Capitolo
Ventuno: le Stelle di
Chugoku
Arrivavano
appena alle spalle. La chioma color mezzanotte che
tanto amava era stata recisa brutalmente.
Lo
avevano anche sfregiato in viso: un piccolo taglio rosso
correva orizzontale sulla guancia pallida.
Ivan
non degnò nemmeno di uno sguardo la mummia arenata sul
letto. La sua attenzione, come sempre, era concentrata solo su Yao.
Il
sovrano era rimasto tutta la notte al capezzale del
fratello, mentre il Mago dell’Ovest cercava di restituire
coscienza al Samurai
e vita all’Aquila. Doveva essere crollato da poco: le ombre
scure sotto i suoi
occhi indicavano chiaramente la mancanza di sonno.
Ivan
tolse il guanto, prima di far scorrere le sue dita
d’inverno tra capelli mozzati del giovane. Yao
tremò per quello spiffero
gelido, ma non si svegliò: mosse le labbra e le spalle,
prima di tornare
immobile.
Ivan
torse la bocca, seccato, quando il suo sguardo scese
sulla tunica del sovrano. Lo scontro l’aveva ridotta a una
misera ragnatela di
seta aggrappata agli arti sottili del giovane. Per i suoi occhi gelosi,
Yao era
praticamente nudo.
Sbottonò
il cappotto, e lo drappeggiò sull’amante, avendo
cura di coprirlo il più possibile. Nessuno doveva vedere il
suo torso sottile,
o la sua vita stretta.
Le
mani di Ivan si fermarono sulle spalle del giovane,
pensierose. Aveva ancora senso proteggerlo? Yao non era più
il ragazzo asiatico
perso nella sua Fortezza; era il Figlio del Cielo, signore del Palazzo.
Un
imperatore non poteva separarsi dal trono. Non per un
castello fluttuante pieno di gelo e spettri, perlomeno. E nemmeno per
il suo
glaciale possessore.
Yao
non era più suo.
«Il
fratellone ti ama.»
La
voce della mummia scricchiolò nell’aria immobile
della
stanza.
Il
piccolo asiatico sorrise quando gli occhi duri del
Custode si sollevarono su di lui.
«Non
si è svegliato quando sei entrato. Non si è
svegliato
quando l’hai toccato o quando l’hai coperto.
Significa che è abituato alla tua
presenza e al tuo tocco. E se ti ha permesso di toccarlo, significa che
ti ama.»
Il
petto del piccoletto cigolò, sollevandosi in un pesante
sospiro. Era il discorso più lungo che avesse tenuto
nell’ultimo anno. Un tempo
sarebbe occorsa una colata di cemento per farlo tacere.
Ivan
indugiò di nuovo con lo sguardo su Yao. Innumerevoli
altre persone lo avrebbero visto – sudditi, soldati, un
giorno la sua futura
moglie. Ma nessuno avrebbe amato come lui l’ombra che le
ciglia stendevano
sugli zigomi candidi, il neo quasi invisibile all’angolo
sinistro delle labbra,
o la scintilla che si accendeva nelle iridi scure del sovrano quando
sorrideva.
Nessuno avrebbe avuto lui soltanto come ricordo.
«Potrei
essere un rapitore. Non sai che esistono i
criminali, in questa Galassia?» replicò freddo
Ivan.
«Non
sai che il fratellone è uno degli incantatori più
potenti di questa Galassia? Ti avrebbe incenerito, se gli avessi fatto
qualcosa
contro la sua volontà» gracidò
l’altro.
La
mummia sprofondò nei cuscini, esalando un altro dei suoi
sospiri scricchiolanti.
«Non
sopravvivrò fino all’alba»
sentenziò Young Soo, con una
calma serafica nella voce. Aveva avuto un anno di immobilità
per accettare
l’idea che sarebbe morto una volta liberato dalla
maledizione. «Ed è un
peccato. Avrei voluto accompagnare il fratellone fino
all’ultimo atto…» una
risata crepitò sulle sue labbra secche. «Invece, a
quanto pare, sarà il
fratellone ad accompagnarmi verso la fine…»
Young
Soo chiuse gli occhi, e inalò a fondo. I polmoni
stridettero mentre l’ossigeno li riempiva. C’era
stato davvero un tempo in cui
respirare non gli aveva fatto male?
«Nemmeno
Kiku… riuscirà a vedere la fine di questa
guerra»
profetizzò. «Ti prenderai tu cura del fratellone,
quando noi non ci saremo più?»
Ivan
ripensò alla riunione della sera prima. Avevano parlato
di distruggere la Confederazione, e scappare in una nuova dimensione.
«Quando
questa guerra sarà finita, questo universo finirà
con lei» sillabò tetro.
«Quale
occasione migliore per ricominciare da zero? Niente
più Figlio del Cielo né Custode dei
Cancelli» le labbra del giovane si
stropicciarono in un tentativo di sorriso. «E non devi
preoccuparti del Cuore
d’Inverno. Non distruggerà i ricordi del
fratellone. Il fratellone ti darà ogni
giorno un nuovo motivo per ricordarti di lui.»
Le
sopracciglia argentee di Ivan si aggrottarono in
un’espressione infastidita. Come faceva quel nanerottolo a
sapere tante cose su
di lui?
Il
ragno sul suo petto rispose al suo posto: era un mago, e
ai maghi piacevano un mondo quei trucchetti da tre soldi che chiamavano
“telepatia”.
«Smettila
di intrufolarti nelle menti altrui» lo avvertì.
«Non
mi sto intrufolando. Sto solo deducendo» la mano
scavata si appoggiò sul petto mingherlino. «Basta
guardarvi per capire molto
più di quanto qualunque incantesimo potrebbe mai
rivelare.»
Ivan
scrollò le spalle, e si diresse verso la porta. Con o
senza incantesimi, detestava le persone che gli leggevano il cuore.
