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Autore: pandaivols    19/04/2014    3 recensioni
▪ DAL PROLOGO:« Signor Hidden, vuole invece rivelare ai telespettatori cosa dovranno aspettarsi i nuovi ventiquattro tributi di quest'anno dall'Arena? » [...]
« Ti dirò la verità, Flickerman: penso proprio
nulla. » Il volto del conduttore era la sorpresa e la confusione fatta persona, così come tutte le altre facce che componevano la platea di quella sala.
Inaspettatamente, dopo essersi goduto la reazione che aveva suscitato, Frank Hidden continuò: « Perché potrebbero aspettarsi veramente
di tutto. »
Un coro di espressioni sorprese - e desiderose di vedere quei secondi Hunger Games in azione - si sparse per tutto il pubblico.
[...]
Il presentatore si alzò, spalancando le braccia ed annunciando a gran voce: « Signore e signori, che i secondi Hunger Games abbiano inizio! »


Ecco a voi, intrepidi capitolini, la seconda edizione dei Giochi della Fame. Chi saranno i ventiquattro tributi pronti ad uccidersi, vivere o morire per la vittoria? Sta a voi deciderlo; e tenete gli occhi bene aperti, avventurosi lettori, perché il pericolo, il sangue e la morte potrebbero essere proprio dietro l'angolo.
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Altri tributi, Nuovi Tributi, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Lime, Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il sangue del vicino è sempre più rosso.'
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Il sangue del vicino è sempre
più rosso.

 

 






 

 

Fifteen thousand people scream.


Fine


.



 

 

Falling down,
Now the world is upside down,
I'm heading straight for the clouds.

 [ Falling down - Muse ]


 

