Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: Yoan Seiyryu    26/04/2014    0 recensioni
[ Mad Wolf (Ruby Jefferson) + accenni Outlaw Queen ]
Nella Foresta Incantata Regina desidera distruggere Snow White annullando quelle amicizie che rendono la figliastra forte ed audace. Decide di servirsi di Jefferson per compiere un gesto estremo nei confronti di una giovane ragazza dal Cappuccio Rosso che vive al villaggio di Nottingham. Jefferson, per offrire un futuro migliore a sua figlia Grace, accetta il patto con Regina ed è intenzionato ad eseguire gli ordini.
A Storybrooke Jefferson ricorda perfettamente il suo passato e tenta con ogni mezzo di far riemergere la memoria perduta di Ruby con cui è stato legato prima del sortilegio, ma affronteranno entrambi diverse problematiche prima di conoscersi davvero secondo la propria natura.
**
"E' ironico che sia tu a parlare di mentire, del passato, di conoscersi per ciò che si è [...] quando sei tu il vero mostro fra noi due"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Jefferson/Cappellaio Matto, Paige/Grace, Ruby/Cappuccetto Rosso, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

XVI

Come back






 


Storybrooke, il sortilegio è stato spezzato

Paige se ne era andata già da un paio d’ore, la madre adottiva era venuta a prenderla per riportarla a casa. Jefferson non riusciva ancora a credere che non avesse scelto lui. In fondo, come biasimarla? Continuava a deluderla e invece di migliorare la situazione non faceva altro che peggiorarla. Si era fatto forza ed era andato da lei per poterla riportare indietro, dopo ventotto anni che la guardava attraverso un telescopio. Il risultato non aveva portato che ad un ulteriore allontanamento e non era certo ciò che desiderava. Locksley fece irruzione, inciampando nei suoi pensieri, con un vassoio d’argento su cui aveva posto due tazze fumanti di tè rosso, che tra l’altro nemmeno amava ma doveva accontentarsi di ciò che vi era in casa. Si sedette sulla poltrona bianca davanti al divano su cui era sdraiato Jefferson con le braccia incrociate, non si era mosso da quella posizione da quando Paige se ne era andata. Sembrava essere in uno stato catatonico.
“Come mai ancora non mi hai insultato?” si risvegliò Jefferson, che ovviamente era presente a se stesso e si limitò a voltare gli occhi verso l’amico.
Locksley fece un sospiro profondo ed appoggiò la tazza di tè sul tavolino di cristallo.
“Paige ha già detto quello che avrei detto io, rimarcare di nuovo il concetto sarebbe deleterio” rispose quasi in tono di sufficienza.
Jefferson poteva notare il modo in cui cercasse di trattenere i commenti per sé, aveva il viso contratto come ogni volta che teneva dentro una ramanzina da indirizzare a chi era in errore.
“Quindi sei d’accordo con lei” provò ad insistere, forse aveva solo bisogno di qualcuno che lo spronasse a ragionare, era piuttosto evidente.
Locksley assaporò il tè lasciandolo scivolare sul palato e subito dopo tirò le labbra in una smorfia di disgusto, immediatamente abbandonò la tazza sul tavolino senza alcun ripensamento.
“Mi pare piuttosto ovvio. Ricordati cosa è successo l’ultima volta che hai cercato di proteggere tua figlia: hai mandato allo sbaraglio una ragazza innocente e sei rimasto incastrato nel Paese delle Meraviglie. Paige è decisamente più intelligente di te, si accontenta dell’ordinario e non va alla ricerca del sensazionale”.
Jefferson sbuffò cercando di mettersi composto, detestava ascoltare parole così mirate nei propri confronti e soprattutto non gli piaceva passare dalla parte del torto.
“Ho solo cercato di darle il meglio, un padre fa questo Locksley, farebbe di tutto per i propri figli” cercò di spiegargli il suo punto di vista.
Locksley si umettò le labbra, gli occhi azzurri divennero improvvisamente spenti e cupi. Le mani si intrecciarono tra loro e le dita tamburellarono sui dorsi.
“Non ho avuto occasione di essere padre, mio figlio è morto [1] prima ancora che lo vedessi crescere. Se potessi cambiare le cose, se potessi riportare in vita la mia famiglia, sia in ricchezza che in povertà non me ne importerebbe. Mi basterebbe avere accanto la donna che ho amato e il figlio che non ho saputo proteggere”.
