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Autore: kiara_star    23/04/2014    5 recensioni
[Sequel de “La carezza di un'altra illusione”]
[a sort of Thorki; fem!Thor]
~~~
C'erano cose di cui Thor non parlava mai, c'erano storie che forse non avrebbe mai narrato. C'erano domande che Steve porgeva con qualche dubbio.
“Perché continui a vedere del buono in Loki?”
“Perché io so che c'è del buono.”
[...]
Siamo ancora su quel balcone?
Ci sono solo io?
Ci sei solo tu?

“Hai la mia parola, Loki, non cambierà nulla.”
Ma era già cambiato tutto dopo quella prima menzogna e non era stato suo fratello a pronunciarla.
~~~
~~
Ancora oggi Nygis riempie il cielo di stelle continuando a piangere per il suo unico amore, nella speranza che un dì ella possa tornare da lui.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Gender Bender, Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La leggenda di Nygis'
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cap22
L' ultima lacrima



XXII.





Si avvicinò a piedi nudi al vetro della balconata. In strada, la gente non sembrava aver badato troppo alla nube buia che stava coprendo il cielo.
Huginn volteggiava a pochi metri dalla sua visuale. All'ennesimo grido animale, il chiarore accecante squarciò le nuvole per irradiarsi sull'asfalto delle strade di Midgard.
Fu immediato caos.
Sigyn prese un profondo respiro e chiuse la tenda.
«Anche loro arriveranno presto» sentenziò Loki alle sue spalle. Si era rivestito, così come anche lei aveva indossato velocemente una maglia e un paio di pantaloni.
Annuì silente.
Sì, anche loro sarebbero arrivati, anche i suoi compagni Vendicatori.
«Andiamo» comandò raggiungendo la porta della camera e poi quella di casa. La mano rimase ferma sul pomello per qualche attimo, gli occhi fissi sul metallo freddo.
«Qualsiasi cosa accada,» sospirò Loki quando la raggiunse. «Non mostrargli quanto male faccia.» Il verde intenso dei suoi occhi. «Mai. Non mostrarglielo mai.»
Un cenno del capo, ancora uno sguardo e la porta si aprì.



*



Percorse con lo sguardo il profilo del suo naso, poi delle sue labbra schiuse. Si fermò a osservare il nero delle ciglia; i suoi begli occhi azzurri, però, gli erano celati.
Steve poggiò il mento nel palmo della mano sostenendosi sul gomito mentre guardava Linn dormire.
Il sole le splendeva sui capelli color rame e sulla pelle chiara.
Avrebbe potuto trascorrere il resto della mattina a guardarla dormire, il resto del giorno.
Il resto della vita.
Fu un pensiero dolce e terrificante, un pensiero che gli fece abbandonare un lungo sospiro.
Avevano ballato sotto le note della sua musica, e poi avevano fatto l'amore dolcemente, stretti fra le lenzuola. Linn aveva sorriso e aveva pianto, aveva sospirato di non lasciarla andare, e Steve aveva chiesto a lei di non smettere mai di dire il suo nome: sulle sue labbra suonava come qualcosa di prezioso, di importante.
Steve, fra le braccia di Linn, si sentiva importante come non era mai stato davvero, neanche quando quel siero lo aveva reso unico e inimitabile, un capolavoro di scienza e di chimica.
Tu non hai visto come guarda te.
Le parole di Natasha erano risuonate nella sua testa più volte.
Era stato diffidente sulle prime, perché benché conscio dell'interesse di Linn nei suoi confronti, non credeva davvero che fosse qualcosa di così intenso, eppure negli occhi sciolti di Linn, Steve aveva visto cosa davvero volevano dire quelle parole e pregò che anche Linn riuscisse a sentire cosa volessero dire i suoi sguardi, le sue carezze, i suoi baci.
Perché con la voce non era riuscito a dirlo, perché il grande Captain America aveva paura di qualche semplice parola, perché non c'era scudo né addestramento che difendesse o preparasse davvero il suo cuore a ciò che stava vivendo.
Come una granata a cui era stata rimossa la spoletta: pronta a esplodere senza più ritorno.
Si sentì così stupido a dover ricorrere per l'ennesima volta a metafore militari, ma sembrava che la sua vita fosse sempre una continua guerra. C'era sempre un campo di battaglia, c'era sempre qualcuno da difendere e un nemico da abbattere. Il nemico, stavolta, era il più coriaceo di tutti: la paura.
Aveva paura di numerose cose, Steve, aveva paura di ciò che stava accadendo a Thor, di ciò che stava accadendo alla loro squadra, di ciò che sarebbe accaduto di lì in avanti con Fury e con il resto dello S.H.I.E.L.D., paura di cosa significasse quel batticuore che imperversò nel suo petto quando Linn aprì gli occhi e lo guardò, quando gli sorrise e gli sfiorò il viso con le dita.
«Buongiorno.»
Le posò un bacio sulle labbra e le donò un sorriso a sua volta.
«È l'alba?» gli chiese e lui annuì.
«Da un paio di ore» rispose stendendosi poi al suo fianco e lasciando che le dita di Linn scivolassero delicatamente fra i suoi capelli.
«È l'alba...» sospirò ancora Linn con voce dolce. «E sei ancora qui.»
«Dove dovrei essere?»
Linn non rispose ma il suo sorriso sembrò spegnersi lentamente.
Non vorrei essere in nessun altro luogo a parte qui, Linn.
Le parole rimasero incastrate nella gola.
Sapeva che Linn aveva bisogno di sentirle, che aveva bisogno che le dicesse che andava tutto bene, che non aveva motivo di sentirsi colpevole di nulla, ché lei non aveva nessuna colpa, che forse non le aveva neanche Thor ma che lui era troppo orgoglioso e ferito per ammetterlo a voce alta.
Rimase in silenzio, a guardarla, a lasciare che le loro labbra mute si trovassero ancora.
La strinse, la baciò, l'accarezzò con desiderio. E Linn sembrava così fragile fra le sue braccia, e Steve sapeva quanto invece in realtà non lo fosse, quanta forza aveva e forse neanche ne era conscia.
Il lenzuolo cadde via dalla sua schiena mentre scivolava su di lei. I ricci sparsi sul cuscino, il calore del suo corpo ad accoglierlo.
Intrecciò le dita fra le sue e la baciò, ingoiò ogni suo gemito e ogni suo sospiro.
«Mio capitano...»
Ogni volta che lo ansimava era un battito furente nel petto.
Avrebbe voluto impedire a chiunque altro di chiamarlo più così, voleva udirlo solo dalla sua voce, voleva che solo Linn potesse chiamarlo “capitano”. Suo, il suo capitano.



