Capitolo 6
Ogni volta che ero triste andavo da sola al parco, senza una meta, senza
illusioni.Ma quel giorno era diverso, non sapevo se ero triste, felice o
arrabiata, mille cose insieme, Clelia, Laura e il viaggio. Là però potevo
riflettere senza nessuno che mi dava fastidio, adorava tutto di quel parco,
dagli alberi con poche foglie al prato sempre ricco di erba verde sperenza, ecco
cosa mi serviva, la speranza. Ogni volta che andavo al parco dopo aver fatto un
giro generale, andavo a "nascondermi" su una panchina, quella panchina un pò
nascosta dalle altre quella più isolata del parco, quella panchina che mi
rispecchiava. Ogni volta che tornavo su di lei, la vedevo sempre più stanca,
vecchia e mal ridotta, come me del resto. Quella volta però non c'era più.
Qualche stupido vandalo la aveva rotta, aveva rotto quella panchina per cui
andavo così pazza, quella panchina dove lasciavo i miei brutti pensieri, e
andavo in un mondo che non esisteva, un mondo dove ero io la ragazza popolare,
quella per cui tutti vanno pazzi, quella che io non sarò mai.
In ogni angolo della panchina c'era una data, partivano dal 8-11-01 fino a
all'ultima volta in cui mi ero seduta, il 12-11-04. Ogni volta prima di
andarmene a casa e lasciare sola quella panchina lasciavo la data del giorno in
cui ero triste. Scoprii quella panchina un giorno di Novembre, quando per
l'ennesima volta il ragazzo che mi piaceva tanto mi respinse. Quel giorno ero
davvero giù, e la scoperta di quella panchina solo mia, e non di Clelia o Lalla
o qualsiasi altra persona, mi rese più felice, con qualche bel pensiero in più.
Era mia e basta. Nessuno poteva dividermi da lei, nessuno tranne quel vandalo.
Per me fu un brutto colpo vedere la mia panchina ormai tutta rotta e accasciata
su quel prato, che sembrava di tutti i colori tranne verde speranza. Perchè non
ne avevo più, anche l' ultima cosa a cui volevo bene era sparita, e con lei una
parte di me. Forse era il destino, quel giorno in cui mi sentivo bene e male
nello stesso tempo, quel giorno forse in cui non ero più una bambina che si
rifuggiava, in una vecchia panchina isolata, m
a ero un'adolescente che non aveva più un posto dove erssere lasciata sola.
Volevo fare qualcosa in onore della panchina, in onore di quella panchina che in
mille occasioni, senza volerlo mi aveva aiutata, quella panchina a cui volevo
così bene. Non sapevo però cosa fare e decisi che ci avrei pensato più tardi, e
mi misi a vagabondare per tutta la città, in cerca di nuove strade, negozie e
persone, ma sopratutto in cerca di me, l'unica cose che davvero non avevo mai
trovato!
" Eccomi!" dissi aprendo la porta con la chiave.
" Era ora! Ma dove sei stata?" mi chiese mamma mentre scongelava qualche schifo
di surgelato.
"Te lo ho già detto! Al parco con Clelia..."
"Non è vero! Clelia ha chiamato dieci minuti fa per sapere che compiti avete per
domani.."
" Bè ecco..."
"Dimmi la verità.. Con chi sei stata? Con un ragazzo?" si magari, pensai.
"No! Ma che ti viene in mente?Sono stata con lei fino a cinque minuti fa, la ho
accompagnata a casae poi sono venuta subito qui."
"Mi devo fidare?" mi chiese con aria di sfida.
"Fai come vuoi..."
"Va bè, ora vieni qua che è pronto.."
Anche questa volta l'avevo ingannata, ma per quante volte sarei riuscita a farlo
ancora? Certo per me non era un problema vagabondare per la città, ma per mia
madre si!
