Serie TV > Teen Wolf
Segui la storia  |       
Autore: lilyhachi    22/04/2014    4 recensioni
(Post terza stagione; nessun collegamento con la quarta stagione)
Madison era rotta, come un oggetto di vetro, i cui pezzi erano sparsi chissà dove, eppure Derek non sembrava da meno, solo che nessuno dei due era in grado di vedere le rispettive incrinature.
Derek Hale era spezzato. Tutto il suo dolore era accompagnato da una bellezza suggestiva in grado di annullare tutte quelle scosse che sembravano martoriare il suo sguardo rigido. Tutta la sua sofferenza era perfettamente modellata, come fosse creta, per far in modo che non ci fossero crepe, così da impedire al più flebile spiraglio di luce di entrare. Tutti i suoi tormenti erano pericolosamente allineati come le tessere del domino, e anche il minimo fruscio avrebbe potuto segnare una reazione a catena irreversibile. Da lontano, sembrava tutto in ordine, ma bastava avvicinarsi per riconoscere quelle piccole imperfezioni che lo rendevano rotto…splendidamente rotto.
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Hale, Nuovo personaggio, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
http://i61.tinypic.com/23uu6uu.png
 

II

Human
 
“All I have, all I need, he’s the air I would kill to breathe.
Holds my love in his hands, still I’m searching for something.
Out of breath, I am left hoping someday I’ll breathe again”.
(Breathe again – Sara Bareilles)
 
 
Madison strinse gli occhi, giusto quel poco che le bastava per ritornare con i piedi per terra e con la presa ben salda su quella corda che la teneva ancorata ai pochi pensieri positivi che le erano rimasti. Quello era l’unico modo che l’aiutava a calmarsi, quando lo sconforto prendeva il sopravvento e mai come in quel momento le sembrò difficile. Fece un profondo respiro e continuò a riporre tutto ciò di cui non aveva più bisogno in quello scatolone senza nomi, etichette o qualsiasi altra cosa che potesse indentificarlo. Perché Madison non voleva riconoscerlo, non voleva guardarlo e leggere il nome di Keith Donovan a caratteri cubitali. Doveva essere un semplice scatolone e nulla di più. Non doveva rappresentare uno spioncino per ricordare il tempo passato con Keith. Non doveva essere un anno ormai andato in cui si rituffava durante le serate in cui si sarebbe sentita sola. Non doveva essere qualcosa da cui essere dipendente, ma solo uno scatolo da buttare.
“Ti serve una mano?”, la domanda di Lana, poggiata allo stipite della porta con una tazza fumante di caffè fra le mani, le arrivò alle orecchie, ridestandola.
“No, tranquilla”, rispose, sentendosi subito più serena. “Ho quasi finito”.
“L’ho incontrato ieri”, continuò la ragazza, sedendosi sul pavimento accanto a lei. “Era nella segreteria del campus per compilare alcuni moduli e mi ha chiesto di te”.
“Uhm”, Madison non seppe che altro dire, poiché in parte le veniva da ridere.
Keith Donovan era decisamente un tipo singolare, come la storia che avevano portato avanti per più di un anno. Non aveva molto di cui stupirsi: erano stati insieme, si erano amati e poi semplicemente erano arrivati ad un punto in cui ogni cosa fra loro era andata in tilt, e la voglia di aggiustare tutto sembrava mancare ogni giorno di più.
Era stato lui il primo ad accorgersene, Madison aveva preferito non vedere, perché convinta del fatto che si potesse ignorare beatamente un problema per farlo svanire del tutto.
Keith era diventato distante, ad ogni bacio che si scambiavano la mattina, lui sembrava allontanarsi sempre di più da lei, per un motivo che forse non avrebbe mai compreso.
Aveva creduto che dargli tempo fosse la scelta più saggia e che le cose si sarebbero aggiustate da sole. Tuttavia, quella sua voglia di sviare il problema non aveva fatto altro che renderlo più evidente agli occhi di Keith, motivo per cui si ritrovava in quella situazione.
La sera in cui aveva pronunciato la fatidica frase, non c’erano state sfuriate, urla o piatti rotti, era calato un silenzio così duro da far paura, e Madison gli aveva solo detto di andare via il prima possibile. Keith non aveva tentato di parlarle, sarebbe stato inutile.
Durante la notte, Madison era stata svegliata da un fruscio familiare ma non aveva avuto il coraggio di volgere lo sguardo dall’altra parte del letto, così aveva fissato il muro, mentre Keith si muoveva alle sue spalle, pronto a lasciare quella camera che avevano condiviso.
