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Autore: DigitalGenius    23/04/2014    5 recensioni
Garfield arrossì lievemente. Non poté evitare che il cuore gli si fermasse, nel guardarla, anche se non era la vera Raven.
«Allora, cosa ti porta qui?» gli domandò lei sorridendo.
Garfield dischiuse le labbra per risponderle. All’improvviso tutti i suoi piani, tutti i discorsi a cui aveva pensato per riportare Raven tra i Titans, sembravano inutili. Chinò lo sguardo e strofinò per terra una suola della scarpa.
Sentiva quegli occhi addosso a sé e quello sguardo lo trafiggeva.
«Dov’è che sono le altre emozioni? Potrei parlare con alcune di voi?» esordì all’improvviso agitando le punte delle orecchie.
Coraggio scrollò le spalle. Il sorriso le si spense mentre si avvicinava al bordo del precipizio su cui si trovavano. «Loro non verranno» annunciò rassegnata. «Si vergognano»
«Perché dovrebbero?» le domandò il ragazzo seguendola. «Sono sempre il buon vecchio Beast Boy, credevo di piacere almeno alla metà di loro»
«Tu ci piaci» lo tranquillizzò lei nel vederlo quasi nel panico. Gli sorrise. «Diciamo che non sono pronte ad incontrarti. O almeno non lo sono la maggior parte di loro»
«Perché?» domandò Garfield mogio. «Perché loro no e tu sì?»
«Perché?» ripeté lei. «Perché io sono il Coraggio»
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beast Boy, Raven, Robin, Starfire
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROFUMO DI SEGRETI


Garfield si agitò nel letto, incapace di prendere sonno. Una volta finiti gli effetti degli antidolorifici non aveva più avuto pace. Rimpiangeva i giorni in cui Raven era stata nella squadra, per la possibilità di essere guarito più in fretta dai suoi poteri e per molte altre ragioni.
Ogni singolo osso del suo corpo aveva qualcosa di cui lamentarsi riguardo allo scontro più recente ed addirittura i pensieri erano ben decisi a non lasciarlo in pace. Era proprio una giornata da dimenticare, e sarebbe stata da buttare l’intera settimana, se non fosse stato per l’inaspettato incontro con la sua vecchia amica e quel suo strambo, pericoloso fratellino.
Non poteva impedirsi di tornare a pensarci, qualunque cosa tentasse di fare rimaneva il suo chiodo fisso. Avrebbe voluto discutere con Victor, assicurarsi che Richard non si fosse messo strane idee in testa – ad esempio considerare Raven un pericolo per la squadra – e gli sarebbe piaciuto poter raggiungere gli amici ovunque fossero andati a prestare soccorso.
Quando aveva sentito l’allarme era stato felice che li allontanasse per un po’, ma già dopo pochi minuti aveva iniziato ad annoiarsi a morte.
Rimase steso a fissare il soffitto, contando immaginarie pecore verdi per tentare di raccattare un po’ di sonno. L’operazione bastava a malapena per distrarlo.
Allungò una mano sul comodino, su cui Victor gli aveva premurosamente lasciato il telecomando del televisore e lo puntò contro il grande schermo che avevano sceso in infermeria quel pomeriggio.
«Ufff…» sbuffò il ragazzo verde premendo il tasto principale.
Lo schermo si accese rapidamente, mostrando le immagini di un vecchio film in bianco e nero. Cambiò canale, iniziando la classica operazione di zapping che lo impegnava sempre nei momenti di maggiore noia. Puntò direttamente ai canali per ragazzi, Disney Channel, Disney XD, K2, Cartoon Network, Nickelodeon e tutti quelli che gli vennero in mente. Il tempo non lo aveva cambiato, ma le repliche lo scocciavano, rifiutò quindi di rivedere per l’ennesima volta Generator Rex, I Maghi di Waverly ed i Pokemon. Beccò una puntata di Victorious che non aveva ancora visto, ma scoprì che era quasi alla fine e decise di passare oltre.
