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Autore: ALEXIANDRAisMe    18/04/2014    0 recensioni
Elijah e Roy sono due ragazzi e hanno molto in comune, molto più di quel che si direbbe a prima vista. Eppure mentre Elijah è l’arrogante e prepotente leader della Private High School of Sacramento, Roy è il classico sfigato preso di mira proprio da questi e dai suoi compagni d’elitè. Questo nonostante la sua stessa origine facoltosa.
La ricchezza, le responsabilità e l’immagine hanno un peso; esattamente come la verità e le bugie hanno un prezzo da pagare.
Chiedere aiuto è più facile di nascondersi dietro una maschera? Si può sempre contare sulla famiglia? La risposta per Elijah e Roy è sempre stata no.
Chi svelerà per primo i propri segreti?..
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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- Tyler, basta rompere adesso. Smettila di lamentarti! –
- Stai zitto tu, Pivot! – fece Tyler, offeso davanti al tono scocciato del ragazzo al suo fianco, mentre si passava una mano fra i capelli fintamente ossigenati.
Garry Davidson, alias Pivot per via del suo ruolo di centro sul campo di basket, era un energumeno in confronto a tutti gli altri membri della squadra. Capelli biondi brizzolati, occhi neri e pelle resa ancora più scura dall’abbronzatura. Alto 1.98, superava perfino il metro e novantadue di Ty, aveva spalle larghe, braccia e gambe muscolose e si accettavano scommesse riguardo ad suo peso complessivo.
Grazie alla forza data dalla sua corporatura robusta, avevamo avuto la meglio su molte squadre che vantavano ciccioni dalla scarsa resistenza. Il nostro centro campo invece era agile e veloce!
- Ty, te lo chiedo anche io, basta ti prego! – sbottò Jared mentre indossava la maglia numero 8 dei Kings per il ruolo di ala grande.
Jared era un paio di centimetri più basso di Tyler, era l’ala piccola e insieme formavano una grande accoppiata in campo: Tyler, con il suo ampio petto e la forza, marcava gli avversari lasciandomi la possibilità di tirare a canestro liberamente e Jared, con le sue finte e i suoi scatti stupiva i giocatori dell’altra squadra andando lui stesso a canestro se io ero bloccato.
Lanciai uno sguardo al ragazzo che avevo di fianco, Mason Gold, l’ultimo membro dei Kings. Eravamo entrambi guardie e co-capitani dal secondo anno, quando durante le selezioni prese il mio posto di playmaker e io divenni guardia tiratrice.
Gold superava di poco il mio metro e ottantotto ma non andava oltre il metro e novantacinque circa di Ty.
Rispecchiava alla perfezione i canoni californiani: pelle sufficientemente abbronzata ma non troppo scura, occhi verdi e capelli castani screziati da ciocche bionde naturalmente schiarite dal sole.
Noi due eravamo amici inseparabili da quando eravamo piccoli e abitando nello stesso quartiere, vicini di villa, quel rapporto aveva avuto modo di cementificarsi nel tempo.
Non aveva ancora aperto bocca e conoscendolo non gli interessava neanche commentare al proposito e come lui, anch’io avevo deciso di astenermi dal proferire parola. Perciò, quando sistemai la maglia blu con il numero 11 sui pantaloni bianchi e larghi che mi fasciavano i fianchi e le cosce, mi limitai ad uscire dallo spogliatoio e dirigermi verso il campo di basket esterno con Mason al mio fianco.
Sul suo viso era possibile leggere la mia stessa aria annoiata, lo stesso passo leggero.
Alle nostre spalle i ragazzi, sia titolari che riserve, rimasero in silenzio prima di affrettarsi a seguirci.
Tyler si piazzò alla mia destra – Ehi capitano! Stavamo parlando! – mi accusò. Come suo solito sembrava non aspettare altro che sfidarmi.
Le sue gambe lunghe seguivano spedite il mio passo, come volessero superarmi senza averne però il coraggio.
- In realtà visto che tu non dovresti neanche partecipare agli allenamenti, ti sto solo facendo un favore ad ignorarti Darby! – la frecciatina andò a segno ma prima ancora di potermi compiacere della reazione dell’altro, Mason mi diede una piccola spinta passandomi accanto.
- Forza Reynolds! – m’incitò a buttarmi in campo con lui che già palleggiava prossimo al canestro.
Senza degnare Tyler di ulteriore considerazione corsi a rubare la palla dalla mano attenta del playmaker che con una finta mi scartò.