Fu solo dopo aver udito la porta chiudersi che Madison si sentì libera di piangere, avendo soltanto la notte come unica confidente di quello sfogo. Fu come smettere di respirare, realizzando che tutto ciò che era rimasto di lei e del ragazzo che amava non fosse altro che tanti pezzi sparsi per il pavimento e che mai sarebbero tornati insieme.  E continuava a perdere il respiro, ogni volta che lo incrociava nel campus, ogni volta che entrava nella caffetteria insieme ad un gruppo di amici perché non poteva certo impedire l’accesso a lui o a qualcuno dei suoi compagni di corso. Continuava a perdere il respiro ogni volta che quegli occhi chiari in cui si era persa tante volte, si scontravano con i suoi e poi guardavano altrove, perché il suo sguardo era troppo faticoso da reggere. Forse Keith non riusciva a guardarla negli occhi con la consapevolezza di averla delusa, di aver apertamente rifiutato di ricostruire ciò che restava di loro due. Correre via era stato più semplice.
Madison riportò l’attenzione su ciò che stava facendo. Il dolore non era altro che una conseguenza dell’essere umani, quindi avrebbe solo dovuto sopportarlo ed espellerlo.
Sigillò lo scatolo con del nastro adesivo, chiudendo definitivamente quel capitolo della sua vita e tirando un respiro profondo. Il suo era un respiro di rassegnazione, che forse un giorno si sarebbe trasformato in un sospiro di sollievo, ma Madison avrebbe dovuto pazientare ancora un po’ per arrivarci. Nel frattempo, era pronta per il suo turno di lavoro.
 
Ovviamente, neanche quella mattina ci fu bisogno per Derek Hale di permettere alla sveglia di suonare alle sette in punto. Non ce ne era mai bisogno, in effetti, poiché era Derek a comportarsi come una perfetta sveglia, alzandosi almeno mezz’ora prima dell’orario prestabilito e disattivando l’allarme prima che questo potesse rumorosamente risuonare all’interno del suo appartamento. Diede inizio a tutta la sua ruotine mattutina, cercando di non svegliare Cora, tentativo ovviamente inutile, vista la sensibilità della sua sorellina che la portava a maledirlo almeno ogni singola mattina, poiché le impediva di dormire. Sentì la ragazza mugolare dalla sua stanza per esprimere tutto l’odio nei confronti del suo amatissimo fratello maggiore, ma Derek non ci badò e sorrise, continuando a far finta di niente e rendendosi in ogni caso il meno fastidioso possibile.
Si appoggiò al tavolo della cucina, con lo sguardo rivolto verso la finestra che si affacciava su tutta Berkeley. Era strano per Derek doversi alzare al mattino senza qualche grattacapo per la testa, come succedeva praticamente ogni giorno a Beacon Hills. Era davvero qualcosa di completamente nuovo per lui. Era sempre stato così abituato a rischiare la vita per più di due volte al giorno che in quel momento, un meritato riposo sia del corpo che della mente dopo le ultime vicende gli sembrava praticamente inconcepibile. Faceva ancora fatica a credere che sua sorella Cora avesse deciso di spostarsi a Berkeley ed iscriversi al liceo della città con la seria intenzione di frequentare il college una volta diplomata. Tuttavia, sua sorella era pur sempre un’adolescente e, come tutti gli altri, aveva il diritto di mantenere normali alcuni aspetti della sua vita. Derek aveva deciso spontaneamente di provvedere economicamente a tutto ciò di cui sua sorella potesse avere bisogno e poi lei lo aveva pregato di correre a trovarla e per qualche strano motivo lui aveva acconsentito.
Certo, nessuno lo aveva costretto a farlo ma evidentemente ne aveva un forte bisogno, punto su cui Scott aveva posto decisamente attenzione, insieme a quel piantagrane di Stiles.
Si lasciò sfuggire un sorriso, sperando che quei due non si fossero cacciati in nessun tipo di guaio durante la sua assenza e che stessero entrambi bene.
