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Autore: Koaluch    24/04/2014    4 recensioni
Tutti potevano ammirare il lato luminoso della Luna, proprio come tutti potevano vedere in Ale la persona brillante che era. Pochissimi esseri umani però erano riusciti a vedere il lato oscuro della Luna, quello nascosto alla Terra.
Così come questo meraviglioso satellite eclissa il suo lato buio, Ale, il nostro protagonista, cela nel suo animo un segreto che lo macchia nel profondo, obbligandolo a nascondere quella parte di sé che l'ha cambiato drasticamente da quando aveva tredici anni.
Il nostro protagonista si ritroverà ad odiarsi, o meglio, odiare ciò che si cela in lui, poiché se stesso è ciò che mette davvero in pericolo la persona che ama.
Ma perché è diventato così? Perché non può avvicinarsi a lei, che subito entra in campo l'istinto di farle del male?
Nessuno sa come e perché quel giorno il fato ha deciso di cambiare la sua vita per sempre.
 
"Perché quella ragazza magnifica non sarebbe mai potuta essere sua. Nemmeno se Ivan non fosse mai esistito. Nemmeno se quell'episodio al mare non fosse accaduto. Nemmeno se lei lo avesse voluto."
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tre anni prima.

Ale ha solo tredici anni e noi… La sua famiglia non è idonea a crescere un ragazzino come lui, sente troppo la mancanza dei suoi genitori, anche se non se ne rende conto nemmeno lui.”
“Si lo so Dario, ma io e te non possiamo farci nulla. Prima o poi crescerà, il marmocchio, e allora capirà.”
I due discutevano nel salone della lussuosa villa di quartiere nel Wembley, a Perth, che i genitori avevano lasciato loro prima di svanire nel nulla. Ufficialmente loro padre era partito per impegni lavorativi appena fu nato il suo ultimogenito, Alexandre, lasciando la madre sola a crescere lui e i suoi due fratelli, Dario e Marco. Quando questi ultimi furono abbastanza grandi per guardarsi da soli e lavorare, lasciò il piccolo di nemmeno nove anni al fratello più grande che ne aveva appena sedici e partì senza lasciare tracce. I fratelli maggiori avevano provato a cercare i genitori qualche mese dopo, ma non li trovarono e giunsero alla conclusione che non volevano farsi rintracciare. Un giorno poi arrivò loro una lettera da parte della madre che diceva solamente che si trovava a Londra e di raggiungerla, se avessero voluto. Ma la loro vita ormai era stabile e nessuno di loro voleva separarsi dal luogo in cui erano nati per andare da una donna che nemmeno consideravano una madre.
“Io non so se ce la faccio. Non posso fargli da padre. ormai sono quattro anni che va avanti così e ultimamente frequenta quei ragazzi… Gli ho beccato una siringa! Era nuova fortunatamente, ma Ale è capace di tutto e lo sai. Potrebbe non capire che quello che fa è sbagliato. ” Dario era preoccupato. Quella era una cosa grave, specialmente per un tredicenne! Certo, Ale non era mai stato un angioletto e spesso finiva col mettrsi nei guai. Sembrava quasi che fosse gratificato dal trovarsi in brutte situazioni, ma non aveva mai puntato a tanto. Dario era dell'idea che questo fosse troppo persino per lui.
"Ascolta, capisco che per te è una situazione difficile ma cerca di preoccuparti un po' meno. Un periodo del genere lo abbiamo passato tutti, perfino tu signor perfettino", completò la frase con una mezza risata. Marco era il tipo che non si faceva sconvolgere da nulla e si preoccupava poco, a volte anche troppo poco. Non lo faceva per cattiveria, era il suo carattere, tranquillo e fiducioso. Suo fratello invece era tutto il contrario, ma non per questo i due non andavano d'accordo anzi, si completavano a vicenda.
“Marco, è diverso, noi eravamo più grandi”.
