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Autore: Always_7    18/04/2014    0 recensioni
James Potter, Sirius Black, Remus Lupin, Peter Minus prima di diventare Malandrini erano semplici bambini undicenni, che non attendevano altro che il loro primo giorno di scuola e l'ingresso nel magico mondo di Hogwarts. Alle prese con dubbi, difficoltà, timori, emozioni vedremo i quattro Malandrini arrivare alla scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, incontrarsi e stringere un'amicizia eterna (fattasi ovviamente eccezione per Codaliscia).
Dal testo:
Un curioso ragazzino con gli occhiali e i capelli arruffati teneva per mano una bella signora dai capelli scuri. Al loro fianco un uomo con una bizzarra veste color porpora trascinava un carrello, il cui carico risultava a dir poco inconsueto –così come lo strano abbigliamento- alle numerose persone che si accingevano a prendere il treno, dirette al luogo di lavoro come ogni giorno.
(...)
-Sai, Sirius, spero di essere Serpeverde come te.
-Ma io non sono ancora stato Smistato, Reg.
-Beh, ma lo sarai di sicuro o, almeno, così dice mamma.
(...)
-Sono James Potter ,tu?
-Sirius Black.
(...)
Sarebbe rimasto sempre da solo, mentre gli altri conducevano la loro vita come se lui non esistesse?
Forse. E forse era un bene.
Almeno, non avrebbe fatto del male a nessuno.
Buona lettura!
MissGale.
Genere: Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Malandrini
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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I Malandrini- Come tutto cominciò.


Epilogo.

«Speriamo tu sia una Serpeverde» Appena avvertite tali parole, James si fece più attento, senza  fare a meno di intervenire. «Serpeverde?»  Fece allora, guardando sbigottito Sirius. «Chi vuole diventare un Serpeverde? Io credo che lascerei la scuola, e tu?» continuò sorridente, sorriso che l’amico non ricambiò. «Tutta la mia famiglia è stata in Serpeverde» Disse quello, con sguardo basso, ma il morale di James non si guastò. «Oh, cavolo» commentò, però, «E dire che mi sembravi uno a posto!»
Sirius ghignò. «Forse io andrò contro la tradizione. Dove vorresti finire, se potessi scegliere?»
James alzò una spada invisibile. «’Grifondoro… culla dei coraggiosi di cuore!’ Come mio padre».
Il ragazzino dai capelli unticci fece un verso sprezzante. James si girò verso di lui.
«Qualcosa non va?»
«No» rispose il ragazzino, ma il suo lieve ghigno diceva il contrario. «Se preferisci i muscoli al cervello…»
«E tu dove speri di finire, visto che non hai nessuno dei due?» intervenne Sirius.
James scoppiò in una risata fragorosa. La rossa si raddrizzò nel sedile, nervose, e guardò prima James poi Sirius, disgustata.
«Andiamo, Severus, cerchiamo un altro scompartimento».
«Ooooooooh… »
James e Sirius imitarono la sua voce altezzosa; James cercò di faro lo sgambetto al bambino magrolino.
«Ci si vede, Mocciosus!» Gridarono i due ragazzini, mentre quelli uscivano dallo scompartimento.
«Forse siamo stati troppo cattivi, Sirius» Fece James con un sorrisetto sulle labbra, mentre l’amico rispondeva: «Ma no…  E’ stato solo uno scherzetto innocente!»
 
Scesi dal treno, ormai con indosso le divise, i ragazzini del primo anno, eccitati e impauriti al tempo, furono accolti da un uomo talmente grosso da sembrare quasi un gigante. Sorrise loro, i lunghi e scarmigliati capelli ad incorniciargli il viso e un grosso cane bavoso al suo fianco.
«Primo anno, di qua!» Annunciò. Ed una scia di bambini lo seguì verso delle barchette di legno, che galleggiavano sulla distesa d’acqua scura.
Remus guardò quell’uomo fuori dalla norma e gli andò dietro, accomodandosi nella barchetta assieme a quelli che sarebbero divenuti i suoi futuri compagni. Erano tutti silenziosi, intimoriti, forse, dalla figura che li sovrastava nella barca a capo delle altre. Davanti a lui sedevamo i ragazzini che avevano occupato la cabina opposta alla sua. Guardavano sognanti il castello così come quel Peter, che aveva conosciuto sul treno. Era timido quasi quanto lui, ma era stato piacevole scambiare qualche chiacchiera con un bambino normale, un bambino che non aveva alcuna idea di chi lui, Remus, fosse veramente. Forse avrebbe potuto vivere normalmente, senza preoccuparsi di recare danno a coloro che lo circondavano. Doveva solo fidarsi del Professor Silente: gli aveva promesso che sarebbe andato tutto bene. Suo padre si fidava del Preside, perché lui non avrebbe potuto fare altrettanto?
 
