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Autore: A Modern Witness    21/04/2014    4 recensioni
Affido la vita di mia figlia, la sua felicità e il suo futuro a Jared Leto.
Perché lui?
Perché non i nonni?
Perché non Amelia?
Perché mamma?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pioggia di ricordi'
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Capitolo 11.
 
Due mesi dopo
Sei stata fortunata.”
 
“Dopo tutto questo tempo? Non potevi tornate a Londra?”
 
“Benvenuta in famiglia.”
 
“Sei solo un’arrivista sociale.”
 
“Sei stata sfortunata, a cambiare vita così. Non vorrei essere al tuo posto.”
 
“Andrai in tour con loro?”
 
“Sono confusa, ma in ogni caso sappi che hai acquisito miglia di fratelli e sorelle.”
 
“Shannon non è tuo padre, non ci credo.”
 
“Non allontanare troppo Shannon da noi, per favore.”
 
“Mi dispiace per tutto quello che ti è successo, davvero.”
 
Aveva centinaia di frasi del genere salvate nel computer e quasi ogni giorni ne aggiungeva di nuove. Più o meno simili, tranne alcune davvero troppo personali di Echelon che le parlavano di quanto la band contasse per loro, chiedendole di farle leggere a Shannon o Jared o Tomo. E così aveva fatto, lasciandole in anonimo però, alcune le aveva stampate e lasciate a suo padre sul mobiletto all’entrata in modo tale che le potesse leggere. Lei invece non si era mai espressa sull’argomento, alcune era davvero speciali.
La figlia di Shannon Leto, etichettata poche ore dopo che Shannon aveva fatto un Vyrt per raccontare tutto di lui e Sophia, della morte di sua madre, dell’affidamento e di lei, tranne di Jared, lo avevano lasciato fuori perché lui stesso lo aveva richiesto “Non ne posso più Shan, lasciami fuori è la cosa migliore, anche per Anthea e per gli Echelon, sarebbe davvero troppo complicato spiegare tutto per filo e per segno”. E aveva ragione.
Proprio per questo aveva lasciato lo studio e si era trasferita nel loft di Shannon, consapevole che più Jared l’avrebbe vista più i suoi sensi di colpi sarebbe lievitati e il cantante non ci avrebbe più messo una pietra sopra. Perché lei con Jared non ci aveva più parlato, non ci riusciva. Era diventato sfuggevole e lei non poteva che dargli ragione. Insomma ora che non aveva più nulla da nascondere, era più facile scorgergli negli occhi l’infinita tristezza, per la delusione che Sophia gli aveva inferto, gli era diventato superfluo nascondersi.
Loro due non potevano stare nella stessa stanza, senza che Anthea si sentisse colpevole.
Non è colpa tua, le ripeteva in continuazione Shannon, ma invano. Era un’idea radicata, profonda, non poteva liberasene perché lei rappresentava il dolore di Jared che gli camminava accanto. Come poteva guardarla e non vedere il torto che Sophia gli aveva fatto?
Era un pensiero fisso per Anthea.
Spense il computer, notando l’ora.
Quella mattina si sarebbe dovuta presentare al college per consegnare un progetto che non poteva inviare per e-mail, dato che seguiva le lezione online. Altra precauzione, troppa gente, Echelon e non, quella storia era un po’ sulla bocca di tutti e le sue foto erano state facili da trovare nel suo profilo facebook, che aveva provveduto a cancellare poco dopo. Perciò non seguiva più le lezioni al college.
 In compenso però Los Angeles aveva iniziato a piacerle, non sapeva quando fosse avvenuto il cambiamento, semplicemente un giorno guardando fuori dalla finestra aveva sentito di conoscere quella città. Forse era dovuto alla personalità bipolare che ci aveva trovato, che rispecchiava il modo in cui si sentiva: divisa in due persone diverse, con tendenze differenti, pensieri contrastani e una dominava l’altra. Un po’ come quella città. Una città che offriva sogni, ma creava illusioni. Un viale di sogni infranti, dopotutto non era tanto diverso da un viale di delusioni, no?
E proprio come la fama di essere la città che realizzava i sogni, predominava su Los Angeles, allo stesso modo in Anthea era forte il desiderio, la necessità di conoscere Shannon, tutto il resto si dissolveva davanti a quella realtà: aveva bisogno di suo padre.
 