Dopo alcuni minuti di ricerca abbandonò i suoi piani iniziali. Passò al canale principale di Jump City, chiedendosi se gli avrebbe dato notizie della missione dei suoi amici. Come previsto, la giornalista, a distanza di sicurezza dallo scontro, stava analizzando le mosse dei tre Titans. O almeno ciò che riusciva a vedere dal suo punto di osservazione. Effettivamente dell’azione si vedeva poco. Alcuni colpi, molta polvere sollevata e, decisamente, una Raven alquanto sulla difensiva, il tutto attraverso una parete semi crollate del familiare museo di Jump City.
«Oh… No… No…» si disse mortificato. Ora, si disse, Dick avrebbe avuto davvero una ragione per diffidare di lei.

La T-Car inchiodò davanti all’indirizzo da cui proveniva il segnale del comunicatore di Starfire. L’aliena li aspettava davanti all’ingresso dell’appartamento, nel momento stesso in cui vide Robin spuntare sul pianerottolo si affrettò a raccontare confusamente l’accaduto.
«Quando Raven si è accorta che l’avevo seguita ha afferrato quei ragazzi e li ha portati via di fretta. Non hanno preso nulla» disse, facendo strada. «Sono sicura che era qui che vivevano; potremmo aspettare che tornino» propose entusiasta, mentre Cyborg e Robin ispezionavano il salotto.
Il Ragazzo Meraviglia la guardò rammaricato. L’ottimismo di Starfire lo commuoveva, ma non poteva permettere che pensasse ancora inutilmente che la sua vecchia amica sarebbe tornata per parlare e rimettere tutto apposto, perché per più tempo si fosse illusa più sarebbe rimasta delusa alla fine. «Kori, mi dispiace, ma credo che se Raven avesse voluto parlare con uno di noi l’avrebbe già fatto» disse con dolcezza accarezzandole un braccio. «Io non credo che torneranno ancora qui, ora che sanno che sappiamo di questo posto»
Starfire si tirò indietro, sospirando pesantemente. Non disse nulla, ma fece cenno al ragazzo di tornare a guardarsi attorno. «Cosa facciamo adesso?»
«Cercheremo di capire cosa stanno cercando di fare, magari hanno lasciato qualche piano» disse con calma. «Puoi guardare in giro per vedere se trovi cose che appartengono a Raven?» le domandò poi, camminando con lei per il corridoio buio ed infilandosi in una delle camere. Starfire s’infilò nella stanza affianco, accendendo la luce con un gesto veloce.
Così come il resto della casa la camera da letto era quasi del tutto spoglia. Pochi abiti nell’armadio, pareti bianche e lenzuola anonime ben ordinate sul letto. Sulla cassettiera, sistemata ai piedi del letto, stava uno specchio scuro dall’aria familiare. Non aveva idea di quando fosse successo, ma era certa di averla già vista da qualche parte. Si avvicinò lentamente, dando una manata alla tenda per scostarla e poter osservare meglio l’oggetto. Allungò un braccio per stringerlo tra lei mani, ma la voce concitata di Cyborg glielo impedì, facendola sussultare.
«Non. Toccare. Quello. Specchio» esclamò il ragazzo dalla porta prima che lei riuscisse a sfiorarlo. Starfire, con il braccio ancora fermo a mezz’aria, lo fissò confusa sbattendo gli occhi. Il mezzo robot si voltò verso il corridoio, chiamando il leader con tono ansioso ed entrando in camera. «È lo specchio di Raven» informò incerto, osservandolo come se potesse aggredirlo da un momento all’altro.
I due amici lo fissarono, confusi, per poi realizzare improvvisamente. «Questa era la sua camera, allora» osservò Robin.
Cyborg annuì, poi accennò la spiegazione di ciò che era successo anni prima. «Io e Garfield siamo finiti in questo specchio, una volta. È un’esperienza che non ci tengo a ripetere» affermò con convinzione.
Robin annuì, comprensivo. «Meglio portarlo in un posto sicuro» disse.