Tutta la tristezza ed il rancore che aveva covato dentro iniziava ad uscire lentamente, come una tiepida fiamma. La forza d’animo che si era costruito era forte ma non poteva dimenticare ciò che era accaduto in passato. Eppure era riuscito ad andare avanti, senza dimenticare il passato, ma facendo tesoro di ciò che era capitato. Jefferson invece aveva deciso di crogiolarsi nel senso di colpa, nel non essersi dimostrato un buon padre e nell’aver compiuto errori a cui forse avrebbe potuto rimediare. C’era molta differenza tra loro, ed era evidente che Locksley volesse far ragionare l’amico che poteva ancora fare qualcosa per riappropriarsi di una felicità che aveva lasciato alle proprie spalle.
Jefferson infatti non se la sentì di ribattere, ricordava perfettamente il  giorno in cui Locksley aveva cercato rifugio in casa sua dopo l’attacco di Guy di Guisborne e dello Sceriffo di Nottingham alla Foresta di Sherwood.
“Credo che tu non ti renda conto di aver tolto il meglio a tua figlia: un padre che la ama alla follia – direi proprio nel vero senso della parola – e una donna in grado di prendere il posto di sua madre: una famiglia”.
A quelle parole Jefferson non riuscì a resistere e si alzò in piedi di scatto, con una furia incontrollabile che gli dilaniava lo sguardo. Lasciò scivolare il tè a terra quando avvertì un fastidioso formicolio all’altezza del braccio, lì dove era stato azzannato dal lupo.
“Ruby non può far parte della mia famiglia, diamine Locksley, ma non hai ancora capito di cosa è capace?” gli mostrò la ferita come prova di quello che andava dicendo.
L’amico fece roteare gli occhi al cielo e appoggiò entrambe le mani sui braccioli della poltrona, prima di far ricadere la testa da una parte.
“Sai anche tu che non è cosciente durante la trasformazione, invece di allontanarla dovresti aiutarla. Insomma, tu la ami o no?” quella domanda perforò le orecchie di Jefferson come un tuono improvviso, tanto che quasi senza forze si abbandonò sullo sgabello davanti al pianoforte, per poi coprirsi il viso.
“Che razza di domanda è” sussurrò con voce tiepida “certo che la amo. Per ventotto anni ho pensato di poter rimediare all’errore che avevo commesso, di poter ricominciare dall’inizio, ma non volevo. Non volevo che un giorno potesse accadere ciò che stanotte è capitato e trovarmi di nuovo nella condizione di respingerla” confessò con amarezza per poi riprendere fiato e tentare di calmarsi.
Locksley sorrise all’angolo della bocca, finalmente era riuscito ad ammettere a se stesso quello che per tutto il tempo aveva trattenuto per sé.
“Ora ti svelerò un mistero, quindi vedi di fare attenzione. Non si può amare a metà una persona, sarebbe troppo facile apprezzare soltanto i suoi pregi. Devi accettare anche quelli che ti sembrano difetti. Tu ami la parte migliore di Ruby ma respingi quella più ostile per timore che possa nuocere a Paige. Prova ad aiutarla, a starle accanto e vedrai che ogni difettò – se può considerarsi tale – svanirà. Persino tua figlia non ha paura di ciò che Ruby può fare, perché la conosce bene” rispose Locksley mentre si alzava in piedi per recuperare la tazza che era caduta a terra, ora il tappeto profumava di tè rosso.
Si sarebbe dovuto far pagare, sia per il servizio che stava svolgendo a casa, sia per essere diventato il nuovo consulente.
“Le ho detto cose terribili, lei on vorrà neppure guardarmi” schioccò la lingua Jefferson alzandosi in piedi per iniziare a camminare avanti e indietro.
“Allora dimostrale che sei pronto ad accettare ogni lato di lei, fai qualcosa che la riavvicini a te” gli consigliò molto semplicemente, come se fosse la cosa più semplice al mondo. Finì di sistemare le tazze sul vassoio che sollevò per poterlo portare indietro.
Jefferson si inumidì le labbra, completamente avvolto nei suoi pensieri, ad ogni passo si faceva nuova una consapevolezza finché non arrestò di scatto il passo per voltarsi verso di lui.
“Ruby ha bisogno del suo mantello, so per certo che non lo ha. Potrei mettermi alla ricerca di esso e…”
“Certo che i tuoi piani fanno davvero schifo, Jefferson” lo interruppe Locksley, così come era capitato in passato “vuoi addolcirla in questo modo? In fondo sono problemi tuoi, ma non so se funzionerà” ammise.
Jefferson sorrise soddisfatto e Locksley già sapeva che ci sarebbe finito di mezzo, visto che tra i due era lui il ladro e non esisteva cosa al mondo che gli riuscisse meglio di trovare oggetti nascosti.