«Promettimi…»
un accesso di tosse secca soffocò il Portavoce
del Sole, prima che questo riuscisse a parlare di nuovo.
«Promettimi che non
permetterai che accada nulla di male al fratellone.»
Era
la promessa cui aveva votato la sua vita. Aveva bisogno
di qualcuno che la mantenesse al posto suo, una volta che i suoi
polmoni si
fossero stancati di respirare.
La
sciarpa frusciò sulla camicia dell’uomo quando
questo si
voltò.
«Sono
il Custode. Non sai cosa fanno i custodi?»
«Custodiscono,
se non ricordo male» rise crepitando il
piccoletto. «Però non ti sto chiedendo di
custodire. Ti sto chiedendo di
proteggerlo.»
Il
sorriso debole del giovane si allargò impercettibilmente,
notando il cappotto sulle spalle di Yao.
«Ma
vedo che lo stai già facendo. È il tuo modo di
schermarlo agli occhi altrui, vero?»
Ivan
uscì dalla camera. Maghi. Ecco perché non li
sopportava. Né loro né il loro vizio di predicare
senza sosta.
Quasi
si scontrò con il Samurai, che stava invece cercando
di entrare nella stanza.
Il
guerriero gli cedette il passo: non era di certo nelle
condizioni per discutere con una montagna d’uomo alta tre
volte più di lui.
Scivolò
nella stanza e chiuse la porta alle sue spalle. Un
crepitio lo accolse.
«La
mia vista è peggiorata ulteriormente o hai dei bendaggi
sul petto?»
«Sei
abbastanza furbo da conoscere la risposta da solo,
Young Soo.»
«Non
tutte le risposte. So che sei stato fasciato, ma non so
cosa nascondono quelle bende.»
Kiku
pensò a come dovevano rifletterlo le iridi stanche del
fratello. Indossava ancora i pantaloni della divisa da Samurai, sebbene
macchiati di sangue. Le fasce che coprivano lo squarcio e il foro di
proiettile
sul suo busto avevano sostituito l’elegante giacca bianca,
che il giovane aveva
appoggiato sulle spalle per proteggersi dagli spifferi.
Quasi
rise per l’ironia di quel pensiero. Aveva due ferite
mortali sul petto, e si era preoccupato dei colpi di vento. Era un
riflesso
condizionato che non poteva evitare: aveva perso il conto delle volte
in cui
Yao si era chinato su di lui per coprirlo con una sciarpa o un
mantello, rimproverandolo
di non prendersi cura della propria salute.
Kiku
si avvicinò al letto, e restò in piedi, marziale,
di
fianco al sovrano addormentato.
«Incredibile»
gracchiò Young Soo. «Di tutto il tuo
vestiario, Kiku, le bende sono l’unica parte immacolata. Non
dovrebbe essere il
contrario?»
«Vedo
che la tua mente è sempre affilata come un rasoio»
notò pacato il Samurai. I pantaloni erano schizzati di
sangue, così come la
giacca. Le fasce, al contrario, erano linde e immacolate come se
fossero appena
uscite dalla valigia del medico. Quel candore significava solo una
cosa: magia.
Le garze non servivano a trattenere una ferita, ma solo a nascondere le
rune
che il Mago dell’Ovest aveva tracciato sul suo petto e sui
suoi addominali, per
dare una parvenza di normalità in quel Palazzo sprofondato
nella follia: era
stato ferito, era logico che fosse bendato.
Gli
occhi di Young Soo luccicarono nella penombra della
stanza.
«Il
fratellone non si sveglierà: era esausto, e
impiegherà
ancora almeno venti minuti per svegliarsi.»
«Come
fai a saperlo?»
«Sono
un mago, ricordi?»
Kiku
chinò il capo, comprensivo. Young Soo aveva
quell’intonazione così calorosa, come se il mondo
fosse un gigantesco parco
divertimenti a sua disposizione. Perfino in quel momento, bloccato a
letto con le
membra fossilizzate e la morte nelle vene, riusciva a instillare nelle
sue
parole l’eco di una risata perpetua.
Il
mondo non sarebbe più stato un gioco divertente, senza
Young Soo.
«So
che non vuoi che il fratellone senta cosa ti ha detto il
Britanno, perciò parla adesso che non può
sentirti.»
L’unico
suono nella stanza fu la custodia della katana
che sfregava contro i pantaloni
del Samurai, mentre questo circumnavigava il letto per portarsi sul
lato
opposto al sovrano.
Infine,
parlò.
«Uno
sparo in pieno petto. L’harakiri.
Sono troppe cose da sopportare, per un mortale.»
«Ma
sei vivo…»
«Momentaneamente»
Kiku portò una mano al petto. Prima che il
Mago dell’Ovest potesse fasciarlo, aveva visto la carne rossa
e viva dal bordo
frastagliato delle ferite, era perfino riuscito a intravedere il cuore
pulsare
e il colore bollente delle interiora. L’unica cosa che il
Britanno aveva potuto
fare, per lui, era stata bloccare il tempo su quei lembi di pelle.
«Ero
troppo oltre, Young Soo. Ero praticamente morto. Il Mago
dell’Ovest non è riuscito a guarirmi. Nessun mago
può interferire con la morte,
quando è troppo vicina.»
Il
Portavoce del Sole annuì. Lo sapeva. Era per quel preciso
motivo che lui non poteva salvarsi: nemmeno la magia più
potente poteva bloccare
la nera signora, quando questa aveva già sollevato la falce.
Forse
solo l’Asse sarebbe riuscito in un’impresa simile.
Ma
era a mille preghiere di distanza – troppe per aiutarli in
tempo.
«Ha
cristallizzato le ferite» proseguì Kiku.
«In modo che
rimangano bloccate e non possano degenerare.»