La truccatrice sistemò il vestito di Augustus e subito dopo sparì dietro le quinte. L’elegante capitolino si guardò attorno, soffermandosi a guardare la platea che sembrava essersi calmata; alcuni Pacificatori erano appostati alle uscite, altri fra le file per tranquillizzare il pubblico meglio che potevano. L’attenzione del presentatore verde-acqua fu catturata da un cameraman che faceva il conto alla rovescia per avvisarlo che stava per riandare in onda.
« Signore e signori, bentornati in onda! In diretta da Capitol City, le interviste dei nostri fantastici ventiquattro tributi, che domani mattina metteranno piede nell’Arena. Per chi non lo sapesse – ma ne dubito – io sono Augustus Flickerman e il prossimo tributo è… direttamente dal Distretto 9: Phoebe Woody! »
Il pubblico, ancora frastornato per l’improvvisa interruzione del programma, applaudì con fare incerto, attendendo che la ragazza appena citata dal presentatore salisse sul palco.
Phoebe fece capolino da dietro le quinte dopo qualche istante, camminando a passo sicuro, quasi sfacciato, in direzione di Augustus, che le fece il baciamano. La ragazza rispose con una smorfia apparentemente compiaciuta, ma che nascondeva una punta di disgusto.
I capitolini, alla vista di quella ragazza così particolare, si rianimarono subito e ripresero ad applaudire con più calore. Phoebe indossava un abito molto corto color porpora che arrivava giusto a coprirle la zona inguinale, lasciando totalmente scoperte le gambe non magrissime. La vera particolarità di quel vestito, però, era il fatto che fosse un fiore, nell’esatto senso del termine. Il corpetto senza spalline era fatto tutto di petali, così come la gonna che si apriva a palloncino; le scarpe erano del medesimo colore e sulla punta erano decorate con piccoli fiori dello stesso tipo. Alcuni petali le erano stati annodati intorno al polso destro a mo’ di bracciale, mentre i capelli erano raccolti, in alto, a formare una stretta crocchia di capelli bianchi, al di sotto dei quali, invece, si poteva scorgere la parte di chioma nera, completata da un ciuffo bicromatico. Il trucco era semplice, dal momento che già l’abito faceva la sua parte: un rossetto acceso che rendesse accattivanti quelle belle labbra carnose e sugli occhi verde muschio l’accostamento di una matita nera e una fucsia.
« Sei uno splendore, Phoebe » si complimentò Augustus, accomodandosi sulla sua poltrona.
Phoebe fece lo stesso, sbuffando leggermente. « Chiamami Melanie. »
L’uomo aggrottò le sopracciglia, confuso. « Perché? »
« Beh » tentennò la ragazza, quasi come se fosse stata colta alla sprovvista, « … è il mio nome d’arte. Sì, ecco. Melanie Ukai. »
« Nome d’arte? » ripeté il maggiore. « Fai la cantante? »
Gli spettatori sembrarono trovarlo divertente e alcuni si misero a ridere.
« No » ribatté Phoebe, accavallando le gambe, più per il nervosismo che per altro. « Tutti al distretto mi conoscono così. »
« Come vuoi, Melanie Ukai » acconsentì Augustus, « ma adesso partiamo con le domande vere e proprie. Tutti ci siamo chiesti – e mi sembra giusto – quali cose assurde tu abbia fatto alla sessione privata per prendere uno zero… vuoi illuminarci? »
« Oh » commentò lei, ridacchiando, « questa è facile. Sai, vero, che l’intera sessione consisteva nel fare tutto ciò che era possibile con un misero cubo di legno? Ecco, io quando l’ho scoperto mi sono incazzata di brutto. Insomma, ci hanno fatto allenare per tre giorni e poi se ne sono usciti con questa stronzata! Mettiti nei miei panni! »
« Sì, ma l’allenamento vi servirà anche per l’arena… »
Phoebe fece un gesto con la mano come se stesse scacciando un insetto. « Questo non c’entra. E comunque li ho semplicemente presi a parole… sì, d’accordo, ho anche insultato tutte le loro famiglie e la loro progenie… e i loro antenati… ma mi sono sentita insultata! Io volevo soltanto prendermi il mio fantastico 6 e riportare il mio fantastico culo su nel mio fantastico appartamento. Dimmi, tu cosa avresti fatto al posto mio? »
La gente in platea, quasi inaspettatamente, continuò a ridere.
« Sarei stato più educato, tesoro » replicò Augustus con un sorrisetto tra l’accusatorio e il divertito. « Adesso lo zero te lo tieni. »
« Sì, me lo tengo » fece la ragazza, studiandosi le unghie delle mani con nonchalance, « tanto ho comunque grosse probabilità di vittoria. »
« A quanto pare sei una ragazza sicura di te… buono a sapersi. Ma, dicci un po’, come l’ha presa la tua famiglia quando sei stata estratta? »
Phoebe sembrò diventare più seria. « Come pensi l’abbia presa? Male, no? »
Augustus non si lasciò scalfire dalle sue insinuazioni. « E sono venuti a salutarti? »
La diciassettenne tentennò ancora. « Sì. Ma comunque la mia famiglia si limita a Peter, mio fratello maggiore. » Detto ciò, diede brevemente le spalle al conduttore per mostrargli una cosa. « Guarda, ho anche una P tatuata dietro al collo. » Le telecamere inquadrarono il suddetto tatuaggio, poi lei continuò: « Lui ha una M sul braccio. »
Augustus ridacchiò sotto i baffi. « Credevo che l’incesto fosse vietato dalla legge di Panem. »
Phoebe impallidì e dopo arrossì di botto. « Sei impazzito? Lui è mio fratello, mica il mio amante! C’è una bella differenza! »
« Oh, sicuro » ribatté l’uomo. « E… i tuoi genitori, comunque? Dove sono? »
« Morti » commentò laconicamente lei. Che suo padre era morto era vero – era successo durante la rivolta, quando avevano bruciato delle persone nel Mulino – ma sua madre era ancora viva e vegeta… soltanto, rinchiusa in una sottospecie di manicomio. Phoebe, a dire il vero, non voleva spifferare i fatti suoi in giro, né rendere pubblico il disturbo mentale di sua madre che aveva portato anche lei stessa in quella condizione di instabilità, per questo aveva preferito tenere la bocca chiusa.
Chi si fa i fatti suoi campa cent’anni, diceva un vecchio proverbio.
« Mi dispiace molto » finse Augustus. « Ora però il tempo è scaduto e dobbiamo proprio salutarti. »
La ragazza si alzò dalla poltrona, ma improvvisamente si bloccò, prendendo a fissare il vuoto davanti a sé. Non si mosse per qualche secondo, come in tralice, dopodiché si riprese e si voltò verso il conduttore. Sobbalzò e lanciò una piccola esclamazione, fissando tutto il pubblico quasi terrorizzata. Prese a guardarsi il vestito e arrossì di botto e soltanto dopo qualche istante di sconcerto generale fuggì dietro le quinte inciampando nei suoi stessi passi.
« Ragazza strana… » fece l’uomo, interdetto, « ma ora chiamiamo qui sul palco il suo compagno di distretto, Benvolio Fredrick Winslet! »
Il tributo successivo aveva lo stesso fascino di Phoebe e si avviò sul palco con un portamento altrettanto deciso. Era biondo, alto e sorrideva alle telecamere.
Benvolio indossava un completo alquanto strano che, tuttavia, nel complesso risultava abbastanza piacevole da guardare: si trattava di uno smoking dello stesso colore dell’abito della compagna, porpora, con sopra ricamati tanti piccoli… panda. Il pubblico ridacchiò, ma continuò ad applaudire comunque – le donne soprattutto, esortate dal fascino del ragazzo.
Il look curioso era completato dal gesso non più candico e immacolato che ancora portava al braccio.
Dopo averlo fatto accomodare sulla poltrona, infatti, la prima domanda che gli fece Augustus fu: « Allora, Benvolio, come va con questo braccio? »
« I medici mi hanno detto che sono in via di guarigione » rispose lui, scompigliandosi i capelli privi di gel con una mano. « Sono abbastanza fiducioso. »