 
**


 
Graham uscì dalla centrale poco prima di mezzanotte, aveva avuto molto lavoro da fare e in quei giorni non riusciva a darsi pace. Lui e David stavano cercando in ogni modo di riportare indietro Emma e Mary Margaret, ma sembravano ancora lontani dalla soluzione. In contemporanea Regina era ancora in cella, per evitare che qualcuno potesse tentare di farle del male anche se ormai le acque si stavano poco a poco calmando. Locksley era appostato già da qualche tempo dietro ad un albero, per tenere sottocontrollo lo sceriffo che stava salendo in macchina per tornare a casa. Non appena lo vide allontanarsi fece trascorrere un po’ di tempo e poi si apprestò ad avvicinarsi all’ingresso per poter scassinare la porta ed avere il via libera. Strisciò in silenzio nel corridoio buio che conosceva piuttosto bene, visto che Gary lo aveva trascinato lì con la forza dopo che Regina aveva ripreso possesso del cappello. In realtà non desiderava incontrarsi ancora una volta con lei, ma aveva promesso a Jefferson che lo avrebbe aiutato a risolvere la situazione con Ruby. Lui aveva perso la propria famiglia, non combatteva più una moglie ed una figlia che non esistevano. Si era sempre prefissato di fare del bene per gli altri, di rubare ai ricchi per donare ai poveri e aiutare tutti coloro che avevano bisogno di aiuto.
Quando superò la soglia e si ritrovò nella stanza dove aveva trascorso diverso tempo dietro le sbarre, accese l’interruttore della luce. In cella vi era Regina, distesa sul letto, intenta a prendere sonno. Fu quasi accecata da quel bagliore e realizzò l’improvvisata di Locksley che di certo non si aspettava. Nessuno dei due proferì alcuna parola, lui si limitò ad avvicinarsi, trascinando una sedia della scrivania di Graham per portarla davanti alle sbarre e sedersi lì davanti.
“Sei venuto qui per vendicarti?” gli domandò Regina che intanto si era messa a sedere sul letto, osservandolo dall’angolo della cella.
Locksley finse di mordersi le labbra, fingendo una certa agitazione.
“Esattamente vendicarmi per cosa, Regina? Fammi pensare, forse ti stai riferendo a quella volta in cui per poco non mi hai ucciso nel cuore della notte. Eravamo a Sherwood, io stavo aiutando Snow White ad uscire sana e salva dalla Foresta e sapevo esattamente dove si sarebbe diretta alla fine del suo viaggio. Tu ti sei finta una contadinella sfuggita ad un’imboscata e ti ho dato protezione tra i Compari perché potessi darti la possibilità di vivere una vita nuova. Quando ho scoperto la tua vera identità, dopo che non sei riuscita ad ottenere i tuoi scopi, hai provato a farmi fuori. Ho scelto la Principessa e non la Regina Cattiva, volevi togliere di mezzo un valido aiuto alla tua nemica” sogghignò lievemente rimanendo seduto al suo posto “oppure ti riferisci al fatto che mi hai chiuso in gabbia usando Jefferson?” il sorriso tirato si trasformò in un’espressione più cupa e profonda.