«Per
quanto?» gracchiò Young Soo. Da mago qual era,
sapeva
bene che tutti gli incantesimi che interferivano con il tempo avevano
una
caratteristica comune: essere limitati nel tempo.
Il
Samurai strinse i bordi della giacca appoggiata sulle sue
spalle, coprendo i bendaggi.
«Se
starò a riposo, un mese, forse due. Se andrò in
battaglia…»
«Se
andrai in battaglia, verrai presto a farmi compagnia»
terminò per lui Young Soo.
I
suoi fratelli erano un imperatore e un guerriero, ma lui
era sempre stato quello più coraggioso nelle parole. Non
aveva mai paura di
afferrare quelle frasi che la gente lasciava sospese
nell’aria, troppo grandi
per essere racchiuse in un discorso. Young Soo aveva il dono di
riuscire a
catturarle e trasformarle in qualcosa di tremendamente vero e
terribilmente
affettuoso al contempo. C’era sempre un messaggio dietro alle
sue parole e al
suo sorriso infaticabile: “arriverà il peggio, ma
lo affronteremo insieme”.
Young Soo aveva sempre la premura di ricordare agli altri che non erano
soli.
«Quindi
che farai, Kiku?»
«Sono
un guerriero» fu la risposta schietta del Samurai.
«Ma
non combatterai solo perché sei un soldato»
Youg
Soo reclinò il capo sul cuscino, attendendo che il
fratello selezionasse le parole più adatte al suo discorso.
«Un
uomo coraggioso un giorno mi disse che un vero eroe non
deve mai tradire il proprio cuore. Penso che un vero guerriero debba
fare
altrettanto. Per questo difenderò mio padre fino alla
fine.»
Young
Soo sentì il suo viso rinsecchito sgretolarsi nel
sorriso più aperto che avesse fatto da quando era stato
liberato.
«Hai
scelto un uomo poco saggio, come guida» rise, pensando
all’assurdo eroe di Chugoku, l’Aquila.
«Una
saggezza che nasce dal coraggio e fa nascere la
speranza credo sia una saggezza che merita attenzione»
replicò sereno il
Samurai.
Young
Soo rilasciò uno dei suoi respiri crepitanti, e una
domanda scivolò sulle sue labbra screpolate:
«Come
sta l’Aquila?»
Il
silenzio colò come resina tra di loro. Kiku
impiegò tutta
la sua forza di volontà per districarsi da quel mutismo
viscoso.
«Le
ferite inflitte da un demone sono molto più complicate
di quelle provocate da armi mortali. Il Mago dell’Ovest sta
ancora lavorando…»
«L’Aquila
non morirà. Cambierà, ma non
morirà.»
La
fronte candida di Kiku si aggrottò, confusa.
«Come
puoi dirlo?»
«Me
l’ha detto il signore che mi ha fatto compagnia
nell’ultimo periodo» Young Soo lottò con
le parole che faticavano a risalirgli
la gola. «È un signore molto particolare. Ma non
mente mai, e ha una conoscenza
infinita su queste cose. Il passaggio tra la morte e la vita, sai.
L’Aquila non
morirà. Ma cambierà un po’ il
piumaggio.»
Kiku
preferì non indagare oltre. Avrebbe accettato il
destino di Alfred quando fosse giunta l’ora. Per il momento,
doveva capire in
che modo dire addio al fratello morente.
Fu
proprio Young Soo a dargli l’idea.
«Mi
dispiace che il cielo di Chugoku sia ancora nero… avrei
tanto voluto accendere le stelle insieme a voi…»
«Young
Soo, sarò di ritorno tra pochi minuti. Perdonami»
scattò, avviandosi veloce verso la porta.
Il
Portavoce del Sole si limitò a sorridere, mentre il
fratello usciva dalla stanza.
Kiku
era sempre stato così: poche parole, molte azioni.
Esattamente come ogni soldato doveva essere.
Era
convinto che fosse riuscito a diventare un Samurai
perché era un guerriero non solo sul campo di battaglia: lo
era in ogni momento
della sua vita, con le sue frasi impersonali e i suoi atteggiamenti
marziali.
Era l’incarnazione della via della spada.
«Per
questo posso affidarti il fratellone senza
problemi…»
una risata gli arricciò le labbra, mentre osservava il
pesante cappotto sulle
spalle del sovrano.
«A
te e al lupo siberiano» concluse, in un ansito tremante.
***
Dare
ordini, assicurarsi che venissero eseguiti, darne
altri, correre, scattare.
In
quel modo, Kiku riuscì a non soccombere al senso di
colpa, quando abbandonò la stanza.
Il
demone aveva ucciso Heracles per avvicinarsi a lui, aveva
detronizzato Yao e pietrificato Young Soo per mano sua, e aveva quasi
ucciso
l’Aquila.
Il
pensiero di Alfred lo raggelò per un istante.
“Quasi”
ucciso. L’Aquila poteva essere già morta: quando
aveva abbandonato la stanza in
cui erano stati ricoverati insieme, il Mago dell’Ovest stava
ancora lavorando
su di lui. E le condizioni dell’eroe non erano delle migliori.
Dare
ordini. Correre. Scattare.
Doveva
assicurarsi che tutto fosse pronto prima del calar
del sole: non avrebbero avuto una seconda occasione, così
come Young Soo non
avrebbe avuto un’altra notte da vivere.
Doveva
fare ammenda per tutto il male che aveva causato,
anche se era stato solo il canale di quella malvagità. Il
suo modo per
riscattare il suo onore sarebbe stato proteggere il Figlio del Cielo
fino
all’ultimo, e morire per lui. Morire per Chugoku e per la
Confederazione.
Le
bende sul suo petto sembrarono strangolarlo. In un certo
senso, lo aveva già fatto: era un morto cui era stato
permesso di soggiornare
nel mondo dei vivi ancora per un breve periodo.
«Quanta
frenesia. A cosa dobbiamo questi preparativi?»