Scambiò un’occhiata con Cyborg, mentre Starfire lasciava la stanza. La ragazza camminò lentamente, con la testa bassa e l’umore sotto i piedi. Non vedeva l’ora di uscire di lì, di poter tornare a casa e fingere che nulla fosse successo. Gli occhi le vagarono all’interno delle varie stanze; tutto era stato abbandonato in fretta e furia ma la casa era quasi completamente vuota. Non ci voleva molto, in quella situazione, a notare la nota stonata della camera in fondo al corridoio. La finestra aperta lasciava entrare la piacevole brezza notturna, trasportando per tutto l’appartamento il profumo delle piante; non c’era una sola pianta in tutto l’appartamento, ma quella stanza ne era colma al punto da sembrare quasi un giardino d’inverno. Erano tutte fiorite, rigogliose, perfette. Starfire non riuscì ad impedirsi di entrare per poterle osservare da vicino. Sfiorò la superficie di alcune foglie lucide, annusò uno dei ciclamini del vaso che stava sistemato sul comodino ed urtò inconsapevolmente una sedia stracolma di riviste e disegni.
La pila si rovesciò per terra, i fogli si sparsero sul pavimento. La ragazza si chinò, sentendosi in colpa per l’accaduto. Iniziò a raccogliere il tutto, ritrovandosi all’improvviso tra le mani un fumetto fin troppo familiare.
Fissò la foderina lucida ad occhi sgranati, riconoscendo i personaggi su cui Garfield aveva tanto lavorato. Rimise i fogli e le riviste sulla sedia, preoccupandosi di lasciare Dark Wings in cima e bene in vista.
Qualunque fosse il motivo per cui quel fumetto si trovava lì, Starfire sperò ardentemente potesse aiutare Raven a ritrovare la strada di casa.

Garfield li aspettava nella sala principale; avrebbe fatto avanti ed indietro per la stanza, se non avesse avuto paura di rovinarsi qualche medicazione.
Quando la porta scorrevole si spalancò ed i ragazzi entrarono nella stanza Garfield si alzò e, con risolutezza, si diresse verso di loro con il volto contratto dal nervosismo. «Che è successo?» domandò immediatamente. «Che ci faceva Raven al museo?». Si aggrappò al costume di Robin, come se questo potesse aiutarlo a capire meglio.
L’amico scosse la testa, afferrando i polsi del mutaforma. Avrebbe voluto essergli di conforto, in quel momento, ma non aveva idea di cosa potesse dirgli senza uccidere le sue speranze. «Ha rubato un libro, credo. Non c’è stato verso di chiederle la ragione» spiegò rammaricato.
Allora Garfield si rivolse a Cyborg. «Perché ci avete messo tanto? Dove siete stati?». Era chiaro che l’attesa del loro ritorno l’aveva reso irritabile, nessuno di loro poteva biasimarlo.
Esitarono, prima di dargli una risposta. Robin gli poggiò una mano sulla spalla, costringendolo a tornare a prestargli attenzione e dicendogli con rassegnazione quello che era successo. «Starfire ha seguito Raven ed ha trovato la casa in cui abitavano», disse. Ma non poté aggiungere altro, perché l’amico lo afferrò stretto per un braccio e lo scosse con forza.
«Allora li avete trovati!» esclamò speranzoso. Robin sospirò, lanciando un’occhiata a Cyborg e lasciando a lui il compito di parlare. Il mezzo robot ricambiò lo sguardo e cercò le parole giuste, ma quando pensò di averle trovate il mutaforma aveva spostato gli occhi su Starfire.
«Se e sono andati» gli disse la ragazza. «Spariti nel momento stesso in cui si sono accorti che li avevo seguiti. Li abbiamo persi». Scandì le ultime parole con attenzione, parlando come avrebbe potuto parlare ad un bambino che si rifiuta di capire. Il sorriso di lui tremò lievemente per qualche istante, prima di spegnersi.