« Devi esserlo » commentò il presentatore, « i medici qui fanno miracoli. E’ un vero peccato che un tributo parta in svantaggio rispetto ad altri, il giorno del Bagno di Sangue. »
« Domani, Augustus » gli ricordò Benvolio. « Domani c’è il cosiddetto Bagno di Sangue. »
« Giusto » disse quello. « Qui sono tutti impazienti. Non è vero, amici? » chiese agli spettatori, che applaudirono e fischiarono, estasiati.
Che stronzo, pensò il diciottenne, continuando a sorridere per compiacerlo. Se solo non fosse dovuto apparire al meglio per gli sponsor gli avrebbe già piantato un pugno in quella faccia fintissima.
« Sei nervoso? » gli domandò Augustus. « O anche tu non vedi l’ora di farti un bel bagnetto? »
Benvolio digrignò i denti. « Sì, Augustus, devo ammettere che sono entusiasta di fronte all’idea di una possibile e imminente morte. »
Qualcuno rise, ma altri rimasero in silenzio. Dopotutto, secondo Capitol, i tributi meritavano la loro sorte in quanto figli dei ribelli.
« Immagino » ridacchiò l’uomo. « E… dunque, tornando al braccio, chi diavolo te li ha fatti tutti questi stupidi disegnini? »
Benvolio si guardò il gesso, che fu inquadrato dalle telecamere. « Phoebe… anzi, cioè, Melanie. »
« Melanie, che singolare fanciulla » fece Augustus. « Avete fatto… amicizia? »
« Puoi constatare tu stesso » replicò il più giovane, indicandogli il gesso al braccio, pieno di scritte colorate.
« Qui c’è scritto… oh, “Ps: I love you(r cock)”… a me avevano detto che tu hai una ragazza, Benvolio! » disse il presentatore, sogghignando.
« Ce l’ho, la ragazza » ribatté il biondo, « ma io e Melanie ci prendiamo sempre in giro. Siamo un po’ come Rigel e Hidden: best friends forever. » A quella battuta i capitolini scoppiarono sul serio a ridere e anche Augustus fu compiaciuto di quella sdrammatizzazione. Il Presidente un po’ meno, ma in quel momento nessuno poteva saperlo.
« Ne deduco che avete stretto un’alleanza, è così? » chiese quindi.
« Non nell’esatto senso del termine. » Benvolio si rigirò l’anello che teneva all’anulare e che gli ricordava casa, come sempre quando era nervoso. « Dopotutto negli Hunger Games nessuno può considerarsi davvero alleato di qualcun altro… anche se di lei mi fido, più o meno. Vedremo il da farsi a Giochi iniziati. »
« Magnifico » commentò l’altro. « La tua ragazza non sarà gelosa, comunque? »
« Giselle » rispose, « vuole che torni a casa da lei, con qualsiasi mezzo. Un’alleanza non mi farà male, credo lo sappia benissimo. »
« E anche tu, come Ocean Keats, se dovessi tornare indietro le chiederesti la mano? »
Una domanda che Benvolio già si aspettava, ma che comunque gli fece fermare il battito cardiaco. Lui voleva tornare a casa. Lo voleva a tutti i costi.
« Certo » replicò il ragazzo, « lei è la mia anima gemella. »
« Indubbiamente. » Augustus ghignò ancora. « Eppure qualche uccellino mi ha detto che un tempo eri uno dei giocattoli preferiti delle capitoline… »
Benvolio, questa volta, stava davvero per prendere a pugni il presentatore, se solo non avesse avuto ancora un briciolo di buon senso – per fortuna. « Lo ero. »
« Vuoi raccontarci qualche dettaglio scottante? » chiese allora il maggiore, accarezzandosi la barba verde-acqua.
« No » rispose prontamente l’altro. « Il tempo dell’intervista è finito, Augustus. » Detto ciò, il ragazzo si alzò senza invito, fece un inchino veloce e vagamente sarcastico al pubblico e poi tornò a passo veloce dietro le quinte.
Augustus rimase interdetto, così come gli spettatori. « Suscettibile, questo Benvolio. Ma veniamo al Distretto 10. E’ il turno della dolcissima… Lila Larin! »
Nessuno salì sul palco per qualche secondo abbondante e i capitolini incominciarono a innervosirsi. I tributi scorbutici e timidi non piacevano quasi a nessuno. Dopo un po’ annoiavano.
« … Lila Larin? » ripetè il conduttore.
Solo allora la tredicenne del Distretto 10 si decise a venir fuori. Aveva la testa bassa e camminava molto lentamente, guardandosi le scarpette dorate. L’applauso per lei durò pochissimo, a causa del tentennamento iniziale, sebbene il suo vestito fosse delizioso: un abitino con la gonna gonfia che aveva la sagoma e i motivi di una farfalla, con i colori oro, bianco, nero e rosso. Ai piedi portava due ballerine abbinate e i capelli ricci – o meglio, indomabili – erano stati lasciati sciolti, anche se qua e là sul capo erano state posizionate mollette a forma di farfalla.  
« Vieni, tesoro, accomodati » la invitò l’uomo, sedendosi sulla poltrona a sua volta. Aspettò che la ragazzina si fosse seduta e poi le domandò: « Allora… partiamo con le domande semplici. Come ti trovi qui a Capitol City? »
Lila arrossì e si morse le labbra. « B-bene. »
« Bene? Tutto qui? » la incitò il maggiore. « Come ti sembra il tuo staff di preparatori? Mi sembra ti abbiano acconciata bene, no? »
« S-sì » balbettò la tredicenne, che proprio non riusciva a guardarlo in volto, « Columbae all’inizio mi sembrava antipatica, p-però… non lo è, invece Bise crede di essere un… pirata. »
« Ah, il famoso Bise Herriot! » commentò Augustus. « E chi se lo scorda, è un folle! Come gli è venuta l’idea di questo vestito, per te? »
« N-non lo so. »
« Uhm, però, sei molto esaustiva » fece l’altro, sarcastico. « Forza, non farmi tirare le parole dalla tua bocca… Che ci dici del tuo compagno di distretto? »
Lila, se possibile, arrossì ancora di più. Se solo pensava che Ryder era dietro le quinte e che centinaia di telecamere la stavano inquadrando proprio in quel momento… « R-Ryder? Ehm… lui è… un tipo a posto, sì. Non ci parlo molto. »
« Peccato » disse il presentatore. « Qui a Capitol abbiamo sempre bisogno di nuovi pettegolezzi. Non l’avevi mai visto prima? » continuò, visto che Lila non si decideva a parlare da sola. Da un lato non voleva agevolarla – d’altronde a lui cosa importava di quegli stupidi tributi? –, ma non si poteva condurre un’intervista nel silenzio più totale. Ne andava della sua reputazione.
« M-mai » mormorò la tredicenne, tamburellando le dita sui braccioli della poltrona di pelle. Bugia, si disse nel frattempo, mordendosi ancora le labbra e sperando che Ryder non se la sarebbe presa per il fatto che non aveva raccontato la verità. Beh, conoscendolo, non se la sarebbe presa di sicuro.
Augustus si allentò la cravatta. « Sto esaurendo le domande, Lila. Non voglio che sia un interrogatorio. Allora… cosa ti manca di casa tua? »
« I Topi » rispose di getto lei, pentendosene immediatamente. Non poteva di certo spiegare chi erano!
« … topi? » fece l’uomo, quasi allarmato. « Stai scherzando, spero. »
« N-no… l-loro sono… i miei amici » balbettò Lila, « cioè, non sono topi… topi. »
« E cosa sono? »
Lila non voleva spiegare chi erano i Topi. Non poteva, per il loro bene. « Te l’ho detto, i miei… amici. »
Augustus fece una faccia ancora più stranita, se possibile, e il pubblico non applaudì affatto, sconcertato almeno quanto il presentatore. « D’accordo » disse, « i tuoi amici. E la tua famiglia? »
No, non poteva rispondere che la sua famiglia erano i Topi, o dopo avrebbe dovuto spiegare anche quello e non voleva. « Non ce l’ho una famiglia. » Fece una breve pausa. « Adesso posso andare? »
Augustus guardò il timer dell’intervista. « Se proprio insisti. E’ stato un piacere » ridacchiò, praticamente incitandola ad andarsene. Lila si alzò con uno scatto dalla poltrona e in men che non si dica sparì di nuovo dietro le quinte.
