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Autore: Yoan Seiyryu    23/04/2014    0 recensioni
[ Mad Wolf (Ruby Jefferson) + accenni Outlaw Queen ]
Nella Foresta Incantata Regina desidera distruggere Snow White annullando quelle amicizie che rendono la figliastra forte ed audace. Decide di servirsi di Jefferson per compiere un gesto estremo nei confronti di una giovane ragazza dal Cappuccio Rosso che vive al villaggio di Nottingham. Jefferson, per offrire un futuro migliore a sua figlia Grace, accetta il patto con Regina ed è intenzionato ad eseguire gli ordini.
A Storybrooke Jefferson ricorda perfettamente il suo passato e tenta con ogni mezzo di far riemergere la memoria perduta di Ruby con cui è stato legato prima del sortilegio, ma affronteranno entrambi diverse problematiche prima di conoscersi davvero secondo la propria natura.
**
"E' ironico che sia tu a parlare di mentire, del passato, di conoscersi per ciò che si è [...] quando sei tu il vero mostro fra noi due"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Jefferson/Cappellaio Matto, Paige/Grace, Ruby/Cappuccetto Rosso, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XV

Family

 


 
 

Storybrooke, il sortilegio è stato spezzato


Stupido, stupido, stupido.
Paige non lo avrebbe mai perdonato dopo ciò che aveva detto a Ruby, ma non era riuscito a controllarsi. Vedere sua figlia in pericolo di vita lo aveva fatto uscire di senno, ci era mancato davvero poco perché il lupo non la smembrasse. Non era la prima volta in fondo che chiamava Ruby in quel modo, mostro. Ma lo pensava davvero? O aveva semplicemente dato fiato al primo pensiero corrente, come diceva sempre Locksley? Il dolore al braccio aumentava ma al tempo stesso fingeva di non pensarci, assaporando ogni fitta di sofferenza che si instaurava nella carne. Il dolore proviene dal cervello e se sai governarlo può sparire in ogni momento. Quando giunse in ospedale accompagnato da Graham, il Dottor Whale fu quasi riluttante a medicargli la ferita, ma cercò di rendersi utile visto che grazie a lui in passato aveva ottenuto un cuore. Un cuore per un mostro, ma questi erano dettagli.