*



Le urla dei terrestri erano come al solito irritanti, ma ormai Loki aveva fatto l'orecchio a quei suoni fastidiosi.
Le auto si fermarono a pochi metri dai quattro uomini che stavano in piedi al centro della strada. Armature d'oro con gli stemmi di Asgard; spade al fianco e lunghi mantelli alle spalle.
Guardò Sigyn accanto a lui, la sua espressione sicura e priva di cedimenti: una splendida maschera.
Scese i pochi gradini per raggiungere i soldati. Nessuno dei quattro parlò, nessuno mostrò un solo istinto di fare o dire nulla.
Furono ormai prossimi a toccare il simbolo impresso come un marchio nel cemento della strada, quando la prima guardia fece un passo avanti: fra le mani stringeva una pergamena che gli porse.
Loki studiò ancora gli occhi azzurri del soldato prima di prendere il documento.
Ruppe il sigillo laccato di rosso e lesse velocemente le parole.
Un sorriso indovinato si dipinse sul suo viso.
Era un semplice e breve ordine di seguire le guardie fino ad Asgard, dove il Grande Padre aveva intenzione di riceverli. Anche se non c'era scritto chiaramente, le parole “arresto” e “processo” trapelavano da ogni singola riga.
«Cosa dice?» gli chiese Sigyn con un filo di voce appena udibile.
«Nulla che non sapessimo già» rispose richiudendo la pergamena e porgendola di nuovo alla guardia. «Sono qui per scortarci a casa... Abbiamo risparmiato un viaggio a Parigi.» Quando il soldato l'afferrò la porse a sua volta al giovane in armatura alla sua destra.
Con la coda dell'occhio, Loki vide le mani dell'altra guardia impegnate ad aprire la serratura di un paio di pesanti manette.
Odino non si smentiva mai. Per lo meno aveva avuto la decenza di evitargli quel dannato muso metallico.
Allungò annoiato i polsi, ma la guardia lo ignorò andando verso Sigyn.
«Cosa...?» Un pallido dubbio attraversò gli occhi di lei mentre passavano con lo sguardo dal ferro che le stavano porgendo al viso della guardia, e poi ancora a quello di Loki. «Abbiamo intenzione di seguirvi senza opporre alcuna resistenza. Esigo di conoscere il motivo di queste catene.» Era un ordine. La guardia non obbedì e solo in quel momento Loki capì. «Rispondetemi!» comandò ancora Sigyn.
«Non possono farlo» sentenziò con un sorriso sbilenco. «Ha mozzato loro la lingua in modo che non potessero riportare al di fuori delle mura del palazzo ciò che sta per succedere.» La gola della guardia ebbe un impercettibile sussulto che fece allargare il ghigno sul suo viso. «Una prova di vera fedeltà alla corona.»
«Padre non può averlo fatto davvero...» E quando Sigyn usò quell'appellativo per riferirsi a Odino, la gola della guardia sussultò ancora.
«Indossale.» Le suggerì mentre, dalle spalle del portavoce, la quarta guardia mostrava un secondo paio di catene. «Facciamo in fretta.» Loki lasciò che gli venissero chiuse attorno ai polsi e a quel punto, benché riluttante, Sigyn lo seguì, e il soldato fece scattare i ferri attorno alla sua carne.
Gli sguardi dei midgardiani avevano seguito attoniti la scena e alcuni coraggiosi - o stupidi - avevano anche ripreso il tutto tramite i loro sciocchi telefoni.
Il rombo di un elicottero, intanto, si avvicinava sempre più.
Loki guardò il cielo e la struttura dello S.H.I.E.L.D. in lontananza. Scoprì gli occhi di Sigyn guardare la medesima direzione per poi voltarsi a incrociare i suoi.
Le sorrise e disse: «Ricorda ciò che ti ho detto».
Sigyn non riuscì a riflettere il suo sorriso.
«Quando giungeremo dinanzi a lui, lascia parlare me.» Gli intimò.
«Come preferisci.»
Sapeva che non avrebbe cambiato nulla, che il giudizio di Odino sarebbe rimasto il medesimo.
Il pensiero volò al volto di sua madre, per un solo breve istante.
Lo scacciò via.
Huginn si posò dinanzi ai loro piedi e poi gracchiò forte.
Heimdall aveva udito la sua chiamata: il Bifrost fu aperto.