«Ma abbiamo potuto dare un’occhiata in giro» fece poi Robin, il cui istinto da detective non si smentiva mai. Solo allora Garfield si accorse degli oggetti accatastati con poca cura sul carrello che i ragazzi avevano poggiato che avevano salito dal garage. Li osservò di sfuggita, ma non poté non accorgersi immediatamente del familiare specchio grigio poggiato sulla cima del cumulo. Scostò gli amici di lato, per passare e raggiungere il carrello, poi allungò le braccia per afferrarlo, ma Robin lo trattenne.
«Cosa hai intenzione di fare?» domandò il Ragazzo Meraviglia preoccupato.
«Lo specchio» gli rispose Garfield senza pensare. «Quello è lo specchio di Raven, forse posso usarlo per contattarla» iniziò, ma il leader non sembrava molto convinto ed anche Cyborg parve confermare i suoi dubbi.
«Quello specchio è pericoloso» disse quest’ultimo senza mezzi termini. «Ricordi cosa è successo l’ultima volta, vero?» gli domandò. Gli altri due li guardarono confusi; Cyborg fece un appunto mentale di riassumere l’avvenimento in seguito, ma si limitò a poggiare una mano sulla spalla dell’amico e dirgli risoluto: «Ti riporto in infermeria, Robin penserà allo specchio ed al resto»
Garfield balbettò qualcosa, contrariato, ma l’amico non gli lasciò scelta. Il mutaforma si disse che doveva solo aspettare il momento giusto per avvicinare l’oggetto e, fino ad allora, non dar segno di volerci riprovare. Si lasciò quindi trascinare in infermeria e si lasciò cambiare le medicature, fingendo poi di appassionarsi a una nuova puntata di La mia baby sitter è un vampiro fino a quando non rimase di nuovo solo.

Quando Robin aveva deciso di adibire una stanza della torre a camera di sicurezza, per potervi tenere in tutta sicurezza all’interno gli oggetti appartenuti ai nemici, ci era voluto molto tempo per scegliere una password che tutti i Titans avrebbero potuto ricordare.
Con la scomparsa di Raven il codice era stato cambiato ed ora, probabilmente non più di mezz’ora prima, era stato modificato un’altra volta.
Richard doveva aver intuito che avrebbe provato ad entrare e l’aveva preceduto. Garfield grugnì, quello era uno di quei giorni in cui sentiva che tutto il mondo remava contro di lui e non poteva fare nulla, a parte sbattere contro innumerevoli porte chiuse.
Ma non aveva intenzione di lasciarsi fermare da questa, di porta. Sapeva di poter fare un paio di tentavi, prima di innescare il blocco, e conosceva un paio date che l’amico avrebbe potuto aver utilizzato; cose personali che non avrebbero coinvolto gli altri membri del gruppo, ma preferì utilizzare un altro metodo.
Sapeva che, quando Victor aveva programmato il sistema, aveva costruito un’entrata d’accesso secondaria. Ora, nonostante nessuno lo tenesse in conto, o forse l’avesse mai capito, Garfield era figlio di due scienziati famosi e, anche se spesso tendeva a nasconderlo ed a dimenticarsene lui stesso, aveva un cervellino niente male. Già una volta aveva aggirato la sicurezza per introdursi nei file personali dei suoi amici, non sarebbe stato un problema neanche adesso.
Garfield sfilò delicatamente la copertura del controllo principale, scoprendone i cavi. Scollegò e ricollegò i vari fili e la porta si spalancò silenziosamente, le ante sparirono nella parete e le luci della stanza si accesero lampeggiando una dopo l’altra. Garfield entrò nella stanza soddisfatto e fece scorrere lo sguardo sui vari cimeli. Ci mise poco ad individuare ciò che stava cercando. Richard lo aveva lasciato vicino all’ingresso, troppo desideroso di cambiare i codici di accesso per preoccuparsi di trovarvi una collocazione migliore. Lo specchio era come se lo ricordava, esattamente come l’aveva visto alcuni anni prima. Era poggiato malamente su uno scaffale, Garfield rimproverò mentalmente il poco rispetto che l’amico aveva avuto nell’abbandonare un oggetto tanto importante su un’anonima mensola. Lo raccolse, vi si specchiò.