 
Alzò il cappuccio della felpa e si sedette sulla sabbia tirando fuori dalla borsa il blocco da disegno.
In quei momenti si sentiva un po’ come Monet mentre cercava di dipingere la cattedrale di Rouen attraverso i cambiamenti atmosferici. Inutile dirsi che aveva abbozzato al meno una decina di volte Venice Beach, senza mai riuscirci veramente. Si ricordava vagamente il disegno di sua madre, ma l’era rimasta impressa la gamma di colori che aveva usata: opachi, pastello, anche se l’aveva dipinta al tramonto, quando l’arancio e il rosa sono più forti che durante l’alba. Eppure era sicura si trattasse del tramonto, dato che in angolo un po’ nascosta tra le nuvole c’era la luna, quindi non si spiegava la tonalità dei colori.
Era frustrante non riuscirci, ma era l’unico momento in cui Anthea svuotava la testa, troppo concentrata a imprecare contro i colori che non si decidevano a diventare come lei voleva.
Unico momento in cui ritornava sé stessa.
Sobbalzò quando partì la suoneria del telefono, era Shannon.
«Ciao» Lo disse sistemandosi la matita dietro l’orecchio e chiudendo l’album.
«Che felicità, è andato male il progetto?» S’informò l’uomo, notando il tono cupo in cui la figlia aveva risposto.
Anthea scosse la testa, anche se il padre non la poteva vedere «No no, ho preso A» Lo rassicurò.
«A? Come mai? Quel quadro era da A più, più, più, più, più…» Cercò di farle tornarne il buon umore, gli piaceva quando vedeva Anthea tranquilla e serena, anche se era davvero raro farla sorridere o trovarla con un sorriso spontaneo sulle labbra.
«Non è vero, c’erano troppe sbavature, te lo avevo anche detto. Però non importa, mi basta averlo fatto» Le era stata assegnato il compito di disegnare qualcosa in prospettiva e che desse l’idea di profondità. Aveva deciso di disegnare un ripiano di libri…già, dalla serie: come complicarsi la vita. Ci aveva messo quasi un mese per disegnarlo. Tutte le volte che lo prendeva in mano si annoiava e abbandonava poco dopo oppure non aveva voglia, così alla fine si era presa due giorni per concluderlo, fregandosene se sarebbe venuto male, se la maggior parte delle linee erano sbavate, voleva finirlo e basta.
«Voi, a che punto siete?» Chiese per non far cadere la conversazione, come succedeva ogni tanto. Avrebbero avuto tanto, troppo di cui parlare, ma farlo per telefono non era conveniente per nessuno dei due.
Parlarne al telefono era come sminuire l’argomento.
«Noi beh… siamo a buon punto, la settimana prossima iniziamo a registrare un paio di brani…»
«Hai parlato dell’idea per Depuis le Debut?» Lo interruppe consapevole che non l’aveva fatto.
Shannon tacque a suo parere l’idea era abbastanza scontata.
«No, ma…»
«E dai! E’ un’idea splendida.» Lo incoraggiò Anthea, le piaceva sentirsi utile.
Shannon sospirò divertito «E secondo te posso presentare l’idea come l’ho descritta a te?» C’era del scetticismo nelle parole del batterista.