«Hey James, guarda: Hogwarts» Fece il bimbo all’amico, indicando il castello tanto decantato dai padri.
«Sarà magnifico come lo descrivono?»
Il piccolo Potter continuava ad osservare Hogwarts con gli occhi che brillavano di felicità, di entusiasmo, di eccitazione: lo attendeva una nuova avventura.  La nostalgia degli abbracci materni e dei sorrisi paterni sembrava già scomparsi. Ora i suoi pensieri e il suo cuore erano occupati solamente da quella che sarebbe stata la sua casa per i prossimi sette anni.
 
«Stiamo per arrivare al castello, ragazzi!». Tuonò l’omaccione che li aveva precedentemente accolti. «Una volta entrati, vi lascerò con la professoressa di Trasfigurazione, Minerva McGranitt, che vi raggrupperà per lo Smistamento».
Una goccia di sudore rigò il viso di Peter: quale sarebbe stata la sua casa? Non abbastanza brillante per Corvonero né abbastanza coraggioso per essere smistato tra i Grifondoro o astuto per i Serpeverde. Sarebbe stata Tassorosso  la sua casata, quella dei giusti e leali?
Si sentiva inadatto. Aveva paura, paura che il Cappello Parlante avrebbe semplicemente affermato che c’era un errore: era solo un povero Magonò e non era degno di frequentare Hogwarts. E Peter avrebbe abbandonato il castello prima ancora di entrare a far parte di quella grande famiglia.
Erano ormai giusti sulle scale di Hogwarts, quando il Custode li fermò e presentò loro la professoressa McGranitt.
Sirius Balck era rigido come un bastone lì, tra i primi della fila di undicenni che di lì a poco sarebbero stati sottoposti allo Smistamento. Si sentiva osservato da tutti gli alunni più grandi che li guardavano come fossero stati animali dello zoo.
Egli non voleva essere un Serpeverde. Ma se anche fosse finito tra i Grifoni avrebbe dovuto affrontare lo sguardo sconcertato della madre che gli avrebbe attribuito la colpa di essere uno stupido Grifondoro, traditore del suo sangue. Ed ecco che sarebbe giunto San Regulus a salvare la situazione. Questi avrebbe certamente risollevato l’onore della famiglia. Ma il problema non si sarebbe creato perché non sarebbe certo stato Sirius a interrompere la tradizione familiare.
Ma ecco che giunse il suo turno. Si sedette sulla sedia e la McGranitt pose il Cappello sopra il suo capo.
«Dunque, sei un Black, eh?» Cominciò il Cappello con voce squillante, voce che sembrava udire solo lui, però. «Eppure sei così diverso dal tuo parentado. Vedo tanta…»

Intanto, un ragazzino dai capelli scarmigliati si sporse dalla rigida fila entro cui la professoressa li aveva costretti : era giunto il turno di Black, quel ragazzino che aveva conosciuto giusto qualche ora prima, ma a cui pensava di volere già un gran bene. Voleva fosse smistato tra i Grifondoro come era sicuro fosse accaduto anche a lui. Attese con ansia quei minuti in cui il Cappello sembrava ragionare: possibile ci volesse tanto? Era sul punto di rompere la fila e dirne quattro al Signor Cappello, quando questi espresse il suo giudizio: «GRIFONDORO!» E il compagno fu accolto al tavolo da un tumulto di applausi. Lo guardò orgoglioso, rivolgendosi un sorriso sincero, mentre trepidante attendeva il suo turno.