“Chi lo avrebbe mai detto che saresti stato tu ad aiutarmi?” sogghignò Jefferson mentre veniva disteso sul letto per pulire la ferita.
“Già, avrei sperato di non vederti più ma a quanto pare sono costretto ad incontrarti sempre” rispose Whale mentre richiamava alcune infermiere, bisognava prima di tutto fermare l’emorragia.
Graham si assicurò di poterlo lasciare in buone mani e poi andò via per assicurarsi che non vi fossero state altre vittime durante quella notte di luna piena.
La cucitura della ferita fu abbastanza lunga ma non complicata, i denti del lupo non avevano azzannato in profondità ma abbastanza all’interno da richiedere una certa attenzione. Whale fu attento e a dire il vero non vedeva l’ora di terminare ogni cosa per poter chiedere a Jefferson che cosa esattamente fosse accaduto, visto che Graham non aveva voluto perdere tempo in chiacchiere. Quando le acque si calmarono e Jefferson fu lasciato ampiamente a riposo per riprendersi dalla nottata, Whale tornò a fargli visita, ormai era trascorsa buona parte della mattina.
“Sei libero di andare, ti abbiamo trattenuto abbastanza” gli comunicò prima di controllare i punti di sutura, tanto per essere certo che non sarebbero insorti problemi.
Jefferson sollevò gli occhi verso di lui ed inclinò appena la testa.
“Ho lasciato la macchina al porto ma non posso guidare in queste condizioni” disse come se fosse stata una richiesta.
“Di solito non torni a piedi?” gli rinfacciò Whale per poi stringersi nelle spalle “Per tua fortuna è arrivato qui il tuo amico, il ladro, pare che qualcuno lo abbia chiamato per assicurarsi che tu stia bene”.
Jefferson si inumidì le labbra lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso: di certo era stata Ruby ad avvertirlo, non si sarebbe presentata per accertarsi della sua salute, dopo quello che le aveva detto. Furba, era sempre stata furba e lo dimostrava ogni volta.
“Dimmi una cosa Jefferson” sussurrò il dottore incrociando le braccia al petto “chi è stato a procurarti una ferita del genere?”.
La risposta fu un sospiro esasperato e un giro d’occhi verso l’alto mentre il paziente dimesso scivolava giù dal letto per poter andare via da quel luogo che detestava.
“Non riesci ad immaginarlo, non è così Victor?” lo chiamò con il suo vero nome, quello con cui lo aveva conosciuto per ingannare Regina ed aiutare Tremotino nei suoi scopi.
Il Dottor Whale si adombrò in viso, per un istante desiderò di tornare alla vita prima del sortilegio, in quel modo non avrebbe ricordato per nulla al mondo il suo passato, un passato che desiderava dimenticare.
“Ho sempre trovato fastidiosi i tuoi modi di fare, Jefferson. Ne deduco che non mi svelerai nulla a riguardo, ma va bene, in fondo non mi devi nulla” alzò le mani in alto in segno di resa.
Jefferson inarcò un sopracciglio mentre si teneva il braccio ferito con una mano, come per alleviare le fitte di dolore e lo osservava con sguardo piuttosto accigliato.
“Ti prego, risparmiami le tue moine”.
Svelargli la vera natura di Ruby sarebbe stato un altro irrimediabile errore, le persone a Storybrooke avrebbero potuto additarla come un vero e proprio mostro da cacciare, visto che non riusciva a controllare il suo istinto sanguinario. Inoltre non aveva alcun diritto di accusarla di qualcosa che sarebbe dovuto rimanere tra loro senza che altri ne venissero a conoscenza.
“Prima che te ne vada, voglio chiarire una cosa” aggiunse Whale accompagnandolo all’uscita della stanza “c’è qualcosa tra te e Ruby?”.
Che uomo insopportabile.
“Che diamine vuoi che ci sia!” esclamò sbigottito Jefferson, ormai iniziava a sentirsi esasperato e detestava rispondere a miriadi di domande, una dopo l’altra, come se fosse stato un interrogatorio.
“Volevo assicurarmi del contrario, ha sempre avuto un debole per te, questo era evidente. Durante i nostri appuntamenti non faceva che rimuginare su tutte le tue abili mosse e dopo che il sortilegio si è spezzato abbiamo smesso di frequentarci. Insomma, ho immaginato che in passato siate stati uniti in qualche modo” spiegò brevemente il problema che si era posto.
Jefferson non riuscì a trattenere una risata divertita e gli appoggiò una mano sulla spalla per battervi un piccolo colpo.
“Se fossi in te, le starei a debita distanza” non era una vera e propria minaccia da parte di lui stesso, ma sarebbe potuto incorrere nella verità e scoprire ciò che Ruby era in grado di fare. Avrebbe potuto sopportarla una conoscenza simile? Non poteva saperlo.
Così facendo superò la soglia della stanza per poter finalmente evadere da quel posto ma prima di andare via si voltò per salutarlo.
“Ah, ti devo un favore” disse Jefferson indicando la ferita perfettamente curata.
Afferrò il soprabito che aveva lasciato all’ingresso ed uscì dall’ospedale, alla ricerca di Locksley che doveva trovarsi da quelle parti. Infatti lo vide dall’altra parte della strada, appoggiato alla sua macchina che aveva lasciato nei pressi del porto quando era uscito a cercare Paige. Come aveva fatto a condurla fin lì? Non fu difficile immaginarlo, visto che era un cleptomane, conosceva tutti i trucchi per farla franca.
Quando il sortilegio era stato spezzato lui e Jefferson erano riusciti a fuggire dalla cella della centrale, Locksley avrebbe potuto farlo fin dall’inizio ma non voleva causa altri problemi con Regina e aveva deciso di attendere il momento più propizio. Tutta l’avversità che aveva provato per Jefferson era fuggita quando si era riappropriato della propria identità e non poteva dimenticare di come l’amico avesse aiutato ampiamente nella Foresta Incantata. In fondo tutti hanno momenti di debolezza e lui glielo perdonò facilmente.
“Mi hanno svegliato all’alba per avvertirmi dell’incidente” si strinse nelle spalle Locksley prima di aprire la portiera della macchina, visto che Jefferson non l’aveva nemmeno salutato e aveva raggiunto l’altra parte per poter entrare.
“Lo so, immagino che sia stata Ruby a chiamarti, non è così?” gli domandò sistemandosi sul sedile, facendo attenzione a non muovere troppo il braccio.
Locksley si sedette anch’egli al posto del guidatore, sistemò lo specchietto e partì per poterlo riportare nella propria casa, di certo aveva bisogno di riflettere e riposare.
“No, mi ha cercato David Nolan e mi ha chiesto di accertarmi della tua salute” rispose schiarendosi la voce.
Jefferson gli rivolse uno sguardo lievemente stordito, dunque aveva fatto un errore di considerazione.
“Se era tanto interessato poteva farsi vivo lui” rimbrottò prima di sprofondare sul sedile quasi con fare infantile.
Locksley sorrise all’angolo della bocca, aveva intuito che cosa stesse accadendo nella testa dell’amico, avrebbe preferito sapere che fosse stata Ruby a cercarlo. Forse era stata lei a chiedere quel favore a David, per rimanere nell’ombra. Rimasero in silenzio per tutto il viaggio di ritorno, Jefferson sembrava essersi addormentato e Locksley preferì non svegliarlo fino al loro arrivo alla grande dimora al limite della città. Avrebbe avuto occasione di parlare con lui non appena si fosse ripreso, per il momento sarebbe stato meglio lasciarlo stare.



