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Autore: kiara_star    18/04/2014    4 recensioni
[Sequel de “La carezza di un'altra illusione”]
[a sort of Thorki; fem!Thor]
~~~
C'erano cose di cui Thor non parlava mai, c'erano storie che forse non avrebbe mai narrato. C'erano domande che Steve porgeva con qualche dubbio.
“Perché continui a vedere del buono in Loki?”
“Perché io so che c'è del buono.”
[...]
Siamo ancora su quel balcone?
Ci sono solo io?
Ci sei solo tu?

“Hai la mia parola, Loki, non cambierà nulla.”
Ma era già cambiato tutto dopo quella prima menzogna e non era stato suo fratello a pronunciarla.
~~~
~~
Ancora oggi Nygis riempie il cielo di stelle continuando a piangere per il suo unico amore, nella speranza che un dì ella possa tornare da lui.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Gender Bender, Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La leggenda di Nygis'
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cap21
L' ultima lacrima



XXI.





Frigga si trovava alla sinistra del seggio regale, in piedi, con la mano poggiata sull'oro della seduta su cui Odino guardava Freyja avanzare con lentezza.
La Signora di Vanaheim indossava seta color zaffiro e avorio, oro, gemme, e i lunghi capelli neri raccolti da fermagli finemente lavorati. Sul viso, pallido e perfetto, gli occhi color notte contornati dal fine carbone.
Giunta alle scale, Freyja fece un cenno con il capo e guardò dapprima Frigga, che ricambiò il saluto, e poi Odino.
La regina di Asgard prese un respiro profondo piena di inquietudine.
«Odino, mio buon amico, ti chiedo di perdonare la mia visita improvvisa, ma avevo urgenza di conferire quanto prima con te.»
La voce priva di cedimenti e lo sguardo carico di fermezza.
«Dimentica pure gli obblighi noiosi posti dall'etichetta, regina Freyja, e spiegami pure da cosa nasce la tua urgenza. Mi auguro solo che le questioni di cui vuoi discorrere valgano la fatica del tuo lungo viaggio.»
Freyja assentì ancora con il capo e comandò alle sue guardie di lasciare la sala.
Odino non chiese il motivo e si limitò a impartire il medesimo ordine alla sua guardia reale.
Quando l'ultimo soldato lasciò la sala, chiudendo dietro sé il pesante portone, il silenzio che scese fra i tre sovrani fu presto spezzato.
«Styrkárr è tornato.» All'udire quel nome lasciare le labbra di Freyja, Frigga sospirò chiudendo le palpebre.
«Sei venuta fin qui perché temi ancora quel traditore, Freyja? Sei diventata una regina timorosa» mormorò Odino accarezzandosi la fronte.
«Il timore per quel traditore, con cui ti stai prendendo gioco di me, ha ben motivo di esistere, Odino. E parte della responsabilità ricade su di te.»
«Spiegati!» Frigga non riuscì a tenere le parole sulla lingua. Abbandonò il posto che le spettava per ruolo e scese per raggiungere la donna.
«La vista del vostro guardiano è leggenda in ogni regno, Frigga, non venire a chiedere a me risposte che già possiedi.»
«Basta parlare per enigmi, Freyja, se hai accuse da fare ponile in fretta, cosicché possa zittirti come si conviene a chi osa varcare la soglia della mia casa puntando il dito» tuonò Odino dal sul seggio. Ma Freyja non mostrò offesa o paura, annuì con il capo e guardò dritto il sovrano.
«Fra le mani di Styrkárr vi è l'arma che ha a lungo bramato, Odino, ed è stato tuo figlio a render possibile che un tale pericoloso evento si realizzasse.»
Frigga sentì il cuore saltarle nel petto.
Lei non aveva avuto notizie di ciò; Heimdall non si era pronunciato in merito a un legame fra Styrkárr e Loki, né alla possibilità che Mjolnir fosse ora alla mercé di quell'uomo folle.
Ma sul viso di Odino, Frigga non lesse lo stesso stupore, e benché di maschere suo marito possedesse una vasta collezione, sapeva bene che non era questo il motivo di quella freddezza.
«Tu sapevi?» gli chiese dimenticando la calma.
Odino non rispose e la regina si sentì coprire di vergogna.
«Tuo figlio ha aiutato Styrkárr nei suoi intenti e adesso spetta a te fare in modo che ciò non porti a catastrofiche conseguenze» continuò ancora Freyja. «Se anche il pericolo che investe Vanaheim non si riflettesse su Asgard, saresti comunque in dovere di mostrarmi la tua alleanza, come l'antico patto ti obbliga, Odino.»
«Se è il mio aiuto per rintracciare e abbattere una volta per tutte quel traditore che chiedi, Freyja, non hai bisogno di ricorrere a questi infantili espedienti» ribatté Odino. «Conosco bene l'accordo firmato con il sangue di mio padre, per cui evita di rammentarmelo.»
«Allora spiegami perché ho avuto notizia di ciò solo adesso, quando il tuo guardiano ha veduto diversi soli fa ciò che stava accadendo su Midgard.»
«Freyja...» Frigga le si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla nuda. «Se non hai avuto notizie è perché non ne eravamo in possesso.»
«Non c'era alcuna minaccia su Midgard, per quel che Heimdall poteva vedere» aggiunse Odino e Frigga fu costretta ad assentire con difficoltà; fu costretta a recitare il ruolo di moglie obbediente e regina fedele, benché non volesse altro che dimenticare di quale freddezza era capace l'uomo che aveva sposato.
Quando era tornata a palazzo, Odino l'aveva accolta con silenzio, e quando lei gli aveva chiesto di sollevare Heimdall dal suo ordine e permettere che Thor e Loki tornassero ad Asgard, era arrivata la rabbia.
Sto solo facendo ciò che giusto.” Aveva solo risposto lui a ogni sua domanda.
«So che non sono le minacce ai nostri regni gli argomenti che occupano la vista del tuo guardiano, Odino.»
Frigga si sentì irrigidire dallo sguardo di Freyja, da uno sguardo che parlava, così come parlava, urlava, il silenzio che scese fra i tre. Poi fu la regina di Vanaheim a riprender parola: «Qualsiasi questione tu abbia in sospeso con i tuoi figli, va messa da parte dinnanzi a ciò che potrebbe distruggere la quiete e la pace di Vanaheim e di Asgard. Ti chiedo di agire solo come il tuo ruolo ti impone. Nulla di più, nulla di meno.»