«Ecco» disse. «Trascinami dentro, ho bisogno di entrare». Strizzò gli occhi in attesa. Quasi si aspettava di restare deluso, immobile come il deficiente che sentiva di essere ad occhi chiusi e con la faccia al muro, e per un istante fu esattamente così.
«Ok, come non detto» sospirò dopo alcuni secondi lasciando con delicatezza lo specchio dove l’aveva trovato. Si voltò verso la porta, pronto ad andarsene, ma un’esclamazione concitata lo trattenne.
Qualcosa lo afferrò, trascinandolo indietro come se fosse un peso morto. La terra sotto i piedi gli mancò, almeno fino a quando non lo colpì con forza dritto sulle chiappe.
Era atterrato con una botta dolorosa, il terreno grigio era freddo ed il cielo era scuro come lo ricordava. Alzò gli occhi solo per incontrare lo sguardo di una delle emozioni di Raven. Perfettamente identica all’originale, Coraggio lo squadrava con un sorriso avvolta nel mantello verde scuro. «Yoho, Beast Boy» lo salutò.
«Ciao» le disse lui rialzandosi. Si massaggiò il sedere con una smorfia, poi le sorrise. «Mi faccio chiamare Changeling, adesso»
«Changeling» ripeté lei ammiccando. «Mi piace. Ti dona»
Garfield arrossì lievemente. Non poté evitare che il cuore gli si fermasse, nel guardarla, anche se non era la vera Raven.
«Allora, cosa ti porta qui?» gli domandò lei sorridendo.
Garfield dischiuse le labbra per risponderle. All’improvviso tutti i suoi piani, tutti i discorsi a cui aveva pensato per riportare Raven tra i Titans, sembravano inutili. Chinò lo sguardo e strofinò per terra una suola della scarpa.
Sentiva quegli occhi addosso a sé e quello sguardo lo trafiggeva.
«Dov’è che sono le altre emozioni? Potrei parlare con alcune di voi?» esordì all’improvviso agitando le punte delle orecchie.
Coraggio scrollò le spalle. Il sorriso le si spense mentre si avvicinava al bordo del precipizio su cui si trovavano. «Loro non verranno» annunciò rassegnata. «Si vergognano»
«Perché dovrebbero?» le domandò il ragazzo seguendola. «Sono sempre il buon vecchio Beast Boy, credevo di piacere almeno alla metà di loro»
«Tu ci piaci» lo tranquillizzò lei nel vederlo quasi nel panico. Gli sorrise. «Diciamo che non sono pronte ad incontrarti. O almeno non lo sono la maggior parte di loro»
«Perché?» domandò Garfield mogio. «Perché loro no e tu sì?»
«Perché?» ripeté lei. «Perché io sono il Coraggio»
Le spalle del mutaforma, che prima erano state rigide, si rilassarono. «Perché Rae non vuole incontrarmi? Perché non vuole che parli con lei? Perché non vuole parlare con me? Dimmelo, ti prego. Cos’avete da vergognarvi? Voi… Raven non ha fatto nulla per doversi nascondere da me»
Coraggio sorrise, felice di sentirglielo dire, ma la luce nei suoi occhi si spense quasi immediatamente. «Quindi non ce l’hai con lei per essersene andata?»
Garfield le sorrise lievemente. Era diventato quasi insensibile al dolore delle sue ferite, nelle ultime ore, ma riceveva ancora dolorose fitte improvvise a ricordargli lo scontro. «No, so che ci deve essere stato un buon motivo, solo che non riesco a capire quale sia. Vorrei che tu mi spiegassi» rivelò.
«Anche io vorrei spiegarti, credimi. Non c’è cosa che desidererei di più al mondo che dirti tutto adesso. Vorrei, o meglio, Raven vorrebbe tornare a casa, ma siamo andate troppo oltre per fermarci adesso»
Garfield digrignò i denti, sconcertato dall’evasività di Coraggio. «Sì, ma cosa dovete fare?»
Lo scatto d’ira gli costò una fitta particolarmente forte e lo costrinse a piegarsi in due con un gemito.