Per un attimo, una domanda attraversò la sua mente…come avrebbe condotto la sua vita se non fosse nato licantropo? Come sarebbe stata la sua esistenza se fosse nato come un semplice ragazzo normale e senza abilità soprannaturali? Forse avrebbe frequentato il college, iscrivendosi ad una facoltà letteraria, perché continuava ad avere quella passione viscerale per i libri che lo portava a divorarne quanti più possibile. Scosse la testa, ritornando con i piedi per terra. Il riposo non gli faceva bene per niente. La sua mente era troppo leggera e quindi libera di spaziare fra i dubbi e le domande più strane, capaci di avvolgerlo con una patina di inquietudine che mai gli si era mostrata. Forse i disperati tentativi di salvare la vita sia di sé stesso che di altre persone gli avevano tenuto la mente costantemente impegnata e non abbastanza vuota per porsi domande simili.
La voce assonata e vagamente infastidita di Cora lo richiamò sull’attenti e si voltò verso la sorella che camminava verso di lui, sbadigliando e stiracchiandosi.
“Ho fame”, sentenziò con le palpebre semichiuse. “E visto che il frigo è vuoto andremo a fare colazione in quella caffetteria accanto al college che tanto mi piace”.
Derek scrutò sua sorella, realizzando l’ordine appena pronunciato ed emise un sospiro sconfitto, sapendo che non avrebbe avuto modo di contraddirla. Tuttavia, quella mattina Derek Hale si sentiva stranamente di buon umore e decise di aspettare pazientemente Cora, fin quando la sua pazienza venne gentilmente intaccata da Peter, come un brusio continuo che si faceva sentire ad intermittenza.
Derek riservò un secondo sospiro anche per quel piccolo particolare e una volta che Cora fu pronta, uscì di casa, afferrando la sua giacca di pelle e le chiavi della macchina, pronto per la mattinata. Mentre percorreva le strade di Berkeley insieme a Cora e Peter alla ricerca della fantomatica caffetteria, Derek controllò il cellulare, notando che nessuno lo aveva cercato e per un attimo, l’idea di chiamare Scott gli attraversò la mente, solo che non voleva preoccuparsi come il solito malpensante. Si fidava di Scott e non c’erano dubbi sul fatto che fosse un alpha migliore di lui ma non era stato poi tanto felice di lasciarli soli a Beacon Hills dopo tutta la faccenda del Nogitsune. Era ovvio che Scott fosse in grado di gestire la situazione ma non riusciva ad accantonare la cosa, poiché era abbastanza sicuro di come troppe responsabilità gravassero sulle spalle del ragazzo. Quando era diventato così apprensivo verso quella banda di ragazzini urlanti e fastidiosi? Era passato da babysitter costantemente irritato dalla loro presenza e dalla loro abilità a mettersi nei guai ad una specie di fratello maggiore. Ovviamente tutto ciò non combaciava moltissimo con la sua figura…poiché mai si sarebbe immaginato di cambiare così radicalmente atteggiamento, eppure era successo. Lui non aveva mai avuto un’adolescenza normale, gli era stata negata, mentre quei ragazzini facevano praticamente in modo che i problemi trovassero loro, come andare in giro per i boschi a cercare un cadavere e farsi mordere da un alpha psicopatico con manie di protagonismo e di grandezza. Per un certo periodo, Derek li aveva odiati, perché potevano vivere una vita normale, a differenza sua che non sapeva neanche cosa significasse il termine “normale”, ma questo Derek non l’aveva mai confessato a nessuno e non avrebbe cominciato allora. Per il momento, l’unica sua preoccupazione riguardava la sicurezza di Scott e di quel branco di cui non avrebbe mai fatto parte, almeno per come la vedeva lui. Tuttavia, lo stesso Scott aveva insistito affinché Derek andasse a trovare sua sorella a Berkeley e aveva deciso di farlo. D’altronde, non poteva dire che non avesse bisogno di un po’ tregua. La cosa che lo sorprese maggiormente fu trovare suo zio Peter appoggiato alla macchina con un borsone in spalla la mattina che aveva deciso di mettersi in viaggio verso Berkeley. Gli aveva chiesto se facesse sul serio ma Peter era stato abbastanza categorico sulla sua decisione e Derek sapeva che, anche se l’avesse mandato via a calci, il licantropo si sarebbe fatto trovare lì al suo arrivo, così si arrese, seppur a malincuore. Almeno, Peter non gli stava dando poi tanto fastidio, per sua fortuna.
“Ehi, terra chiama Derek”, lo rimbeccò Cora, sventolando la mano davanti al suo volto corrucciato e pensieroso come al solito. “Ho bisogno di carboidrati, quindi sai cosa fare”.
“Da quando sono diventato il tuo lacchè?”, chiese Derek, riflettendo sugli ordini che Cora gli aveva impartito negli ultimi giorni, anche per le cose più stupide.