Osservò il viso perlaceo della donna, i suoi occhi marchiati di nero, le labbra rosee e serie.
Poi guardò Odino che dal suo seggio pareva più vecchio e più stanco che mai.
«Quando Styrkárr sarà realmente una minaccia, allora agirò» affermò con voce atona, priva anche di fermezza, priva di ogni emozione.
«Lo è già! E tu lo sai.» Le emozioni di Freyja, invece, viaggiarono su ogni singola parola che pronunziò. «Ritieni la mia visita un gesto di rispetto verso la nostra amicizia prima ancora che verso il tuo trono di PadreTutto. Se però non vorrai dare ascolto alle mie parole, mio buon amico, è bene che tu e la tua saggia compagna sappiate che giungerò di persona su Midgard per pretendere da tuo figlio le risposte che mi stai negando.»
«Tu non lo farai, Freyja!» tuonò rabbiosamente Odino sbattendo il pugno sul bracciolo dorato. Il tremore del labbro tradì la sua collera, la sua agitazione, forse i suoi timori.
Freyja però non parve nascondere alcuna paura. Continuò a guardare con risolutezza suo marito.
«Non ho bisogno del tuo permesso per farlo. Se non avrò il tuo aiuto, stai pur certo che saprò trovarlo altrove.»
Quando la sovrana dei Vanir gli diede le spalle, Frigga vide Odino scattare in piedi e reggere con livore Gungnir.
«Non ti darà il suo aiuto. Non ti darà niente di ciò che chiederai.» Le parole di Odino risuonarono nella stanza con tale sicurezza che Frigga si sentì tremare il cuore. Deglutì e cercò di celare nel suo sguardo la tristezza e la rabbia che gli provocava vedere tanto astio negli occhi del suo sposo, tanto astio verso loro figlio.
«Potrei comunque tentare, mio re» sentenziò Freyja tornando a mostrar loro il suo volto. «Chiederò il suo prezzo e sarò disposta a pagarlo.»
Una risata abbandonò la gola di Odino mentre scuoteva il capo.
«Non vi è prezzo, non esiste somma per pagare la sincerità di chi non ne ha mai posseduta.»
Per l'ennesima volta Frigga si sentì travolgere da mille vili sentimenti, e tutto ciò che avrebbe voluto era urlare contro l'uomo che l'aveva scelta come compagna di vita, urlargli la sua rabbia e la sua indignazione; chiedere a Freyja di farlo, di andare su Midgard e riportare Loki da lei, di riportarli entrambi da lei.
Non poteva, perché prima di essere una madre in pena, era una donna; prima di essere una donna era una regina, e come tale aveva doveri ai quali, seppur con sofferenza, doveva adempiere. Non poteva contraddirlo, non poteva dirgli quanto fosse sciocco comportarsi così, quanto si mostrasse debole a tenerli lontani dagli occhi e dal cuore.
«Ti porrò questa domanda ancora una volta e aspetterò una risposta che rispecchi la tua saggezza, Odino.» Freyja sollevò appena il mento con una certa arroganza che però Frigga le perdonò, perché era disposta a piegare il capo se questo fosse servito a riavere di nuovo i suoi figli.
Odino sembrò trattenere il respiro, conscio forse di ciò che gli stava per essere chiesto.
«Ho la tua mano tesa, custode dei nove regni? Ho la tua alleanza? Ho il tuo rispetto e la tua amicizia?»
Frigga vide il suo viso coprirsi di una maschera di rabbia per il modo poco leale con cui Freyja aveva deciso di metterlo alle strette. Nel suo cuore di madre ferita, trovò un raggio di tristezza che bruciò il suo orgoglio di moglie. Freyja, seppur con giusti intenti, aveva scelto di usare una meschina astuzia per raggiungerli.
Odino lasciò andare l'aria e sembrò allentare la presa sulla lancia.
«Non chiederlo ancora. Rispetto e amicizia è ciò che lega prima le nostre persone e poi i nostri regni, Freyja. Se è un'alleanza che chiedi, sappi che tale alleanza non è mai stata messa in discussione.»
La regina di Vanaheim mostrò soddisfazione e annuì con ostentato compiacimento.
«Allora ciò che mi aspetto da te non è nulla più di ciò che hai appena ribadito. Rispetto e amicizia.»
Chinò il capo con reverenza per poi tornare a sollevare il viso verso il trono.
«Non equivocare il mio comportamento, Odino. Sto solo proteggendo ciò che mi è più caro.»
Poi gli occhi neri di Freyja furono su di lei e Frigga assentì con il capo, perché una donna è disposta a tutto per difendere ciò che ama, chi ama.
Frigga, nel silenzio che seguì l'abbandono di Freyja, non riuscì a trattenere in gola un sospiro.
Quando le porte si chiusero alle spalle della donna, Odino tornò a sedere e nascose lo sguardo dietro al palmo della mano. La postura ricurva, il tremore delle dita.
«Sarai felice, donna...» Avrebbe voluto essere un richiamo eppure trapelò solo tanta stanchezza.
Frigga sollevò gli occhi sul suo viso in ombra.
«Di cosa dovrei esserlo, se il mio sposo cede dinanzi alle minacce di un'altra donna eppure si mostra di fredda pietra davanti alle lacrime di sua moglie. Posso solo biasimarti per la tua debolezza di sovrano ma apprezzare il cuore del padre. Almeno spero ve ne sia ancora traccia.»
Odino spostò la mano e la guardò a lungo, in silenzio, soppesando ogni singolo secondo che trascorse.
«Il bene dei regni, Frigga, viene prima di ogni disgusto che possa provare verso i tuoi figli. Chiamala pure debolezza, moglie mia. Te lo concedo in nome della stessa vergogna che sei costretta a condividere con me.» E con quelle parole Frigga capì che il tempo di restare ai piedi di quel trono era scaduto.
Scosse il capo con un sorriso rassegnato. Le mani congiunte. Un inchino appena accennato.
Lo fissò ancora in quell'unico stanco occhio e ogni sorriso sparì.
«Bene, dunque, mio re.» Adesso però falli tornare.
Non aspettò repliche, sapeva che non sarebbero arrivate.
Lasciò la sala facendo risuonare lo strusciare della lunga veste sul pavimento e abbandonò suo marito ai suoi doveri, alle sue paure, alla sua colpa.