Gli tornarono in mente i duri periodi in cui voleva mollare tutto e andarsene. Proprio quando i suoi genitori gli avevano mollato addosso un milione di responsabilità senza nemmeno chiederglielo, e gli era toccato abbandonare la vita di prima per sostituirla con quella odierna. Era stato un periodo difficile e a volte aveva commesso qualche sbaglio, solamente per sfogarsi un po' in compagnia d suo fratello.
"Ale è stato costretto a crescere più in fretta di noi."
"Non voglio che sia costretto a fare nulla, deve crescere come un bambino normale. "
Il tono non ammetteva repliche, ma Dario in cuor suo sapeva che non sarebbe mai stato possibile, non dopo quello che avevano passato.
"Che dici... lo andiamo a recuperare?”, domandò già sull’uscio. Non lo dava a vedere, ma anche lui in fondo si preoccupava per il fratellino.
“No, non oggi, ma stasera gli parlerò”, ancora non sapeva che quella sera, il fratello non avrebbe potuto ascoltarlo.

Ale camminava sui prati nella periferia della città, le gambe minute e abbronzate grazie all'intera estate passata al mare, che si muovevano rapide. Sapeva che non doveva essere li e il fatto lo elettrizzava e lo spingeva ad andare avanti anziché frenarlo, come sarebbe successo ad un bambino normale. Si, perché la sua vita non era normale, si disse, la sua famiglia non era normale, i suoi amici non erano normali, nemmeno il modo in cui ragionava era normale. Pur essendo solo un ragazzino aveva una mentalità fredda, logica e calcolatrice, insolita.
Da quando era nato non aveva fatto altro che odiare i suoi genitori. Suo padre lo aveva lasciato solo con la madre quando era appena nato e quest’ultima  lo aveva sempre inspiegabilmente ripudiato. Eppure a Dario e Marco li trattava come due principi, accontentandoli sempre e facendo loro sorrisi e carezze. Solo quando lo difendevano sfogava la sua rabbia anche su di loro. Ma questo non aveva contribuito nemmeno un po’ a separare quei tre: erano indivisibili.
Superò un parchetto in cui alcuni ragazzini della sua età con vestiti dai colori sgargianti, si trovavano seduti in cerchio tenendo in mano delle carte da gioco ed esultando più o meno a seconda di quanta fortuna avevano dalla loro parte. Avrebbe voluto una vita così, per non far preoccupare il fratello, ma il pericolo e l’illegalità lo attiravano molto di più. Quella era la vita per lui, l’unica che lo allettava, forse perché sentiva di non avere niente da perdere.
Mentre era perso nei suoi pensieri, gli occhi marroni e lucenti alzati al cielo, un ragazzo alto e biondo, visibilmente più grande di lui, gli venne incontro.
“Hey piccoletto”, lo prese in giro, scompigliandogli i capelli scuri in un gesto affettuoso.
“Ti ho detto di non chiamarmi così”, fece minaccioso.
“E dai, vieni qui. È almeno qualche settimana che non ti si vede più in giro. Che fine avevi fatto?”
“Ho… Ho avuto qualche problema con mio fratello”, si tenne sul vago. Non voleva rivelare la discussione che avevano avuto tre settimane prima, per la quale si era tenuto lontano dai suoi amici tutto questo tempo. Voleva bene a Dario e non era felice se litigavano, ma desiderava che capisse che non era suo padre e non poteva trattarlo come un bambino.
“Tutto risolto? Non vogliamo che il nostro piccoletto passi dei guai”, si era avvicinato un ragazzo più piazzato e nerboruto degli altri. Il tipo aveva i capelli neri come il carbone coperti da un cappello a visiera piatta e uno sguardo altrettanto cupo. Aveva un atteggiamento altezzoso e strafottente, accentuato dal suo abbigliamento con tanto di pantaloni a vita bassa e una canottiera aderente.  Il tipo era seguito da un gruppetto di ragazzi che non mostravano più di sedici anni,  anche se Ale non sapeva esattamente la loro età. Salutarono Ale con dei cenni, qualcuno gli diede una pacca affettuosa sulla spalla.
