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Autore: EdSheeran_ObsessED    22/04/2014    0 recensioni
Mi chiesi se non l’avessi immaginato. Dopotutto in tre mesi che andavo a leggere lì, non l’avevo mai visto. Mi voltai di nuovo verso di lui, ma era sparito.
((Il genere spazia tra il romantico e il drammatico. I personaggi sono reali, io sono Adrian e ho scelto di condividere con voi il mio amore per questo ragazzo misterioso. Tutta la descrizione del personaggio è reale, così come quella del ragazzo. è la seconda storia che pubblico qui e spero vivamente che vi piaccia :D Buona lettura! ))
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“Vorrei che tu non fossi mia figlia” urlò mia madre mentre sbatteva l’impasto del pane sul tavolo.
Uno: il mio nome è Adrian come quello di mia nonna, Wood è il mio cognome come quello di mio padre, Robert.
“Devi sempre fare l’infantile” continuò mamma.
Due: ho sedici anni, sono alta un metro e settantacinque. Sono troppo alta.
“è vero ho sbagliato io, ma tu subito mi dai addosso”.
Tre: vivo a Suffolk in Irlanda. La mia casa è una villetta in legno  bianco circondata da un prato verde in estate, giallo in autunno.
“Perché se poi ti dicessi che mi dispiace, cosa che non farò, tu apriresti quel rubinetto che hai al posto degli occhi e inizieresti a piangere!”
Quattro: Adoro la musica folk. Il folk è vita. Artisti preferiti di sicuro Ed Sheeran, Bob Dylan e Damien Rice. Gli ultimi due sono un po’ antiquati.
Cinque: sono una tipa antiquata. Adoro leggere e bere il tè, mi astengo da quelle tecnologie diaboliche come i social network. A volte sembro un Hamish.
Sei: vesto colorato, molto colorato. Se avessi il coraggio porterei la bandana tra i capelli.
Sette: i miei amici mi chiamano hippie.
Otto: non so suonare la chitarra, ma vorrei imparare.
Nove: Gatti. I gatti sono la mia passione, dopo il folk e la pizza.
Dieci: non mi sono mai innamorata.
Quando finii di contare fino a dieci, ricordando a me stessa chi ero, prima di uscire dalle staffe, mia madre mi stava facendo ancora la ramanzina.
“Adrian mi stai ascoltando? Ecco vedi che sei infantile, quando ti devo impartire la lezione tu voli nel tuo mondo. Cresci!” continuò mia mamma. Si passò le mani sporche di farina nel grembiule che aveva appeso al collo. “Cosa hai da dire a tua discolpa?” chiese, coprendo l’impasto con il panno che poco prima le avevo inumidito.
“Non dovrei discolparmi. Ti avevo chiesto di andare al botteghino stamattina e prendermi un biglietto per il concerto di Ed Sheeran, tu non l’hai fatto. Fine della storia, dopotutto sono solo due anni che raccolgo i soldi per questo momento”. Mia madre storse gli occhi “Ecco ci risiamo, lo vedi? Uno chiede scusa e tu lo assali con i sensi di colpa!” “Io esco, mi sono rotta” le dissi con tono secco. Aveva sbagliato lei, e pretendeva che io reagissi con stile e maturità. Forse dimentica che ho solo sedici anni.
Presi a camminare lungo il viale di ciottoli gialli che passava davanti casa mia. Le mie Vans rosse spiccavano su quello sfondo giallo. Avevo sotto il braccio una copia di “Orgoglio e Pregiudizio”. Era l’edizione dell’epoca di mia nonna. Preferivo quella alle nuove edizioni, perché mi piace il colore delle pagine dei libri vecchi, e il loro odore. Quel pomeriggio soffiava un lieve vento, quindi l’odore si sarebbe sparso nell’aria. Guardavo il filo arancione delle mie cuffie andare avanti e indietro, mano a mano che io mi allontanavo da casa. Era quella la mia routine. Scuola, casa, ramanzina del giorno, pomeriggio passato nel parco a leggere libri antichi ascoltando Damien Rice in sottofondo. Arrivai al parco, come al solito era semi vuoto. La cosa non mi sorprese più di tanto, Suffolk è un piccolo paesino. Era il quindici Ottobre, ma non faceva per nulla freddo. Le foglie cadevano dagli alberi creando un enorme tappeto rosso sull’erba. Mi piaceva quando le pestavo, mi piaceva il loro rumore scricchiolante. Cercai con lo sguardo il mio solito posto, e lo trovai. Mi sedevo sempre sotto lo stesso albero, alla stessa ora, da qualche mese ormai. Quello era diventato il mio posto, nessuno ci si avvicinava.