Regina increspò le labbra e sospinse gli occhi scuri in quelli di lui, per poterlo guardare senza sentirsi in difficoltà. Aveva trascorso giorni piacevoli in sua compagnia, fingendo di essere ciò che non era. Non amava la vita che gli Allegri Compari conducevano nella Foresta di Sherwood ma aveva imparato i valori che si prefiggevano, nonostante fossero dei fuorilegge. Robin Hood era quasi riuscito a farla rinsavire, portandola sulla retta via, ma all’ultimo si era ricordata della sua reale missione.
“Eri sulla mia strada, dovevo toglierti di mezzo” rispose lei con sicurezza.
Locksley scosse lievemente la testa e si abbandonò sulla sedia, alla ricerca di quello che in realtà voleva sentirsi dire.
“Perché hai continuato a tormentarmi anche qui a Storybrooke?”
Regina si inumidì le labbra e sollevò lievemente le spalle, si ritrovò costretta a mostrarsi sincera, non avendo altre valide scuse.
“Rappresentavi una debolezza, desideravo fartela pagare per non aver scelto me” le sue parole arrivarono alle orecchie di Locksley come una freccia.  
Lui si limitò a corrugare la fronte e a sciogliere le braccia dal petto per piegare la schiena in avanti.
“Potevi avere molto di più della vendetta, Regina. Hai preferito te stessa a ciò che ti ho offerto, io ho solo rispettato i miei ideali” così facendo si alzò in piedi, non voleva più discutere con lei, era lì per un motivo diverso e certo non era il momento adatto per ricordare episodi passati.
“In ogni caso ho bisogno del tuo aiuto: sai dove posso trovare il mantello rosso di Ruby? Avevi il cappello di Jefferson, immagino che tu abbia portato con te altri oggetti di valore” si strinse nelle spalle, come se fosse piuttosto ovvio.
Regina si avvicinò alle sbarre afferrandole lentamente con le mani, aveva promesso ad Henry che sarebbe cambiata, che si sarebbe comportata nel modo migliore, compiendo azioni giuste. Il mantello di Ruby non le serviva e non vi era motivo di tenere la ragazza sotto scacco, forse se fosse venuto Jefferson con quella richiesta gliel’avrebbe negata, ma poiché si trattava di Locksley non poté fare a meno di accontentarlo. In ricordo di ciò che fu per lei a Sherwood, una luce in grado di rischiarare tutta la sua oscurità.
“Si trova nella cripta, non sarà difficile per te riuscire ad entrarvi” sussurrò a mezza voce.
Locksley prese un sospiro di sollievo, dunque aveva sempre avuto ragione. Regina aveva del buono in sé, la donna che aveva conosciuto nella Foresta non era irreale, ciò che le aveva insegnato forse non era andato del tutto perduto.
“Grazie per la collaborazione” così facendo si alzò per poter sistemare la sedia al suo posto ed allontanarsi dalla cella, dandole le spalle.
“Robert” lo chiamò per nome, il coraggio non fu facile da trovare in un momento simile.
Locksley si voltò senza dire nulla, ma le concesse la possibilità di dire altro.
“Niente, volevo solo sapere cosa si provava a pronunciare il tuo nome” non era questo ciò che intendeva dire, ma preferì non permettere a se stessa di spingersi troppo oltre.
“Buonanotte, Regina” sorrise a mezza bocca e poi spense la luce per andare via.