“Maikol, basta chiamarmi così, non iniziare anche te, ora!" Il ragazzo lo fissò serio e si creò una certa tensione, ma dopo qualche secondo sfoggiò un sorriso a trentadue denti che tranquillizzò tutti.
 "Ragazzi… Mi siete mancati”, disse dopo un po' perdendosi in un sorriso timido.
“Anche te, si sente quando non ci sei.” Sorrise Maikol.  "Abbiamo una cosetta per darti il bentornato, direi di andare al solito posto”. Ale già sapeva di cosa si trattava e l’idea lo fece sentire emozionato. Non aveva la loro stessa età, ma nonostante il soprannome che gli avevano fastidiosamente affibbiato lo trattavano come fosse uno di loro probabilmente perché fin da subito ed era piaciuto a Maikol; e se era piaciuto a Maikol, di conseguenza era piaciuto a tutti.
Se lo ricordava come fosse il giorno precedente, quel pomeriggio in cui li aveva incontrati. Si era ritrovato a girovagare da quelle parti dopo aver visitato un negozio di fumetti aperto proprio una settimana prima. Notando il parco aveva deciso di iniziare a leggere il volume di "Ken il Guerriero" fresco di stampa in una zona appartata di quell'immmensa distesa verde. Dopo nemmeno una mezz'ora un gigante minaccioso lo intimò ad andarsene. Era la prima volta che vedeva Maikol e non ne aveva avuto paura nemmeno in quel caso.
"Non vedi che sto leggendo? Trovati un altro posto." E senza batter ciglio tornò a dedicarsi alla sua lettura.
Maikol, che era la persona più stimata del suo gruppetto, non era abituato ad essere contraddetto, ma c'era qualcosa di interessante nel ragazzino, partendo dal fatto che era il primo che, così debole (perché era un bambino, non poteva essere alla pari con lui) lo sfidava.
Sorrise lasciando sorpresi i suoi amici che sicuramente si aspettavanno uno scatto d'ira."Come ti chiami ragazzino?"
E ovviamente la sua risposta fu: "Non chiamarmi ragazzino".
"Hey Ale, ma hai sentito?" Stavano camminando per i prati, incrociando di tanto in tanto qualche coppietta sdolcinata che passeggiava o una vecchietta che portava a spasso il suo fedele cagnolino da compagnia. Mentre avanzavano Kevin, il fratello di Maikol, stava raccontando qualcosa, che però ad Ale era sfuggito mentre rifletteva. Senza parlare gli si stampò in viso un'espressione da pesce lesso che incitò il ragazzo a ripetere il racconto. Il gruppo dovette ascoltare per l’ennesima volta la storia di Kevin che aveva rubato in un supermercato e di come aveva fatto a scappare.
“Ve l’ho già detto che mi sono nascosto su un albero?”
“Si ce l’hai detto, Kevin”, risposero in coro.
“Sei salito su un albero per nasconderti? E non ti hanno visto?” Chiese Ale che, al contrario degli altri,  ascoltava la storia per la prima volta.
“No, era un albero molto grande. Almeno di otto metri di altezza. No che dico, dieci!  E sono arrivato quasi su in cima.” Ale non credette molto a quella storia ma evitò di dirlo. Di sicuro se non se l’era inventata, la stava esagerando enormemente.
Il ragazzo era più basso e magro del fratello, ma di viso si somigliavano tantissimo; Kevin però aveva un atteggiamento e un modo di parlare che aveva indotto Ale a pensare che fosse poco sveglio.
Superarono la solita fontana spenta ormai da anni che segnava l’approssimarsi del loro punto di ritrovo.