 
**
 


 
La tazza di cioccolata calda era stata preparata, il profumo all’interno del monolocale di Mary Margaret sapeva di cannella, si sentiva sempre a suo agio quando vi si ritrovava.
“Deve esserci una soluzione, David” sussurrò Ruby.
Aveva il viso pallido e le occhiaie erano evidenti, non aveva dormito e si sentiva ancora scombussolata. Dopo l’incidente di quella notte non era voluta tornare al Granny’s, non aveva cuore di guardare nessuno in viso e preferiva rimanere isolata, almeno per un po’. Per poco non aveva fatto del male a Paige che non aveva riconosciuto, era diventata una preda come un’altra, carne da macello che avrebbe strappato a morsi se non fosse intervenuto Jefferson. Sentiva ancora una fitta all’altezza dello stomaco dove era stata colpita dal suo calcio per poterla allontanare. Le labbra bruciavano per il sangue di cui si era macchiata e gli occhi erano vuoti, spenti, sporchi di un’immagine che continuava a rendersi viva alla sua memoria. Erano trascorse solo delle ore eppure non riusciva a pensare ad altro se non al volto di Jefferson contratto per il dolore, la piccola figura di Paige bagnata da capo a piedi, mentre lei era stesa a terra con il sapore aspro in bocca. Un sapore che difficilmente sarebbe riuscita a togliersi. In più quelle parole risuonarono veloci nella sua testa, parole che già una volta le erano state rivolte.
Mostro.
Forse Jefferson non aveva tutti i torti, lei era un’assassina e non poteva vagare liberamente per la città, soprattutto durante le notti di luna piena.
“Dipende solo da te” disse David mentre si sedeva su uno sgabello, appoggiando un braccio sul tavolo “non puoi rimanere segregata per sempre”.
“Ho quasi ucciso una bambina! Non puoi lasciarmi girare per Storybrooke fingendo che non sia una minaccia” lo rimproverò con veemenza alzando di scatto lo sguardo su di lui.
Gli occhi erano forti e frementi di paura, non voleva che accadesse nulla di male, soprattutto per mano sua. Era evidente che non si sarebbe controllata.
David sospirò e scosse appena la testa.
“Qui ci vuole della cannella, Mary Margaret la usa sempre quando ci sono delle questioni delicate da affrontare” aggiunse lui mentre ne andava alla ricerca “in ogni caso Ruby, tutto si è concluso al meglio e nessuno si è fatto male. Almeno non troppo”.
Ruby strinse la tazza calda tra le mani, osservando la panna che era stata aggiunta e che iniziava a sciogliersi verso il fondo. Come poteva dire una cosa simile? Se non fosse giunta l’alba a scacciare via la notte probabilmente non si sarebbe fermata e senza l’arrivo suo e di Graham forse avrebbe anche potuto uccidere le proprie vittime.
“Se Jefferson non fosse intervenuto a quest’ora Paige sarebbe morta” sibilò con rabbia, una rabbia che la faceva quasi impazzire.
“Quindi che cosa credi di fare?” le domandò lui ritornando con la cannella che fece scivolare sulla panna.
“Chiudimi in cella e non farmi uscire durante i giorni del lupo, magari qualcuno verrà a cercarmi per togliere di mezzo un problema serio come questo” sussurrò per poi nascondere il viso dietro la tazza di cioccolata che iniziò a sorseggiare lentamente, facendo attenzione a non scottarsi.
David batté con forza una mano sul bancone, l’espressione del viso diventava sempre più dura e si incupiva ad ogni parola che le sentiva pronunciare.
“Mary Margaret ha avuto fiducia in te e l’avrò anche io, non permetterò a nessuno di farti del male. Se può farti sentire più sicura, continuerò le ricerche sul tuo mantello” provò a rassicurarla in quel modo.