«Sì» Affermò decisa «In fondo di cosa parla la canzone? Del successo no? Di quello che c’è dopo, oltre il successo. E che cos’è più importante se non la famiglia? Connie in particolare che vi ha cresciuti, quella pezzo del lago dei cigni che vi faceva da ninna nanna, è un po’ il simbolo dell’innocenza. Il contrario perfetto di una vita di peccato, che incarna in sé la vita di un’artista. La beatitudine che tanti credono, quando invece c’è tanto di quel male.» Si stava rigirando una ciocca di capelli tra le mani con lo sguardo fisso sull’oceano.
Shannon l’aveva ascoltata attento. L’aveva spiegato meglio di quanto lui avesse fatto con lei e lo stupiva, perché significava che davvero ci credeva in quell’idea, che fosse un’ottima idea. Ecco, questo le piaceva di Anthea, la capacità di cogliere quello che le persone volevano dire, andare oltre leggere tra le righe.
Un po’ come Jared. Un po’ come Sophia.
Tuttavia il test di paternità aveva confermato che lui era suo padre e non poteva che andarne fiero.
«Sai che a Connie, piacerebbe essere chiamata nonna?» Sdrammatizzò, perché a Costance non interessava essere chiamata ‘nonna’ o ‘ Connie’, le bastava semplicemente che Anthea fosse contenta.
Lei sorrise, imbarazzata «Ci proverò…» Rispose come da copione «Non cambiare argomento però, glie lo proporrai?» Era sottointeso il destinatario.
«Ci proverò…» La scimmiottò «Sai che deve venire nonna sta sera, no?» Persino a lui faceva strano affibbiare a sua madre il ruolo di nonna.
Anthea spalancò gli occhi «Quando?»
«Tra dieci minuti, sono quasi le sette» Specificò il batterista «Le ho detto di venire a Venice Beach, ho fatto bene?»
Anthea trattenne un’imprecazione, ormai aveva fatto gli anticorpi a lato sarcastico del padre: prima ti faccio spaventare e poi ti tranquillizzo.
«Sì.» E tu? Si morse una guancia a quel pensiero. Non doveva interferire con il lavoro del padre, ma a volte le assenze erano davvero troppo lunghe ed era snervante chiamarsi solo al telefono quando si era nella stessa città, per quanto grande fosse.
«Io sta sera torno.»
«Davvero?» Si pentì del tono troppo contento con cui lo aveva chiesto.
Shannon sorrise «Sì e domani Jared ha dato giornata libera, quindi mi dovrai sopportare!»
Anthea avrebbe voluto mettersi a saltare come una bambina.
«Oddio…» Commentò con finto disgusto.
«Ti stai abituando troppo bene a non avere nessuno che impartisce un paio di regole.»
Anthea alzò un sopraciglio, curiosa «Tipo?»
«Tipo non andare a letto tardi…»
«…ma non devo andare a lezione la mattina» Lo interruppe.
Shannon sospirò «Appunto, dobbiamo parlare anche di questo» Snocciolò il batterista. L’aveva lasciata fare perché si sentisse più a suo agio, ma in certo senso a lui dava fastidio. Non sopportava l’idea che Anthea non potesse seguire le lezioni personalmente.
La ragazza chiuse gli occhi, consapevole che questa volta non l’avrebbe vinta facilmente. Shannon si sera rivelato un padre comprensivo, disposto a trovare un punto comune, ma per un po’, giusto per farci l’abitudine, poi ritornava a imporsi con insistenza, soprattutto per quanto riguardava il college. Quella non era la prima volta che dava al suo scontento.
«Va bene» Tagliò corto lei, a sorpresa del batterista «Non ti aspetterò sveglia, allora.»
«Brava. Adesso vado, ci vediamo mattina, ok? Divertiti sta sera.»
Anche Anthea lo salutò, lasciando poi cadere la chiamata.
 