Riuscì comunque a non farmelo sfuggire del tutto e in un attimo di distrazione presi il controllo della palla correndo a tirare. Entrai nell’area delimitata dal semicerchio scuro e feci centro. Tre punti.
La palla ricadde sul terreno asfaltato rimbalzando e rotolando fuori dal campo, che non era come quello in parquet lucido all’interno della palestra. Rimasi pochi secondi a fissarla prima di voltarmi verso i ragazzi con un sorriso compiaciuto sulle labbra – Sapete, io penso che i Kings vinceranno anche quest’anno. Ora forse, inizia l’allenamento! –
 
Uscì dall’acqua clorata della piscina gremita di gente abbandonando la capo cheerleader con cui stavo limonando. Le labbra di Chanel sapevano di alcool; cosa davvero poco elegante per una ragazza che vantava, solo in teoria, una certa classe.
Rientrai nel salone della casa attraverso le ampie porte di vetro per riempirmi un bicchiere con il contenuto del barilotto d’acciaio. Mi avvicinai al rubinetto e azionando la pompetta osservai il liquido giallo e trasparente scendere.
Scolai la birra in pochi sorsi e poi mi voltai a lanciare uno sguardo verso l’esterno dove il party aveva trovato il suo miglior svolgimento.
In casa, infatti, non c’era nessuno tranne qualche ragazzo seduto sul divano a guardare una partita registrata di football con qualche cheerleader per terra a fare l’ochetta facile.
Mi stupì di non averle beccate impegnate lavorare di bocca, con i miei compagni di squadra ad approfittarne.
Pensai che probabilmente qualcuno di loro aveva già usufruito delle stanze al piano di sopra se stavano così tranquilli e concentrati su di un punteggio che già conoscevano.
Così, non avendo bevuto ancora abbastanza per definirmi ubriaco e poiché l’assenza di nicotina si faceva sentire, ne approfittai per abbandonare momentaneamente entrambe le scene e ritirarmi nel portico che precedeva il giardino per fumare.
Di nuovo fuori dall’abitazione in vento della notte s’infranse contro il mio corpo coperto solo dai bermuda ancora bagnati, tirai fuori alla svelta dal pacco di sigarette che avevo recuperato dalla giacca in sala e me l’accesi. Ispirai forte quel primo tiro sentendo i muscoli tesi dal freddo rilassarsi, anche se solo in minima parte.
Prima finivo e prima sarei tornato nel calore dell’acqua riscaldata, pensai sovrappensiero.
- Oh, hai d’accendere? – chiese una voce che non riconobbi come famigliare.
Voltai lo sguardo verso la provenienza di quel tono sicuro.
Era una ragazza, anche molto carina in effetti, nel suo bel caftano corto in varie tonalità di magenta. Mi limitai a far scattare l’accendino avvicinandolo di più a lei che ne approfittò subito per infiammare l’estremità, riempiendo così di fumo la mano a coppa che aveva messo per impedire alla fiammella di spegnersi.
Non accennò a muoversi o ad allontanarsi da me, non sembrava neanche intenzionata a parlare per prima.
 Sfiatai divertito. - Potresti anche presentarti ora, no? –
Lei sorrise spostandosi una ciocca bionda dietro l’orecchio. – Non volevo infastidirti. – disse, ma mi suonava tanto come una bugia, forse per via della luce strana che si accese negli occhi rendendo le sue parole in qualche modo inaffidabili.
Scossi il capo e le tesi la mano pronto a presentarmi – Io sono.. –
Lei prese subito la mano e la strinse nella sua, più delicata – So chi sei, Elijah Reynolds o preferisci Capitano? – m’interruppe per poi lasciare la presa e spegnere la cicca a metà nel posacenere posato sulla ringhiera.
Aggrottai la fronte, non ricordavo affatto di averla mai vista a scuola eppure lei conosceva il mio nome. L’unica spiegazione era che qualcuno doveva averle parlato di me. Forse proprio Chanel che come ogni anno era l’organizzatrice di quel party per l’inizio della stagione autunnale.
- Sei una cheerleader? – chiesi allora, poco convinto.
- Aspirante.. sono nuova nella vostra scuola. – ridacchiò, sicuramente per qualcosa che non potevo capire.
Stavo per chiederglielo quando sentì il mio nome urlato dalla voce alta e squillante di Chanel che già mi correva incontro con un nuovo bicchiere in mano, perché non poteva essere quello con cui l’avevo lasciata qualche minuto fa.