David aveva compiuto molti errori e voleva rimediare, soprattutto ora che sua moglie e sua figlia erano disperse nella Foresta Incantata, non poteva permettersi di stravolgere la vita di Storybrooke lasciandola cadere nel caos.
“Sei turbata per ciò che ti ha detto Jefferson, non è così?” le domandò ancora.
Ruby sollevò lievemente lo sguardo su di lui, colta in fallo. Appoggiò la tazza bollente sul tavolo e tirò i capelli dietro le orecchie, lasciando scoprire il viso contratto in una smorfia di dolore sprezzante.
La conversazione che aveva avuto con Belle l’aveva fortificata, per un momento aveva persino creduto di poter ricominciare dall’inizio e cercare di scoprire chi fosse lui davvero. Ma ormai le parole dell’amica erano state rese vane, poiché Jefferson non avrebbe più voluto avere a che fare con lei. Come biasimarlo? Per poco non aveva mandato all’altro mondo la sua amatissima figlia e al tempo stesso gli aveva conficcato le zanne in un braccio.
“Ha ragione e questo mi fa male” rispose lei in un sussurro.
David sospirò pesantemente, avrebbe desiderato trovarsi davanti a lui per potergli fare un lavaggio del cervello, sapeva che Ruby non meritava un trattamento simile.
“Continui a credere di essere un’assassina ma in realtà non lo sei, il tuo cuore è puro come quello di Mary Margaret, lo riconosco sempre quando ne vedo uno” sorrise affabilmente prima di prenderle le mani per stringerle nelle proprie “devi avere fiducia in te e credere nei tuoi propositi”.
Gli occhi di Ruby divennero liquidi e finirono per posarsi sulla tazza di cioccolata che non aveva ancora finito, annuì con poca convinzione alle sue parole e poi sciolse l’intreccio delle loro mani. David e Mary Margaret avevano sempre creduto in lei, nonostante avesse le mani sporche di sangue. Perché allora non riusciva a perdonare ciò che aveva fatto? Forse perché Jefferson stesso l’aveva additata come un’assassina e non vi era persona al mondo che potesse avere su di lei un’influenza simile.
In quel momento dalla porta di ingresso comparve Henry che era appena tornato da scuola e teneva sulle spalle lo zaino in cui teneva ancora il libro delle storie. Quando si avvide della presenza di Ruby si apprestò a correrle incontro per poterla salutare, spesso Emma l’aveva lasciato da lei  quando era impegnata nell’operazione Cobra.
“Ruby, che bello vederti qui!” esclamò lieto, pur rendendosi conto che qualcosa non andava “ma è successo qualcosa?” domandò rivolgendosi anche a David per ricevere una risposta.
“Nulla di particolare, bentornato” gli sorrise suo nonno, sfilandogli lo zaino dalle spalle.
Henry era un bambino intelligente e non si sarebbe lasciato ingannare in quel modo, ma preferì non indagare ulteriormente, l’avrebbe scoperto in qualche modo.
“Perfetto, perché ho proprio una cosa per te” rispose Henry andando alla ricerca di un foglio che era stato conservato nella tasca dei pantaloni.
“Per me?” gli domandò Ruby, asciugando gli occhi umidi e lasciando di nuovo la tazza sul tavolo.
“Sì, ho incontrato Paige all’uscita di scuola, stamattina non c’era ma è venuta a cercarmi per darmi questo. Voleva che lo portassi a te” così facendo le consegnò il foglio ripiegato.
“Di che si tratta?” domandò David piuttosto incuriosito, sporgendosi verso di lei per poter vedere meglio.
Ruby ebbe un tremolio alle mani quando iniziò ad aprire quello che sembrava essere un disegno. Deglutì a vuoto nel momento in cui le figure rappresentate si fecero decisamente più chiare.
Vi era Jefferson intento a preparare del tè, mentre lei e Paige erano sedute davanti ad un tavolino di legno, una scena che aveva vissuto più volte alla Foresta Incantata. Poco più sotto sorgeva una scritta in azzurro: ‘La famiglia che desidero’.
 