C'era silenzio. Non c'era mai silenzio, Tony era quasi fisiologicamente incapace di produrre silenzio, eppure nell'abitacolo non era volata una sola parola.
Scalò di marcia, svoltò all'incrocio. Semaforo rosso. Clacson e urla. Un paio di flash di qualcuno che aveva riconosciuto la sua Audi.
«Grazie.» La prima parola la pronunziò Steve. Il primo sospiro lo lasciò andare Steve.
Tony guardò lo specchietto retrovisore e osservò la dolcezza con cui teneva il capo di Linn contro la sua spalla, la gentilezza con cui le scostava i capelli dal viso stanco, il senso di colpa con cui la guardava.
«Sei sicuro, Cap? Ho parecchie stanze libere da me, lo sai» sospirò cercando di mostrare una verve che in quel momento non si sentiva sulla pelle.
«Non serve. Grazie comunque.»
Semaforo verde, altri clacson, altri flash.
«Non voglio offendere il tuo alloggio retrò a Brooklyn, ma almeno alla Tower non ci sono topi che fanno baldoria nelle travi...» Sorrise delle sue stesse parole, ma poi il sorriso si spense e un sonoro sospiro lasciò le sue labbra. «Nick è stato un bastardo, su questo sono pienamente d'accordo con te.»
Interrogare Linn di nascosto, torturarla, estirparle verità che Tony, aveva compreso bene, non conosceva.
Quando aveva incontrato Steve nel corridoio era stato quasi travolto dal suo passo svelto, poi era stato travolto dalla sua richiesta.
Portala via da qui.” Era stato travolto dalla sua reazione così fuori divisa. “Per favore, Tony.
Nessun ordine, nessuno sguardo austero da Captain America. Tony aveva visto gli occhi azzurri di Steve come non li aveva mai davvero visti: fragili.
Aveva acconsentito e gli aveva fatto strada fino al parcheggio. Li aveva fatti salire in macchina e aveva accettato di portare la sua bella Audi in un quartiere poco chic e molto shock come quello di Brooklyn.
Linn non era priva di sensi ma sembrava comunque aver solo voglia di tenere lo sguardo celato, di stare contro la pelle di Steve e stringere debolmente le sue dita.
Steve gli aveva raccontato, con frasi spezzate dalla rabbia, ciò che era accaduto, e poi era sceso il silenzio.
Parcheggiò sotto al palazzo anni trenta e portò lo sguardo alle finestre tutte uguali.
«Immagino sia inutile dirti che Fury sa bene dove l'hai portata...» sospirò voltando il capo verso i sedili posteriori. «Vero, Cap?»
«Certo, e aspetto che mi faccia visita.»
Sorrise della sua determinazione e lo guardò scendere portandosi dietro una Linn ancora traballante.
«Grazie...» Fu la sua debole voce a sollevarsi mentre lo guardava con il viso stanco e provato.
Tony alzò una mano con una smorfia di sincera gentilezza.
«Non c'è di che, piccola Linn.» Non aveva colpe, lei, non ne aveva alcuna se non quella di voler bene a qualcuno che, in quel momento, Tony avrebbe volentieri preso a sberle.
Linn non aveva colpe eppure le aveva dovute scontare sotto la mano di Fury e sotto la reazione di Steve. Non sapeva come fosse andata, ma lo poteva immaginare, e gli occhi di Steve dicevano anche troppo con quella loro lucente patina di vergogna.
Steve strinse ancora la ragazza al suo fianco per sostenerla e poi lo guardò.
Un cenno del capo, un mezzo sorriso, un “ti devo una birra” che Tony avrebbe volentieri voluto sentirgli pronunciare. Ma Steve aveva già messo da parte pesantemente la sua divisa, e a Tony bastò che non gli raccomandasse di andare piano per strada per ritenersi più che soddisfatto.
Lasciò il quartiere, tornò al suo innaturale silenzio e poi fece partire la chiamata.
«Dove sei?» chiese senza aspettare un “pronto?”
«In laboratorio... dove vuoi che sia, Tony?» La voce di Bruce era scura e fiacca. Tony sapeva di avergli lasciato forse il compito più ingrato facendolo parlare con la Foster. Ma a quel punto quel badile di merda andava comunque svuotato una pala alla volta, e chi più chi meno, a tutti loro ne era finita un po' sulle scarpe.
«Ti passo a prendere. Andiamo a bere qualcosa.»
Udì un sospiro, un brontolio. Mentre svoltava all'ennesimo incrocio era più che certo che Bruce si stesse impastando gli occhi con le dita.
«Tony, non credo che
«Che sia il caso? Il momento adatto?... Quale momento migliore di questo, Bruce? Nella vita, amico mio, ci sono solo due buoni motivi per bere: il primo è per festeggiare, il secondo è per dimenticare. In verità, però, ve n'è un terzo, di cui mi ritengo orgoglioso sostenitore, ed è “Bere in mancanza di altro”.»
«Che vuol dire “bere in mancanza di altro”?»
Sorrise a se stesso.
«Vuol dire che se non puoi fare una cosa, o dirla, o semplicemente pensarla, allora puoi bere. Ma se anche fai quella cosa e non la puoi più cambiare, puoi bere comunque, anzi è consigliato farlo. Non è una filosofia affascinante, dottore?»
«Affascinante come una cirrosi epatica, Tony
«Sono un uomo di metallo, Bruce; è l'acqua il mio nemico numero uno. L'alcol serve solo a tenere lisci gli ingranaggi.»
«Dovrebbe essere l'olio a farlo...»
«Non posso abbondare troppo con l'olio, lo sai. L'hai detto tu, no? Il colesterolo. E poi sono italiano: morire di infarto è già un rischio intrinseco nel mio DNA. La nostra cucina sarà anche salutare, ma è così condita...» brontolò con finto fastidio.
«A parte il fatto che non ti ho mai visto mangiare salutare né tanto meno italiano da quando ti conosco, ma di che stiamo parlando adesso?»
«È questo il bello: non parlare di niente. Bere e soltanto bere. Pep non è in casa e possiamo vomitare sul tappeto. Non ti solletica l'idea?»
Ma Bruce era rimasto silente e Tony sapeva bene il perché: Jane non gli aveva voluto parlare, Jane aveva preferito prima il silenzio e la solitudine, e poi aveva chiamato Pepper. Pepper aveva chiamato Tony perché se era la sua donna era perché era più sveglia della norma, e Tony le aveva raccontato brevemente gli ultimi avvenimenti, ovviamente aggiungendo raffinati contorni al racconto che l'avevano fatta sospirare più di una volta.
Adesso Pep era con Jane chissà dove, magari stavano bevendo anche loro, magari sarebbero finite a vomitare anche loro due sul divano di qualcun altro. Magari era meglio stare lontano dai pensieri e dalle reazioni di una donna che scopriva di essere andata a letto con uno che a sua volta era andato a letto con il fratello e, a giudicare da come si era evoluta la cosa, doveva anche essergli piaciuto.
«Avanti, Bruce, solo un goccio... ne ho bisogno.» Alla fine era arrivata la supplica.
«Pensavo fosse Clint il tuo compagno di sbronze
Sbuffò osservando il traffico dell'ora di punta che intasava l'Avenue.
«Infatti! Clint è il mio compagno di sbronze, tu sei il mio ascoltatore da sbronzo. È diverso.»
«Tony, non verrò a bere con te per poi essere costretto a sentirti raccontare per l'ennesima volta quella storia della Svizzera... e poi sono occupato.»
«Non sei occupato e comunque giuro che non parlerò della Svizzera. Hai la mia parola, Doc.»
Ci fu silenzio, poi il rumore di fogli di carta, poi un altro sospiro - le dita che stropicciavano gli occhi.
«Immagino che al momento dobbiamo solo aspettare...»
Tony sorrise aspettando che continuasse.
«E d'accordo... però se soltanto nomini-»
«Niente Svizzera. Parola di boy scout! Fatti trovare all'esterno, io lascio il finestrino aperto e tu salti in corsa dalla portiera come un agile Bond.»
«Quanto sei idiota...»
Udì una debole risata e rise di riflesso.