Probabilmente lo credeva vuoto visto che, tutta intenta ad arpionarmi il braccio, non si curò di fare attenzione a come lo agitava. Questo portò in automatico ad investire in pieno me e la ragazza che avevo davanti con il contenuto rosa. Era passata ai cocktails, perfetto.
- Oh scusami tesoro.. – fece la mora, con un tono talmente finto che mi fece sorridere in previsione della reazione dell’altra.
Questo mi fece capire anche che quella ragazza era davvero nuova all’interno di quell’ambiente perché Chanel era la proprietaria della casa e, aspettandosi già di aver tutto concesso, non badò oltre alla questione. Per la ragazza però non era affatto conclusa lì, lo capii subito nel vedere il suo sguardo assottigliarsi prima ancora che con una mano sulla spalla portasse la capo cheerleader a voltarsi.
- Le tue scuse sai dove te le puoi mettere!? Questo non è di certo uno straccetto da quattro soldi come quello che indossi tu sopra quelle striscette che chiami bikini! È tessuto indiano, tesoro! – indurì volutamente il tono nel ripetere il vezzeggiativo che la stessa Chanel, che ora aveva un’espressione paralizzata dallo shock, aveva usato per lei.
Io invece, piacevolmente divertito mi limitai a scrollarmi di dosso la mora attaccata la mio braccio. Non sarei rimasto tanto a lungo da assistere a due ragazze che si prendevano per capelli e iniziavano una lotta poco carismatica.
Prima però mi sporsi verso la ragazza misteriosa di cui, rendendomene conto solo in quel momento, ancora non conoscevo il nome. – Se sarai ancora intenzionata a venire nella nostra scuola, dopo tutta questa cattiva pubblicità, potrai finalmente dirmi il tuo nome! –
Sperai di averla convinta a ignorare qualunque cosa Chanel avrebbe fatto dopo la mia assenza. Ero convinto che sarebbe diventata divertente la scuola con un personalità come la sua, anche se già immaginavo l’invidia e le angherie che le altre ragazze le avrebbero rivolto.
 
Il lunedì quando incrociai Chanel uscendo dall’aula di Matematica, quasi mi venne da ridere a vederla ancora intenta a tenermi il muso e quasi non riuscì a trattenermi quando raggiungendo la mensa dove alcuni studenti stavano già in fila per il pranzo scorsi la ragazza che ne era la causa.
Ammirai come i capelli biondi e ondulati, lunghi quasi fino ai fianchi, accompagnassero la sua camminata così fluida e sicura; questo nonostante ai piedi avesse degli alti stivali lunghi fino al ginocchio.
Come se non bastasse sfoggiava una gonna corta di jeans e un maglioncino bordeaux che le fasciavano il corpo alla perfezione, quest’ultima aveva il collo a barca che le andava da un’estremità all’altra delle spalle in un altrettanta ampia scollatura.
Aveva un’aria provocante soprattutto perché lasciava intravedere senza scoprirsi troppo, infatti la pelle esposta era di quantità minima.
Le curve naturali dei fianchi e il seno facevano il resto.
Sentendosi osservata si voltò verso di me e incrociando i suoi occhi con i miei sorrise.
Feci per ricambiare quando vidi verso dove era diretta.
Era passata con non chalance dal tavolo a cui era seduto Roy con la sua nuova amichetta e aveva sfiorato la spalla di quest’ultima; poi, continuò a camminare spedita fino a che non prese posto al tavolo all’angolo, coperto su due lati dalle finestre.
Alzai un sopracciglio e neanche un secondo dopo stavo già attraversando la mensa per raggiungerla.
Lei non aveva distolto lo sguardo da me neanche per un secondo, neanche quando arrivai e tenendo una mano sul tavolo mi sporsi verso di lei, per parlarle all’orecchio.
- Tesoro, non vorrei essere scortese ma questo è il mio posto e a meno che, magicamente, tu non sia diventata la migliore amica di Chanel.. bè nessun posto in questo tavolo è ancora tuo! – spiegai. Volevo essere gentile, quella ragazza era nuova e in qualche modo la trovavo davvero interessante. Mi sarebbe dispiaciuto trattarla male come con le altre perciò le avrei fatto capire, con le buone, quali erano le regole.
Lei si tirò un po’ indietro e abbassò lo sguardo per un attimo, prima che le sue labbra si aprissero in un sorriso che non scopriva i denti e i suoi occhi si fissassero su di me di sottecchi.
- Quindi per sedermi qui dovrei diventare qualcuno, vero? – la sua non era una domanda innocente come voleva farla sembrare. Lei aveva capito benissimo.
– Si. – risposi atono.