Il
tempo perse improvvisamente di significato: i secondi si
allungarono collosi, rendendo tutto lo spazio circostante indistinto e
sfuocato.
Riconosceva
quella voce. Ma non pensava che l’avrebbe
sentita di nuovo, non credeva…
Il
Samurai si voltò solo quando fu sicuro di aver recuperato
il suo contegno.
L’Aquila
lo fissava, appoggiato alla parete con le braccia
incrociate sul petto, un sorriso che indugiava sulle labbra.
Alfred
armeggiò qualche secondo con gli occhiali,
stranamente silenzioso. Trasse un respiro, e un secondo, e un terzo.
Poi,
finalmente, esordì:
«Non
sarò qui a lungo. Mi è stato concesso solo
qualche
momento per… salutare.»
Lo
squarcio dell’harakiri
sembrò riaprirsi, ma il dolore non riuscì a
distorcere la compostezza
adamantina del guerriero.
«Il
Mago dell’Ovest ha applicato anche su di te un
incantesimo temporale?»
«No.
Il mio caso era molto più complicato del tuo. Gli
artigli di un demone lacerano più a fondo di una spada
umana. O di una pistola.»
Le
dita di Alfred tambureggiarono sui gomiti conserti,
inquiete. Di nuovo, un silenzio quasi innaturale prese possesso di
quella bocca
sfrontata. Di nuovo, Alfred parlò con lentezza e
rassegnazione:
«Vedere
la fine di questa battaglia, Kiku… non è il mio
destino. Ma, in un certo senso, ci sarò
ugualmente.»
Le
sopracciglia nere dell’orientale si aggrottarono
perplesse, e si sollevarono nella comprensione. Young Soo aveva parlato
di un
uomo che gli aveva fatto compagnia, e di essere stato un contenitore
momentaneo…
«Il
mio tempo è scaduto» sentenziò Alfred,
stropicciandosi
la faccia con un sorriso sforzato. «Ma
c’è un uomo che ha bisogno di un corpo
vuoto per accompagnare i suoi amici fino alla fine di questa
guerra.»
«Quindi
ci sarà solo il tuo corpo» dedusse ferreo Kiku.
Alfred
si grattò la nuca, il sorriso che si ritorceva
inquieto sulla sua bocca.
«Non
è così semplice. Pare che una parte della nostra
essenza rimanga ancorata alla pelle, o una cosa del genere. In fondo,
è logico
che qualcosa di noi rimanga, in un corpo che abbiamo usato per tanti
anni…»
l’Aquila scrollò le spalle. «Dovrai
chiedere a quell’altro
una spiegazione più dettagliata.»
Kiku
deglutì in silenzio, osservando la giacca attentamente
abbottonata del giovane. Sicuramente anche lui era stato bendato,
laddove gli
artigli del demone gli avevano squarciato la cassa toracica. Ma aveva
avuto la
premura di abbottonare la giacca fino al collo, pur di non lasciar
intravedere
nemmeno un pezzettino dei bendaggi. Kiku si sarebbe sentito
terribilmente in
colpa, se avesse visto di nuovo cosa il demone era stato in grado di
fare.
Il
Samurai fissò intensamente l’uomo di fronte a lui.
Gli
era stato vicino per anni, nonostante lui non gli avesse mai riservato
particolare gentilezza. Aveva dimostrato una fedeltà e una
devozione che aveva
visto solo in pochi soldati. E non gli aveva permesso di andare in
pezzi,
quando suo fratello e suo padre erano caduti nell’inganno del
demone.
Meritava
una ricompensa, in qualche modo. E Kiku decise che
una briciola di sincerità sarebbe stata il dono migliore.
«Voglio
essere onesto con te, Alfred. Te lo devo visto che…
siamo entrambi in partenza» concluse a stento.
Incamerò un profondo respiro nel
petto malandato e confessò: «Hai sempre fatto un
grosso sforzo per
assomigliarmi: hai cercato di reprimere il tuo carattere euforico,
quando eri
con me. Quando eri con i tuoi uomini, invece…
brillavi.»
Alfred
sfolgorava con i suoi uomini, e spegneva a forza il
suo fuoco per stare con lui. Come una gemma che si copre di polvere per
essere
degna di un sasso.
«Ho
sempre preferito il tuo lato irrequieto a quello
addomesticato.»
Una
risata si spezzettò sulle labbra del soldato straniero,
mentre spingeva gli occhiali sul naso.
«Avresti
dovuto dirmelo prima, Kiku, ti avrei fatto vedere
quanto posso essere scellerato…»
«È
vero. Avrei dovuto essere sincero molto prima.»
Le
parole del Samurai non si flessero sotto il peso delle
emozioni: quella frase, che avrebbe potuto essere lorda di rimpianto,
scattò
fuori dalle sue labbra rigida come un comando militare.
Era
il solo modo che Kiku conosceva per difendersi. Avrebbe
sofferto troppo se avesse cominciato a contare tutte le occasioni
sprecate e i
minuti perduti. Lo aveva già fatto per Heracles, e non
voleva passarci
attraverso di nuovo.
Le
braccia dell’Aquila lo circondarono prima che se ne
rendesse conto, e lo strinsero con un affetto irruento.
«Spero
di incontrarti anche nella prossima vita.»
La
voce dell’Aquila traballò, e Kiku
accarezzò
distrattamente le sue spalle contratte. Alfred stava lottando con tutte
le sue
forze contro le lacrime. Piangere significava ammettere che qualcosa
stava
andando per il verso storto, e non era così: non era un
addio, era solo un
arrivederci, si sarebbero sicuramente visti in qualche mondo, in qualche modo. Lui era un eroe, poteva
fare questo e altro.
«Spero
che tu possa incontrare qualcuno che sappia amare»
replicò sterile Kiku.