*



Quando aprì gli occhi, Bruce sentì la testa far male. No, girare vorticosamente, anzi, ancora peggio: la sentì implodere.
Si passò le dita sugli occhi, per contrastare la luce del sole, e poi sulla fronte.
Sentiva un peso sul petto. Alzò il capo e vide una massa confusa di capelli neri.
Si guardò attorno: era alla Stark Tower, sul divano, con Tony che sbavava sulla sua camicia.
«Tony?» lo chiamò con voce impastata premendo ancora due dita sugli occhi.
«Ancora due minuti, Pep...» brontolò Tony sistemandosi meglio sul suo petto. Bruce provò a spostarlo e colpì con il piede una bottiglia di vetro a terra. Si accorse solo a quel punto delle altre quattro che le facevano compagnia.
Avevano bevuto un po', un po' troppo. Avevano parlato un po', un po' troppo.
Ricordava anche che Tony aveva pianto, o forse riso o chissà cos'altro, e poi erano finiti a guardare delle repliche di un programma con tante bionde e Tony aveva iniziato a inveire per l'ennesima volta contro Sigyn usando epiteti poco carini...
«Tony? Svegliati.» Gli scosse una spalla per fargli allentare la presa, dal momento che si trovava con le sue braccia attorno al busto e la sua testa che ancora gli comprimeva lo sterno.
«Mh... tesoro, solo due minuti.»
Sbuffò reclinando la testa contro lo schienale e decise che prima che fosse Hulk a far scendere poco carinamente Tony dalla sua pancia, ci avrebbe pensato Bruce a sistemare la cosa.
Allungò una mano e raccolse la bottiglia da terra che ancora conteneva del liquido e, semplicemente, la svuotò sulla sua testa.
«Alle scialuppe!» urlò Tony sollevando immediatamente la testa. Impiegò circa due secondi e mezzo per riprendersi. Bruce lo guardò con un'espressione annoiata ripoggiando a terra il vetro. «Bruce?»
I suoi capelli grondavano whisky e così anche la barba sul mento.
«Sì, sono io, e tranquillizzati: non stiamo affondando...» sospirò potendo finalmente alzarsi da quel divano. Aveva la schiena a pezzi e la testa pulsò maledettamente quando si mise in piedi.
Tony era ancora inginocchiato sul divano a passarsi le dita sulla testa per liberarsi dal liquido.
«Bruce, dimmi che questa roba gialla sul divano non è ciò che penso.»
Sorrise stancamente e scosse il capo. «È solo whisky, come il resto di roba gialla che ti sta colando dalla testa e che ti sta corrodendo a poco a poco il fegato.»
Tony sbadigliò e si stiracchiò.
«Meno male» masticò mentre scendeva anche lui dal divano. Calciò una bottiglia che rotolò a terra, spargendo il suo residuo sul pavimento, e mancando miracolosamente il tappeto.
Si diresse poi verso il bancone.
«Ci siamo divertiti ieri, vero?» chiese retorico con un ghigno mentre preparava del caffè. «Un'altra epica Drunk Science Night[1]
Bruce sbadigliò a sua volta allentandosi la camicia umida dalla pelle.
«Non c'era nulla di “science” stavolta, e in ogni caso non lo definirei divertimento» brontolò raccogliendo da terra bicchieri e bottiglie vuote e poggiandole sul tavolino ai piedi del divano.
«Andiamo, Doc, fare sesso con me non è stato divertente?»
«Che-?» Bruce colpì il bordo del tavolo con uno stinco, la bottiglia di rum gli cadde dalle mani e si riversò sul tappeto.
Tony rise.
«Scherzo. Dovrei essere molto più che ubriaco per finire a letto con te. Dovrei essere, che ne so, posseduto, o lobotomizzato... O peggio ancora: dovrei essere un asgardiano. Hanno quest'usanza di andare a letto con chiunque. Non trovi?»
Bruce sospirò guardando la sua espressione strafottente.
«Vuoi aiutarmi a sistemare o preferisci stare lì a sparare giudizi? Pepper potrebbe tornare a momenti.»
Ma Tony sembrò non ascoltarlo. Afferrò qualcosa da un vassoio tirato fuori da un mobile - potevano essere biscotti, o caviale, per quello che riusciva a capire in quel post sbronza - e si gettò nuovamente sul divano, incurante della stoffa bagnata.
«A quest'ora saranno in qualche stanza a darci dentro, sex toys compresi.»
«Oddio, Tony! Per favore...» mormorò sentendo un senso acido salire dallo stomaco, dovuto sia all'alcol che a tutti i pensieri che avevano investito la sua mente, soprattutto al pensiero di Jane. Chissà se era ancora con Pepper. Chissà come stava, chissà come sarebbe stata.
«E staranno ridendo di noi, poveri ingenui terrestri che abbiamo creduto a ogni loro cazzata.»
Bruce abbassò il capo e lasciò cadere sul tavolo l'ultimo bicchiere. Si accomodò accanto a Tony guardandolo con la coda dell'occhio.
«Lo sai che non è così» disse. Tony alzò le spalle e mangiò ancora qualcosa, Bruce vide che erano biscotti. «Ovunque sia adesso, Thor sta solo cercando un modo per sistemare le cose.»
«Oh, come no, e magari la soluzione è nelle mutande di Loki. Perché non ci abbiamo pensato prima?!»
«Vuoi piantarla?! Quello che è accaduto, è accaduto tanto tempo fa. Se Loki è rimasto fermo in quella storia, ciò non toglie che Thor sia andato avanti.»
Tony lo guardò con un'espressione spaventosamente seria.
«Bruce, io ho visto i filmati di quando Loki è stato qui. Ho visto i filmati di quando lei è stata in quella stanza. Ho ascoltato il modo con cui Loki mi ha parlato e con cui Sigyn non l'ha fatto.» Deglutì sotto la sicurezza di quelle parole e Tony scosse il capo con un sorriso rassegnato. «Non è cambiato niente da quella volta, credimi. Qualsiasi cosa sia accaduta, quei due ci sono ancora dentro fino al collo.» Morse ancora un biscotto e si alzò per recuperare il caffè pronto. «Forse hai frainteso le mie riflessioni, Bruce, ma a me non interessa nulla di chi va a letto con chi, del quando e del perché, ciò che mi importa è che noi finiamo per essere il tappeto sotto cui nascondere la polvere. Quei due hanno dei grossi problemi, entrambi, che andrebbero risolti alla radice perciò, se posso dire la mia, sono ben felice che se ne siano tornati nel loro bel pianeta pro-incest, perché almeno abbiamo finito di fare gli spettatori paganti del loro ridicolo spettacolo.»
C'era tanta amarezza nelle sue parole, c'era tanta rabbia seppure ben celata dal sorriso e dal tono canzonatorio. Bruce conosceva bene Tony da saper estrapolare la verità da ogni singola parola.
«Non è finito nulla» affermò mentre lo guardava riempire due tazze.
«Per me sì, e anche per Steve, penso.» Tony lo raggiunse nuovamente porgendogliene una e sedendosi sul bracciolo asciutto del divano.
Bruce guardò il liquido nero e il suo debole riflesso.
«E Linn? Lei non è una spettatrice.» Linn era, suo malgrado, una delle interpreti di quello spettacolo che Tony aveva usato come metafora, e Bruce era sempre più convinto che no, con la partenza di Loki e Sigyn non era finito proprio nulla, anzi, era tutto appena iniziato.
«Fury c'è andato pesante con lei. Rogers non gliela perdonerà» sospirò Tony bevendo un sorso. «E per come la vedo io, la nostra Linn ha più motivi per restare qui a fare la fidanzatina di Cap piuttosto che tornare su Asgard e lucidare cessi per il resto della sua lunga vita.»
Bruce non rispose. Guardò ancora il caffè caldo e poi ne mandò giù qualche sorso sentendolo scendere nella gola ustionante.
«E noi che facciamo?» chiese poi.
«Che dobbiamo fare? Niente. Thor ha deciso di fare di testa sua e noi lo accontenteremo. Vuole fare l'eroina che si allea con il nemico? Bene. Che si arrangiasse da sola a trovare il suo martello e il suo corpo addormentato. Non sono più fatti che ci riguardano.»
«La fai facile...»
Tony finì il suo caffè. «È facile, Bruce. È maledettamente facile. Tutto quello che dobbiamo fare è riprenderci le nostre vite, e tu hai anche l'occasione per farti avanti con la Foster.»
Scosse il capo.
«Smettila di scherzare, Tony. Jane è di certo nella situazione più ingrata di tutte e lo sai bene.»
«Quello che so è che Thor ha lasciato lei e noi su questo pianeta ed è andato via come un codardo, e sottolineo, codardo.»
«Non è stato Thor a lasciarci...»
Tony sbuffò incrociando le braccia. «Piantala con questa storia della doppia identità. Tu e Barton siete incredibili! È sempre Thor, è sempre lo stesso anche se ha quell'aspetto. Non cercate una giustificazione al suo comportamento perché non ce n'è nessuna.»
«E tu non cercare a tutti i costi di dimenticare ciò che abbiamo condiviso negli ultimi anni.»
Tony non rispose e tornò a riempiersi la tazza.
Bruce lo seguì rispettando quel silenzio, poi aspettò che risollevasse lo sguardo sul suo prima di riprendere parola.
«Le persone ci possono sorprendere in modi che non pensavamo possibili, e ci possono deludere, anzi, lo fanno spesso e tu lo sai bene.» Bruce sapeva quanto il tradimento di Obadiah Stane avesse lasciato ripercussioni sulla precaria fiducia che Tony riversava nelle persone, perché non sempre quando Tony beveva finiva a dire stupidaggini; alle volte apriva quel piccolo angolo di cuore dove nascondeva ancora un bambino lasciato solo per troppo tempo, un bambino che aveva inseguito un padre e che non era mai riuscito a raggiungerlo, che aveva cercato quel padre in modi e in persone diverse e ogni volta ne era uscito fuori sempre meno integro.
Tony, così come Bruce stesso, aveva forse cercato nei Vendicatori un equilibrio, una casa dove sentirsi meno soli e meno diversi. Ognuno di loro, dietro la facciata spavalda, dietro allo sguardo glaciale, dietro ai modi da spia o da agente segreto, nascondeva soltanto una profonda solitudine. Era qualcosa che non serviva dire, che non c'era bisogno di tramutare in parole a voce alta; c'erano sguardi, sorrisi, silenzi.
C'era fiducia, e per Tony forse la fiducia era la cosa più preziosa che potesse donare.
E Thor l'aveva tradita.
Bruce non poteva perciò fargli una colpa per quell'ostentata strafottenza.
«Nick non ha idea di dove cercarli, nessuno lo sa» affermo Tony.
«Lo so, però dobbiamo essere ottimisti» rispose lui e Tony gli donò un sorriso divertito.
«Già! Magari adesso riceveremo una chiamata da parte dello S.H.I.E.L.D. che ci dirà che ci sono novità» scherzò e Bruce sorrise di riflesso.
«Qualcosa del genere...»
Un attimo dopo un breve sibilo risuonò nel soggiorno.
«Jarvis?» chiamò Tony. «Che succede?»
«Signore, ho una chiamata dallo S.H.I.E.L.D. da parte dell'agente Barton: dice che ci sono novità.»
Bruce guardò gli occhi nocciola di Tony e provò ad aprire bocca ma Tony gli puntò l'indice sulla faccia con espressione seria.
«Non. Dire. Niente.»
Obbedì.