« Ah, questi ragazzini di oggi… » sospirò l’uomo, scuotendo la testa. « Tutti con la testa tra le nuvole. Ora, però, bando alle ciance! Un bell’applauso a Ryder Farm! »
Il sedicenne biondo, a differenza della compagna di distretto, salì sul palco quasi immediatamente, a passi svelti, come se avesse già fretta di finire quella farsa. Ryder era sempre stato un tipo fondamentalmente orgoglioso e questo era dimostrato anche dal suo atteggiamento, sempre schivo e attento. L’unica cosa che tradiva il suo comportamento era lo sguardo: occhi verde scuro, occhi di fenice, che parlavano al posto di mille parole. Peccato che non avrebbe mai potuto concludere l’intervista servendosi unicamente di quelli.
Ryder era molto elegante nel suo completo beije: indossava dei pantaloni di stoffa morbida, una camicia bianca e una giacca finemente lavorata su cui si concentrava tutta l’attenzione. Su quella giacca era rappresentata tutta la cartina di Panem, nei minimi particolari, come se fosse stata una carta geografica. Erano tracciati meridiani, paralleli, confini, autostrade… di tutto. A Ryder piaceva, perché non era nulla di eccessivo. Non avrebbe mai indossato, del resto, abiti come quelli del ragazzo del Due, del Tre o del Nove. Loro sì che avevano avuto un bel coraggio.
I capitolini stavolta applaudirono, sperando in un’intervista migliore della precedente.
« Un ragazzo bene in forma! » fece Augustus, dandogli una pacca sulla spalla. « Il lavoro al distretto deve averti formato più di qualunque altra cosa. »
Ryder annuì, semplicemente, sedendosi sulla poltrona e cominciando a battere ritmicamente il piede sul pavimento, nervoso.
« Dunque » cominciò il presentatore, sfregandosi le mani, « come ci si sente a portare indosso Panem intera? »
Ryder avrebbe preferito di gran lunga rimanere in silenzio, a contemplare il vuoto o le facce finte e fin troppo truccate dei capitolini in platea, ma dopo qualche istante di silenzio assoluto si sentì costretto a rispondere. « Fa uno strano effetto. » Laconico, come al solito. Ma non c’era da stupirsi, Ryder odiava parlare.
Nel Distretto 10, chi lo stava vedendo, sicuro era rimasto sconcertato; chi lo conosceva sapeva che Ryder non parlava mai, mai, mai. E Ryder avrebbe preferito di gran lunga serrare le labbra come al solito, o – meglio – non presentarsi proprio. Ma Columbae, la sua accompagnatrice, l’aveva letteralmente minacciato, costringendolo a parlare in pubblico, almeno per quei tre minuti. Poi, aveva detto, poteva pure tagliarsi la lingua.
« Posso solo immaginarlo » ridacchiò l’uomo, seguito dal pubblico poco dopo. « Le donne qui avranno un bel daffare dopo, per decidere chi sponsorizzare. Tutti di bella presenza, questi tributi. »
Ryder si grattò dietro la nuca senza aggiungere nulla. Già la situazione era imbarazzante, figurarsi se si aggiungevano quelle insinuazioni impertinenti.
« A casa ce l’hai la fidanzatina? » chiese quello, calcando la mano.
« No » disse, il che era vero. La sincerità andava bene, decise. Sincerità a monosillabi, tuttavia.
Augustus ammiccò in direzione del pubblico. « Non ci credo nemmeno se mi paghi! Avanti, ci sarà sicuramente qualcuna che ti piace… »
« No, non c’è » ripeté Ryder, ormai più che a disagio. Prese a strofinare i palmi delle mani sui pantaloni, tanto era il nervosismo.
« Che vita triste, figliolo » commentò il presentatore, « una vita senza donne. »
Augustus non lo sapeva, ma aveva centrato in pieno l’argomento: niente donne. Non aveva più sua madre, non aveva più sua sorella, non aveva più sua nonna paterna. Ecco, quelle erano le donne che aveva amato un tempo. Prima che la rivolta le portasse vita una dietro l’altra.
« Lo so. »
Il presentatore lo scrutò con sguardo indagatore. « Hai paura di morire, Ryder? »
« Tantissima » ammise il giovane, distogliendo il suo sguardo da quello verde-acqua dell’altro.
« E che cosa ti aspetti dall’arena? »
Questa volta il silenzio non fu premeditato. Scese su tutto il pubblico come una densa nebbia di tensione. « Non ne ho la minima idea. »
« Uff, certo che con questo Distretto 10 devo proprio faticare per tirarvi due parole da bocca! » si lamentò il maggiore, allentandosi ancora una volta la cravatta abbinata allo smoking. « Collabora un po’, avanti, usa la tua immaginazione! Come pensi che sarà l’arena di quest’anno? »
Ryder si sfregò più velocemente le mani sui pantaloni. « Un bosco lo escludo… troppo semplice » riflettè spontaneamente. « Forse un paesaggio marittimo, o innevato… »
« Hai poca fantasia, ragazzo » borbottò Augustus. « Fidati che Hidden può fare grandi cose. »
Il sedicenne lo guardò in tralice. « Non lo metto in dubbio. »
« Buon per te » ribatté lui. « Qui tutti dovrebbero preoccuparsi della macabra genialità di quell’uomo. »
Le telecamere inquadrarono il posto d’onore riservato al Primo Stratega e gli schermi a casa furono occupati dalla sua maschera di cervo. Lui fece un cenno con la mano, come per salutare gli spettatori, e probabilmente sotto quel travestimento sorrise d’un sorriso inquietante. Tutti lo sapevano lì dentro, Augustus aveva ragione.
« Beh » concluse il conduttore, quindi, « direi che anche quest’intervista è andata. Buona fortuna, chiacchierone. »
Ryder si alzò con un sospiro arrabbiato, pensando che persino a Capitol gli avevano dato quel soprannome – che al distretto era un amabile “Chatty” – e senza aggiungere nulla, ovviamente, lasciò il posto al tributo successivo.
« Diamo un caloroso benvenuto a Go Nakai! » annunciò allora Augustus.
La ragazzina che salì sul palco era ancora più minuta di Kenia, Wednesday e Lila, alta un metro e quaranta scarso. Il pubblico si addolcì nel vederla camminare a testa alta, giudicandola come una creatura innocente e pura. Creatura che, guarda caso, era finita agli Hunger Games. Che fortuna.
Go, a conferma del suo aspetto orientale – e più precisamente di discendenze nipponiche –, indossava un grazioso kimono che le scendeva fino ai piedi, rosato e con una fascia rossa in vita. Le maniche erano talmente ampie che non era possibile vedere le sue mani e ai piedi portava i classici sandali della cultura orientale. I capelli erano raccolti in alto e decorati con un fiore di loto, per riprendere il motivo del kimono. Non aveva trucco, se non un filo di cipria bianca per sottolineare la sua purezza di bambina – perché lo era ancora.
« Benvenuta » la accolse Augustus, facendola sedere sulla poltrona accanto a lui.
« E’ un piacere conoscerti » disse Go in tono freddo, congiungendo le mani in grembo.
« Anche per me, cara » replicò l’uomo. « Dunque, a quanto pare anche tu splendi come una stella stasera… hai qualche parola per il tuo stilista o per il tuo staff? »
Go stirò le labbra. « Beh… grazie. » Se ne stava seduta sulla poltrona compostamemte e rigidamente.
« A quanto pare » considerò Augustus, « i tributi di quest’edizione sono per la maggior parte silenziosi. Non avrai mica paura di me, Go? »
« No » rispose la dodicenne, « ma la nonna mi ha sempre detto di non fidarmi mai degli sconosciuti, soprattutto se sono uomini. »
« Oh, che nipotina ubbidiente! » esclamò lui ridacchiando. « Tua nonna sarà sicuramente molto fiera di te. E il resto della tua famiglia? »
« Mia nonna è tutto ciò che mi rimane » fece la minore, stringendosi nelle spalle. « E’ stata lei a insegnarmi tutto. »
« Tutto cosa? » si interessò Augustus. « Per aver preso Sei alla sessione privata devi essere stata sicuramente avvantaggiata da questi insegnamenti… »