L’Aquila
era una persona di cuore: meritava qualcuno che lo
amasse con la passione che lui metteva in ogni respiro. Meritava
più di un
compagno occasionale, che gli apriva il corpo e non il cuore.
Alfred
si scostò per prendergli il viso tra le mani e
fissarlo in volto. Ora poteva vedere le lacrime scintillare dentro
quegli occhi
azzurri, come Alfred poteva leggere la tristezza incarcerata nei suoi.
«Tu
sei l’unico a non rendersi conto di quanto profondamente
tu riesca ad amare» il sorriso di Alfred brillò a
discapito delle lacrime
intrappolate negli occhi. «Hai liberato Heracles e tutti i
tuoi compagni
all’orfanotrofio, hai dato la vita per tuo padre e per tuo
fratello, e mi hai
dato fiducia quando per tutti ero uno straniero e basta. Hai
un’anima grande
come il cielo.»
L’Aquila
lo abbracciò di nuovo, e accostò le labbra al suo
orecchio per bisbigliare:
«E
anche se tu non sapessi amare, non importa. Ti aspetterò
nella prossima vita. O in quella dopo. Ti troverò, e ti
insegnerò.»
«Perché?»
proruppe con garbo Kiku, scostandosi da lui.
«L’universo
è pieno di persone.»
«Esatto.
L’universo è pieno di persone. Proprio per questo,
quando ne troviamo una diversa da tutte le altre, non credi che valga
la pena fare
qualche sacrificio per rimanerle accanto?»
Sacrificio.
La gente pensava che l’amore vero fosse qualcosa
di semplice, pieno di felicità. Un’immagine
più sbagliata non esisteva: l’amore
era una lotta continua, con pochissimi attimi di tregua. Aveva lottato
per
liberare Heracles, aveva combattuto per suo fratello e suo padre, e
aveva
ingaggiato una guerra personale con se stesso per il sentimento
conflittuale
che nutriva per l’Aquila. Allo stesso modo, il soldato di
Britannia aveva
guerreggiato ogni giorno per ottenere il suo affetto.
L’amore
vero non era diverso dalla via della spada: entrambi
richiedevano dedizione e impegno, e ricompensavano solo dopo immensi
sacrifici.
Kiku
strinse i pugni sui gomiti di Alfred, spiegazzandogli
quella buffa giacca che si ostinava a indossare. L’Aquila gli
indirizzò un
sorriso malinconico.
«È
quasi ora…»
Una
cosa del genere esulava dal suo carattere, ma non ci
sarebbero state altre occasioni.
Kiku
si alzò sulle punte dei piedi, e unì le labbra a
quelle
dell’Aquila. Non aveva mai preso l’iniziativa,
prima di allora.
I
piedi persero aderenza con il terreno quando Alfred lo
sollevò da terra in un abbraccio caloroso, approfondendo il
bacio con foga.
Kiku
si aggrappò alle sue spalle, e sentì le guance
imporporarsi di imbarazzo. Quel bacio era osceno:
si stavano divorando le labbra, e suoni acquosi sfuggivano dalle loro
bocche in
movimento. Ed erano in un corridoio, chiunque avrebbe potuto inciampare
nella
loro frenesia. Ma era l’ultimo bacio: avrebbe fatto
un’eccezione.
Riaprì
gli occhi solo quando i suoi piedi toccarono di nuovo
il pavimento, e le labbra di Alfred lasciarono lentamente le sue.
Kiku
sprofondò il viso nella camicia dell’Aquila,
premendo
sulla stoffa la bocca ancora calda. Su quell’indumento
bisbigliò per la prima volta
il nome del soldato:
«Alfred…»
«Se
ne è andato.»
Il
Samurai si staccò bruscamente, quasi volesse impugnare la
katana e puntarla contro
l’Aquila.
Ciò
che vide lo pugnalò al cuore. Erano i capelli di Alfred,
i suoi occhi, il suo corpo, i suoi vestiti. Ma non c’era
più Alfred dentro:
l’anima che abitava quelle spoglie umane era cambiata. Lo
poteva vedere nella
postura, nel modo di parlare, ma, soprattutto, nello sguardo.
Non
erano più delle iridi innamorate a fissarlo; erano
quelle piatte di uno sconosciuto.
L’uomo
gli sorrise, e cercò di rincuorarlo.
«Ma
ti ha sentito. Ti ha sentito sempre, Samurai.»
Kiku
allentò la presa sull’elsa della spada,
rilasciando la
mano lungo il fianco.
«Vorrei
che fosse Alfred a dirmelo» rispose, atono.
Lo
sconosciuto gli sorrise di nuovo, come se gli importasse
davvero di rasserenarlo.
«Lui
c’è. Ho accompagnato mille e mille anime, Samurai,
e
posso garantirtelo: l’aldilà non è
lontano a sufficienza per separare due
persone che si amano.»
«È
sufficiente per allontanarle.»
«Solo
se le dimentichiamo.»
Poteva
leggere una saggezza centenaria nelle parole di
quell’uomo, ma non era ciò che voleva sentire in
quel momento. A essere
sincero, non voleva sentire nulla.
«Ho
del lavoro da fare» recise.
Si
allontanò svelto, e l’uomo non lo
seguì. Alfred lo
avrebbe rincorso in capo al mondo.
Dare
ordini, correre, eseguire.
E
poi, forse, avrebbe trovato un posto nascosto in cui poter
finalmente piangere.
***
Yao
e Young Soo erano seduti sul legno della veranda,
bagnato dai raggi scarlatti del tramonto.
Il
Portavoce del Sole era accasciato sul grembo del sovrano,
che lo teneva saldamente contro di sé.
Yao
aveva dato ordine a tutti i consiglieri e ai soldati di
stare fuori da quella stanza. Erano i suoi ultimi istanti con il
fratello, e
non desiderava intrusi.
Young
Soo gli strattonò scherzosamente il cappotto.