Il piccolo Remus guardava qualsiasi cosa o persona regnasse nella Sala Grande: era rimasto profondamente affascinato dai colori delle quattro caste Hogwartsiane, che con i loro stendardi sovrastavano le teste degli alunni seduti ai loro posti, chi in attesa dell’abbondante banchetto che li avrebbe impegnati nei minuti seguenti, che, invece, risultava sinceramente interessato a scoprire i nuovi componenti delle loro Case.
A regnare sovrano era il cielo, privato di qualsiasi nube, incastonato da diamanti che splendevano, abbagliando chiunque osasse rivolgere lo sguardo verso l’alto. Suo padre gli aveva detto che era tutto finto: era la bacchetta di Silente a produrre quell’illusione. Una splendida illusione di cui si riempi gli occhi nella paura che tutto potesse finire con un colpo di bacchetta. Sospirò sconsolato mentre i suoi occhi brillavano di meraviglia: emozioni contrastanti sembravano albergare il suo cuore, ma non ebbe la possibilità di pensare altro che arrivò il suo turno. Mosse un piede dopo l’altro con estrema lentezza e, mentre faceva un respiro profondo, cercando di farsi coraggio, gli sembrò di scorgere un sorriso dipinto sul volto del preside, prima di voltarsi ed essere sottoposto allo Smistamento.
«Oh, ma che bella testolina che abbiamo qui: amante della ragione, eppure sento il tuo cuore ruggire, alimentato dalle passioni… ma al tempo stesso vedo un gran bel cervello. Corvonero non ti sdegnerebbe, ma neppure Grifondoro… mai lavoro mi apparve più arduo!»
Remus ascoltava i vaneggiamenti del Cappello Parlante, desideroso di ricevere una qualche risposta. Preferenze non ne aveva: essere lì era già una grande conquista.
«GRIFONDORO!» Esclamò il Cappello dopo tanta indecisione e il nuovo undicenne fu accolto anch’egli da uno scroscio di mani e da calorose pacche sulle spalle.
Sirius Black, seduto tra i compagni di casata, continuava ad assistere alle scene che si svolgevano davanti a sé. Il sorriso sembrava non abbandonare mai le sue labbra, contento com’era della sua conquista e incurante di ciò che i gneitori gli avrebbe detto l’indomani, magari con una bella Strillettera.  Guardò il ragazzino seduto davanti a sé, Lupin, quello appena smistato: sembrava alquanto timido, aveva il colorito pallido, ma gli occhi traboccavano felicità. Si sorrisero contenti di essere entrati in quella nuova famiglia. Qualche minuto dopo un altro bambino si sedette accanto a Lupin. Non si era accorto della sua presenza fino a quel momento. Decise di presentarsi, prima di tornare a guardare l’amico, ancora in attesa di conoscere la sua casata.

E il piccolo James  Potter saltellava impaziente sul posto e si scarmigliava i capelli: il Cappello era talmente vecchio che smistava un bambino all’ora e non era ancora giunto il suo turno.
Fu con un sospiro di sollievo che raggiunse la sedia accanto alla McGranitt, quando questa lo chiamò.
Sostenne con orgoglio lo sguardo di tutti gli alunni che lo fissavano e accolse con piacere il Cappello Parlante sul suo capo.
«Oh, un Potter! Da quanto tempo! Beh mio caro, ti vedrei bene tra i rosso-oro, come tuo padre, eppure…»
L’espressione del piccolo era alquanto stralunata, mentre tentava di seguire le elucubrazioni del vecchio Cappello, ma un sorriso si dipinse sul suo volto, quando questo urlò: «GRIFONDORO!»
Con le braccia sui fianchi e sguardo fiero, raggiunse Sirius, che parlava allegramente con due compagni di Casata. Sorrise all’amico, che glieli presentò: «Hey James, questi sono Remus Lupin e Peter Minus!» Il Grifone strinse le mani ai due bambini: «Ed io sono James Potter e ho molta fame!» Quelli accennarono una risatina, mentre il cibo compariva davanti a loro. Si avventò su di esso e con la coda dell’occhio colse lo sguardo divertito della bimba rossa del treno: evidentemente non gli stava, poi, così antipatico. Ed era pure una Grifona! Tanto meglio.
E pensare che il Cappello lo voleva tra i Serpeverde: il vecchio cominciava a battere colpi.

 

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Dunque, mie cari dodici timidi lettori, sono immensamente contenta che mi avete seguita fino alla fine di questo viaggio nato quasi per gioco. Mi dispiace chiudere così la storia, ma non son all'altezza di darne un seguito dignitoso. Il che non esclude che un giorno, forse, posse uscire fuori.
Spero di non avervi deluso e sarei felice se mi lasciasse qualche recensione per conoscere il vostro parere.
Detto ciò,
baci
Always_7

 
  
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