 
**




Erano trascorse già un paio di settimane e la ferita al braccio di Jefferson era migliorata a dismisura, Paige era andata a trovarlo più volte ma non avevano più toccato l’argomento Ruby. Quella sera si ritrovò a camminare verso il porto di Storybrooke, continuava ad esserci freddo e il solo cappotto non bastava a riscaldarlo. Teneva le mani in tasca mentre si avviava verso il ponte dove l’ultima volta aveva incontrato gli occhi di Ruby, umidi di lacrime per ciò che era accaduto. Certo, non si era comportato nel migliore dei modi, mettendola con le spalle al muro e dichiarando la sua mostruosità. Locksley aveva ragione e anche sua figlia, pensare di fare del bene agli altri non equivaleva sempre a compiere la scelta migliore. Nonostante il suo orgoglio fremesse per non sottostare a scuse o a rimpianti, per una volta si sentì in vena di farlo, perché Ruby non meritava parole così ostili. Arrestò il passo nel momento in cui arrivò al limitare del ponte, lì dove l’acqua nera e profonda scivolava sotto i suoi piedi. Prese un gran sospiro e si voltò indietro, quando si rese conto di non essere solo. A distanza da lui vi era Ruby che lo osservava con fare sospetto, ma non osava avvicinarsi. Sorrise lievemente e poi Jefferson tornò a guardare davanti a sé, prima di compiere un salto verso il vuoto che lo avrebbe trascinato nell’abisso. In quel momento si sentì afferrare per il collo del cappotto, erano state le mani calde della ragazza a salvarlo poco prima della fine.
“Che ti è saltato per la testa?” fu la prima cosa che gli disse mentre lo aiutava a tornare su.
Era evidente l’imbarazzo che la ragazza stava provando, era difficile conversare amabilmente con qualcuno che l’aveva definita mostro.
“Nulla di particolare, volevo solo chiarirmi le idee” rispose Jefferson che veniva issato sul ponte per ritrovare l’equilibrio.
Dopo poco si ritrovarono seduti, l’uno accanto all’altra, senza dire una parola. Jefferson teneva ancora le mani nel cappotto e lei lasciava penzolare le gambe in basso, nel vuoto da cui lo aveva appena tirato fuori.
“In modo definitivo?” domandò Ruby stizzita, appoggiò le mani sul legno ed iniziò a mordersi l’interno della guancia.
“Non crederai davvero che mi sia passata per la testa una cosa simile…” le rivolse uno sguardo che lei non volle cogliere, poiché non desiderava incrociare i suoi occhi che l’avrebbero messa a disagio.
“Sarebbe così strano pensarlo? I tuoi modi di fare sono piuttosto eccentrici, perdonami se ho travisato le cose” rispose Ruby con rabbia sempre più crescente, derivata dal fatto di aver provato un improvviso spavento.
Jefferson si limitò a sorridere e tornò a guardare davanti a sé.
“Era solo un modo per farti avvicinare” aggiunse lui per spiegare l’accaduto.
Tutte le sere si era recato al porto con la speranza di incontrarla, non era abbastanza coraggioso da andarla a cercare nella sua tana, dove avrebbe incontrato i suoi ruggenti amici. Preferì che accadesse tutto per caso, di modo che lei l’avesse raggiunto quasi senza volerlo. Aveva avuto pazienza e alla fine ci era riuscito.
“Credevo che sarei dovuta rimanere a distanza da te e da Paige” la voce di Ruby iniziò a tremare e Jefferson se ne accorse perfettamente.
Era difficile, davvero difficile chiedere scusa e tornare sui propri passi. Avvertiva una strana sensazione farsi strada all’altezza del cuore, ancora una volta quella consapevolezza che non era riuscito ad abbandonare.
“E’ quello che volevo, prima di rendermi conto che tu Ruby, sei indispensabile” strinse i pugni delle mani all’interno delle tasche del cappotto, volgendo lo sguardo serio in quello di lei.