«Questo
di chi è, Yao? Non l’ho mai visto
prima…» insinuò,
con una risata gracchiante.
Il
viso del Figlio del Cielo si addolcì, e il Portavoce del
Sole riuscì a prevedere la sua risposta prima ancora che la
pronunciasse.
«È
il ghiaccio che accende il mio fuoco.»
Lo
sterno di fiamme del fratello bruciò teneramente, quando
Young Soo vi premette la guancia sopra.
«Ti
ama molto, fratellone.»
«Lo
so.»
«Non
lasciarlo andare, fratellone. Nemmeno se tutti i
consiglieri si opponessero.»
«Non
lo farò.»
«Ti
voglio bene, fratellone.»
Yao
rimase zitto e fermo qualche istante, stupito da quel
cambio improvviso di discorso. Accarezzò i capelli del
fratello, e sentì le lacrime
bruciargli dietro gli occhi. Il suo cameriere goffo, il suo mago
giocherellone…
«Ti
voglio bene anche io» mormorò in un sussurro
tremulo.
«Sai
che questa cosa non cambierà, vero?» Young Soo
reclinò
il capo all’indietro per fissare il fratello in volto.
«Anche quando ti
sembrerà che non ci sarò più, in
realtà ci sarò. Sarò sempre con te,
qualunque
cosa accada. Anche se non potrai vedermi.»
«E
come farò a sapere che ci sei davvero?»
«Un
mago non rivela mai i suoi trucchi, fratellone, dovresti
saperlo. Dovrai fidarti sulla parola.»
Trassero
entrambi un profondo respiro, e Young Soo proseguì
in un gracidio:
«Non
preoccuparti, fratellone. L’aldilà non
è abbastanza
lontano per separare chi si ama. Me l’ha detto un
esperto.»
«Mi
mancherai, Young Soo. Per quanto vicino tu possa essere,
mi mancherai.»
Il
Portavoce del Sole accartocciò le labbra in un sorriso.
«Allora
dovrai ricordarti la formula magica che ti ho
insegnato tanto tempo fa.»
Le
dita color legno si avvicinarono al suo petto, mimando
quel gesto infantile.
«Non
fa male, non fa male… non fa più male!»
Avrebbe
fatto male. Young Soo era una di quelle persone che
lasciavano un baratro, quando se ne andavano. E avrebbe sofferto per
quella
mancanza. Ma sarebbero stati ricordi come quello a permettergli di
sorridere
anche nel pianto.
Poggiò
le labbra sulla fronte del fratello, delicato.
«Credevo
che tu fossi un mago serio…»
«Infatti.
Questa è magia raffinata, fratellone!»
Furono
entrambi distratti da una luce fluttuante: una
lanterna volava solitaria nell’aria scura del crepuscolo
inoltrato.
«Cos’è…»
Young Soo non riuscì a finire la domanda: la
sorpresa lo ammutolì.
Una
seconda lanterna aveva seguito la prima, e mille altre
avevano fatto lo stesso. Stormi di fiammelle galleggianti facevano a
gara nel
cielo, spintonandosi tra di loro durante la salita.
Una
rete di luci si stese sulla veranda e sul cielo,
danzando sui volti stupiti dell’imperatore e del Portavoce.
Si
sporsero entrambi dalla balaustra, per quanto possibile,
e videro gli artefici di quel gesto: sotto il comando di Kiku, la
Stella Polare
stava punteggiando il cielo di Chugoku con un milione di stelle
artificiali.
Il
Samurai li salutò marziale, vedendoli dalla balconata, e
Young So rispose agitando la larga manica.
Poi,
tutti e tre fissarono il cielo. Le lanterne erano
diventate un fitto intreccio di perle di luce, disposte sul velluto
nero del
cielo notturno. Pareva che le ancelle del Palazzo Immortale avessero
gettato i
loro diamanti nella notte, come raccontava una leggenda popolare.
«È
bellissimo…» mormorò Young Soo,
affascinato. «Valeva la
pena di lottare per riavere le stelle…» il
Portavoce del Sole sorrise con più
dolcezza: «Non dimenticarti mai di questa notte, Yao.
Qualunque cosa accada,
ricordati che anche l’ora più buia può
essere migliorata dalla luce di chi ti
vuole bene. Ricordatelo anche quando non ci sarò io a
ricordartelo.»
Yao
riuscì solo ad annuire e a stringere il fratello
più
forte. Young Soo tremò nel suo abbraccio.
«Devo
andare anche io, fratellone. Tra le stelle. Anzi,
ancora più lontano…»
Il
sovrano lo abbracciò di nuovo, gli occhi puntati al cielo.
La luce di quegli astri artificiali si rifletté sul velo di
lacrime che gli
imprigionava le iridi.
«Siamo
stati fortunati ad averti incontrato, Young Soo.»
Le
braccia essiccate del Portavoce del Sole si strinsero
traballanti attorno alla sua vita.
«Sono
felice, fratellone. Ti assicuro, poche persone sono
state felici quanto me.»
Quando
si scostò da lui, reggeva in una mano color corteccia
una piccola palla di fuoco.
«Il
mio ultimo incantesimo» sorrise, nostalgico. «Mi
è
rimasta l’energia sufficiente solo per
questo…»
Yao
fece appello a tutte le sue forze per non scoppiare in
lacrime. L’ultimo regalo che poteva fare al fratello era
lasciarlo partire
sereno.
Appoggiò
di nuovo le labbra alla sua fronte, e trattenne
nella gola un singhiozzo.
«Vai
tra le stelle, Young Soo. Alzerò lo sguardo al cielo,
quando sentirò la tua mancanza.»
Le
dita del Portavoce del Sole si dischiusero, e la sua
piccola sfera di fuoco galleggiò nell’aria,
andando a raggiungere le sue
simili.
«Sarò
là per te, fratellone» esalò.