« E’ un segreto » fece timidamente, sorridendo appena. « Se avrò fortuna, svelerò quello che so fare nell’arena… ormai manca poco, giusto? »
L’uomo ghignò. « Giustissimo. Non ne vediamo l’ora. »
I capitolini in platea, come al solito, applaudirono, impazienti di veder entrare finalmente quei tributi in arena e vederli ammazzarsi a vicenda, come se fosse il più grande spettacolo del mondo. Beh, per loro lo era.
« E… cos’altro ci dici di te? » domandò il conduttore, ancora. « Ti piace Capitol City? »
« Sinceramente no » ribatté la ragazzina. « Per carità… è molto grande e luminosa, non c’è dubbio, ma è molto diversa da casa mia, che un luogo semplice e ospitale. E io credo che non esista un posto più bello della propria casa. » Augustus storse il naso e lei continuò: « Per te non è così? »
« Io amo Capitol City » sottolineò il maggiore.
« Ma non ami i distretti » specificò l’altra, « perché Capitol è casa tua. Dimmi, vorresti mai vivere da qualche altra parte? »
Augustus prese a fissarla con sguardo sconcertato. « No, certo, ma a pochi questa città non piace. C’è qualche motivo in particolare? »
« Troppo rumorosa, forse » replicò Go, stringendosi le mani. « A me piace il silenzio, non c’è niente di più bello. »
« Ah, ecco perché sei così timida. »
« E tu? » chiese ancora lei. Augustus ormai non riusciva a capire perché fossero i tributi a fare le domande, in quelle interviste. « Perché sei così cattivo? »
Il pubblico si zittì e le telecamere si concentrarono sul volto della più giovane. « Cattivo io? »
« Lo so che la rivolta ha portato via tua moglie » disse, « ma non sei stato l’unico a subire delle perdite. La rivolta ha cambiato tutti, anche chi non pensa di essere cambiato. A volte dobbiamo solo essere forti, sai? Essere forti e andare avanti. Un passo dopo l’altro. Non è difficile, ci vuole solo un po’ di coraggio. »
Augustus, per la prima volta nella sua vita, non seppe veramente cosa rispondere. Cosa ne voleva sapere lei di Juliet, della capitale e di tutti gli uomini che erano morti? Aveva soltanto dodici anni!
« E tu ne hai di coraggio, bambina? » ebbe l’istinto di domandare.
« Io… » tentennò Go, come se stesse cercando le parole giuste. Ce n’erano sempre, per ogni situazione. « Credo di sì. »
« Lo spero per te » fece Augustus, con più acidità di quanto avrebbe voluto. « Un bell’applauso a Go Nakai e ai suoi discorsi pacifisti! Che gli Hunger Games possano risolvere tutti i conflitti tra capitale e distretti! »
I capitolini, di conseguenza, applaudirono, come tante piccole e insulse marionette. A Go salirono le lacrime agli occhi: nessuno aveva capito niente, niente, di quello che aveva detto. Nessuno aveva anche solo lontanamente pensato che i Giochi della Fame fossero un’ingiustizia, lì, ma solo un modo per dimostrare la vittoria di Capitol e risanare le ferite. La più grande delle quali era, ovviamente, la vendetta. 
Go si mise in piedi e si allontanò con quell’applauso in sottofondo.
« Adesso mettiamo da parte la commozione » continuò Augustus, fingendosi ammirato per il temperamento della dodicenne, quando invece quella non aveva fatto altro che alimentare la sua rabbia, « e chiamiamo sul palco Logan Jeremy Mackinley! »
L’applauso si fece ancora più vigoroso, specialmente dopo che il ragazzo comparve da dietro le quinte, abbigliato con uno stile che in quel periodo a Capitol andava molto in voga: il cosiddetto “punk”. Non si conosceva il motivo per cui gli stilisti avessero scelto quel look per lui, ma Jeyl, seppur lievemente imbarazzato, lo indossava cercando di apparire disinvolto. Pantaloni di pelle nera, maglia di cotone a righe rosse e nere e sopra una giacca con le spalle borchiate. Ai piedi portava degli anfibi dai lacci rossi, varie collane con teschi al collo e i suoi capelli erano stati acconciati in una cresta abbastanza altra, senza contare gli occhi decorati con una matita nera e lo smalto dello stesso colore sulle unghie delle mani.
« Ah, però, Logan! » commentò Augustus, evitando di dargli una pacca sulla spalla per non ferirsi con tutte quelle borchie. « Che originale il tuo abbigliamento! »
« Chiamami Jeyl, Augustus » fece lui, cercando di sorridere.
« Tutti a quanto pare hanno un soprannome, da queste parti » borbottò il maggiore, sedendosi nuovamente, pronto per quella nuova intervista. « Jeyl a cosa è dovuto? »
« Alla mia amica Coraline » spiegò il sedicenne. « Lei dà soprannomi a tutti. E trovava che chiamarmi con i nomi del mio bisnonno e di mio nonno – entrambi morti di vecchiaia molto prima dei Giorni Bui, beati loro – fosse poco appropriato. Ormai Jeyl mi si cuce perfettamente addosso e tutti mi conoscono così. »
« Buono a sapersi, Jeyl » ribatté Augustus. « Parlaci un po’ di questa tua amica, Coraline… sicuro che non è qualcosa di più, per te? »
« Sicurissimo » rispose il ragazzo. « Tutti al distretto pensano che stiamo insieme, non sei il primo a chiedermelo. Eppure siamo come due fratelli! »
« Da quanto tempo vi conoscete? » si interessò l’intervistatore.
« Da… » cominciò Jeyl, contando mentalmente, « … dieci anni. »
« Che storia commovente » ridacchiò Augustus, « una ragazza, Coraline, abbandonata nella friendzone da dieci anni. »
« Ma no! » protestò il giovane, con una risata nervosa. « Ti stai sbagliando! E comunque, se proprio vuoi qualche pettegolezzo, al distretto c’era una ragazza che mi piaceva… »
Augustus prese ancora ad accarezzarsi la barba, come se la cosa lo interessasse. « Oh, raccontaci. »
« Anche lei all’inizio era una mia amica… » cominciò a spiegare Jeyl, anche se con molta meno allegria di prima.
« Ma poi, a differenza di Coraline, ha avuto la fortuna di non essere friendzonata » si intromise il maggiore, facendo ridere gli spettatori.
Il sedicenne fece un sorriso amaro. « Non l’ha mai saputo che mi piaceva. E’ morta durante la rivolta… o almeno credo. »
« E questo è il pegno per le persone che cercano di contrastare Capitol City » aggiunse Augustus. Jeyl strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi. Proprio non riusciva a capire perché quell’uomo non avesse nemmeno un briciolo di empatia, eppure anche lui aveva subito una perdita. « Come si chiamava? » chiese.
« Virginia » rispose l’altro, guardando un punto imprecisato nella platea. « E’ stata catturata durante il terzo anno dei Giorni Bui e portata a Capitol City. Se solo fosse ancora viva… »
Augustus tentennò per un istante. Era la stessa Virginia che stava pensando lui? Decise che il pubblico avrebbe apprezzato quella storiella e che il Presidente si sarebbe complimentato con lui per aver dato un briciolo di speranza agli abitanti dei distretti. Un briciolo, appunto, un minuscolo granello di sabbia in un deserto di paura. Un po’ di speranza andava bene, troppa sarebbe stata dannosa. « Sai, Jeyl? Non voglio affrettare i collegamenti, ma… mi pare che ci sia una Virginia nel mio staff di truccatrici. »
Il cuore di Jeyl si fermò per un tempo che a lui parve infinito. Virginia è ancora viva. Questo fu il primo pensiero che gli balzò in mente. E se non è lei?, si disse subito dopo, preoccupato di poter restare deluso, come se nella sua vita non lo fosse stato già abbastanza spesso.
« Non può essere… » mormorò appena, le mani che presero a tremargli.
« Chiamiamola sul palco! » improvvisò Augustus, alzandosi dalla poltrona e accogliendo a braccia aperte l’applauso del pubblico, estasiato da quel colpo di scena. In quel momento, il presentatore stava vendendo gratuitamente pane per i loro denti.