 Infine arrivarono in uno spazio erboso che non arrivava alla decina di metri di diametro, contornato da alberi, siepi e cespugli. Rivolte verso il centro vi erano due panchine dimenticate, una accanto all'altra, rovinate, logore e piene di graffiti. I cinguettii degli uccelli si sentivano in lontananza. Oltre quelli, non un altro rumore se non quello del vento. Ne esistevano pochi di posti così in tutta Perth, essendo la città splendida e pulita. Quello però era il posto ideale per loro: tranquillo, silenzioso, lontano dalla città e da occhi e orecchie indiscrete.
Il gruppo di amici si sedette sulle panchine, qualcuno per terra. Ognuno aveva il suo posto abituale.
“Hey Kevin, dammi una sigaretta”, se ne uscì Manuel, il biondo, allungando una mano.
“Hey, non puoi andare avanti a scrocco!”
“Oh, no! Ecco che ricominciano…” Sibilò Jacob. Era un ragazzo dal fisico talmente minuto che sarebbe potuto passare per un coetaneo di Ale, aveva la testa rasata coperta da un cappello bianco e indossava una maglia dello stesso colore che scendeva morbida e leggermente larga su un paio di jeans che arrivavano al ginocchio. Guardò Kevin e Manuel con un'aria esasperata.
I due continuavano. Lo facevano sempre, tanto che non riusciva più a sopportarli nessuno. Si trovavano in contrasto di idee per ogni cosa, anche la più inutile.
“Basta ragazzi!!”, al ringhio di Maikol calò il silenzio tra i due. In quel gruppo era come un capo, eletto dagli altri per tacito accordo. Tutti lo rispettavano e chi non lo faceva non era più tra loro.
" Allora, festeggiamo il ritorno di Ale o no?"  A parlare era stato Gabriel, un ragazzo timido, forse il più semplice di tutti. Non urlava, non litigava con Kevin e soprattutto pensava sempre a divertirsi: non era un piantagrane ed ad Ale piaceva più di altri. Non che agli altri non volesse bene, anzi, però preferiva i tipi tranquilli come Gabriel a persone che erano capaci solamente ad urlare e creare scompiglio inutilmente.
Maikol si girò verso di lui e gli passò un piccolo oggetto dalla forma allungata. “Prendi Ale”, fece un sorriso malizioso.
La prese in mano, la siringa. Ora aveva paura, mista ad adrenalina e emozioni indefinibili che gli facevano sudare i palmi delle mani: era la prima volta che prendeva una droga. Se li asciugò di nascosto sui jeans. Poi guardò quell'ago, quella punta che gli avrebbe perforato la pelle e dopo, almeno da quanto si diceva, lo avrebbe fatto stare bene, dimentico dei problemi e finalmente felice.  Ora toccava anche a lui, l’aveva deciso Maikol.
Una situazione di insicurezza lo pervase: è vero che amava il pericolo, ma forse non era troppo? Come avrebbe guardato in faccia Dario, una volta a casa? Come avrebbe continuato a vivere normalmente dopo quell'avvenimento? Sentì che il suo corpo iniziava a tremare per la paura e l'adrenalina, partendo dalle gambe e giungendo fino alle mani che, era evidente, stavano mostrando la sua esitazione a tutti.
Al diavolo Dario pensò non può comportarsi come se fosse mio padre. Dopotutto voleva! Quella cosa lo attirava e poi i suoi amici lo facevano come niente fosse, per una volta che male c’era? Si convinse e si preparò.
Avvicinò la siringa alla pelle con aria tranquilla, come aveva visto fare agli altri, ma non riuscì a non pensare ai fratelli e alla delusione che stava dando loro.
Un fremito alla mano lo fece vacillare e la siringa scivolò dalle sue mani sudate nella siepe. Ale imprecò, sentendo le guance andare a fuoco.