*



Quando varcò la soglia di quella nuova casa, Linn ebbe come la sensazione di tornare ad Asgard, in un luogo in particolare, un luogo che le era molto caro: la biblioteca.
La stanza aveva lo stesso odore, lo stesso silenzio, la stessa luce calda. Il legno scuro del pavimento, quello più chiaro dei mobili, il bagliore che filtrava dalle finestre di un vetro opaco.
«Siediti.» Steve la fece accomodare su un sofà di stoffa e le poggiò un cuscino dietro la testa.
Linn sospirò, avrebbe voluto dirgli ancora grazie, ancora perdono, ancora abbracciami forte.
Lo guardò soltanto con tutte le parole ferme nella gola e gli occhi che pungevano.
Lasciò che Steve trovasse le sue dita e le sfiorasse.
Lasciò che si inginocchiasse davanti a  lei come il giorno prima e le sorridesse.
«Come ti senti?»
Deglutì con una certa sofferenza.
«Sto bene... adesso.» Il suo sorriso però dovette tradirla, perché presto quello di Steve si spense.
Le accarezzò il viso e poi i capelli e infine le strinse forte le dita.
«Non avrei dovuto lasciarti sola, non avrei dovuto permettere che ti facesse del male.»
Scosse il capo.
«No... non è colpa tua...»
È colpa mia, del mio silenzio, del mio tacere, del mio negarti una sincerità che meritavi e che meriti.
Non trovò una sola frase ad aspettarla sulla lingua, lasciò solo cadere ancora una lacrima e Steve si sollevò per poggiare le labbra sulle sue.
Le asciugò quella lacrima con un pollice e le sorrise ancora.
«Riposa.»
Resta, chiesero i suoi occhi. Resta con me, mio capitano.
Steve sembrò udire la sua preghiera e le si sedette accanto.
Linn abbandonò il capo contro la sua spalla e chiuse gli occhi.