Jeyl si alzò in piedi di scatto, nel momento esatto in cui una ragazza esile e bassina fu spinta sul palco, anche se non indossava un abito adatto alla diretta: una misera divisa da senza-voce. Si bloccò non appena si ritrovò Jeyl davanti e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Il ragazzo spalancò i suoi, verdi come il prato del Distretto 11 – o almeno, il prato com’era un tempo.
Virginia.
Era lei, era lì, davanti a lui. Era cresciuta, cambiata, era diventata assai più smunta ed esile, ma era lei, con i suoi ribelli capelli rossi e i grandi occhi azzurri.
Corse ad abbracciarla senza dire niente, la strinse a sé come se potesse svanire tra le sue braccia da un momento all’altro.
« Grazie… » riuscì a mormorare, senza un interlocutore preciso.
Virginia nascose il viso nel suo petto e scoppiò in un pianto liberatorio, mentre anche i capitolini in platea si emozionavano a quella scena.
« Direi che stasera abbiamo ricongiunto due cuori » fece Augustus, con un tono a metà tra il soddisfatto e il sarcastico. « Adesso, Jeyl, devi solo sperare di vincere per poterla rivedere, anche se adesso l’idea di baciarla ti farà sicuramente senso… »
Jeyl arrossì e si voltò brevemente in direzione di Augustus. « Lo farò, stanne certo. Tornerò. »
Gli applausi si prolungarono per qualche altro minuto, poi entrambi furono costretti a scendere dal palco.
« Che momenti, amici! » esclamò il conduttore, asciugandosi una finta lacrima che premeva per cadergli da un occhio. « Succede solo agli Hunger Games! Adesso, però, siamo tutti impazienti di conoscere la fanciulla del Distretto 12… diamo il benvenuto a Nymeria Ironborn! »
I capitolini continuarono a fischiare e a incitare, curiosi di conoscere dal vivo gli ultimi due tributi ed elettrizzati perché dopo le interviste sarebbero finalmente cominciati gli Hunger Games, l’evento che tutta la nazione stava aspettando.
Nymeria salì sul palco con un alone di mistero indosso, ampliato dal lungo e spesso mantello rosso che la copriva quasi completamente, testa compresa. Augustus, interdetto, la invitò ad avanzare.
« Nymeria! » esclamò il presentatore, tentando si sbirciare il suo volto sotto lo spesso cappuccio. « Perché non ti togli questo mantello? I miei amici, qui, desiderano vedere il tuo bel visino. »
« Non ti piace, Augustus? » chiese lei, lisciandosi una piega del mantello. « E’ di velluto. »
« Beh, se sei nuda, sotto il mantello, non so come rimediare al tuo problema… ma almeno mostraci il tuo volto. »
« Sei così impaziente di vederlo? » disse, sorridendo appena, anche se le sue labbra erano coperte dall’ombra del cappuccio. Sembrava un personaggio delle fiabe, se solo… « Questo, secondo me, ti piacerà ancora di più. » Detto ciò, si sfilò piano il mantello, lasciando che cadesse a terra dopo qualche istante, rivelando il suo vero abbigliamento.
Tutti i presenti nello studio si ammutolirono, uno dietro l’altro, dinanzi a quella palese provocazione. Nymeria indossava un semplice abito azzurrino, fatto di stoffa semi-trasparente, lungo fino alle caviglie. Aveva i piedi scalzi e sotto era davvero nuda, ma ciò che sconvolse di più i capitolini fu la pelliccia che portava intorno alle spalle. Era la pelliccia di un lupo.
Ora, a chi non avesse conosciuto gli avvenimenti precedenti agli Hunger Games quell’accessorio sarebbe risultato semplicemente di buono – o cattivo? – gusto, perché faceva il suo effetto. Il pelo grigio, la coda che virava verso il bianco, la testa a penzoloni su una spalla, le fauci dischiuse… insomma, era un lupo vero. Ma tutti lì sapevano che il lupo era il simbolo di Randy Wane, il capo dei ribelli. Dopo la fine della rivolta, tutti i lupi di Panem erano stati braccati e uccisi, solo alcuni erano stati conservati per degli esperimenti genetici.
Quello di Nymeria era, in effetti, un riferimento alla ribellione in tutto e per tutto. E anche i capitolini più stupidi se ne accorsero subito.
Nymeria sorrise in quel silenzio tombale e si andò a sedere tranquillamente sulla poltrona di pelle bianca. Qualcuno dalla platea urlò qualche insulto, ma nessuno vi badò, nemmeno Augustus Flickerman. Augustus che, decise, gliel’avrebbe fatta pagare cara anche solo per aver indossato quell’abito.
Ignorando bellamente la tensione, il presentatore si sedette accanto a Nymeria, sorridendo con le labbra tirate. « Allora, Nymeria. Sei davvero incantevole. »
« Grazie » rispose la giovane, fissandolo con uno sguardo pieno di sottintesi. Se proprio doveva morire, pensava lei, avrebbe onorato il defunto Randy Wane prima di lasciare questo mondo.
« L’abitino è persino in tinta con i tuoi occhi! » esclamò l’uomo. « Sarà sicuramente fatto a posta… »
« Lo è » confermò la diciottenne. « Anche se ho sempre odiato i miei occhi. »
« Oh, stai scherzando? Sono meravigliosi, davvero » si complimentò lui, sebbene gli facesse assai strano che i capitolini in studio se ne stessero completamente in silenzio. Si sentivano soltanto le voci di loro due, il che era inquietante, oltre che inusuale.
« Sono gli stessi occhi di mia zia » spiegò Nymeria. « Tutti in famiglia li hanno grigi, come il ferro del mio cognome… grigio scuro, grigio chiaro, grigio tempesta… tranne me e lei. E lei è morta giovane, il che è sempre stato un cattivo presagio per me. »
« Che bella storia » commentò il maggiore, sorridendo sarcasticamente, « la tua sembra essere una famiglia particolare. »
« Non particolare quanto pensi tu » rispose l’altra. « E poi Jason è tutto ciò che mi rimane. »
« Jason? » ghignò l’intervistatore. « Il tributo del Distretto 5? »
« N-no » si affrettò a spiegare Nymeria, « Jason Ironborn, mio fratello. E’ la persona a cui tengo di più al mondo. » E quella era una mezza verità, in effetti. Erano due, le persone a cui teneva di più al mondo.
« Questo nome l’ho già sentito » fece Augustus di sana pianta, rimuginando per qualche secondo. « Se non sbaglio… qualche giorno fa, al telegiornale, tra i nomi dei ribelli scovati. »
Nymeria sbiancò improvvisamente. « Cosa? » domandò, repentina, stringendo le dita sui braccioli della poltrona.
« Ma sì… Jason Ironborn! » esclamò l’uomo, come se avesse avuto un’illuminazione. « Uno degli ex ribelli giustiziati ieri al Distretto 12! »
Il volto della ragazza si fece terreo, come se il sangue le fosse completamente defluito dal viso. Schiuse le labbra come per dire qualcosa, ma nessuna parola uscì dalla sua bocca. Rimase immobile per un lasso di tempo che le parve infinito, dopodiché si alzò in piedi di scatto, facendo sventolare le pieghe dell’abito. « Non è possibile! » esclamò, gli occhi spalancati puntati addosso ad Augustus. « Stai mentendo! »
« Mi dispiace, cara » fece lui, fingendosi costernato. « Avrà avuto una morte veloce, stai serena. Adesso, per la tua felicità non ci sarà più nessuno con gli occhi grigi in famiglia. »
Nymeria gli si avvicinò con uno scatto e lo schiaffeggiò con tutta la forza che aveva, gli occhi pieni di lacrime che sarebbero state versate a breve. Voltò i tacchi e scappò da quel palco, facendo sparire la coda di lupo dietro le quinte.
Augustus si massaggiò debolmente la guancia. « Hai capito la Ironborn, che caratterino. » Fece spallucce e, come se niente fosse, riprese a parlare con il pubblico, nonostante ribolisse di rabbia per lo schiaffo appena ricevuto. L’aveva trattata fin troppo bene, quella ragazza, con la storia del fratello. Avrebbe potuto andarci giù più pesante. « Per fortuna queste interviste sono quasi finite. Ora è il turno dell’ultimo tributo: Jeremiah Wilson! »
