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Autore: Kalyptein    18/04/2014    1 recensioni
Raccolta delle fobia che ho associato ai personaggi della saga di Shadowhunters.
Jonathan Morgenstern: paura delle ombre.
Isabelle Lightwood: paura di amare.
"Quando era piccola, Isabelle si chiedeva persino se lei ce lo avesse davvero un cuore. E anche Alec glielo aveva chiesto, una domanda lanciata tra un colpo di stilo e una frustrata. Ne aveva avuta la certezza solo quando un demone aveva cercato di strapparglielo dal petto, un attimo prima che Jace gli tranciasse la testa di netto"
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Raphel Santiago
Placofobia: paura delle tombe.

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Raphael Santiago non aveva mai creduto alle storie di fantasmi che sua madre gli raccontava prima di andare a letto. Non ci credeva nemmeno quando la sua banda di amici lo aveva sfidato ad entrare nell'Hotel Dumort, l'hotel dei vampiri cattivi. E stentava a crederci anche quando il crocifisso che portava al collo aveva iniziato a bruciare sul petto più della marmitta della motocicletta di suo fratello più grande. Solo quando aveva aperto gli occhi e si era ritrovato a fissare le venature di una bara di legno, si era davvero reso conto di quanto fosse stato estùpido.
Quando aveva undici anni, sua nonna era morta e lui era stato costretto a partecipare al suo funerale. Era rimasto attaccato alla gonna di sua madre per tutta la funzione e quando lei era andata a tenere il suo discorso, Raphael si era accucciato sulla sedia, guardandosi il paesaggio desolante intorno a lui. Un mare di lapidi, tutto quello che rimaneva della vita di quelle persone. E gli era mancato il fiato al pensiero che sarebbe morto e buttato in una tomba qualsiasi.
Anche in quel momento Raphael ansimava, anche se una piccola parte del suo cervello si accorgeva che era inutile visto che era già morto e respirare non gli serviva più a nulla. Iniziò a prendere a pugni la bara, ferendosi le mani che tornavano sane non appena batteva le palpebre. Il suo cervello registrava anche che non era necessario sbattere le palpebre.
Come un uccellino in gabbia, era alla ricerca di uno spiraglio di luce che lo avrebbe condotto alla via per la libertà. Restare fermo era diventato un dolore fisico, continuare a muoversi e fallire era troppo deprimente. Così continuava a battere le sue nuove ali, sperando che alla fine non si sarebbero spezzate.
Forse erano passati dieci minuti, dieci anni, o forse anche dieci secondi, quando l'anta di legno ormai irrimediabilmente rovinata dalle impronte dei pugni di Raphael si aprì con uno scatto secco.
Gli occhi iniettati di oscurità, i denti brillanti anche al buio, i lineamenti di una bambolina di porcellana, di quelle che sua madre conservava in una vetrina del soggiorno. Quelle che non poteva toccare altrimenti sarebbero finite in mille pezzi – altrimenti una delle schegge avrebbe potuto ferirlo.
La donna sorrise, porgendogli la mano inguantata. «Sei uno che combatte» La voce gli era entrata nel cervello, gli rimbalzava da un punto all'altro del corpo, penetrando persino nelle sue ossa. Il tono petulante, un accento francese nascosto bene, quello di una bambina che ha ottenuto quello che voleva. «Mi piace»
Raphael si sollevò in piedi, in uno scatto fulmineo che stupì persino lui. La donna ritrasse la mano, allargando il sorriso soddisfatto. Raphael si guardò intorno, percependo il vento che gli incollava addosso i vestiti, la vista che anche al buio riusciva a cogliere ogni dettaglio, ogni nome, ogni motivo impresso sulle lapidi che lo circondavano. La sua era vuota, non una croce, non una data, nemmeno il suo nome. «Sono morto»
Lei si mise a ridere, coprendosi le labbra con la punta delle dita. «Sei anche uno perspicace»
Raphael scoprì istintivamente i denti, stringendo le mani a pugno lungo i fianchi. Si sentiva forte, veloce, invincibile. Non era più un uccellino in gamba, era un'aquila reale.
La donna fece un passo verso di lui, un altro, fino ad arrivargli di fronte e posargli il dito sotto il mento. «Spero che tu non sia anche uno stupido.» Gli occhi erano grandi, due pozzi in cui rischiavi di rimanere in trappola se li fissavi troppo a lungo.
«Ti ho creato io, adesso sei mio.» Non era un tono minatorio, neanche la sua posizione tradiva alcunché di aggressivo. Eppure Raphael si ricompose, chiuse la bocca e chinò leggermente il capo, in segno di rispetto.
«Il mio nome è Camille Belacourt. Saluta la tua nuova vita, Raphael Santiago»
Mentre Camille Belacourt si allontanava, Raphael diede un calcio alla lapide e la guardò andare in mille frammenti di pietra fredda e ormai inutilizzabile.
Raphel Santiago non era morto.

**

Devo dire che pubblicare questo capitolo è una sorta di piacere. Non che sia un'egoista senza pudore, ecco! Stavo girovagando tra i miei vecchi file di OpenOffice e mi è capitato questo sott'occhio, con tutta una lista di paure e nomi appuntati affianco. Mi è salita una nostalgia pazzesca, perchè mi iniziano a mancare i personaggi di Shadowhunters e sento che in un certo senso mi sto "allontanando" da loro. Così ho trovato questo capitolo di Raphael mezzo abbozzato e mi sono chiesta: perchè no?
Magari non sarà buono o lungo come i capitoli precedenti, però spero vi piaccia come gli altri o anche di più :)
  
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