- Vedi, a me però non interessa diventare qualcuno e basta. Io voglio diventare come te! – disse, ancora con quel sorriso sulle labbra.
Assottigliai lo sguardo, attento ad analizzarla. – Cosa intendi con “come me”? –
- Voglio lo stesso potere che hai tu. – il suo tono era serio, come la determinazione che leggevo nei suoi occhi. Tanto che rimasi paralizzato per qualche secondo prima di scoppiare a ridere.
Ero ancora chinato leggermente su di lei, quindi quello che gli altri videro era solo la mia schiena scossa dalle risate.
- E come pensi di fare ad ottenerlo? – riuscì a chiedere quando finalmente smisi.
Mi ero appena rimesso dritto che lei si era già alzata e, senza lasciarmi il tempo di elaborare qualunque cosa, mi avvolse le braccia esili intorno al collo e si spinse contro di me.
Sentì il calore di quel bacio invadermi sin dal primo contatto, lieve e casto, poi riunì le nostre labbra con più foga. Ricambiai quel bacio sotto lo sguardo di tutti.
Quando ci staccammo scoprì di avere le mani a tenerle i fianchi. Cercai di allontanarla ulteriormente ma lei, come ormai avevo capito, non faceva mai qualcosa che non voleva fare. Infatti, nascose il fiso nell’incavo del mio collo per poi iniziare a sussurrare al mio orecchio – Pensavo di usare te, in effetti. Posso esserti utile ha risolvere parecchie delle tue questioni, se vuoi. In cambio chiedo solo di essere qualcosa di Più di un semplice Qualcuno.. –
Guardandomi intorno trovai tutti gli sguardi su di noi.
Quattro paia di occhi in particolare osservavano ogni mia mossa con estrema attenzione: Roy, la ragazza vicino a lui, Chanel e Mason.
Mi ritrovai, in un attimo, a vagliare la proposta della ragazza ancora tra le mie braccia.
Avevo capito subito che lei era interessante e ora ne capivo anche il motivo. Lei era come me e soprattutto ragionava come me. Quindi sì, poteva essermi utile.
L’idea di essere usato m’infastidiva non poco ma la curiosità e l’aspettativa che iniziavo a nutrire verso di lei erano più forti.
Forse proprio per questo, quando la staccai da me, le feci cenno di sedersi a quello che era il mio posto e, spostando una sedia a capo del tavolo rettangolare, presi posto vicino a lei.
Davanti a quel gesto la mensa sembrò riprendere vita.
Tutti tornarono a fare quello che stavano facendo. Mason fu il primo ad avvicinarsi al tavolo, occupando il posto al mio fianco e facendomi scivolare davanti un vassoio. Chanel accanto a lui in modo da essere lontana da lei ma abbastanza vicina a me, gli altri poi si adattarono a questo cambiamento.
Prima di iniziare a mangiare la biondina mi prese una mano avvicinandosi di nuovo a me, pensai che volesse dare ancora scena ma quando strinse impercettibilmente la presa mi chinai a mia volta verso di lei.
Mi schioccò una bacio sulla guancia prima di sussurrarmi all’orecchio – Lilith, è questo il mio nome! –
Si allontanò di scatto.
Scocci la testa per l’ironia della cosa, quella ragazza era davvero un demonio.
 
ROY
 
- Fanculo. – ringhiai trattenendomi dallo scaraventare la chitarra contro la sedia vicina. Avevo perso il conto degli accordi sbagliati negli ultimi venti minuti e l’irritazione che mi prese non fece che peggiorare le cose.
Sospirai, massaggiandomi la tempia sana. Avrei fatto meglio ad andarmene a casa visto che evidentemente l’aula di musica quel giorno non mi era affatto utile ad evitare una crisi isterica e dire che sin da piccolo suonare mi aveva sostenuto nelle più disparate circostanze.
I due professori, di pratica e di teoria, ormai mi conoscevano e sapevano che amavo rinchiudermi in quelle quattro mura insonorizzate infischiandomene di tutto il resto. A maggior ragione quando anche gli altri studenti del corso non c’erano, questo perché le sei ore a settimane mi sembravano dannatamente poche per imparare tutto quello che avrei voluto sapere.
Ma il pessimo umore quel giorno m’impediva di muovere decentemente le dita sulle corde. Avevo persino provato a sfogarmi sul pianoforte ma ebbi lo stesso risultato.
- Ehi. –
Era una voce che mi fece rivoltare lo stomaco e appesantire ulteriormente l’umore nero che mi ritrovavo.