Lo sguardo di Coraggio si addolcì. Gli si avvicinò, sollevandogli il volto con tanta delicatezza che sembrò che temesse di romperlo. «Guarda Jeremy come ti ha ridotto» mormorò premurosa. «Lascia che ti guarisca»
Poggiò le mani sulla benda che riusciva a vedere meglio, quella che veniva fuori dalla maglietta a maniche corte del ragazzo. Un alone di luce nera circondò il braccio di Garfield ed in poco tempo il dolore scomparve. Poi Coraggio passò all’altro braccio.
In breve, senza un solo istante di esitazione, sbottonò i due bottoni del colletto per occuparsi di una spalla. Sorrideva lievemente, e presto ruppe il silenzio con una frase che Garfield all’inizio non riuscì a comprendere. «Forse non dovrei farlo» disse.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio. «Cosa? È vero, Dick si arrabbierà, quando verrà a sapere che sono stato qui»
«Sì» rise Coraggio. «Ma non mi riferivo a questo»
Poi, senza preavviso, poggiò i palmi delle mani sulle guancie di Garfield e sfiorò le labbra verdi con le sue.
Prima che Garfield se ne rendesse conto era fuori dallo specchio, esattamente nel punto da cui era partito, con un sorriso ebete inconsapevolmente stampato sul volto. Sorriso che si spense subito, però, quando scoprì che Richard era lì e lo fissava con furia omicida.
Era stato scoperto prima di quanto si fosse aspettato.

Raven spalancò gli occhi nel momento stesso in cui sentì il battito cardiaco accelerarsi. Era ancora nella posizione del loto, come quando aveva incominciato a meditare, circa mezz’ora prima. Ora però la tranquillità della meditazione era stata sostituita da una vampata di tepore che l’aveva percorsa da dentro e una lieve sensazione di inspiegabile sollievo.
Portò una mano al petto, per poi lanciare un’occhiata preoccupata ai ragazzini che stavano, a gambe incrociate, al suo fianco. Sospirò, sperando che questo suo repentino cambio di umore non avesse disturbato la loro concentrazione.
Lilith era ancora immobile, le palpebre serrate ed il mento sollevato. Jeremy, a tradimento, spalancò un occhio per scrutarla proprio nel momento in cui Raven si concentrava a guardarlo. La ragazza sussultò.
«Cosa?» le domandò Jeremy fissandola corrucciato. Aveva le mani lente contro le ginocchia, quindi nessun segno di fastidio per essere stato riportato alla realtà così di colpo.
Raven scivolò fino a terra, Jeremy fece per imitarla, ma il suo atterraggio impacciato fu molto meno leggiadro.
La ragazza ignorò per un istante le attenzioni del fratellastro, riflettendo su cosa avesse potuto scatenare quella reazione. Poi realizzò, all’improvviso, come colpita da una bastonata dritta dietro la nuca. «Il mio specchio…»
«Lo specchio?» le fece eco Jeremy.
«Qualcuno ci deve essere entrato… Io» s’interruppe ancora, rendendosi conto che solo una persona avrebbe potuto essere tanto incosciente e farla sentire a quel modo. E si rese conto che era ancora peggio di quanto avesse potuto pensare, perché non solo Garfield era riuscito ad entrare nel suo specchio, ma sicuramente aveva anche parlato con qualcuna delle sue emozioni.

Aveva trovato l’appartamento seguendo la traccia del pungente odore alieno di Starfire. Non c’erano molto odori simili sulla Terra e spesso era impossibile riuscire ad usarlo come guida, quando la ragazza si spostava in volo, ma quel giorno lei sembrava aver preferito viaggiare in macchina. Il profumo della ragazza, misto a quello dei sedili in finta pelle e dei circuiti dell’auto di Cyborg erano una combinazione a dir poco inconfondibile.
Era arrivato sul pianerottolo dopo aver avuto il permesso dagli agenti di polizia, poi aveva inspirato a fondo l’odore di Raven, misto ad altri odori familiare che ancora non riusciva a definire bene.