Mi misi a sedere, le gambe incrociate, le mani nascoste nelle maniche. Ogni tanto le mordevo, le maniche, non le unghie, quelle le portavo lunghe. Quel giorno le morsi di più, cercavo di trattenere le lacrime, ero molto delusa da mia madre. Non le avevo mai chiesto nulla, l’unica volta che le ho chiesto qualcosa, lei se ne era dimenticata. Non riuscii a trattenermi, e le lacrime iniziarono a scendermi lungo le guance. Alzai lo sguardo dal libro e notai per la prima volta un ragazzo, seduto con le gambe incrociate giusto davanti a me. Reggeva un quaderno, mi guardò, poi abbassò lo sguardo e prese a scrivere. Avevo come la sensazione che stesse scrivendo di me. Normalmente mi sarei andata a sedere da un’altra parte e avrei fatto finta di nulla, ma non quel giorno. Ero troppo arrabbiata, troppo scombussolata, che misi da parte la timidezza. Posai Orgoglio e Pregiudizio sull’erba, mi alzai, pulii la gonna dai residui di foglie, e gli andai incontro con passo deciso.
“Che cosa hai scritto?” dissi con tono minaccioso al ragazzo. Lui stava per rispondermi, ma io mi sedetti vicino a lui e continuai “Ora tu mi fai vedere cosa hai scritto su di me. Lo so che riguarda me, altrimenti me lo staresti facendo già leggere!”. Lui mi guardò con un accenno di sorriso sulle labbra.
“Se tu mi dessi il tempo di rispondere” disse. Cavoli, aveva una voce davvero bella, non me l’aspettavo. Era come, come gli accordi di chitarra nella mia canzone folk preferita. Lo guardai cercando di decifrare l’espressione che aveva sul viso.
“Avevo giusto aggiunto una ciocca bionda” disse lui mostrandomi il disegno che aveva fatto. “Vedi” disse mettendomi una mano tra i capelli. “è qui, tra tutti questi capelli castani. È solo una ciocca ma non credo vada trascurata”. Continuai a fissarlo un po’ spaventata a dire il vero. Fissavo i suoi occhi scuri e il suo sorriso accennato sulle labbra. Una lacrima che finiva di scorrermi lungo la guancia mi risvegliò dal piccolo coma in cui ero caduta.
“Chi sei?” chiesi sottovoce. “Questa è proprio una bella domanda. Forse non lo so nemmeno io chi sono. È uno dei grandi quesiti di cui leggevo l’altra volta nel libro di mio padre. Tu come vorresti che mi chiamassi?”
Continuavo a fissarlo scioccata e mi lasciai sfuggire un “Austin” dalla bocca. “Allora, io sono Austin” disse lui stringendomi la mano. “Adrian” gli risposi quasi meccanicamente. Lui mi guardò e disse sottovoce “Va bè dai ormai sono in gioco”. Prese dal suo zaino un fazzoletto di stoffa e mi asciugò quell’ultima lacrima che avevo sul viso. Stavolta mi scostai leggermente.
“Perché mi hai disegnata?” gli chiesi. Lui sospirò. “Non so, mi hai ispirato, credo. O forse perché sono tre mesi che ti vedo, ogni pomeriggio di ogni giorno ed ero a corto di fantasia. Ma comunque ci vuole parecchia fantasia per disegnarti”. Mi scappò un sorriso. “Perché? Non sono come tutte le altre ragazze che potresti vedere giù in paese?”.
Lui riflettè un attimo. “No, a dire il vero. Quale ragazza in paese mette un’ampia gonna rossa con sotto le scarpe da ginnastica? Nessuna. Quale ragazza in paese ha tutti i capelli castani, eccetto un'unica ciocca bionda? Nessuna”. Io iniziai a ridere, e forse ad arrossire.
“E poi non credo che a molte ragazze piaccia ancora Bob Dylan” continuò.
“Come sai che mi piace?” chiesi io sorpresa.
“Dovresti imparare a cantare a bassa voce” disse lui ridendo.
 Stavolta arrossii per davvero, ne ero certa. “Anche se non mi dispiace affatto sentirti cantare Dylan, è il mio cantante preferito da quando avevo dodici anni”. Il cuore mi sobbalzò in gola.
“Devo andare adesso” disse lui mettendo le matite nello zaino. “Spero non ti dispiaccia se tengo il disegno” concluse alzandosi. Non gli risposi ma lo guardai allontanarsi tra gli alberi. I capelli neri che si spettinavano con il lieve vento, lo zaino portato solo sulla spalla destra, e la sua infinita altezza.  
Mi chiesi se non l’avessi immaginato. Dopotutto in tre mesi che andavo a leggere lì, non l’avevo mai visto. Mi voltai di nuovo verso di lui, ma era sparito. 
  
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