****
 
Chiuse la porta, staccando la foto che c’era attaccata sul retro. Tuttavia, prima di guardarla la girò.
Ok, beh…mmm, sono finite le polaroid. Poi è finito anche lo zucchero (Connie ha fatto i brownies!),però è rimasto quello di canna. Ah sì, Connie ha anche trovato il tuo pacchetto di sigarette ‘di fortuna’ e non lo troverai nel cestino, se l’è portato a casa. Mi ha chiamato Amelia, mi ha raccontato che lei e Lyn stanno tentando di adottare una bambina. ‘ Amelia ti dice ciao’, voleva che ti salutassi =) Altro? Ah…ben tornato a casa, Anthea”.
Girò la foto, trovando sua madre mentre mescolava l’impasto per i brownies. Anche se aveva chiesto anche ad Anthea di comparire nelle foto, sapeva che non l’avrebbe mai fatto a meno che non ci fosse stato lui a scattarla. La ragazza detestava farsi fotografare, proprio come Sophia.
Però quello era uno stratagemma che aveva ideato in modo tale che Shannon sapesse cosa lei aveva fatto durate la sua assenza. Infatti sul mobiletto dell’entrata c’era un’altra piccola pila di foto.
Il batterista le prese in mano.
La prima aveva immortalato qualche bottiglia di detersivo, una scopa e le lenzuola ancora piegate.
Visto? Io ti servo a casa, sennò chi pulisce?
La seconda invece era con Vicky e questa volta c’era anche Anthea anche se girata di spalle.
“…ci sono anchio.”
La terza era la schermata del computer, su cui si poteva vedere il logo dell’Università.
Un esame la settimana prossima, su… boh, non me lo ricordo.”
La quarta e ultima, era sempre la stessa di tutte le volte. Erano un paio di scarpe di Anthea, vicino alle sue.
Io non voglio i tuoi piedi, mi vanno bene i miei da principessa.”
Tuttavia in quella foto c’era di più di quattro scarpe. Queste infatti era dentro la scarpiera, dove Anthea aveva sistemato il resto delle scarpe, come i vestiti che aveva trovato un po’ di posto nell’armadio di Shannon. Ormai si era insediata in quella casa, rendendola una vera casa. Viva, familiare, non era più solo un contenitore di cose ‘necessarie a vivere’, ma era un luogo in cui Shannon tornava volentieri.
Era casa di Shannon e Anthea, la piccola famiglia Leto.
Poggiò le foto sul mobiletto e si diresse in camera, dove sapeva di trovare Anthea.
Purtroppo a causa degli impegni, non aveva tempo sufficiente per far sistemare la camera vuota che non ci serviva a niente e renderla una seconda camera da letto per Anthea. Nonostante questo, dato che dormiva la maggior parte delle volte allo studio, aveva lasciato alla figlia la libertà di dormire sul suo letto.
Shannon, infatti la trovò avvolta come un bozzolo nelle coperte blu.
Un sorriso semplice gli increspò le labbra e si andò a cambiare.


NDA.
Buondì:)
Allora una cosa... questi sono i famosi studi di Monet su
la cattedrale di Rouen

Poi, quello che dice a proposito di Depuis le Debut e una mia bislacca teoria che mi è nata, perchè per me quella canzone è davvero un mistero, non riesco a capire se mi piace o no, e soprattuto che senso abbia in particolare la parte del lago dei cigni alla fine. Perchè mettere alla fine di una canzone(con quel titolo) la ninna nanna di quando si era piccoli? Ecco per questo motivo la mia testa ha partorito la spiegazione che da Anthea, quindi non dateci tanto peso:)

Altra cosa...
questo è l'ultimo capitolo.
Il prossimo sarà l'epilogo.
So, che forse rimaranno delle cose 'in sospeso' e vi chiedo scusa, ma purtroppo non ho più idee e forse si è visto in questi ultimi capitoli. Quindi meglio darci un taglio, prima di diventare ripetitivi.

Ah, nick cambiato una seconda volta, ma è quella definitiva.

Alla prossima,
Blume.  
  
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