Aveva dormito qualche ora e quando si era svegliata si era sentita meglio. Non sapeva dire se fosse merito del riposo o se fosse a causa della pozione che Steve aveva sciolto in un bicchiere e poi le aveva offerto. Linn aveva bevuto l'acqua diventata dolciastra senza chiedere, perché di Steve si fidava e Steve non le avrebbe mai fatto del male.
Sollevò il busto lasciando cadere sulle ginocchia la coperta che le aveva sistemato quando si era coricata.
Lo cercò con lo sguardo prima e con la voce poi.
«Steve?» Aveva un suono rauco e debole. Si schiarì la gola con qualche colpo di tosse prima di mandare giù dell'acqua poggiata su un piccolo tavolino accanto al sofà.
Steve non sembrava essere nella stanza, però Linn udì la sua voce da dietro a una porta. Si alzò in piedi aspettando che la testa smettesse di girare e si avvicinò a piedi nudi verso quel suono familiare.
«Non al momento... no, adesso no.» Sembrava stesse parlando in solitudine, ma attraverso lo spiraglio che lasciava aperta la porta, Linn lo vide con uno di quegli strani strumenti con cui i midgardiani potevano comunicare a distanza: cellulari. Glielo aveva detto Tony, e le aveva mostrato come usarli. Le aveva anche detto che se voleva poteva dargliene uno, e Linn aveva risposto che benché lusingata dalla sua offerta, le sembrava abbastanza insensato avere qualcosa che non avrebbe potuto usare. Un possesso privo di utilità.
Tony aveva riso e le aveva detto che era insolitamente sveglia per venire dallo stesso mondo di Thor. Non aveva trovato la sua battuta divertente, non l'aveva neanche compresa molto.
Adesso, mentre guardava Steve e lo ascoltava parlare con chissà chi di qualcosa che non capiva realmente, Linn si chiese come sarebbe stato possedere uno di quei cellulari per potervi ascoltare la sua voce.
«Mi sembra abbastanza inutile, Clint, per quel che ne sappiamo sarebbe soltanto uno spreco di tempo.»
Clint era l'arciere dallo sguardo chiaro e dal sorriso impertinente.
Se parlava con lui, Steve poteva parlare solo di un argomento.
Si sentì pervadere dalla tristezza e abbassò lo sguardo sul pavimento di legno.
Dov'era adesso la sua signora? Adesso che i suoi compagni sapevano di quel passato, l'avrebbe più rivista?
Avrebbe più rivisto il suo principe? E con lei accanto, sarebbe tornato a sorridere come in quei giorni mai dimenticati?
Quando sollevò lo sguardo incrociò quello di Steve, ma non ci fu spazio per provare imbarazzo nell'essere stata sorpresa mentre udiva le sue conversazioni, forse perché negli occhi di Steve non trovò nessun richiamo, forse perché le parve di veder riflessa la sua stessa tristezza.
«Tienimi aggiornato solo se ci sono sviluppi... ok. Grazie.»
Steve mise fine alla sua discussione a distanza e poggiò il cellulare su un comò prima di aprire la porta.
«Sei sveglia... come ti senti?»
Le sorrise e Linn annuì soltanto facendo un passo dentro quella stanza.
«Molto meglio» rispose sorridendo a sua volta.
Si accorse solo in quel momento che era giunta nella stanza da letto di Steve. C'era un letto più grande con lenzuola arancio e tende del medesimo colore, con un armadio e lo stesso ritratto che aveva visto nella piccola camera, stavolta incorniciato sulla parete. Ce n'erano tanti altri con tanti altri volti, fra di essi, Linn scorse il viso di una donna. La donna al fianco di Steve sorrideva impercettibilmente e Steve sembrava felice di averla accanto.
Scostò in fretta lo sguardo dalla parete.
«Non avrei voluto ascoltare.» Si giustificò sentendo in quel momento la necessità di farlo.
«Non preoccuparti, non erano segreti di stato.» Steve sospirò e poi poggiò le mani sui fianchi. «Hai fame?»
Linn guardò i suoi occhi e una domanda abbandonò d'istinto la sua lingua.
«Sai dove sono adesso?» Ma la domanda era scorretta e Linn se ne rese conto. «Sono al sicuro?»
Quell'onestà sembrò rabbuiare lo sguardo di Steve.
«Su Asgard sarebbero al sicuro per te?»
Le rispose con una domanda e lei sentì il cuore galoppare forte.
«Su Asgard...?»
«Tony ha recuperato i loro discorsi. Sono su Asgard adesso, quindi non abbiamo modo di raggiungerli se da lì non vogliono che lo facciamo. Dico bene?»
Non era un quesito, e Linn non rispose.
Non potevano essere su Asgard, non aveva senso fossero lì.
Odino... il Grande Padre...
No, non erano al sicuro su Asgard, e Linn sapeva che il principe ne era conscio. Il principe Loki non avrebbe messo in pericolo la vita della sua signora conducendola in un luogo che avrebbe potuto essere solo più pericoloso di Midgard.
Avrebbe voluto condividere i suoi pensieri con Steve, ma sul suo viso lesse la voglia di non continuare quel discorso.
Tacque e sospirò.
«Ho un po' di fame...» Non era vero, il suo stomaco non brontolava, perché la preoccupazione aveva gonfiato il suo cuore così tanto da far sembrare inutile ogni altro organo.
Steve sorrise.
«Non sono un bravo cuoco onestamente e in casa ho poco...» Si grattò la nuca in imbarazzo e sembrava aver dimenticato ogni brutta sensazione, anche a Linn parve di dimenticarle. Era solo una falsa veste.
«Cucinerò io» propose con semplicità.
«Oh no, tu devi riposare, io-»
Allungò una mano e afferrò la sua. Ancora un sorriso, ancora silente gratitudine.
«Lascia che cucini per te, Steve. Concedimi questo onore.»
Steve sembrò divertito e imbarazzato al contempo.
«Onore?» Lei annuì e allargò il suo sorriso. A quel punto Steve alzò le spalle guardando un punto indefinito della stanza mentre le accarezzava il dorso della mano con il pollice. «Dovrei avere dei fagioli... forse.»
«Andranno bene.»