Ruby chinò la testa di lato, si sentiva confusa e poco incline a volerlo ascoltare.
“Se è uno dei tuoi scherzi, una delle tue contraddizioni, ti prego di smetterla” sussurrò con voce strozzata, non riusciva più a venire fuori da quella situazione così complicata.
Si sentiva persa in un labirinto privo di uscite, il disegno che Paige le aveva fatto ricevere l’aveva trascinata ancora di più in un vortice che l’avrebbe risucchiata in basso.
“Questa volta sono deciso a non tornare indietro” tirò fuori una mano dal cappotto e la appoggiò dietro di sé per sostenere il peso della schiena inclinata “ho commesso molti errori e non sono stato in grado di comprendere che cosa fosse meglio per te e per Paige. Ti ho rivolto accuse dure e vorrei provare a scusarmi, anche se so che è tardi per farlo”.
Ruby chinò lo sguardo sulle mani che teneva intrecciate e finalmente spinse lo sguardo su di lui, aveva bisogno di guardarlo negli occhi.
“Hai solo detto la verità, una cosa che molti rifuggono” la rabbia che provava era tangibile e nessuno poteva biasimarla per sentirsi in quel modo.
“Non avrei dovuto mandarti via, Ruby. Non hai idea per quanto tempo io abbia cercato di dimenticarti, persino in questi ventotto anni qui a Storybrooke volevo proteggerti da me e da ciò che avrei potuto fare. Invece di aiutarti ho solo peggiorato la situazione e credimi, io so per certo che non sei un mostro. La tua natura è ambivalente ed io a volte sono completamente fuori di testa. Tu hai tentato di starmi accanto, mentre io ti ho respinta perché non ero pronto ad affrontare la dura verità, che sono innamorato di te” non aveva mai avuto occasione di mettersi a confronto davvero con se stesso e lasciare spazio a sentimenti così profondi che aveva combattuto a lungo. Tenerseli stretti non avrebbe avuto più alcun senso.
“Ah, quindi ora non sarei più un mostro?” Ruby portò ad incrociare le braccia.
Jefferson sgranò appena le labbra e sollevò le spalle, piuttosto incredulo.
“Aspetta un attimo. Ho appena detto che sono innamorato di te e l’unica cosa che hai sentito è stata l’offesa che ho ritirato?”.
Ruby parve non voler ascoltare di nuovo e insistette sullo stesso punto.
“Ecco perché non riesco a capirti, perché non fai che contraddirti!”
A quel punto Jefferson si alzò in piedi, quasi al limite della furia e scalciò via un sassolino. Tirò su col naso e aggiunse con voce più tiepida: “E’ incredibile. Per la seconda volta ho detto che ti amo e tu non l’hai sentito”.
Ruby lentamente lo guardò dal basso ma non poteva scorgere il suo viso che sembrava immerso nell’ombra, così si sollevò per poter incontrare i suoi occhi. Un giorno l’aveva definita un mostro, l’altro ritirava tutto ciò che aveva detto ed ora tirava fuori una storia vecchia quanto il loro passato? Si limitò a sorridere, infilando le mani nella tasca del soprabito rosso, prima di iniziare a ridere dolcemente. L’effetto che Jefferson le faceva era diverso da tutti gli altri, non riusciva a rimanere arrabbiata con lui, non era in grado di detestarlo, nonostante ciò che le aveva fatto. Amava ogni suo aspetto e soprattutto quella stranezza che in fondo li rendeva simili.
“Ora mi prendi in giro?” sorrise anche lui, compiendo un passo avanti per coprire la distanza che si era creata.
“Non lo farei mai” inclinò la testa di lato, fingendo un’aria innocente.