 


 
**




Bussarono alla porta due volte di seguito, poi fu tutto silenzio. Locksley si apprestò ad aprire ma fu costretto ad abbassare lo sguardo per incontrare l’esile figura di Paige, che teneva un coniglio bianco stretto tra le braccia. Le sorrise prima di scuoterle i capelli sulla testa, rovinandole parte dell’acconciatura.
“Eri in pensiero per il tuo papà?” le domandò scostandosi di lato per lasciarla entrare.
Paige si soffermò ad osservare quegli occhi azzurri e penetranti, si ricordava perfettamente di lui, spesso era venuto a trovare Jefferson nella Foresta Incantata. Aveva anche il vago ricordo del viso di sua moglie, ma era troppo piccola per potersene ricordare davvero.
“Sì, sono venuta qui per vedere come sta. Mia mamma verrà a prendermi tra un paio d’ore” disse stringendo il coniglietto tra le mani, come se quelle parole fossero state pronunciate con costrizione.
Il sapore era amaro, Locksley poteva sentirlo bene, visto che aveva chiamato mamma una donna che non lo era per davvero. Ma in fondo, come biasimarla, aveva vissuto per così tanto tempo con quelli che erano stati i suoi vicini di casa da aver formato una piccola famiglia.
“D’accordo piccola, vai pure, Jefferson è sul divano ed è sveglio” ora chiamarlo padre sarebbe suonato quasi come uno scherzo.
Paige lo ringraziò ma non aveva mai messo piede in quel posto, dunque Locksley si schiarì la voce per togliersi dall’imbarazzo e le fece segno di seguirlo. Attraversarono il corridoio per poi arrivare nel luogo prestabilito, Jefferson sedeva sul divano tenendo le gambe appoggiate sul tavolino di cristallo. Il braccio ferito era appoggiata all’altezza dello stomaco e gli occhi erano socchiusi, mentre la mano libera sfiorava il labbro inferiore come accadeva sempre quando era intento a riflettere.
“Ci sono visite per te” comunicò Locksley, si sentiva quasi un maggiordomo, cosa che non gli piacque affatto.
Jefferson chinò appena il viso di lato per poter capire di chi si trattasse e quando si accorse della presenza di Paige di alzò in piedi di scatto, troppo velocemente, perché si sentì scivolare indietro verso il divano per la pressione che si era abbassata improvvisamente.
“Sono contento che tu sia qui” le disse in un mezzo sorriso, non sapeva ancora che cosa aspettarsi.
Locksley comprese di non essere gradito quindi si ritirò in cucina dove sarebbe rimasto fin quando la bambina non fosse andata via. Si era deciso a rimanere lì almeno un giorno per controllare che Jefferson non compiesse altre follie, inoltre voleva anche conoscere i dettagli di ciò che era accaduto quella notte, visto che da quando erano tornati a casa non gli era stata quasi rivolta la parola.
“Stai bene papà?” domandò Paige sedendosi accanto a lui e lasciando il coniglietto bianco accanto a lei.
“Mai stato meglio, la ferita è stata ricucita, non era molto profonda” rispose con una certa soddisfazione, non vi era nulla al momento che desiderasse di più dell’attenzione di sua figlia.
La bambina si morse lievemente il labbro inferiore per poi sistemarsi meglio, lisciando la gonna a pieghe per poter coprire le ginocchia.
“Mi dispiace per quello che è successo” sussurrò lei con voce strozzata, avrebbe lasciato scivolare le lacrime se solo non si fosse trattenuta “è colpa mia se ti sei fatto male”.
Jefferson inarcò un sopracciglio e si alzò in piedi più lentamente per poi inginocchiarsi davanti a lei ed afferrarle le mani e stringerle nelle proprie.
“Cosa ti viene in mente? Certo che non è stata colpa tua!” esclamò con un certo stupore “Ruby non è riuscita a controllarsi e…”.