La cucina di Steve era luminosa e accogliente, la mobilia di un legno così chiaro da rasentare il colore del marmo.
Le mostrò qualche verdura e un paio di scatole cilindriche di metallo contenenti altre cibarie.
Non parlarono molto, Steve le chiese ancora se stesse bene, Linn gli rispose con sincerità di sì.
Mentre il coltello batteva ritmicamente sul tagliere di legno, intento ad affettare finemente una carota, Linn osservò con la coda dell'occhio Steve che la guardava seduto al tavolo.
Sorrise imbarazzata e felice di avere i suoi occhi su di lei. La guardava come se stesse facendo un'opera importante, come se non stesse solo tagliando una carota arancione.
Finì di affettare l'ortaggio e ne prese un altro. Ancora il cadere del metallo sul legno.
Ogni fetta era perfetta, stesso spessore. Linn maneggiava i coltelli con l'abilità di un macellaio perché fin da bambina le era stato mostrato come aprire e sezionare una carcassa. Seppure aveva avuto la possibilità di maneggiare una lama solo poco prima dell'adolescenza, l'aver osservato per anni Lady Gunhild e le altre donne a lavoro nelle cucine, aveva fatto di lei un'abile mano.
Tony aveva detto che aveva un senso dell'apprendimento fuori dal comune, nel rimembrare quel complimento sorrise ancora.
«Io mi sarei già tagliato un dito...» udì mormorare Steve e rise.
«Le tue mani sono fatte per impugnare il tuo scudo, Steve, non per tagliare verdure.» Lo disse con facilità eppure vide il suo sguardo velarsi di una nebbia che non comprese.
Avrebbe voluto chiedere, avrebbe voluto sapere se aveva detto per l'ennesima volta qualcosa di sbagliato, ma dal fondo della strada salì il suono di una nenia.
Voltò il capo verso la finestra e rallentò il suo lavoro.
Era una musica dolce, simile a quella di un carillon.
«È il signor Standman.» La informò Steve mentre si alzava dalla sedia per raggiungere il vetro. Scostò la tendina e guardò verso il basso con un sorriso dolce. «Gira il quartiere con il suo camion di gelati. Credo che al giorno d'oggi non lo faccia più nessuno.»
«È una musica molto bella» sospirò e Steve la guardò annuendo.
Poi la musica si allontanò e lei smise di tagliare le carote.
«È volata via... È un peccato» sospirò a se stessa mentre fissava il legno umido sotto la sua mano.
In quelle poche note le tornò in mente uno dei tanti balli al palazzo.
Era poco più che una fanciulla appena divenuta donna e sostava ai piedi di una colonna con una brocca di vino fra le mani, pronta a riempire i boccali degli ospiti.
Nella sala, le giovani nobili ballavano e sorridevano nei loro vestiti di seta e oro; i soldati fischiavano e battevano le mani e urlavano apprezzamenti.
Ehi, tu?” Era stata chiamata da un nobile alquanto brillo. Lo aveva raggiunto e aveva riempito il suo boccale. L'uomo aveva riso e le aveva schiaffeggiato la schiena con forza, forse per ringraziarla in maniera molto maldestra.
Aveva preferito allontanarsi e, poggiata a terra la brocca, si era massaggiata la spalla dolente.
Modi rozzi per un duca. Non trovi?” La voce del principe Loki l'aveva sorpresa. Un sorriso sulle labbra e un bicchiere di cristallo fra le dita. “Si dice che la nobiltà venga dall'anima prima che dal sangue, in queste occasioni mi chiedo se non sia la verità.
Aveva chinato il capo e intrecciato le mani sulla tunica color avorio.
Comandate, principe.
Ti diverti?
Quella domanda l'aveva confusa. Aveva alzato solo qualche attimo lo sguardo e aveva visto il suo vagare per la sala: sembrava insolitamente sereno.
Non aveva risposto alla sua domanda, però. Non sapeva cosa rispondere.
Aveva guardato poi la brocca a terra e l'aveva raccolta sempre a capo chino.
Devo riempire il vostro bicchiere, mio principe?
Neanche il principe aveva risposto.
Nel frastuono dei festeggiamenti, era stato solo silenzio.
Quando aveva sollevato lo sguardo sul suo viso, aveva scorto il principe guardare verso la pista da ballo. Un'ombra buia nei suoi occhi, ogni sorriso si era perso.
Questa festa mi ha annoiato.” Aveva versato il vino rimasto nel suo bicchiere sul pavimento e frantumato il cristallo sulla colonna. Linn aveva quasi tremato a quel gesto.
Era poi andato via senza dire nulla.
Lo aveva seguito con lo sguardo finché non era sparito dietro uno dei corridoi e poi aveva guardato verso la pista e-
«Vuoi ascoltare della musica, magari?» La voce di Steve la portò via da quei ricordi.
«Musica?» chiese sbattendo le palpebre.
Steve non rispose, raggiunse un mobile e alzò una teca di vetro, almeno così sembrava.
«Questo quartiere è molto più silenzioso della Stark Tower, immagino lo troverai anche meno interessante.» Fra le sue mani una sottilissima scatola da cui estrasse un disco nero e lucido che posizionò sulla piastra del medesimo colore. Linn non riuscì a vedere cosa fece dopo, ma d'un tratto udì delle note dolci.
Steve si voltò con un sorriso imbarazzato, forse lo era, forse era lei ad esserlo e lo vedeva riflesso nei suoi occhi azzurri.
«La musica mi fa compagnia» disse sorridendole ancora, facendo scivolare le mani nelle tasche dei pantaloni.
La musica conteneva parole, parole di un uomo che parlava di amore.
Era diversa dalle canzoni che era solita ascoltare su Asgard, era diversa dalla voce dei menestrelli e dal suono dei liuti e delle arpe, però era incredibilmente bella.
Non riuscì però a continuare il suo lavoro, abbandonò il coltello e rimase ad osservare gli occhi azzurri di Steve dall'altra parte della stanza, mentre dolci noti li avvolgevano.
Steve abbassò però lo sguardo e poi lo sollevò ancora. La sua gola sussultò. Un colpo di tosse. Tirò via dalla tasca una mano e la passò sul retro del collo.
«Ti va... cioè... vuoi ballare?»
Quell'invito le fece ardere le guance.
Era la prima volta che qualcuno glielo chiedeva.
Abbassò lo sguardo e scosse il capo.
«Io non ne sono capace, Steve» confessò.
Aveva visto centinaia, e centinaia di balli, di feste, ma aveva visto tutto attraverso gli occhi di una serva. Non aveva avuto mai occasione di indossare un vestito di seta e volteggiare fra le braccia di un cavaliere. Non aveva neanche mai avuto modo di sognarlo soltanto. Sarebbe stato inutile, sarebbe stato solo uno spreco di tempo e di cuore.
«Neanche io ne sono capace.»
La voce di Steve le fece risollevare gli occhi. Sul viso del suo capitano, Linn lesse la sua stessa incertezza, la stessa paura e la stessa voglia di non averne più.
Si pulì le mani su un canovaccio e gli sorrise mordendosi infantilmente un labbro, poi allungò le dita verso di lui. Lo aveva visto fare alle fanciulle nobili, alle lady del palazzo.
Steve tentennò qualche secondo e poi la raggiunse.
Le afferrò la mano e prese un profondo respiro. Linn non sapeva cosa fare, in vero, e lasciò che l'altra mano si poggiasse sulla sua spalla.
Il cuore batteva forte contro il suo petto e la musica sembrava farlo risuonare ancora più forte.