“Devi solo essere premuroso con tua sorella”, ribatté lei, come  fosse la cosa più normale del mondo, mentre Peter rideva sotto i baffi. “Allora… un cappuccino, un caffè espresso,  un altro con caramello, crema al cioccolato e una spruzzata di vaniglia, e cinque muffin”.
Derek ricevette uno spintone da Peter ed entrò nella caffetteria, mentre suo zio e sua sorella se ne stavano fuori ad osservare l’università a ben poca distanza da loro.
Fece per avvicinarsi al bancone ma si bloccò a metà strada, notando una figura familiare.
Dietro al bancone della caffetteria poteva esserci chiunque: una simpatica vecchietta, un ragazzino fastidioso che si divertiva a far spazientire i clienti, una donna sulla quarantina, una ragazza bionda. Poteva esserci una persona qualsiasi che Derek Hale non aveva mai visto in vita sua, ma una strana concatenazione di eventi aveva fatto sì che dinanzi a lui ci fosse la ragazza dell’incidente e del Wolf’s Street.
Derek si chiese perché l’universo avesse deciso di punirlo a quel modo.
Madison. Era la seconda volta che la vedeva alla luce del giorno, ma dopo l’incidente non si era impegnato molto ad osservarla, poiché era leggermente più preoccupato per la macchina e per i soldi che avrebbe dovuto sborsare per riparare alla distrazione di una ragazzina.
Quella mattina, Madison sembrava una persona completamente diversa e quasi luminosa.
Indossava una maglietta a righe bianche e nere e aveva i capelli lunghi raccolti in uno chignon, mentre rivolgeva un sorriso affabile ad ogni cliente che le si presentava davanti come se li conoscesse. Le espressioni che riservava loro era completamente diverse da quelle che aveva rivolto a lui. Tuttavia, era chiaro che Derek Hale non suscitasse tanta simpatia agli sconosciuti e Scott e Stiles ne sapevano sicuramente qualcosa al riguardo, considerando i trascorsi. Quella sera al Wolf’s Strett, invece, le luci al neon e l’ambiente semibuio gli avevano permesso solo di notare qualche particolare sparso qua e là, come la camicetta rossa e le unghie laccate dello stesso colore, o i capelli castani lunghi fino alle spalle e le labbra che si arricciavano in un sorriso sardonico mentre gli si rivolgeva con una nota di ironia.
“Mi stai prendendo in giro?”, domandò lei, non appena si ritrovò Derek dinanzi.
“Felice di rivederti”, esclamò Derek, affondando le mani nelle tasche della giacca.
“Sei uno stalker?”, chiese Madison, poggiando le mani sui fianchi.
“Cosa?!”, ribatté lui, leggermente indignato. “Sei fuori? Sono qui per un’ordinazione”.
“E visto che sono una persona professionale, svolgerò il mio lavoro”, continuò lei con voce fiera, e trattenendo uno sbuffo, mentre Derek cercava di non ridere. “Cosa ti porto?”.
“Già”, aggiunse lui con tono serio. “Allora, un cappuccino, un caffè espresso,  un altro con caramello, crema al cioccolato e una spruzzata di vaniglia, e cinque muffin, da portare”.
 “Mangi tutta questa roba?”, continuò lei, alzando lo sguardo su di lui e spostandosi per prendere i cinque muffin e infilarli in un sacchetto che venne appositamente chiuso.
“Credi davvero che mangerei tutto questo?”, chiese Derek, di rimando, scrollando le spalle.
“Beh, scusa, cosa posso saperne?”, affermò Madison. “Dalla tua risposta deduco che la tua ordinazione è quella più banale, ovvero un caffè espresso”.
“Cosa hai contro l’espresso?”, le chiese lui, inclinando leggermente il capo da un lato.
“Nulla, è solo ordinario e semplice, con tutte le possibilità di scelta che ci sono”.
Intanto, il licantropo la stava fissando con una certa curiosità, studiandola e cercando di percepire ogni emozione che riusciva a far trapelare attraverso le sue espressioni facciali. Il suo ragionamento lo fece divertire, poiché Madison lo stava indirettamente definendo ordinario e magari banale, senza nemmeno conoscerlo e basandosi solo sul caffè.
“A me piace”, disse con sincerità mentre la sua voce prendeva un tono imbronciato.
Madison, che stava preparando le bevande, gli gettò uno sguardo, rivolgendogli un sorriso, e poi mise anche il cappuccino e i caffè sul bancone, incrociando le braccia.