Abbassò la maniglia della porta d’ingresso senza esitare e fece il primo passo nel piccolo salotto. La polizia aveva il compito di controllare che nessuno entrasse o uscisse, ma solo i Titans avevano il permesso di visitare l’appartamento.
Esitò sulla soglia, distraendosi nel tentare di ricordare dove aveva già sentito quell’odore misto di piante selvatiche e fiori appena sbocciati che quasi lo costringeva dal trattenere il fiato. Aggrottò le sopracciglia, concentrandosi in silenzio. Sobbalzò, quando sentì la risatina infantile provenire da una delle camere da letto. Si chiuse la pota alle spalle con un colpo secco e si fiondò in corridoio.
La ragazzina dai capelli rossi, intanto, si era tappata la bocca. Lo fissò colpevole per un istante, mentre Garfield riconosceva in lei la sconosciuta a cui aveva regalato un numero del suo fumetto.
Lei premette il dito sulle labbra. «Non farmi scoprire, per favore, io non dovrei essere qui» supplicò. Poi tornò a sorridere, sventolando le gambe sul bordo del letto e poggiando le mani sul materasso. «Ho riconosciuto la tua aura da quando hai svoltato l’angolo» rivelò fieramente, sbattendo gli occhi. Sembrava felice di vederlo, cosa che in parte lo lusingava. Poi lei aggiunse: «Stai molto meglio in verde» e tutti i dubbi e le domande che fino ad allora si erano accavallate nella sua mente iniziarono a prendere forma.
Garfield chiuse la bocca ed incrociò le braccia. «Che ci fai qui? Chi sei? Come hai fatto ad entrare?» domandò confuso. «Chi diavolo sei tu davvero?» concluse serio. Non si aspettava che lei lo prendesse sul serio, che si preoccupasse di chiarire i suoi dubbi.
«Questa è casa mia. Mi chiamo Lilith. Sono la sorella di Raven» gli disse lei immediatamente.
Il ragazzo sgranò gli occhi. Non aveva mai immaginato che Raven avesse un fratello, figurarsi due. «Ok, Raven ha altri fratelli che ci tiene nascosti?» chiese, sbottando quasi esasperato.
Lilith ridacchiò, sollevando le gambe per intrecciarle sul materasso e fece cenno a Garfield di accomodarsi. Lui si limitò ad abbandonarsi sul pavimento a gambe incrociate. Finché la sua nuova amica non si dimostrava ostile avrebbe potuto stare al suo gioco, ma non riuscì a trattenersi dal domandarle: «Com’è che oggi sembra che io ti stia più simpatico?»
«L’altro giorno mi ero persa; ero un po’ preoccupata e non riuscivo ad estraniarmi dalle emozioni altrui. Mi innervosisco un po’ quando succede» ammise Lilith afferrando il suo fumetto e stringendolo al petto. Saltò sul pavimento e si sedette di fronte al ragazzo, sorridendogli. «E poi non sapevo ancora chi eri. Mi dispiace se ti sono sembrata sgarbata»
Garfield arretrò lievemente. La osservò con interesse e poi si sciolse in un sorriso. «Bene» disse, sporgendosi verso di lei. «E sentiamo, chi sarei?» domandò amichevolmente.
Un colpo di vento dalla finestra aperta portò verso di loro il profumo dei ciclamini e Lilith lo inspirò a fondo, poi lei rispose con calore: «Beast Boy. Tu sei uno dei Teen Titans»
Il ragazzo si portò una mano sulla nuca e si scompigliò i capelli, dicendo con un lieve moto d’imbarazzo: «Ora mi faccio chiamare Changeling». E si domandò quante altre volte avrebbe dovuto ribadirlo.
Lilith lo ignorò. «Tu cambi forma» gongolò. «Mi fai vedere?» supplicò trasognata.
Garfield deglutì, pensando a quanto l’avrebbe delusa se non l’avesse accontentata. Si grattò la guancia pensieroso e le domandò preoccupato: «In cosa vuoi che mi trasformi?»