ஐஐஐ





Il vorticare di colori sfumò e Sigyn sentì il cuore fermarsi.
La cupola dorata in alto, il cielo dalle mille stelle di Asgard sulla sua testa, il palazzo che governava l'orizzonte.
Dinnanzi a lei, si stagliava ora la figura di Heimdall e i suoi occhi di ambra.
Capì a quel punto che non sarebbe mai stata davvero pronta ad affrontare ciò che la stava aspettando. Se si sentiva schiacciare solo dal suo sguardo, come poteva tenere quello di Odino? Quello di sua madre?
«Nessuna fanfara per il ritorno del principe perduto?» Udì la voce di Loki. Sul viso un sorriso sicuro. «Mi aspettavo che Odino allestisse una parata della vergogna per enfatizzare il mio cammino in catene...»
La sua insolenza che spesse volte aveva mal tollerato, in quel momento le sembrò un sostegno. E lo era anche la sua maschera, fragile e bella.
Avrebbe voluto indossarne una anche lei, ma sul suo viso non avrebbe retto.
«Il Padre degli Dèi vi attende.» Furono le parole di Heimdall. Non una reazione attraversò il suo volto, non un giudizio parve venir fuori dal suo sguardo.
La guardia alla sua destra la strattonò per le catene quando non riprese lesta il passo, fermatasi a guardare il viso dell'amico guardiano, con cui aveva condiviso tanti silenzi e tanti pensieri. Tanti pensieri per Jane...
«Non facciamolo attendere, allora» sospirò ancora sfrontato Loki recuperando il suo sguardo.
Non mostrargli quanto male faccia. Mai.
Nei suoi occhi verdi le sembrò di rileggere quel monito. Cercò di farlo suo, benché fosse difficile come lo era anche solo respirare mentre percorreva il lungo ponte di cristallo che li avrebbe portati ai cancelli di Asgard.
Dopo poche decine di metri, vide iniziare a ergesi ai lati del passaggio un'ordinata fila di soldati, armati di lancia, con lo sguardo severo che però non pareva essere destinato a loro.
«È la Decima Divisione» sentenziò con un sospiro. Aveva riconosciuto alcuni volti, alcuni giovani con cui aveva duellato all'arena tante volte. «Non ha senso...»
La Decima Divisione era una delle compagnie dell'esercito più abili e prodi, composta solo dai migliori guerrieri di Asgard. Odino non avrebbe di certo schierato una delle sue armate migliori per sorvegliare il loro arrivo. Erano senza poteri, non erano una minaccia. Neanche Loki lo era.
Una minaccia...
A quel punto capì.
«Se Odino è a conoscenza di ciò che è accaduto su Midgard, non deve stupirti che abbia già organizzato l'esercito.»
Alzò gli occhi sul viso di Loki che sembrava aver perso un po' di superbia mentre si avvicinavano sempre più ai cancelli.
Ma se Odino sapeva di Styrkárr perché non era intervenuto? Perché aveva atteso prima di permetter loro di far ritorno ad Asgard?
Eppure non sembrava un rientro voluto. Con quelle catene ai polsi, Sigyn capiva perfettamente che la loro posizione era tristemente chiara: adesso erano criminali.
Loki portava sulle sue spalle più di un reato ma adesso anche lei, anche Thor, aveva la coscienza corrotta.
Per le leggi di Asgard, avevano commesso uno dei crimini più abietti. Davanti agli occhi dei loro genitori, avevano fatto anche peggio.
Cercò di non pensare a sua madre, a come si sarebbe sentita nello scorgere il suo sguardo, eppure il grande portone era ormai prossimo.  
Alzò il viso verso le colonne d'oro che si avvicinavano e prese un profondo respiro.
«Ho un favore da chiederti, Loki» iniziò. Lui la guardò e le fece un cenno del capo per invitarla a continuare. «Non aprire bocca. In nessun caso.»
Le rispose con un sorriso che però si spense gradualmente quando capì il vero significato di quella richiesta.
«Saprò stare al mio posto... Come sempre.»
Avrebbe voluto avere le mani libere per stringerle nelle sue, avrebbe voluto sentirgli dire un fratello che avesse ancora quel vecchio significato.
Il passo si arrestò.
Le guardie poste a difesa della porta principale aprirono con solennità le due ante e in quel momento il rumore che produssero portò Sigyn a chiudere gli occhi per cercare nel buio delle palpebre ancora una briciola di forza.
Ne avrebbe dovuta avere molta di più per non spezzarsi sotto l'unico occhio di suo padre.
Quando sollevò le palpebre guardò Loki che però aveva il volto verso l'alto.
Lo imitò ma scorse solo un balcone vuoto.