“Allora devi essere un tradizionalista, Derek Hale”, convenne lei, pronunciando con maggiore enfasi il suo nome, cosa che stranì leggermente il ragazzo.
Perché Derek aveva la strana sensazione che quella ragazza lo conoscesse? Forse stava semplicemente dando i numeri, eppure non sembrava trattarlo come un estraneo, anzi.
“Probabile”, aggiunse Derek, prendendo il portafoglio, in attesa che lei parlasse ancora.
“Sono sei dollari e dieci”, affermò la ragazza, guardandolo con curiosità. “Cinque se smetti di seguirmi e farti trovare nei posti da me frequentati”.
Derek volse gli occhi verdi verso di lei, permettendo a Madison di osservarli ancora una volta alla luce del sole, e scosse lievemente il capo, come preso da una riflessione seria.
“Non ti sto seguendo”, disse lui con voce offesa e pagando l’ordinazione. “Non è colpa mia se ti fai trovare dinanzi ai piedi, non trovi?”.
“Se per ovunque intendi due posti in cui lavoro”, rispose con un finto tono naturale.
Una parte di Derek si sentì quasi irritata da tutte quelle insinuazioni, ma scrutandola con maggiore attenzione, sapeva che Madison lo stava praticamente prendendo in giro, come se si divertisse ad infastidirlo con tutte quelle parole messe accuratamente insieme per farlo spazientire. Derek le rivolse un cenno con il capo come saluto, prendendo la colazione per lui, Cora e Peter, rivolgendole un sorriso appena accennato e camminando verso l’uscita.
Derek poteva sentire lo sguardo della ragazza fisso sulla sua schiena e la parte di lui che desiderava voltarsi e dire qualcos’altro venne praticamente scazzottata dal ricordo di una scena abbastanza simile, dove lui era di spalle e un’altra donna era dietro di lui: Jennifer.
Il solo ricordo di Jennifer Blake lo fece rabbrividire e Derek si diresse velocemente fuori dalla caffetteria, cercando di espellere quel veleno che aveva ripreso a scorrergli fastidiosamente nelle vene. Nei momenti più bui, Jennifer Blake riprendeva nuovamente consistenza nella sua mente, ricordandogli quel nuovo sentimento che lo aveva praticamente schiaffeggiato, ricordandogli che lui, Derek Hale, non aveva diritto al più piccolo briciolo di felicità. Guardare più attentamente una sconosciuta, alla fine, lo conduceva sempre verso il ricordo di Jennifer, perché ormai la sua fiducia verso il genere umano non faceva che scarseggiare. Non che prima si fidasse maggiormente, ma con Jennifer aveva toccato il fondo e lo sapeva. Aveva giocato con lui, attirandolo come una sirena ammaliatrice e bugiarda per farlo cadere in una trappola dalla quale ne sarebbe uscito devastato come non mai, perché lui, Derek Hale, non aveva il diritto di uscire indenne da qualunque cosa in cui si invischiasse. Tentò di focalizzare tutta la sua attenzione su Cora che lo aspettava fuori, cercando espellere il più possibile quel veleno che continuava a circolare, facendogli male, proprio come il morso di un serpente. Non aveva mai sentito un gran bisogno di avere qualcuno vicino, non era come Scott e Stiles che facevano di tutto per tenersi stretto l’amore che meritavano. Derek, a differenza loro, non andava in cerca di nulla se non di un po’ di pace. Tutto quello che gli era capitato non era stato altro che un turbinio di eventi che lo avevano travolto quasi come uno tsunami: Kate per prima e poi Jennifer. Soltanto con Paige era stato tutto naturale, lento e delicato, prima di sforare nel sangue e nella tragedia. Perché ovunque Derek andasse, non c’era altro per lui: solo sangue e dolore.
Se fosse stato una persona normale e non un licantropo, avrebbe potuto mettere fine a quei capitoli della sua vita, voltando pagina come facevano tutti. Tuttavia, Derek non poteva, perché non era umano: era un licantropo, e le donne che aveva amato non erano donne comuni, bensì una cacciatrice e un mostro.
“Vorrei fare un giro per il college”, esordì Cora, mostrando un sorriso luminoso che gli strinse il cuore. “Mi piacerebbe mostrarvelo”.
Il licantropo non poté fare altro che sorriderle di rimando, cominciando a camminare con il suo caffè tra le mani, mentre Peter gli gettava un'occhiata delle sue.