Poggiai nella custodia ai miei piedi la chitarra, facendo appello a tutto il mio autocontrollo per non lanciargliela contro.
Mi voltai scontrandomi con quei suoi occhi verdi. – Hai bisogno di qualcosa? – mi decisi a rispondere con voce gelida ma lui sembrava osservare qualcos’altro ora, con un’espressione leggermente più attenta di prima.
La porta d’entrata era nella parte opposta della stanza rispetto a dove mi trovavo io, eppure non lo sentii avvicinarsi coprendo con poche falcate la distanza che ci separava.
Storse la bocca in una strana piega e con la mano andò a tastare la ferita sulla tempia destra.
- Ty ci è andato giù pesante stavolta. – disse atono.
- Ty? – ripetei, odiando l’uso di quel diminutivo. – Posso farti una domanda? – chiesi mentre con un leggero buffetto allontanai la sua mano dal mio viso.
La sua espressione confusa e allo stesso tempo curiosa mi invitò a continuare.
- Mi stai prendendo per il culo, vero? – nel dire ciò mi trattenni dall’urlare e dal riprendere la chitarra per fracassargliela davvero sul cranio.
Lui di tutta risposta continuò a rivolgermi uno sguardo più confuso di prima, se possibile. – In che senso, scusa? –
- Con che coraggio vieni qui a commentare il mio stato quando tu eri lì e non hai fatto niente per impedirlo? – a quelle parole di comportò come tutte le volte che si rendeva conto che stavo per aprire quel discorso.
Appoggiò una mano sul tavolo vicino, con il fare di chi ascolta le stesse parole per troppe volte finché alla fine ne è annoiato. – Non puoi negare che tu non te la sia cercata. – disse infatti.
Ecco il primo passo per avere la meglio, incolpare lo sfigato che quasi sempre a ragione nell’accusarti.
- Certo, perchè per te è giusto restare con le mani in mano mentre un ragazzino viene pestato da un coglione senza cervello! – l’irritazione mi faceva tramare le mani che neanche mi ero reso conto di star stringendo a pugno, cercando disperatamente un bersaglio sul quale sfogarmi.
Incrocia le braccia per non farglielo notare, non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi debole in quel modo.
- Infatti. – continuò lui, senza una minima traccia di sarcasmo.
Passo numero due, sminuire la ragione altrui con la propria.
A volte mi domandavo se ero davvero io quello strano, perché mai come in quelle determinate circostanze mi sentivo completamente estraneo a quel mondo e soprattutto al Suo pensiero che, sapevo ormai troppo bene, essere un credo collettivo in quel maledetto istituto.
- Bhè, tanto tu sei stato al tuo posto, no? Quindi va tutto bene, non hai nessun problema per colpa mia. Sono stato io a prender un calcio in faccia, la tua bella immagine davanti al Capo è salva! – sputai con rabbia per poi voltarmi e prendere le ultime cose, prossimo ad andarmene.
– Mi raccomando, la prossima volta prendi un pacco di popcorn. Probabilmente vedere il proprio ragazzo pestato da un gruppo di imbecilli è un evento davvero noioso senza qualche snack. – dissi, non avevo bisogno di aspettare una risposta che sicuramente non sarebbe arrivate. Anzi, non volevo semplicemente rimanere un minuto di più con lui.
Feci per mettermi lo zaino in spalla ma qualcosa mi bloccò, qualcosa di forte e dal profumo inconfondibile.
Infine, passo numero tre: usare l’asso nella mania, perché tutti i bulli migliori ne hanno uno.
- I tuoi abbracci sono soffocanti. – sbottai con la poca rabbia rimastami dentro che, conoscendomi, non mi avrebbe abbandonato mai del tutto.
Lui non sembrò badare alle mie parole e mi strinse più forte, tanto da limitarmi i movimenti.
Rotei gli occhi. – Dico sul serio, Mason.. – mormorai, prima di vedere il suo viso avvicinarsi al mio e le sue labbra sulle mie.
 
Angolo Autrici:
Ecco la comparsa di alcuni nuovi personaggi.
Abbiamo anche capito cosa spinge Roy a sopportare “in silenzio” tutto quello che subisce e diciamocelo, per Mason ne varrebbe anche la pena se non fosse per il suo carattere del c***o.
Bando alle ciance, stavolta la canzone ispiratrice e omonima al titolo è A Beautiful Lie dei 30 Seconds to Mars.
Ringraziamo come sempre chi legge e saremo liete di sapere le vostre opinioni su questo terzo capitolo.
Sperando che vi sia piaciuto.
Saluti El & Roh
  
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