*



Frigga aveva visto il Bifrost aprirsi. Non le era permesso attendere all'Osservatorio, né come madre né come regina. Odino era stato irremovibile. Odino si era chiuso in un assordante silenzio, seduto sul suo seggio, con la sola compagnia di Huginn e Muninn
A nessun altro era stato concesso di restare nella sala del trono. Nessuno, a parte lei, avrebbe potuto assistere a ciò che si sarebbe celebrato di lì a poco.
Salì veloce i gradini che portavano alle sue camere, le uniche che davano sulla facciata principale del palazzo.
Quando vide da lontano i soldati, il suo cuore si strinse come fosse tenuto stretto in una mano.
Scorse i capelli corvini di Loki e le bionde ciocche di...
Si portò una mano sulla bocca per soffocare un gemito.
Vestita in semplici abiti terrestri non sembrava neanche la bella fanciulla che aveva regalato giorni di sole a quel figlio sempre in ombra.
Ma più la distanza che li divideva si affievoliva, più Frigga scopriva su quel viso di donna, l'espressione pensierosa di Thor, le sue domande, i suoi pensieri che erano sempre viaggiati liberi in ogni sguardo e in ogni parola.
Portò la mano dalle labbra al suo petto, per governarlo e farlo tacere.
Aspettò che la guardia giungesse dinnanzi ai cancelli e si comandò di rientrare per raggiungere suo marito nella sala. Ma due occhi verdi si accorsero di lei e il suo cuore di madre non fu più capace di zittirsi.
Le sue labbra si piegarono impercettibilmente, ma quelle di Loki restarono una linea rigida. Se anche quegli occhi azzurri l'avessero guardata, Frigga non avrebbe saputo trattenere una sola lacrima.
Quel pallido sorriso non abbandonò la sua bocca neanche quando rientrò nelle sue camere, neanche quando fu costretta a ingoiare mille urla.
Si vestì di coraggio e si avviò alla sala del trono.



*



Sif stava bevendo un boccale di birra quando la porta della taverna si spalancò con forza e un Fandral alquanto scompigliato vi entrò.
«Hai le braghe aperte. Datti un contegno...» brontolò Volstagg al suo fianco mentre ingurgitava dell'alcol. Sif studiò velocemente il compagno di spada: i suoi capelli in disordine, la camicia sbottonata, la casacca verde indossata distrattamente e sì, Volstagg aveva ragione, aveva di certo dimenticato anche di chiudere i calzoni che teneva su con una mano.
«Scommetto che il marito è rientrato prima dalla sua battuta di caccia» ipotizzò con un sorriso facendo ridere Volstagg.
«E non sarebbe neanche la prima volta» aggiunse l'amico.
Bevve un altro sorso di birra aspettando che Fandral si facesse spazio fra la folla per raggiungerli.
«Non crederete mai a quello che sto per dirvi!» esordì poggiando un braccio sul bancone di legno.
«Sarà difficile stupirci, amico mio, ma sono tutto orecchie» mormorò ancora Volstagg.
Sif sorrise attendendo il racconto di Fandral sull'ennesima avventura amorosa finita in chissà quale modo assurdo.
«C'è poco da scherzare. Stavo allegramente conversando con una gentile donzella sull'altopiano di Roufort, quando il mio udito è stato attratto da un distinto rumore di stivali.»
«Era il marito?» chiese Volstagg. Sif rise ma Fandral sembrò non trovare divertimento in quella battuta.
«Serietà, Volstagg! E ascoltatemi.»
E quell'espressione non era la solita di Fandral. C'era davvero della preoccupazione nei suoi occhi. Stava accadendo qualcosa.
«Parla» ordinò a quel punto Sif senza attendere troppo.
E Fandral continuò: «Il rumore di stivali a cui mi riferivo era il marciare di uno squadrone, nella fattispecie, della Decima Divisione.»
«Diretti dove?» domandò accigliandosi Volstagg comprendendo anche lui che la questione esulava dallo scherzo.
«Diretti al ponte. Posizionati lungo gli argini. Non si sono mossi da lì.»
Non aveva senso: la Decima Divisione era una squadra da battaglia non da sorveglianza.
«Perché Odino ha inviato la Decima Divisione al ponte?» chiese confusa.
Ma Fandral soddisfò velocemente quella curiosità.
«La cosa ha insospettito anche me, per questo ho deciso di attendere affinché giungesse un dettaglio che potesse far chiarezza fra le mie domande, e dopo neanche una clessidra, il Bifrost si è aperto.» Prese una pausa scuotendo il capo. «A quel punto la cosa ha assunto più ragione: era la guardia reale che rientrava con due prigionieri in catene.»
Sif sentì il cuore galoppare.
«Chi?» chiese.
«Loki.»
Scambiò uno sguardo con Volstagg.
Thor doveva essere finalmente riuscito a fermare le follie di Loki. Era per questo che Odino aveva schierato la Decima Divisione per sorvegliare il suo arrivo.
Però mancava ancora un tassello.
«Chi era il secondo prigioniero, Fandral?» A quella domanda il compagno sospirò sistemandosi distrattamente i capelli.
«È questo quello che mi ha confuso di più... Era Sigyn.»
«Sigyn?» ruggì Volstagg. «Come può essere lei? È scomparsa da Asgard da quanto? Tre, quattrocento anni? Sicuro che non l'hai confusa con qualcun altro?»
«Non dimentico mai il viso di una donna, Volstagg, e quello di Sigyn è rimasto impresso con forza nella mia mente.»
«Come il suo pugno...» mormorò Sif per spezzare il flusso di pensieri che le stavano attraversando la testa.
Si era chiesta molte volte che fine avesse fatto quella fanciulla che le aveva chiesto di essere sua allieva. Comparsa dal nulla e sparita nel medesimo modo. L'unica che sembrava essere riuscita a tirar fuori qualcosa di diverso dalla cattiveria in Loki. «Hogun è ancora da Freyja?» chiese a quel punto.
Volstagg annuì. «Voleva porgerle i suoi saluti. Ma credo che a quest'ora abbia finito di inchinarsi.»
Abbandonò il boccale sul tavolo e si alzò dallo sgabello di legno.
«Se Loki è stato catturato forse anche Thor è tornato» disse Fandral. Sif condivideva quel pensiero.
«Freyja giunge ad Asgard senza preavviso. Subito dopo Loki viene condotto a palazzo in catene e con lui anche una donna che sembrava scomparsa secoli addietro senza lasciare traccia. Non è una coincidenza.»
«Sif, credi che ci sia un legame?»
«Potrebbe esserci» affermò e guardò il viso dei suoi compagni di armi.
«Allora che stiamo aspettando?» Volstagg saltò giù dalla sua seduta bevendo l'ultimo sorso di birra prima di frantumare il boccale a terra. «Recuperiamo Hogun e scopriamo cosa sta tramando stavolta il nostro caro principe perduto.»
Sif assentì ed entrambi si avviarono alla porta.
«Ehi, aspettate!» urlò alle loro spalle Fandral. «Fatemi chiudere le braghe!»
«Non crucciarti, tanto hanno visto tutte lo stiletto che celi lì sotto.» Lo beffeggiò la guerriera accompagnata da una calda risata di Volstagg.