Nel caso di Derek Hale, chiudere un capitolo non era tanto semplice, per quanto potesse desiderarlo. Forse un giorno, sarebbe riuscito a respirare di nuovo.
 

 
Alla fine, non ci voleva molto a premere un semplice tasto ed effettuare quella dannata chiamata, solo che per Keith sembrava la cosa più difficile da fare.
Non doveva essere coinvolto: aveva tentato il più possibile di essere freddo e distaccato.
Si trattava di semplice lavoro e lui lo stava svolgendo alla perfezione. Aveva fatto tutto ciò che gli era stato ordinato, aveva agito per conto di qualcun altro, tenendo sotto controllo la ragazza…ora faceva fatica persino a chiamarla per nome, tanto che desiderava mantenere le distanze.
Keith Donovan non era mai stato un bravo ragazzo, poiché questa espressione non poteva certo essere affibbiata a qualcuno che impiegava il suo tempo collaborando con un branco di licantropi, capitanato da un uomo tutt’altro che ragionevole e per nulla incline al rispetto del prossimo.
Non aveva mai dubitato di sé stesso, fino ad un anno fa. Freddo e manipolatore, così gli imponeva di essere il codice della sua famiglia, nonostante suo padre si stesse indubbiamente rivoltando nella tomba per il fondo che aveva toccato.
Prima di iniziare a svolgere quella strana missione per conto di un alpha, Keith non aveva mai avuto problemi del genere, né aveva mai dubitato di sé e non poteva credere che un paio di occhi verdi abbinati ad un sorriso da togliere il fiato potessero farlo vacillare.
Scosse la testa, ripetendo a sé stesso di non comportarsi da rammollito, e prese il cellulare.
Gli bastò poco per comporre quel numero che conosceva a memoria.
“Ehi, sono io”, esclamò lui, mantenendo un tono controllato. “Ci siamo?”.
La risposta che Keith ricevette dall’altro capo del telefono, fu proprio quella che temeva.
Avevano aspettato abbastanza, e il giorno tanto atteso, non da lui, era giunto.
Chiuse la chiamata e si prese qualche minuto per osservare il suo riflesso nello specchio.
Keith Donovan si odiava e se non fosse stato troppo impegnato a compatirsi o insultarsi forse si sarebbe fatto un esame di coscienza…ma quelli come lui non potevano permetterselo. Keith era un assassino, un bugiando…non un cacciatore, come suo padre, suo nonno e suo fratello prima di lui, la cui memoria non era stata più onorata da tempo. Sistemò la pistola, coprendola poi con la giacca e uscì, pronto a vedere ciò per cui aveva lavorato tanto tempo e ad assistere alle conseguenze di ciò che aveva tramato nell’ombra. Presto o tardi, sarebbe stato punito per questo.
 
 
Angolo dell’autrice
 
Ed eccomi con il secondo capitolo di questa storia!
Qui abbiamo un po’ di Madison, un po’ di Derek, un po’ di Derek e Madison, e un po’ di Keith. Per quanto riguarda Madison, ci tengo a precisare che ha messo fine alla storia con il suo ex fidanzato Keith da circa due-tre mesi dopo che erano stati insieme un anno (inizialmente l’idea era che fosse passato un anno dalla rottura ma per motivi consoni alla trama ho dovuto modificare). Spero che l’espediente che ho ideato per far andare Derek a Berkeley non vi sembri banale, so che Cora dovrebbe trovarsi in Sud America ma non volevo allontanarli troppo da Beacon Hills e quindi ho pensato che Cora, essendo un’adolescente, deve pur frequentare il liceo e andare il college, no? Spero che non risulti stupido. Il terzo incontro tra Derek e Madison è abbastanza simile al secondo ma questa volta è avvenuto alla luce del giorno per un motivo preciso che verrà spiegato nel prossimo capitolo.
Qualche ipotesi su Keith e sull’ultima parte un po’ enigmatica? Spero tanto di avervi incuriositi! So che magari le cose vi potranno sembrare più ingarbugliate ma vi prometto che nel prossimo capitolo, si inizierà a fare un po' di chiarezza sulla vicenda! Infatti, il prossimo capitolo riprenderà proprio da dove è finito, quindi avremo sempre Derek, Peter e Cora impegnati in questo piccolo tour all’interno del college, e ovviamente rivredemo Madison, Lana e anche Keith.
Ci tengo a ringraziare immensamente tutti coloro che stanno leggendo!
Alla prossima settimana, un abbraccio :)
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Teen Wolf / Vai alla pagina dell'autore: lilyhachi