Jefferson a quel punto non resistette e le avvolse la vita con un braccio per poi intrecciare le dita dell’altra mano tra i lunghi capelli morbidi di lei, per poterla avvicinare. Conosceva perfettamente il sapore delle sue labbra poiché non lo aveva mai dimenticato, conservandolo in un angolo della sua testa perché non svanisse mai. Ma in quel momento tutto fu diverso, non vi era più nulla a tenerli separati, il desiderio scorreva nel loro sangue e non avrebbero tentato di fuggire l’uno dall’altra. Ruby per poco non sentì cedere le gambe di fronte ad una sensazione così forte, quindi Jefferson si affrettò a sostenerla per impedirle di andare via. Lei gli appoggiò una mano sul viso glabro per trattenerlo, aveva quasi idea che si trattasse di un sogno irrealizzabile, invece era tutto reale e non le sarebbe più sfuggito via. Jefferson le prese la nuca per tenerla ferma, di modo che potesse scivolare dalle sue labbra a quel collo che aveva visto smisurate volte e che aveva desiderato a lungo di sfiorare. Aveva bisogno di lei, di sentire le sue mani sul proprio corpo e di non lasciarla andare mai, non avrebbe più commesso un errore simile, soprattutto ora che l’aveva trovata.
Ruby fu investita da una miriade di emozioni contrastanti, la sé di Storybrooke si sarebbe lasciata andare quasi con voracità, la sé del passato si sarebbe mostrata cauta e forse anche apprensiva.
“Torna a casa da me, Ruby” gli sussurrò lui mentre correva a prenderle una mano, affatto sazio dei baci che avrebbe ancora desiderato avere.
“Come?” si sentì quasi cadere dalle nuvole.
“Sì, hai sentito bene. Riprendiamo da dove ci eravamo fermati, proviamo a ricostruire una vita nuova e se non ti piacerà, non ti obbligherò a restare” per la prima volta in tutta la sua vita ebbe paura di ricevere una risposta negativa.
Dopo l’allontanamento di Paige, aveva timore che anche Ruby potesse fare lo stesso. Rimanere da soli era terribile e lui aveva sofferto grandemente la solitudine per molti, molti anni. Creare una nuova famiglia non sarebbe stato facile ma voleva almeno tentare di provarci, tessendo i fili per una nuova storia più felice, senza inganni e sotterfugi. Storybrooke sarebbe potuta diventare anche una città amabile e la Foresta Incantata avrebbe rappresentato ciò che era: il passato.
Ruby fece un passo indietro per uscire fuori da quell’abbraccio, era accaduto tutto così in fretta che si era semplicemente abbandonata ai suoi desideri senza nemmeno riflettere. Le parole di Belle le tornarono alla mente in modo piuttosto chiaro, quello era il Jefferson che aveva conosciuto e c’era ancora speranza perché potesse uscire fuori dalla sua oscurità. Dunque esisteva davvero, non era stato solo un inganno, si era innamorata della parte migliore di lui ma avrebbe dovuto accettare anche quella più ombrosa. Jefferson aveva fatto un passo avanti, mettendo da parte il pericolo che Ruby poteva rappresentare per sua figlia, dandole fiducia. Insieme sarebbero riusciti ad aiutarsi l’un l’altra e dunque non si sarebbe tirata indietro, non ora che era convinta dei suoi sentimenti.
“Non c’è nulla al mondo che vorrei di più”.
 






Note:

[1] No, povero Roland. Quando ho scritto questa storia la terza stagione non era ancora iniziata e non avevo idea di che fine avessero fatto Marianne e il bambino, quindi ho dato questa interpretazione. 





// NdA: 

Salve! Ed eccoci qui con il penultimo capitolo. Mercoledì o giovedì pubblicherò l'ultimo. Come potete vedere molte cose non corrispondono alla serie, soprattutto per quel che riguarda il mantello di Ruby e la storia di Robin e Regina, avendo scritto questa ff molto prima dell'inizio della terza stagione. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, alla prossima! 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: Yoan Seiyryu