«Sarò sempre là per
te…»
Le
labbra del sovrano non abbandonarono la fronte di Young
Soo, nemmeno quando questa divenne gradatamente fredda come il
ghiaccio. Yao
non si mosse finché non fu sicuro di poter sopportare di
vedere il fratello
immobile nonostante i suoi richiami.
Lo
adagiò piano sulla veranda, poggiando con delicatezza la
sua testa alla superficie lignea. Compose le mani sul suo petto, e si
fermò a
fissarlo.
Le
luci volteggianti sopra e intorno a loro gettarono una
sciarada di riflessi caldi su quel volto ghiacciato.
Young
Soo sorrideva, come se fosse davvero soddisfatto della
vita che aveva vissuto. Nemmeno la morte era riuscita a sconfiggerlo.
«Addio,
Young Soo» si accomiatò Yao, carezzandogli una
guancia. «Le stelle saranno sicuramente felici di
accoglierti…»
***
I
consiglieri si scostarono veloci dalla porta della camera.
Si
aspettavano di vederne emergere un ragazzino spezzato, ma
quello che si stagliò nel riquadro dello stipite, fiero e
dignitoso, era il
Figlio del Cielo, il legittimo sovrano di Chugoku.
Yao
raddrizzò le spalle e sollevò il mento. Il
cappotto di
Ivan lo schermò da ogni possibile debolezza mentre scandiva:
«Confido
che i miei ospiti vi abbiano spiegato cosa è
successo. Che vi abbiano detto che un demone ha cercato di
detronizzarmi. E
dell’inganno con cui vi ha fatto credere che io fossi in
coma.»
«Sì,
vostra Altezza, ci hanno spiegato…»
«Dunque
capirete che non abbiamo un secondo in più da
attendere.»
I
consiglieri lo fissarono allibiti, senza capire a cosa il
sovrano si riferisse.
Yao
utilizzò la sua autorità e quella di mille
antenati per
comandare:
«Preparate
tutte le Aeronavi possibili, e fate in modo che
possano accogliere tutta la popolazione. Lasceremo la
Confederazione.»
«Per
quale motivo?»
«I
demoni banchetteranno con i nostri cadaveri, quando
l’Asse non ci sarà più.»
«Ma
l’Asse è attualmente…»
«Stiamo
andando a liberarlo. Io e i miei ospiti.»
Il
terrore puro invase i volti dei consiglieri,
immobilizzandoli.
«Siete
chiaramente sconvolto dalla perdita subita, Altezza,
e…»
«Non
confondere i miei ordini con le mie lacrime» le parole
di Yao suonarono come una frustata nell’aria.
«Questa Confederazione è marcia.
È un miracolo che sia sopravvissuta fino ad oggi.»
«Ma
signore…»
«Non
fingete di non aver visto l’ipocrisia che serpeggia in
questa Galassia» il segno sotto cui era nato si
manifestò nei suoi occhi di
fuoco e nelle sue parole incendiarie: «Il Vaticano ha gettato
fango sul nome
degli Hellsing, prima di distruggerli. Ha cancellato i Carriedo. Ha
perseguitato i Marauder. E ci ha così privato di
sterminatori di demoni,
guerrieri e traghettatori. Credete davvero che l’abbia fatto
per la nostra
sicurezza? Oppure è stata solo una mossa per fare in modo di
rimanere l’unico
punto fermo di tutta la Confederazione?»
«Ma
contro di noi non hanno…»
«Devo
ricordarti la guerra sino-britannica?» lo incenerì
Yao, imperterrito. «Chissà, magari pensavano che
il Figlio del Cielo fosse un
rivale troppo temibile per l’Asse. O magari volevano
indebolire la flotta
britannica. E abbiamo pagato sulla nostra pelle il prezzo della
scelleratezza
vaticana: un demone è nato da quella guerra, lo stesso che
ha quasi ucciso il
Samurai, l’Aquila e che ci ha privato del Portavoce del Sole.
Il nostro regno è
quasi crollato per la loro insaziabile sete di potere. In quanto
sovrano, non
ho intenzione di chiudere gli occhi e aspettare che divorino
Chugoku.»
«E
cosa avete intenzione di fare?» si azzardò a
chiedere un
consigliere.
Il
sole nel suo petto ruggì, illuminando l’intero
corridoio.
«Lotterò.
In prima fila. E otterrò un nuovo regno per i miei
sudditi. Anche se sarà in un’altra
Galassia.»
Yao
li osservò tutti, uno per uno, in modo che vedessero che
non vi era nemmeno l’ombra di un’esitazione nei
suoi occhi.
«Potete
dirmi che siete contrari, potete opporvi. Ma non
cambierà il fatto che, da questa sera stessa, dovrete dare
disposizioni per i
preparativi delle Aeronavi, e preparare il popolo alla partenza. Non vi
sto
chiedendo la vostra opinione: vi sto ordinando
di seguirmi.»
Il
sovrano strinse i lembi del cappotto, e rilasciò un
sospiro.
«È
una situazione di emergenza, purtroppo. Non abbiamo tempo
per discutere.»
I
consiglieri si lanciarono un’occhiata, prima che uno di
loro esordisse:
«Il
vostro corpo è giovane, signore, ma parlate con
l’esperienza di mille sovrani. Una saggezza che noi non
otterremo nemmeno in
mille discussioni.»
«Come
devono essere preparate le Aereonavi?»
***
Ivan
si avvolse la sciarpa intorno al collo.
Anche
senza cappotto, era pronto a tornare alla Fortezza
Errante. Yao probabilmente era ancora incastrato a spiegare ai
consiglieri il
piano di fuga: non si sarebbe accorto della sua assenza.
Fece
per uscire dalla stanza, ma si fermò con la mano sul
legno della porta: un rumore di passi in corsa si gonfiò nel
corridoio.
Ivan
aspettò, sbuffando a denti stretti. Non voleva
incontrare nessuno, prima della sua partenza.
