noi non possiamo fare nulla, se non imbottirla di antidolorifici. -
Il signor Harrison aveva chiamato a sé i migliori ortopedici per farsi spiegare il motivo del suo "terribile" mal di schiena. Nessuno di quei luminari aveva trovato nulla. Solo dei muscoli indolenziti che, con ogni probabilità, avevano provocato qualche leggero fastidio. Ma nessuna spiegazione aveva convito quel cocciuto paziente, che si ostinava a credere ad un complotto nei suoi confronti. Sicuramente, pensava, gli stavano tenendo nascosta qualche patologia gravissima e rarissima.
Rachel provò un debole piacere nel vederlo boccheggiare, pallido e sconvolto, davanti alla sua reazione. Si era stufata, lei, di sentire le sue lamentele per tre giorni di fila. Sarebbe rimasta a godersi quella scena per un bel pezzo, se il giro visite fosse stato concluso. Dato che così non era, decise di finire in fretta le formalità col signor Harrison.
- Il braccio. - ordinò poi, senza aver bisogno di spiegare. Da quando era stato ricoverato e si era scoperto essere così maledettamente insopportabile, Rachel aveva deciso di rendergli pan per focaccia. Voleva a tutti i costi attenzione? Perfetto! Ogni mattina lei gli avrebbe fatto un prelievo del sangue, per tutte le analisi di routine.
Che fosse una spesa inutile lo sapevano bene entrambi. Lei perché era conscia di aver applicato quella prassi su di un paziente che non aveva alcun bisogno di un tale controllo, lui perché si rendeva conto della labile connessione logica fra "mal di schiena" e "prelievi giornalieri". Sapeva quindi perfettamente che tutti i soldi che gli venivano spillati per quegli esami erano soldi buttati. Però non aveva mai protestato. Farlo avrebbe significato ammettere di star esagerando la cosa. Dato che ogni giorno millantava un morbo nuovo, una nuova patologia, non poteva proprio lamentarsi dell'estrema cura che Rachel impiegava. Si era reso conto di essersi pressoché incastrato da solo, e la cosa lo irritava.
Finito il prelievo l'infermiera lasciò la stanza senza nemmeno salutare. Con passo deciso, e decisamente galvanizzata dalla vittoria sul signor Harrison, entrò nella terza stanza.
- Signora Mayers, cos'ha oggi? - domandò consapevole della sequela di lamentele che l'avrebbero sommersa dopo questa domanda.
- Ho sentito che il signor Harrison ha la meningite! - esclamò preoccupata la trentenne stesa nel letto - Ed è da quando l'ho sentito che provo un male terribile al collo. - proseguì, tastandosi delicatamente la gola. Rachel sorrise. Elizabeth Mayers era un'ipocondriaca di prim'ordine. Il giorno del suo ricovero aveva intravisto un bambino con la varicella, ed aveva affermato di aver visto delle bolle sospette sul suo braccio sinistro. Meno simpatico era stato quando si era quasi spellata il braccio a furia di grattare queste bolle immaginarie. A nulla erano valsi i tentativi di medicinali placebo che il dottor Steven le aveva portato. Si era accorta che erano semplicemente dei blandi antidolorifici.
Il dottor Steven aveva presto capito che la paziente era tutto fuorché disinformata. Sempre attaccata al palmare alla ricerca di nuove, accattivanti malattie che sicuramente l'avevano contagiata - come non ricordare quando aveva affermato di aver contratto la Febbre Gialla? - e a proporre, ordinare per la precisione, al medico la sicura cura con cui debellarle.
Mentre l'infermiera continuava con tutta la solita routine, la paziente non smetteva per un momento di blaterare sulla meningite che sicuramente l'aveva colpita.
- La meningite procura anche dei forti dolori localizzati solo alla schiena? - domandò casualmente Rachel
- No! Non mi risulta, può provocare dolori ai muscoli, ma non solo alla schiena! - sbottò Elizabeth sconvolta dalla domanda, e per sicurezza si buttò sul palmare e digitò frettolosamente qualcosa. Una manciata di secondi dopo tirò un sospiro di sollievo - Proprio come dicevo io! Nessun dolore localizzato alla schiena. -
- Bene, allora stia tranquilla. Il signor Harrison accusa solo un forte dolore alla schiena. Non è meningite. - ghignò lei misurandole la pressione.
- Ma io sono sicura... -
- Non lo metto in dubbio. - la interruppe Rachel - Ma credo di sapere i sintomi di un mio paziente meglio delle chiacchiere di corridoio. -
- Oh. Certo, non volevo mettere in discussione la sua preparazione e le sue conoscenze. - rispose acidamente la signora Mayers, con un tono che diceva l'esatto contrario.
- Signora Mayers! - esclamò Rachel preoccupata - Questo sfogo sul gomito quando le è venuto? - preoccupata la paziente iniziò ad esaminare con cura il gomito incriminato. Lo trovò leggermente arrossato, ma questo poteva nascondere qualche sintomo di un'esotica malattia mortale!
Senza curarsi più dell'infermiera, che nel frattempo dovette girarsi per non scoppiare a ridere, afferrò l'amato palmare e diede inizio all'ennesima ricerca medica, sfogliando febbrilmente le pagine virtuali e leggendo tutto ciò che di utile, e di inutile, vi trovava.
Soddisfatta di come era riuscita a distrarla Rachel se ne andò, lasciando la paziente senza nemmeno salutare.
Appena fu sicura di essere fuori dal raggio delle sensibilissime orecchie di Elizabeth si concesse una risata liberatoria, seguita da un sospiro. Aveva ancora altri cinque pazienti da controllare, ed era già sfinita. Con passo lento si avviò verso la quarta porta pensando che, certo, a volte quello era proprio un lavoro ingrato, ma ci si poteva togliere degli sfizi che compensavano il resto.

***


Note dell'autrice:

Ed eccoci qui alla fine del secondo capitolo.
Senza betatura.
Eh, sì! Il mio beta di fiducia è irreperibile, e dopo una settimana di attesa ho deciso di pubblicarla così. L'ho ricontrollata fino allo spasmo, ma se c'è qualcosa di scorretto segnalatemelo!
Noticina tecnica: io lo so che MikaEla ha pensato ad un'infermiera molto più dispettosa della mia Rachel, ma ho riflettuto sul fatto che non potesse far tanto di peggio senza rischiare il licenziamento.
Dato che vorrei dare alla storia un'apparenza di adesione con una realtà nota ho deciso di trattenermi su tutto ciò che potrebbe fare Rachel.
Bene, e dopo questo capitolo monografico e di introduzione sulla seconda protagonista della storia, vi lascio e mi dedico alla scrittura del terzo capitolo.
  
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