*



Il fragore delle catene era insopportabile, il suono delle suole dei soldati che battevano ritmicamente a terra sembrava picchiare violento nella sua testa. Il silenzio delle parole era anche peggio.
Loki camminava al suo fianco con la testa alta e lo sguardo sicuro.
Camminò a testa alta anche lei, ma il suo sguardo, sapeva, tradiva ogni emozione.
I corridoi che aveva attraversato infinite volte nella sua vita, sembravano d'un tratto soffocanti, le pareti parevano chiudersi su loro stesse ed essere prossime a inghiottirli.
Respirò a fondo mentre voltavano l'ultimo angolo che li avrebbe condotti nella sala del trono.
A quel punto, arrestato il passo, vi era solo una porta a separarli dal suo giudizio.
Guardò gli intarsi sul legno, i rami d'oro che salivano alti, le fronde che avrebbero dovuto rappresentare Yggdrasill.
L'equilibrio dell'universo, il corso delle Ere deciso dalle Norne.
Tanto dolore, tanta rabbia, tante lacrime, e solo perché così era stato disegnato.
Aspettò che le guardie aprissero le porte ma non avvenne. Trascorsero minuti e poi altri ancora e loro erano ancora lì davanti, fermi, in attesa.
«Che succede?» chiese dimenticando per un attimo l'impossibilità dei soldati di darle una risposta. Era più che certa non sarebbe comunque giunta.
«Forse si è addormentato» sibilò Loki guardandola con un sorriso inopportuno. «Può capitare. Data l'età...»
«Smettila. Non c'è niente su cui fare ironia.» Lo rimproverò guardandosi attorno, cercando di scorgere nei volti delle guardie qualcosa, ma non fu facile leggere nulla in quelle espressioni rigorose.
«Ehilà? C'è qualcuno?» chiese Loki a gran voce, con fare sacrilego.
«Sta' zitto!» gli intimò nuovamente senza però riuscire a cancellare quel sorriso beffardo.
Sapeva era solo il suo modo di affrontare la cosa, e in parte invidiava la sua capacità di essere così distaccato. Che poi fosse solo una finzione era un dato di fatto, però sembrava davvero capace di tener lontana ogni inquietudine. Nella testa di Sigyn, invece, regnava il caos più assoluto. Mille emozioni si accavallavano e combattevano l'una con l'altra: vergogna, rabbia, preoccupazione e poi ancora vergogna. Poi tornavano le immagini di quella notte, gli occhi di Loki, le sue parole, le sue carezze, e il suo cuore si scaldava e quella vergogna si scioglieva.
Tornavano i suoi “mi sei mancata”, “ti voglio”... “ti amo.”
Tutto era sembrato giusto quella notte, come tutte quelle che si erano consumate in quel palazzo secoli prima.
Era giusto.
«Magari dovete bussare» suggerì Loki annoiato verso una delle guardie che semplicemente lo ignorò. «Non credi anche tu che dovrebbero bussare, Sigyn?»
A quel nome lo guardò con l'ennesima inquietudine.
Non riuscì neanche a richiamarlo ancora, sapeva non sarebbe neppure servito.
Loki lasciò andare un sospiro e si voltò a guardarla. C'era ancora un pallido sorriso sulle sue labbra.
«Forse se ti baciassi qui davanti...»
Si sentì mancare.
«Smettila, Loki.» Lo minacciò con fermezza ma i suoi occhi saettarono sui volti delle guardie che li accompagnavano. Guardavano tutte dritte dinanzi a loro, tutte verso quella porta che pareva non volersi aprire.
«Che male ci sarebbe?» Loki si avvicinò ancora. «Sarebbe quella che su Midgard chiamano “prova schiacciante.”» Il suo viso si faceva sempre più vicino, le sue labbra sempre più calde e nessuno dei soldati pareva voler far nulla. «“Nessuna clemenza, membri della corte. Date a questi scellerati il massimo della pena!”» ridacchiò scenico.
«Non peggiorare la cosa...» sospirò sentendo il cuore battere forte.
Loki sorrise a un soffio dalla sua bocca.
«Definisci “peggiorare”.»
«Loki...»
Un rumore imponente quasi la fece sobbalzare.
«Visto? Bastava solo sollevare il chiavistello giusto.» Loki tornò a guardare davanti a sé mentre la porta si apriva lenta e inesorabile.
Il lungo tappeto, le colonne ai lati, le scale che salivano brevi ma maestose e lì, in cima, il trono su cui sedeva Odino.
Sigyn sentì la bocca farsi secca e le gambe tremare mentre camminavano verso quello che pareva a tutti gli effetti un patibolo.
La figura di suo padre si ergeva come una statua, immobile e fredda. Il suo sguardo non permetteva di percepire nulla che non fosse la pura impassibilità.
Regolò quanto possibile il suo respiro sentendo, passo dopo passo, quel corpo divenire sempre più difficile da vestire. Era una pelle che pareva bruciare, e quei vestiti terrestri non bastavano a coprirne la colpa.
Il suo passo fu comunque fermo, così come quello di Loki, ma quando scorse il viso di sua madre alla destra del trono lo sentì farsi incerto, lo sentì rallentare e la guardia fu costretta a tirare le catene per farle riprendere la marcia.
Sul volto di Frigga non c'era il gelo di Odino, ma neanche il sorriso che avrebbe voluto vedere.
Come poteva pretenderlo? Con quale attenuante poteva chiedere a sua madre di donare comprensione quanto era già tanto non leggere disprezzo?
Mandò giù un nodo abbandonando gli occhi azzurri della donna per portare lo sguardo sul volto di Odino, quando giunsero finalmente ai piedi del trono.
Ci fu silenzio. Le catene smisero di far rumore. I passi cessarono. E, nel petto, Il cuore pareva tuonare come le saette che un tempo aveva governato.