Jeremiah – o meglio, Jeremy – salì sul palco con un viso un po’ sconcertato per quello che era successo alla sua compagna di distretto e non si rese nemmeno conto di essere arrivato accanto ad Augustus, che fu sul punto di inciampare nella poltrona.
« Ops » eslcamò il ragazzo, imprecando nella sua testa contro quel malcapitato oggetto. « E dire che le entrate in scena una volta erano il mio forte! »
Anche stavolta il pubblico rimase in silenzio. Normalmente avrebbe riso per una gaffe simile, ma dopo l’abito di Nymeria anche quello di Jeremy fu subito smascherato per l’implicito – o quasi – riferimento alla rivolta: indossava dei semplicissimi pantaloni marroni, una camicia bianca e delle bretelle. Un costume semplice e, forse, d’effetto, se solo non avesse rappresentato in tutte le sfaccettature quello che era Hans Coin, il secondo capo della rivolta e seguace di Randy, disperso a differenza sua. Gli stilisti del Distretto 12, quell’anno, avevano proprio rischiato grosso.
Jeremy, per niente in imbarazzo per quella situazione, si grattò dietro la nuca con disinvoltura. « Mi siedo? » domandò ad Augustus. « Oppure questa poltrona tenterà di uccidermi ancora? »
L’uomo sogghignò, riscuotendosi dalle proprie considerazioni. « Non saprei. »
Il ragazzo si sedette con finta circospezione, analizzando il sedile, lo schienale e i braccioli di pelle, poi fece una smorfia compiaciuta. « Uhm, sì, è comoda. »
« Tutti con questi vestiti anticonvenzionali, stasera? » domandò Augustus, sedendosi dopo di lui. « Ammetto che l’anno scorso furono meno… originali. »
« Solo il meglio per il Distretto 12! » ironizzò il minore, accavallando le gambe con nonchalance. « Non trovi che sia il distretto più bello? »
« Uhm » fece Augustus, fingendo di pensarci su, ormai fin troppo irritato da tutti quei tributi. Dopo ventiquattro interviste aveva decisamente i nervi a fior di pelle, « il Distretto 4 ha il mare, ad esempio. »
« Quello non fa per me » ribatté Jeremy. « Non so nuotare. Non potevo di certo imparare a nuotare nelle miniere. »
« Allora la tua teoria crolla » disse l’altro. « Per te cos’ha di bello il tuo distretto, visto che ci tieni tanto? »
« La gente, ad esempio » rispose prontamente il diciassettenne. « O meglio, me. Sono l’attrazione principale di tutto il distretto, e non faccio fatica ad immaginare perché. » Ammiccò alle telecamere e fece un occhiolino assai poco provocante. D’altronde Jeremy non era tutta questa bellezza, era il classico ragazzo in fase adolescenziale.
Augustus si portò una mano alla fronte e scosse la testa. « Hai molta autostima, ragazzo. »
« Dico semplicemente la pura verità » affermò. « Anche tu sei un bel vedere, però, non sminuisci mica, di fianco a me. »
Il presentatore alzò un sopracciglio, raffreddandosi più di prima. « Ti ringrazio. Detto da te è sicuramente un complimento. »
Ci fu qualche istante di silenzio che Jeremy non seppe colmare, ma dopo di ciò disse, per cercare di riparare la situazione con il pubblico – o gli sponsor non sarebbero mai arrivati: « Posso cantarti una canzone? E’ per Capitol, sai… lo showbiz. »
Augustus alzò le mani come in segno di resa. « Come vuoi, basta che non stoni come la ragazzina del Quattro. »
« Allora » cominciò Jeremy, « questa canzone si intitola “Le piogge di Randy”, e fa tipo così: And who are you, the proud Wane said, that I must bow so low? Only a wolf of a different coat, that’s all the truth I know » – e qui si alzò in piedi sulla poltrona, lasciando sbalorditi Augustus e tutti i presenti – « In a coat of gold or a coat of red, a lion still has claws… And mine are long and sharp, my Rigel, as long and sharp as yours. And so he spoke, and so he spoke » – qui la voce si fece più solenne – « the lord of rebellion. But now the rains weep o’er his hall, and not a soul to hear. » Sul gran finale Jeremy spalancò le braccia e qualcuno lo applaudì blandamente, perché aveva cantato una canzone contro la ribellione, anche se il testo era di gran lunga reversibile. La maggior parte, però, la interpretò come lui voleva che andasse interpretata e divenne meno diffidente nei suoi confronti. Con un balzo Jeremy scese a terra e fece un breve inchino.
« Grazie, grazie » disse, con tono esageratamente commosso, « è stato un gran momento, lo riconosco. » Si prese le bretelle con i pollici e, voltandosi verso Augustus, disse: « Lode alla capitale! » Quello gli fece un cenno d’assenso poco convinto. « Ora è tempo che vada, signori. Buona serata e guidate piano! »
Detto ciò, lasciò il palco a grandi passi, lasciando tutti basiti. Augustus si alzò dalla propria poltrona. « Beh, che dire di questi tributi? Uno più singolare dell’altro. » Si aggiustò la cravatta un’ultima volta. « Adesso però devo dare ragione a Jeremiah Wilson, è ora di salutarci! » disse, accogliendo gli applausi che arrivarono. « A presto, amici miei, con l’Arena dei secondi… Hunger Games! »
Le esclamazioni aumentarono e il presentatore le lasciò durare un po’, mentre uno spettacolo di luci artificiali completava la sua uscita di scena. Dopo qualche secondo il palco si oscurò e allora l’uomo fu libero di tornare dietro le quinte. Un po’ di riposo, in fondo, lo meritava anche lui.
Augustus si lasciò il palco alle spalle, ove pian piano si spegnevano le luci, in attesa che il pubblico uscisse dalla sala. Era frustrato, irritato da quelle insignificanti pedine pronte per andare verso il patibolo. Ripensò a Saevera che era venuta a trovarlo prima dello spettacolo, l’unica donna che condividesse il dolore per la sua amata Juliet; avrebbe dovuto sposarla, dovevano essere loro a vivere per sempre felici e contenti, non il suo stupido fratello minore, Hadrian, e la sua stupida moglie, Joy Holy. Annegavano nella felicità del loro matrimonio, dimenticandosi di lui, dimenticandosi di Juliet, dei ribelli, di tutto. Un sorriso si arricciò sulle labbra di Augustus al pensiero che finalmente i ribelli avrebbero pagato per aver rovinato la vita a lui e a molte altre persone.
Camminando dietro le quinte, scorse l’alta ed esile figura di Jewel Walker, nel suo vestito lungo e stretto, composto da edera di cristalli verde smeraldo; Augustus aspettò che la bionda, con le lunghe trecce appuntate sul capo,  lo notasse, per poi avvicinarsi a lei con passo spedito e composto.
« Jewel, sembra che quest’anno il mio stilista mi voglia coordinare con te » sorrise Augustus, prima baciandole la mano e poi mostrandole il suo smoking.
La bionda trattenne per un attimo il fiato, oramai sempre a disagio da quando aveva capito con quanta fragilità le sue parole potessero avere importanza sulla vita di qualcuno. Si sforzò di sorridere, gentilmente, dandogli corda. « Ti ringrazio, Augustus. »
« Beh, sembra che tutto il mondo voglia coordinarsi con te, oramai » fece notare il conduttore, tornando composto con la schiena e scrutando con gli occhi ciò che lo circondava, come per accrescere la credibilità delle sue parole – non che ce ne fosse il caso, « tranne l’Arena » aggiunse infine, guardando la ragazza dritta negli occhi brillanti.
Jewel ebbe un fremito e il suo sorriso si affievolì, mentre sentiva il cuore iniziarle a pulsare nella gola.
Il maggiore sembrò volerla sorpassare, ma poi le si accostò all’orecchio, sempre sorridendo con naturalezza, e sussurrandole con un tono che fece raggelare il sangue della vincitrice: « Che ne dici, J, l’anno prossimo ci vestiamo di rosso? »  