Paige lo fece ammutolire, appoggiandogli l’indice della mano sulle labbra, come anche altre volte era accaduto quando vivevano insieme, era sempre stata lei a farlo ragionare e mai il contrario.
“L’hai cacciata via per questo, vero? Hai scoperto la sua natura da lupo e poi l’hai mandata via di casa” gli occhi non riuscivano più a trattenere le lacrime al tempo stesso la voce si sforzava di non sembrare un piagnucolio infantile e capriccioso “per proteggermi ovviamente”.
Jefferson aggrottò le sopracciglia, rimanendo nella medesima posizione e si limitò ad abbassare solamente la testa per evitare di guardarla negli occhi.
“Non è solo questo il motivo per cui l’ho fatto” rispose in un sussurro.
Paige si coprì il viso per evitare di mostrare a suo padre l’improvvisa debolezza in cui si sentì avvolta, per poi pronunciare miriadi di frasi tutte attaccate l’una all’altra che svelavano una valvola di sfogo che aveva il bisogno di tirare fuori.
“Se non fossi uscita di casa nel cuore della notte Ruby non mi avrebbe trovata e nessuno si sarebbe fatto del male. Perché le hai detto quelle cose, papà? Non è riuscita a controllarsi ma non voleva ferirci, lei non lo farebbe mai, io la conosco!”.
Jefferson si alzò nuovamente in piedi per poi darle le spalle ed iniziare a camminare avanti e indietro davanti al divano su cui sua figlia era ancora seduta, con il volto coperto ed umido di nuove lacrime.
“Tu non la conosci davvero, Paige!” quell’esclamazione fu pronunciata con furia, rabbia e al tempo stesso paura di sfiorare un punto di non ritorno “quando Ruby si trasforma in lupo non ha idea di quel che le accade intorno e il risultato sono feriti, sangue e sofferenza. Non posso permettere che tu stia accanto ad una persona del genere, perciò cerca di dimenticarti di lei!”.
Sembravano parole più rivolte a se stesso che a non a Paige, allontanarsi da Ruby voleva dire mettere in salvo sua figlia da qualunque pericolo, era ciò che aveva sempre fatto e non avrebbe smesso in quel momento per un pallido sentimento che provava per una ragazza del tutto fuori dall’ordinario.
“Ma io le voglio bene” quel sussurro fu una freccia mirata al cuore di Jefferson che si sconficcò con forza “tu lo sai che Ruby non è cattiva. E anche lei ci vuole bene, perché non riesci a capirlo?” questa volta si alzò in piedi anche lei, lasciando il coniglietto da parte, come se all’improvviso fosse cresciuta e non avesse avuto bisogno di altri che di se stessa e della forza che iniziava a tirare fuori.
Jefferson batté con forza una mano sul pianoforte che vi era dietro di lui e chinò lievemente la testa.
“Ruby non può fare parte della nostra vita, è troppo pericoloso Paige” la voce si fece meno forte, meno accentuata.
Paige alzò le braccia come se non sapesse più che cosa dire per convincerlo ad agire in maniera contraria.
“Ti preoccupi sempre degli altri papà, ma non tieni mai conto dei desideri che hanno, così finisci per fare loro del male” rispose prima di sedersi di nuovo sul divano, questa volta afferrando il coniglietto e stringendolo nuovamente tra le braccia.
Locksley era affacciato sulla soglia della stanza, aveva udito tutta la conversazione o quasi, visto che avevano alzato la voce. Sospirò e fece roteare gli occhi al cielo, Paige aveva detto la verità: Jefferson agiva in favore degli altri ma senza ricordarsi dell’esistenza dei loro sentimenti. 








NdA: 

E siamo a due capitoli dalla fine! 
Come sempre ringrazio tutti coloro che seguono, il prossimo aggiornamento tra tre giorni. Grazie! 

 
   
 
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