«Ebbene?» Fu Loki a prender per primo la parola, ma lo sguardo di Odino, la sua accusa, era tutta per lei.
Si alzò dal seggio tenendosi alla sua Gungnir e prese a scendere il primo dei gradini.
Ogni passo era un colpo dritto al cuore.
Come aveva immaginato, fu arduo tenere lo sguardo incatenato al suo, ma un principe non poteva abbassare il volto. Così era stato insegnato loro: un principe di Asgard affrontava anche la più crudele delle punizioni con coraggio e onore.
Le mani quasi tremarono quando Odino giunse all'ultimo piolo. Fu codardamente felice di avere i polsi in catene, così almeno suo padre non li avrebbe visti attraversati dai fremiti.
Il respiro si congelò nella gola mentre le si avvicinava fino a fermarsi di fronte a lei.
La guardò a lungo, silente, senza alcun apparente sentimento.
I suoi occhi invece erano divenuti una tormenta.
Prese un respiro e con esso ancora una richiesta di coraggio.
«Padre-»
Lo schiaffo risuonò per la sala vuota.
Fu violento e brutale.
Si ritrovò il viso rivolto verso Loki. La guancia prese a bruciare furiosamente e il sangue che fluì dal labbro le scivolò in bocca.
Negli occhi di Loki scorse mille voci che però restarono sigillate. Le aveva dato la sua parola e l'avrebbe mantenuta.
Leccò via il sangue ignorando il dolore e tornò a guardare suo padre, stavolta ingoiando ogni incertezza.
A quel punto, l'unica gemma azzurra di Odino parlava come ancora non aveva fatto la sua lingua.
«Padre? Mi chiami “Padre”?»
Davanti al suo tono ombroso si ritrovò a mandare giù ancora un groppo ferroso.
«So di aver sbagliato...» affermò cercando di non farsi tradire dalla voce. «Accetterò ogni tuo giudizio, ma ti prego di ascoltarmi. C'è un grave pericolo che minaccia la pace dei regni e-»
Stavolta non fu uno schiaffo a interromperla, fu una debole risata. E fu anche peggio.
Odino scosse il capo con le labbra piegate in un gelido sorriso.
«Credi che non sappia di Styrkárr e del suo folle piano? Credi che avessi bisogno di te per decidere come comportarmi in merito?»
«Non intendevo-»
«E non c'è nulla che puoi intendere! Nulla!»
La sua voce adesso era il ruggito di una fiera. E come tale la fece tremare.
Odino fece un passo indietro e si voltò a guardare Loki. Ma fu solo un fugace sguardo, poi tornò nuovamente a trafiggerla con il suo giudizio.
«Se lui è stato una delusione, tu sei stato un completo fallimento, come erede, come figlio... Perfino come uomo.» Quelle parole le fecero tremare nuovamente le gambe, e Odino non aveva ancora terminato. «Vergogna è un termine troppo gentile per descrivere di quale crimine ti sei macchiato.»
«Sono pronto a scontare qualunque pena.»
«Non c'è pena che potrei infliggerti che possa lavare via l'onta con cui hai macchiato il nome della tua famiglia. Neanche la tua vita sarebbe un prezzo equo, perché niente può ridare più onore e dignità a questa casa!»
Sentì gli occhi inumidirsi ma ricacciò ogni lacrima vigliacca.
«Allora uccidimi mille volte se ciò potrà servire ad alleviare il dolore che ti ho causato, padre... Che ho causato a entrambi.» Ma non ebbe il coraggio di cercare gli occhi di sua madre. Se li avesse visti umidi avrebbe lasciato andare via anche quel poco di orgoglio che ancora cercava ridicolmente di tenere in piedi.
«Ucciderti ora non avrebbe senso.» La voce di Odino si affievolì mentre il suo sguardo parve perdersi sui marmi del pavimento. «Avrei dovuto ucciderti allora, impedirti di vedere la luce. Avrei dovuto strapparti dal ventre di tua madre con le mie mani. E che le Norne mi siano testimoni, se avessi saputo di quale infamia si sarebbe macchiato mio figlio lo avrei fatto senza esitazioni.» Sentì lo stomaco rivoltarsi davanti a quella affermazione. «Avrei preferito che il mio retaggio si fosse perso con la mia morte piuttosto che essere spettatore del più grave dei tradimenti consumato dalla carne della mia carne.»
Sigyn non aveva più parole a cui reggersi, non aveva più niente che la trattenesse dal sentirsi morire sotto la rabbia di suo padre.
«Ho chiamato folle Laufey per ciò che vidi su quell'altare, in quella notte di sangue. Ma adesso vorrei solo fosse vivo per chiedergli perdono per la mia cecità.» Ed ora la sua rabbia era diretta verso Loki, e Sigyn vide il suo volto pallido sostenere a fatica la maschera che aveva indossato dacché erano giunti ad Asgard. «Tu saresti dovuto morire su quell'ara di ghiaccio, e l'averti salvato mi ha condannato... E con me Asgard.»
«Padre...» Fu l'unico debole fiato che lasciò le labbra ferite di Sigyn. Ma Odino non ascoltò né volle ascoltare oltre.
«Silenzio!» ordinò. «Se conservate ancora un po' di rispetto per la donna che avete chiamato madre, vi invito a tacere, entrambi; perché ogni vostro singolo respiro è un'offesa a lei a questa stessa casa.»
Sigyn non fu più in grado di tenere lo sguardo nel suo, non fu più in grado di tenerlo in quello di Loki, non fu più in grado di tenere nulla.
Chiuse gli occhi e li aprì solo verso il pavimento. Se non ci fu un pianto a lavarlo era solo perché le lacrime si erano pietrificate davanti alle parole di suo padre.
Avrebbe ancora potuto chiamarlo tale, adesso?
Avrebbe ancora potuto chiamarsi Odinson?
Avrebbe ancora potuto chiamarla “casa”?