Già immaginavo le sue solite ramanzine:
- Ma sei pazza? Camminare da sola per la città? Di sera per giunta! No! Non è
proprio il caso, con tutti quei maniaci e barboni che girano qui a Roma!!!" -
Quindi meglio acqua in bocca! E poi è da sfigati uscire da soli, non voglio che
si sappia in giro.
Appena finito di mangiare corsi in camera mia per essere lasciata ancora un pò
da sola, così da completare la giornata della solitudine. Misi quindi il mio CD
preferito dei miei adorati Queen e mi buttati sul letto. Questa volta dai miei
occhi non scappò nemmeno una lacrima, ma restarono tutte dentro per soffrire di
più, di un male
apperentemente inesistente ma che dentro bruciava più di qualsiasi ferita
esterna.
In realtà non c'era un vero e proprio motivo per essere così triste... Ma con
Clelia non era più la stessa cosa, e in quel momento tutti i bei momenti che
avevo passato con Clelia mi folgorarono la mente, ricordai la nostra amicizia
dal principio,mi apparve la scena di quando ci fummo conosciute per la prima
volta.
Era una calda giornata d' estate e il sole riscaldava il mare che brillava, era
di un colore stupendo, era turchese. A quell' età io ero davvero insopportabile
come la mia "adorata sorellina", viziata come non mai.
Mi ero appena litigata con Silvia la mia amichetta preferita di quando ero
piccola, fu un litigio pazzesco perchè non facemmo mai più pace, ancora oggi
però quando la vedo da una parte ricordo quanto eravamo amiche, ma dall'altra di
quanto mi aveva trattata male quando mi escluse dal fantastico club in cui lei
era stata invitata e io no.
Di quello stupido club che aveva rovinato la nostra amicizia speciale.
ll club si chiamava -Le più belle- lei era una di quelle, io no.
Non sono mai stata bella quindi le altre non mi volevano nel club. Lei si,
insistette per fare entrare anche me, ma non c'era nulla da fare, Sonia e le
altre non mi volevano proprio.
Credo però che sia stato un bene non essere stata scelta così ho conosciuto
Clelia. E poi quel club esisteva ancora e Silvia e Sonia erano le fondatrici
ufficiali.
Così le chiesero di scegliere, o me o il loro stupidissimo, non che superficiale
club.
Lei ovviamente scelse la seconda opzione, il club.
Tutte noi bambine volevamo partecipare a quel club, e così mi lasciò sola.
Forse anche io avrei fatto la stessa cosa al suo posto. Ma Clelia no.
Ero sola, in un angolino del lido, piangevo e era raccolta in me, come un
fagotto. Allora una bella bambina mi salutò, io credendo fosse Silivia mi girai
felice ma quando scoprii che non era lei, continuai a piangere triste. Mi chiese
cosa avevo, ma io non gli spiegai nulla.
Però vidi degli occhi amici, di cui potermi fidare, degli occhi azzurri come il
mare, i suoi.
E allora decisi che lei sarebbe diventata la mia migliore amica, la migliore di
tutte. Inziammo a parlare di giochi e mi insegnò a fare uno sputo lungo un
metro.
Ecco di cosa avevo bisogno di una amica-maschiaccio, una di quelle a cui non
importa l'aspetto fisico e di essere belle.
Però credevo che appena le altre sarebbero arrivate per chiederle di partecipare
al club lei avrebbe accettato, ma quando arrivarono lei non accettò.
Ricordo le esatte parole: - No grazie rimango qui con la mia nuova amica
Vera!!!- .
Bastò un 'ultima occhiata per non dividerci mai più, dal quel giorno facevamo
tutto insieme, e io gli feci scoprire la danza.
Forse non dovevo farla troppo tragica, in fondo ci volevamo ancora bene.
Avevo davvero esagerato, e poi doveva ancora venire la parte bella di Dicembre,
quella del viaggio.
Così chiusi gli occhi e mi addormentai, finilamente dopo tante ore serena.