La ragazzina sollevò lo sguardo e sbatté le ciglia mentre rifletteva. Il mutaforma aspettò pazientemente e lei alla fine disse: «Un gatto? No. Una lince». Il ragazzo la accontentò, mutando all’istante e saltellando silenziosamente attorno a lei, fermandosi all’improvviso e tornando umano quando lei gli fece notare: «Sei ancora verde!»
«Questo è il mio marchio di fabbrica» ribatté. «Io sono verde»
«Mi piace il tuo verde» gli disse Lilith all’improvviso «Ed hai le orecchie a punta, come un folletto dei boschi»
Garfield le sorrise. «Dimmi un po’ di te, invece. Quali sono i tuoi poteri?» le domandò. L’espressione di lei si incupì al punto da fargli quasi rimangiare la domanda.
Alla fine Lilith iniziò a spiegare: «Trigon è mio padre, quindi sono mezzo demone». Poi sorrise e dichiarò: «Mia madre era una ninfa dei boschi, perciò ho anche i suoi poteri»
Garfield strabuzzò gli occhi e capì: «Per questo profumii di tutti quei tipi di fiori tutti insieme?» domandò, annusandola lievemente.
Lei rise, lasciando cadere il fumetto sul pavimento. «Davvero senti il mio odore?» chiese divertita. «Di cosa profumo?»
Il ragazzo colse al volo l’occasione, sporgendosi verso di lei per annusarla ancora ed iniziando ad elencarle: «Dunque. Fiori, tanti fiori. Erba fresca appena tagliata. Incenso, terra ed un po’ di cenere». Poi prese coraggio e si fece forza, dichiarando con calore: «E sento su di te anche il profumo di Raven». Si zittì, studiando la reazione di Lilith.
Lei non sembrava affatto indispettita dalla sua affermazione, anzi gli disse: «Raven ha un buon odore. È rassicurante»
Garfield rise, domandandosi in che momento aveva iniziato a considerare la ragazzina un’amica, riflettendo su come, forse, sarebbe potuta diventare anche una sua alleata.
Lilith si voltò con uno scatto verso la finestra, guardando un punto indefinito con espressione tesa. Il ragazzo seguì il suo sguardo, ma non vide nulla. Poi la ragazzina parve rilassarsi e tornò a sorridergli.

Sospirò con rabbia, lasciando la piccola Lilith a ridere e scherzare con quel ragazzo verde dall’aria idiota, abbandonando il suo punto d’osservazione in cima al tetto e facendosi strada in una chiazza d’oscurità per poi riemergere dalle ombre del loro nuovo rifugio freddo ed umido. Sentì la presenza senza neanche bisogno di concentrarsi. La figura rannicchiata di Raven sembrava sofferente e la creatura stava china su di lei. L’aspetto vagamente umanoide non impediva al suo volto di apparire così raccapricciante, ma Belial sapeva cosa fosse senza neanche guardarlo. La ragazza, addormentata, si agitava nel vano tentativo di risvegliarsi da un sogno di cui non voleva fare parte.
Belial digrignò i denti, furioso, avvicinandosi con uno scatto. La creatura grugnì, sollevò il volto deformato e puntò gli occhi bianchi sul ragazzo. «Adesso basta» ordinò Belial con tono fermo. «Lascia andare il suo sogno». Si chinò, la afferrò per la giugulare e la sollevò con foga per spingerlo contro il muro. Immediatamente la creatura gli soffiò contro, agitandosi nel tentativo di liberarsi. Belial le tappò la bocca con la mano libera, intimandogli di fare silenzio. Fece un cenno in direzione di Raven, che ancora annaspava nel tentativo di risvegliarsi dall’incoscienza. «Ti avevo detto di starle lontano» quasi ruggì. Poi il volto si contrasse in un ghigno e disse: «Forse per questa volta ti lascerò andare, se accetterai di fare qualcosa per me».



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Ok. Speravo in qualche recensione in più ma vedo che nessuno ha nulla da dire e quindi ho proceduto ad aggiornare. Baci, Genius <3





  
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