 

Essere innocenti è pericoloso perché non si hanno alibi.
(
Boris Makaresko)













 



L'angolo di Pandaivols.

Salve a tutti, e benvenuti nel magico mondo di pandamito e Ivola. *sigla*
Il copia-incolla è un'arte. Anche il copia-incolla del copia-incolla. E anche il copia-in... vabbé, ci siamo capiti.
Sì, vi abbiamo sconvolto un’altra ship: Benvolio è fidanzato e Phoebe/Melanie si incesta col fratello – anche se la sua mentore non vuole ammetterlo.
Si nota tanto che per gli ultimi distretti non avevamo più idee per gli abiti? Sì? Bao oh.
Dài che Augu è simpaticissimo ♥♥♥ Non lo amate anche voi? Sembra un po’ pedo-bear con Lila e Go, in effetti.
E compatite la povera Coraline friendzonata.
Che poi c'è anche un personaggio che non viene detto ma è stato trasformato in senza-voce. E' stato nominato in queste interviste, quindi se indovinate vi diamo un biscottino.
Adesso amate il vestito di Nymeria, che è il premio di _lu per aver indovinato il precedente indovinello. E, beh, la storia del fratello poi sarà chiarita, perché non finisce qui.
L’indovinello per il Bagno di Sangue è questo, di difficolta decisamente più elevata: cosa c’è di strano? Esatto, avete capito bene. In questi tre capitoli abbiamo aggiunto qualcosa di strano, qualcosa che li accomuni a cui sicuramente non avete fatto caso. Se trovate questo qualcosa, avrete un premio. Semplice, no? ♥
Quest'ultima tappa (che si svolge lo stesso giorno del compleanno del bribissimo James Franco) del Cisalpina Tour si chiama “Estathef” perché… è una lunga storia. Allora. C’è un tributo di Ivola, Estefan soprannominato “Tef”, del Distretto 1, su cui una volta Mito scrisse una one-shot per un’inziativa su un gruppo facebook, precisamente una rating rosso con una sua tributa, Salome, del Distretto 6 (in quanto teoricamente ‘sti due andrebbero agli Hunger Games insieme nell’interattiva di Martatrice, sempre se comincia). In questa Rossa Tef veniva paragonato al lupo e Salome a Cappuccetto Rosso. Ciancio alle bande, quindi, Ivola è fissata con Il Trono di Spade e quindi disse “ah, ma quindi dei metalupi di GoT Tef chi sarebbe? Estate (nome del metalupo)?” E allora nacque il nome “Estatef”, solo che è stato trasformato in “Estathef” perché a Mito ricordava il famoso tè freddo. Questo capitolo, quindi, ha questo nome nonsense in riferimento all’abito di Nymeria, senza contare che il nome Nymeria viene proprio da uno dei suddetti metalupi del Trono di Spade, di cui è anche cominciata la quarta stagione da poco e Ivola sta sclerando da giorni perché finalmente è morto uno che le stava sul platano invece dei suoi preferiti, come accade sempre. Mentre Mito si dispera perché non riesce a riprendersi dalla morte del suo personaggio preferito, appunto.
Adesso applaudite per questa bella storiella, noi vi diamo un biscotto.
QUI vi lasciamo una bellissima immagine di Randy cuoroso... o curioso?
La canzone che Jeremy canta nella sua intervista è volutamente ispirata a “Le piogge di Castamere”, colonna sonora sempre de Il Trono di Spade – giusto per restare in tema. QUI il link del testo ufficiale, la traduzione la scrive Ivola ché quelle trovate sul web in giro fanno un po’ piangere. (TRADUZIONE: E chi sei tu, disse il fiero lord, per dovermi inchinare così in basso? Solo un gatto con una pelliccia diversa, ecco tutta la verità che so. In una pelliccia d’oro, o in una pelliccia rossa, un leone ha sempre i suoi artigli. E i miei sono lunghi e affilati, mio lord, lunghi e affilati proprio come i tuoi. Così disse, così disse, il lord di Castamere, e ora le piogge cadono sulla sua casa, con nessuno lì a poter ascoltare, e ora le piogge cadono sulla sua casa, senza nessun’anima lì ad ascoltare.) Non vi dico di cosa parla questa canzone perché è spoiler (non è vero, è solo un'incitazione a vedere GoT, se non l'avete ancora fatto, pandracchi. Ok, Ivola, forse ora dovresti smetterla).
Quindi… Speriamo davvero che questo capitolo vi sia piaciuto, è stato una fatica come al solito e ci abbiamo sudato tanto, tra connesioni internet scarse, improbabili modi per betare, attacchi di ridarella, lacrime amare… Bao. Vi salutiamo, con un alone di mistero perché nessuno sa di cosa tratterà il prossimo capitolo. ZANZAN. Un po’ di suspense non fa mai male.
… Guidate piano! (cit.)

Bao e cotolette.
 
pandaivols.


 
  
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