I
passi si fermarono davanti alla stanza, e delle mani
affrettate aprirono la porta.
Yao
irruppe nella camera, finendo addosso a Ivan.
«Sei
ancora qui!» esultò. «Temevo che fossi
già partito…»
«Stavo
partendo» confermò il gigante.
Il
suo cappotto sembrava enorme attorno al corpo minuto del
sovrano; i centimetri finali spazzavano il pavimento come uno strascico.
Notò
di nuovo tutti i particolari che aveva già visto nella
stanza in penombra, ma lo colpirono maggiormente. Forse
perché la luce li
metteva a nudo con vivida chiarezza, forse perché Yao era a
pochi centimetri da
lui. Il graffio sulla guancia, i vestiti laceri e i capelli tagliati.
Le mani
guantate di Ivan solcarono le ciocche irregolari con rimpianto.
«I
tuoi capelli…»
«Ricresceranno»
le dita di Yao si strinsero sul polso di
Ivan, fermando le sue carezze. Gli occhi di onice salirono a incontrare
quelli
di ametista, mentre il sovrano domandava: «Sarai con me
quando ricresceranno? E
anche dopo, quando diventeranno completamente bianchi?»
Il
Custode lo fissò interdetto, e Yao sorrise della sua
perplessità. Dopo tanto tempo, Ivan sembrava ancora
sorprendersi che qualcuno
potesse amarlo.
«Sono
successe tante cose, oggi. Troppe per essere
affrontate tutte insieme» il sovrano rabbrividì
sotto il peso di quelle emozioni.
La lotta con il demone e la perdita di Young Soo. Ma entrambe quelle
esperienze
gli avevano lasciato qualcosa: la convinzione che era necessario
lottare, e che
non bisognava farlo da soli. Che non bisognava vivere
da soli.
«Tu
sei il Figlio del Cielo» gli ricordò Ivan.
«Anche
il Figlio del Cielo può innamorarsi»
replicò Yao.
«E
può abbandonare il trono?»
«Non
ci sarà più un trono dove stiamo
andando.»
Ivan
torse le labbra. Quasi le stesse parole del Portavoce
del Sole. Era chiaro che erano cresciuti insieme.
«Non
voglio vivere lontano da te, Ivan. Non voglio perché ti
amo. È così difficile credere alle mie
parole?»
Ivan
non riuscì a dirgli che lo amava. Sapeva di amarlo, ma
sapeva anche che erano parole da pronunciare con un cuore vero, non con
un
ragno ghiacciato sul petto.
Come
sempre, Ivan dimostrò ciò che non riusciva a
esprimere
con i suoi discorsi artici.
Sollevò
il sovrano afferrandolo per i fianchi, in modo che
non avesse altro sostegno al di fuori di lui. Il respiro di Yao si
ritrasse
nella gola quando Ivan prese possesso della sua bocca.
Il
cappotto scivolò a terra mentre le braccia del sovrano
cingevano il capo del Custode, e il cuore di fuoco si infiammava per la
vicinanza dell’uomo di ghiaccio.
Ivan
lo strinse a sé fino a fargli male, e lo baciò
finché
perfino le sue labbra divennero calde. Solo quando fu sicuro di aver
risposto
correttamente alla domanda di Yao gli permise di nuovo di toccare il
suolo.
Si
chinò per raccogliere il cappotto, e lo avvolse
nuovamente sulle spalle esili del sovrano. Slacciò la
sciarpa per avvolgerla
attorno al collo di Yao, e lo abbracciò rudemente.
«Non
ti ho mai visto così infreddolito»
bisbigliò roco sui
suoi capelli.
Il
sovrano rabbrividì nelle sue braccia, e Ivan lo strinse
più forte.
«Puoi
piangere. Non ti sentirà nessuno.»
La
risata del sovrano uscì strozzata dalle lacrime.
«Nessuno
mi ha mai visto piangere…» brontolò
Yao, mentre le
spalle sussultavano per i singhiozzi.
Ivan
lo serrò contro di sé, in modo che ogni lacrima
del
sovrano si infrangesse sulla sua camicia.
Non
capiva perché una persona dal cuore e dalle lacrime
calde come Yao potesse amare un figlio dell’inverno. Yao
viveva le sue emozioni
fino in fondo, le dichiarava a parole, le sfogava con le lacrime. Lui
aveva
bisogno delle azioni, perché né il suo volto
né le sue parole lo avrebbero
aiutato a esprimere quello che sentiva.
Si
chiedeva perché Yao avesse scelto lui, ma non aveva
davvero bisogno di rispondere alla domanda.
Yao
lo aveva scelto. Sopra ogni cosa, Yao aveva scelto lui.
Aveva
tutta una vita per capire il motivo.
***
Il
messaggio non era riservato a lui, ma Lovino lo udì lo
stesso.
L’ambasciatore
imperiale era troppo agitato per tenere bassa
la voce.
«Notizie
dal Palazzo di Quarzo» tartagliò, frenetico.
«La
cerimonia per la nomina del nuovo Asse avverrà tra una
settimana.»
Finalmente
giungiamo al capitolo ventuno<3
E
con questo si
conclude ufficialmente la saga asiatica; dal nuovo capitolo si aprono
le danze
per l’apertura dell’arco narrativo finale<3
Nel
prossimo
capitolo ci sarà la Spamano<3 E, se farò
in tempo a scrivere quanto voglio,
anche la GerIta<3
E
vi ringrazio
di cuore per aver commentato lo scorso capitolo, davvero
ç_ç Domani risponderò
alle recensioni una per una<3 Perdonatemi se non lo faccio ora,
ma rischiavo
di rimandare il capitolo al duemila mai >_>
Grazie,
grazie,
grazie e ancora grazie<3
Una
Confederazione di ringraziamenti a tutti voi<3
Red