*



Lava.
Era lava quella che stava bruciando nelle sue vene. Loki avrebbe voluto solo farla esplodere e con essa far esplodere la sua rabbia.
Avrebbe voluto urlarle di alzare il viso e smetterla di dargli tutto quel potere.
Avrebbe voluto avere una lama da affondare in quell'unico occhio e completare così il lavoro del suo vero padre.
Frigga lo guardava dai piedi del trono, guardava entrambi, con il viso asciutto eppure con mille lacrime invisibili a bagnarlo.
Frigga li guardava e taceva perché era così che avrebbe dovuto agire una regina e Loki no, non gliene faceva una colpa, perché a sua volta stava guardando Sigyn spezzarsi eppure taceva anch'egli.
Ma conosceva quanto forte potesse essere il suo orgoglio, quanto stolto potesse essere e l'amava tanto da rispettarlo.
Suo fratello avrebbe preferito sopportare ancora un'altra pioggia di veleno e rancore, piuttosto che sentire giungere da lui una sola parola di difesa. L'avrebbe odiato. Calpestare così la sua dignità era l'unica azione per cui Loki avrebbe ricevuto il suo odio.
Per questo tacque, per questo si morse la lingua e strinse i pugni fino ad affondare le unghie nei palmi mentre guardava la guancia di Sigyn diventare sempre più rossa, le sue labbra sanguinare ancora e i suoi occhi color cielo divenire più bui di un abisso.
«Nelle segrete» comandò Odino e la guardia afferrò con decisione la catena che legava i polsi di Sigyn. «Nelle segrete comuni.»
Loki dovette stringere la mascella con più forza, perché Odino non aveva ancora smesso di punirla. Forse non aveva neanche iniziato, costringendola nelle prigioni riservate ai più vili dei criminali, fra ladri e stupratori, fra truffatori e puttane.
«Odino?» Udì la voce di Frigga, la voce di sua madre e anche gli occhi di Sigyn si sollevarono.
Ma Odino mise a tacere ogni altra parola con un solo sguardo.
«Nelle segrete! Adesso! E che non venga permesso a nessuno di far visita a questa donna. Pena la fustigazione in pubblica piazza.»
La guardia batté i tacchi degli stivali e trascinò letteralmente Sigyn via. Con essa andò anche la seconda guardia.
Riuscì a scambiare con lei un solo sguardo prima che fosse condotta fuori dalla sala.
Le porte si chiusero e Loki sciolse l'anello che teneva la sua lingua.
«Con lui è stato facile. Con me dovrai impegnarti un po' di più, Padre degli Dèi.»
Odino si voltò a guardarlo e un sorriso si disegnò sulle sue labbra stanche.
«Sei vivo per un solo motivo, non attentare alla mia clemenza perché quel motivo potrebbe diventare irrilevante, figlio
Sorrise a sua volta.
«Hai perso poco fa il tuo unico figlio e per mano tua... Ti ringrazio per avermi permesso di assistere.»
«Loki... Basta adesso.» Si voltò a guardare sua madre e ogni foga si spense di fronte alla sua sofferenza.
«Hai stretto alleanza non con uno ma con due traditori, hai attaccato nuovamente le genti pacifiche di Midgard e, ciò non bastasse, hai permesso a Styrkárr di impadronirsi di Mjolnir. Basterebbe uno solo di quei crimini per condannarti alla forca.»
Odino invece non mostrò pietà per gli occhi lucidi di sua moglie, per la sua gola che sussultava a ogni parola, per le sue mani poggiate sul petto. E la rabbia di Loki crebbe.
«Dimentichi di aggiungere ciò che hai visto in quella casa, ma crimine più, crimine meno, sai cosa importa?! Scegli pure quello che più ti aggrada e poi liberami dal fastidio di questa vita. Hel sarà di certo più piacevole del sopportare un secondo di più il tedio delle tue parole.»
«Sopporterai questo tedio per i prossimi secoli se avrò voglia di sprecarli con te, moccioso arrogante!» La lancia batté sul pavimento di pietra facendo vibrare l'aria stessa. «I tuoi intrighi devono giungere alla fine, Loki. Hai fino all'alba per decidere se collaborare o meno e alleggerire la colpa che grava sulle tue spalle. E ringrazia Frigga se ti è stata concessa questa scelta.»
Trovò ancora gli occhi di sua madre.
«Risparmiati una notte insonne: non avrai aiuto da me. Chiama pure il flagellatore ed evitiamoci ulteriori perdite di tempo» sentenziò con determinazione ma Odino proruppe in una risata che celava in verità tanta tristezza, e Loki era abbastanza avvezzo alle maschere per poterne scorgerne i contorni su un qualsiasi volto, anche su quello del Padre degli Déi.
«Se chiamerò il flagellatore non sarà per te.»
Sentì i denti stridere gli uni sugli altri il respiro galoppare nei suoi polmoni.
Guardò ancora sua madre e poi Odino.
No, Frigga non lo avrebbe permesso, non avrebbe permesso che le fosse fatto del male, non adesso che il corpo che conteneva il suo amato figlio aveva semplici e fragili carni mortali.
«La mia risposta è no» ribatté deciso.
«Non tentarmi, Loki.» Lo sguardo di Odino si fece pericolosamente denso, ma era un bluff. Doveva esserlo, e Loki lo avrebbe portato a scoprire le sue carte.
«No» ripeté e poi sorrise tronfio. «Spiacente.»
Se Odino voleva fare quel gioco avrebbero giocato secondo le sue regole. Se era il suo aiuto per fermare Styrkárr che voleva, avrebbe dovuto comprarlo a un prezzo equo.
«Loki, per favore.» Frigga fece qualche passo verso di lui. «Non far vincere l'orgoglio.»
«Non è un consiglio che dovresti dare a me, mia regina.» Le rispose celandole la sofferenza che provava nel doverle donare un tale distacco.
«Risparmia il fiato, Frigga. Ha fatto la sua scelta, ma gli sarà comunque concesso il suo tempo per poterla rivedere.» Odino fece un cenno alle guardie che lo tenevano in custodia. «Alle celle. Il monito è lo stesso: nessuno porga visite senza il mio diretto permesso.»
«Non credo ci sia la fila per farmi visita» mormorò con beffa. Odino rispose con uno sguardo distante prima di tornare a sedersi sul suo trono, poggiandosi alla sua lancia.
Era vecchio e stanco, Odino, e Loki non provava altro che disprezzo per quell'uomo che un tempo aveva solo voluto rendere fiero.
I soldati stavano per portarlo via quando il Re parlò ancora.
«Mi accusasti di preferire Thor.» Si voltò e lo guardò freddamente. «Mi accusasti di considerarvi diversi e di avervi amato in modo diverso...» Se avesse guardato il volto di Frigga lo avrebbe visto bagnato. Ma Loki tenne lo sguardo su quello di Odino, su quell'unico occhio e sull'oro che copriva l'altro. «Ti renderà felice sapere che mai come adesso, davanti al mio cuore, siete esattamente uguali.»
Non rispose nulla, non una parola, non una battuta caustica.
Nulla.
Tornò a dargli le spalle e seguì le guardie fino alla sua cella.











***






Note:
[1] La Drunk Science Night è ispirata a questo piccolo adorabile video.



Note Tecniche:
Dal momento che da questo capitolo la storia avrà una divisione più netta fra Asgard e Midgard, volevo chiedervi se vi risulta comprensibile il passaggio fra i due mondi come attualmente è segnalato, ossia tramite questo simbolo [ ஐஐஐ ] oppure sarebbe più comoda una didascalia che riportasse per l'appunto “Asgard” e “Midgard” (o “Terra”) a seconda dell'ambientazione.
Se vorrete darmi la vostra opinione in merito, come sempre, sarò ben felice di ascoltarla ^^


Alla prossima.
Kiss kiss chiara
  
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