«Credo che si faccia più o meno così.» Dicendo questo, Steve portò il palmo dietro la sua schiena e la tirò un po' più vicino.
Sorrise con il viso accaldato.
Rimasero qualche attimo in quella posizione mentre Steve passava con gli occhi dal suo viso ai loro piedi.
«Adesso...?»
«Credo che si dovrebbe volteggiare» consigliò con un filo di voce.
Steve annuì con vigore e si schiarì ancora la gola.
«Oh, certo. Volteggiare, sì.»
Ma proprio in quel momento la musica crebbe per poi terminare.
Guardò delusa la strana scatola ma Steve strinse con decisa gentilezza le dita nel suo palmo.
«Adesso riparte» le confidò e Linn tornò a guardare i suoi occhi e le sue labbra sorridere.
Dopo pochi secondi di silenzio riudì le note e non riuscì a ingoiare una risata.
«Visto? Te l'avevo detto.»
Annuì e sistemò ancora con un certo nervosismo la mano contro la sua spalla. Fu lei poi a tossire per schiarirsi la voce mentre aspettava che Steve muovesse un passo.
Erano passi incerti e sembrarono girare sul posto senza un vero ritmo.
«Oddio, non credo di essere proprio capace...» mormorò Steve arrossendo.
«No, va bene.» Lo rassicurò perché non le importava nulla dei passi, o di altro. Se anche fossero rimasti con i piedi piantati al suolo sarebbe comunque stato il suo ballo, il loro ballo.
Linn abbassò lo sguardo e poggiò il capo contro il suo petto, contro il battito del suo cuore, sentendo le dita della mano strette nelle sue.
L'uomo continuava a cantare, le note dolci continuarono a suonare.
«Ha perso il suo amore...» sospirò ascoltando le parole. «È triste.»
«Già... È stata Pepper a regalarmi quel disco.» Alzò il viso per guardare quello di Steve. «Ho sentito la prima volta questa canzone in un film; allora era cantata da una donna. Poi Pepper mi fece ascoltare questa versione. Mi piacque molto... Io non potevo conoscerla perché quando fu registrata ero...» Un sorriso amaro. «Dormivo. Così dicono, che ho dormito per 70 anni.»
Nelle iridi chiare di Steve, Linn vide la carezza della tristezza e della nostalgia, forse; vide i ritratti privi di colore e i sorrisi di Bucky e della bella donna al suo fianco, delle sue labbra intense.
Fece scivolare il palmo dalla sua spalla al suo viso. Lo accarezzò con dolcezza.
«E cosa sognavi, Steve?» gli chiese. «Cosa hai sognato in quel lungo sonno?»
Steve la osservò con un'espressione malinconica.
«Di ballare» rispose. «Sognavo di ballare.»
C'era profumo di solitudine nella sua voce, c'erano ombre di rimpianti nei suoi occhi.
Si sentì triste.
«Con chi sognavi di ballare?» Eppure temeva di conoscere la risposta.
Steve restò in silenzio per alcuni secondi e poi sorrise.
«Con la ragazza giusta.» E quel sorriso sembrò lavare via la sua tristezza, eppure lasciò comunque una patina di salato.
Si sporse in avanti e lo baciò chiudendo gli occhi, lasciandosi stringere nel suo abbraccio, avvolti solo dal calore di quei suoni che divenivano sempre più lontani.
Linn gli circondò le spalle con le braccia con il battito sempre più forte, e il respiro sempre più corto.
Quando ritrovò gli occhi di Steve si chiese se anche i suoi erano così lucidi, si chiese se anche il cuore di Steve stesse cavalcando impazzito, se anche le sue mani tremassero.
Quelle di Linn tremarono mentre le faceva scivolare via dalle sue spalle, mentre raggiungeva la maglia e se la sfilava gettandola a terra. I capelli le ricaddero morbidi sulle spalle ora nude.
Steve la guardava silente ma la sua gola sussultò.
«Linn...» Fu un debole respiro.
Lei non era in grado di dire nulla. Voleva solo che lui la stringesse ancora, che nascondesse con il corpo i brividi che stavano coprendo il suo.
«Abbracciami, Steve» sospirò debolmente.
Le dita di Steve gli sfiorarono la schiena e lei sentì il respiro smorzarsi sempre più.
Dolcemente, scivolarono sulla sua pelle fino ad arrivare alla stoffa del piccolo corpetto che Natasha le aveva dato affinché coprisse i seni.
Steve ne seguì la sottile stringa su una spalla e la fece poi cadere lentamente.
«Forse... Non dovrei, non dovremmo...» Ma la voce di Steve si spezzava, mentre la sua era ancora incastrata nella gola.
«Io lo voglio... E tu, Steve?» Fu tutto ciò che riuscì a dire.
Nella sua mente non pensò a quanto fosse sconveniente lasciarsi andare fra le braccia di un uomo conosciuto appena qualche giorno prima, perché Linn sapeva che in tutta la sua vita non aveva mai incontrato nessuno come Steve, e mai lo avrebbe più rincontrato. Sapeva che quando sarebbe tornata su Asgard avrebbe portato per sempre nel cuore il suo viso e  suoi occhi, la sua gentilezza e la sua dolcezza; e quel cuore gli sarebbe appartenuto e nessun altro lo avrebbe potuto reclamare.
Voleva essere sua anche una sola volta e poi non avrebbe permesso più a nessuno di averla.
«Non ti biasimerò se riterrai il mio comportamento disdicevole» sospirò sulla sua bocca. «Ma se in questo momento mi è concesso esprimere una sola volontà, allora è quella di poter restare fra le tue braccia.» Il suo respiro era caldo contro le labbra.
Tienimi qui, con te, per sempre... Mio capitano.
Il silenzio di cui si vestì Steve la fece sorridere nervosamente.
«Sono troppo sfacciata?» La sua domanda fece sorridere anche lui.
«No...» Era un suono roco che e provocò un altro brivido. «E che io...» Le accarezzò il viso con il dorso delle dita, bagnandosi le labbra e sorridendole di nuovo.
Un'altra risata nervosa, un altro batticuore. «Tu cosa?»
La gola di Steve sussultò.
«Io credo di non avere voluto altro dal primo momento, Linn...»
Avrebbe voluto piangere e piangere ancora, e affondare il viso umido fra le sue braccia. Ma non lasciò andare una sola lacrima, lasciò solo che le loro labbra si trovassero di nuovo, lasciò che Steve l'accarezzasse e la stringesse forte, lasciò che le gambe si avvolgessero attorno al suo corpo mentre le braccia di Steve la sollevavano con dolce forza.
Nel silenzio dei loro baci, solo la musica che diveniva sempre più distante mentre varcavano la soglia della sua camera.
Poi la sensazione delle lenzuola fresche contro la sua schiena nuda, la maglia candida di Steve che cadeva a terra, il suo corpo perfetto sotto i suoi occhi, sotto le sue mani.
Quella gentilezza con cui l'aveva conquistata, Steve la infuse in ogni singolo gesto con cui la spogliò delle vesti, in ogni carezza che le donò, in ogni bacio con cui la fece tremare.
«Steve...» Solo un nome sulle sue labbra. Affondò le dita fra i suoi capelli e strinse le lenzuola con l'altra mano. Il respiro affannato di Steve le scaldò il collo e poi i suoi occhi sciolti si specchiarono nei suoi.
Ed era bello come nessun'altra creatura su cui Linn avesse posato lo sguardo, e quella bellezza sembrava avvolgere e possedere anche lei, con lo stesso impeto e la stessa intensità con cui Steve stava possedendo il suo corpo.
«Linn...»
Il cuore sarebbe potuto esplodere in mille schegge, tanto forte batteva.



*



Erano stesi di fianco, viso contro viso, respiro su respiro.
Un lenzuolo a coprire i loro corpi nudi e la luce invadente del giorno a filtrare dalle finestre. Loki aveva chiuso le tende eppure sapeva che era stato inutile.
Non era il sole a voler tener lontano, era un altro oro quello che voleva accecare.
Sigyn schiuse le labbra ma non lasciò andare una sola parola.
Loki sospirò e accarezzò con gli occhi ogni dettaglio del suo volto, quasi avesse voluto contare una per una ogni piccola lentiggine che pioveva sul suo naso. Ritrovò l'azzurro del suo sguardo e avrebbe voluto sorridere.
Se lo avesse fatto, Sigyn non avrebbe risposto a quel sorriso.
Si avvicinò soltanto e la baciò ancora, con dolcezza.
Poi tornò a poggiare la guancia contro il cuscino.
Sigyn continuava a osservarlo, in silenzio, bagnandosi appena le labbra con la punta della lingua.
Poi gli accarezzò il viso, gli spostò qualche capello dalla fronte.
Le sue labbra avrebbero voluto sorridere di nuovo sotto i suoi gesti e di nuovo Loki si negò quel sorriso.
Sentiva le caviglie intrecciare le sue, il calore del suo corpo confondersi con il proprio, i suoi capelli, sparsi sul cuscino, scivolare nel nero delle sue ciocche umide.
Quando la carezza di Sigyn sfiorò le sue labbra, Loki prese quella mano fra le proprie e la baciò.
Baciò i polpastrelli, le nocche, il dorso, il palmo.
Donò un bacio a ogni lembo di pelle e poi sospirò chiudendo gli occhi e tenendo quella mano contro la bocca.
Sigyn la fece scivolare via e gli accarezzò ancora il viso, i capelli, la nuca.
Nel buio delle sue palpebre, Loki sentì un bacio sulla fronte e si sporse in avanti per posare le labbra contro il suo collo.
Poggiò poi il capo sul suo seno e Sigyn gli accarezzò ancora i capelli, con gesti lenti e delicati. Con dolcezza, con tenerezza, con una vecchia e dimenticata gentilezza.
Loki lasciò andare ancora un sospiro, stringendosi al suo corpo e abbandonandosi al cullare delle sue carezze.
Non ci furono parole. Non ce ne furono neanche quando riaprì le palpebre, neanche quando sollevò il viso e la guardò con desiderio, neanche quando le baciò le labbra e fece scorrere con fame le mani sul suo corpo, neanche quando fecero l'amore ancora una volta.
E poi ancora una, e nessuno dei due disse una sola parola.
Ogni volta che Sigyn gemeva, Loki gemeva più forte, ogni volta che lei lo baciava, lui la baciava con più passione; ogni volta che raggiungeva il piacere, Loki sentiva di morire nel suo.
Quando calò il sole e l'arancio del crepuscolo sembrò scaldare ogni ombra della stanza, erano ancora in quel letto, vicini e nudi, a guardarsi in silenzio.
«Io-»
«Shhh...» Sigyn gli poggiò con poca delicatezza le dita sulle labbra impedendogli di continuare. «Non dirlo più.» Un sorriso stanco. «Finirò per crederci.»
Sorrise a sua volta e baciò ancora quelle dita.
«E cosa vuoi che dica?» Le chiese con un fiato appena udibile.
«Devi obbligatoriamente parlare, lingua d'argento?» Gli chiese di rimando e lui sorrise di nuovo.
Ancora un bacio, ancora un abbraccio. Il fruscio delle lenzuola, il calore della sua pelle sotto le sue mani.
Le parole avrebbero atteso l'alba. Le domande avrebbero atteso, la realtà stessa avrebbe atteso e dormito fino al sorgere del nuovo giorno.


E così trascorse quella notte, fra baci e carezze, fra respiri caldi e brividi e sudore, fra parole inghiottite e gemiti lasciati salire senza pudori.
Trascorse la notte e venne l'alba, dorata e invadente.
Sigyn era ancora fra le sue braccia, addormentata, con il capo contro il suo petto e le dita della mano legate alle sue, con le labbra socchiuse e il respiro calmo.
Sigyn era ancora fra le sue braccia quando Loki aprì gli occhi e guardò, al di là della piccola balconata, il cielo del primo mattino che perdeva il suo oro. Guardò la volta che dall'azzurro sfumava nel grigio, guardò lo sbattere di ali di corvo e udì il suo verso stridulo. Poi un altro e ancora uno.
Sigyn era ancora fra le sue braccia quando Huginn volò via dal davanzale.
Prese un profondo respiro.
Ci siamo, pensò.
Le accarezzò il viso e le spostò i capelli che le coprivano la fronte.
Un bacio su una bocca addormentata.
«Svegliati.» Un brontolio, un battito di ciglia, due occhi azzurri a perdersi assonnati nei suoi. «Vestiti. È ora.»
Sigyn sollevò il capo strofinandosi un occhio con il dorso della mano.
«Ora?...» Uno sbadiglio. «Ora per cosa?» Ancora uno.
Huginn urlò nuovamente.
Stavolta anche Sigyn lo sentì e si voltò immediatamente verso il vetro.
Cadde una piuma.
È ora di tornare a casa.











***












NdA.
Ci siamo: Asgard is coming...
Steve e Linn hanno finalmente consumato, e io ho potuto soddisfare la mia fantasia di uno Steve che balla romanticamente sotto le note di una vecchia canzone ❤
Capitolo un po' più sentimentale; dal prossimo avremo invece un pochino più di dinamicità nella storia. Promesso u///u

Piccole note informative:
1. Freyja, così come tutti gli abitanti di Vanaheim - incluso Styrkárr -, hanno lineamenti orientali e colori bruni. Ho preferito questa scelta al più popolare “tutti gli dèi sono biondi”, cuz it's boring...
(E poi sognavo di avere Gong Li nel mio cast virtuale ~w~)
2. Il disco che suona il nostro capitano è “Smoke gets in your eyes”. La canzone ballata è la celeberrima cover dei Platters, mentre la versione a cui fa riferimento Steve è quella cantata da Irene Dunne nel film “Roberta”.


Detto questo, grazie a chiunque abbia dedicato il suo tempo per leggere.
Spero di non avervi annoiato troppo ^^
Kiss kiss Chiara
  
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