“Ma che diavolo fai?! Riprendila, non puoi lasciarla li.” Ecco, lo sapeva che Maikol si sarebbe irritato. Aveva pensato che era pronto e lui l'aveva deluso. No! Non l'avrebbe deluso pensò Ale in un attimo di coraggio. Si affrettò a cercare la siringa. Ora provava imbarazzo, lo stava deludendo. Mise testa e braccia nella siepe. I rami gli graffiavano la pelle in un tale bruciore e prurito, che dovette ritirare almeno il viso, continuando però a tastare con le mani. Passarono alcuni istanti, poi toccò qualcosa di pungente, la tirò fuori tenendola per l’ago e constatò che appena una gocciolina rossa bagnava il suo dito nel punto in cui si era punto per recuperarla. Maikol fece per prenderla ma Ale, con un gesto istintivo, la tolse immediatamente dal suo raggio d’azione. Era finalmente la sua occasione e non voleva sprecarla in quel modo. Inoltre si sentiva umiliato dal modo in cui lo stava trattando, come se non fosse al loro stesso livello. Sentiva di meritarsi di più del ruolo di piccola mascotte che i ragazzi gli avevano attribuito, voleva essere uno di loro.
Maikol parve contrariato dal gesto del ragazzino. “Cosa vuoi fare, piccoletto? Non sei ancora pronto”,  stavolta il “piccoletto” non aveva nulla di affettivo.
Per tutta risposta, Ale lo guardò con fierezza dal suo metro e sessanta di altezza. Infilò l’ago con decisione nella pelle e strinse i denti, finché la siringa non si svuotò completamente. Dopodiché tornò a guardare Maikol con aria di sfida. Ormai lo aveva fatto e né Maikol, né Dario, né nessun’altro potevano più impedirglielo.
Maikol, che non era di certo un ragazzo tranquillo, gli sferrò un pugno in pieno viso. Il dolore arrivò subito dopo lo spavento e Ale cadde in ginocchio mentre le orecchie ronzavano. Mentre tentava di mettere a fuoco le immagini sentiva che gli altri stavano allontanando il suo aggressore da lui.
“Gli sta bene!”, sputò Maikol, “lasciatemi ora!"
Non aveva paura di Maikol. Lo aveva contraddetto e questo lo rendeva fiero di sé: si sentiva coraggioso. Nessuno lo faceva. Però aveva timore che il gruppo potesse allontanarlo perché era ciò che succedeva a quelli che si mettevano contro di lui e, ora che finalmente poteva essere alla loro pari, gli sarebbe dispiaciuto davvero perderli.
Gli altri cercavano di difendere Ale evitando però di attirare l’ira di Maikol, finché quest'ultimo non capì che era inutile e si calmò un po’.  Quando la situazione si ristabilì del tutto, si diresse con tranquillità verso il ragazzino gli diede addirittura una mano ad alzarsi.
"Te lo sei meritato piccoletto, però hai fegato, ecco perché mi piaci!  Magari ti meriti la tua prima volta anche te!” gli disse dandogli una pacca sulla spalla.
Ale non lo ascoltò, aveva un problema. Lì, seduto per terra si sentiva bene, ormai aveva smaltito gran parte della paura e del dolore, ma appena fu in piedi il mondo cominciò a vorticargli attorno e un bruciore insistente cresceva dal piccolo puntino rosso che aveva sul braccio, percorrendogli ogni tendine e legamento e impossessandosi di tutto il corpo.
“Hey Ale, mi senti?” Lo chiamò quando si accorse che non gli rispondeva.
Ale voleva parlarci ma il bruciore aumentava sempre più finché non si ritrovò ad urlare senza neanche accorgersene. Non è l’effetto dell’eroina pensò, non può essere! Ne fu sicuro quando vide gli altri intorno a se che si preoccupavano.
Vedendo i suoi amici reagire in quel modo si spaventò ancora di più e cadde per terra in preda al panico. Il dolore lo assaliva, lasciandolo senza fiato. Cercò di gridare aiuto ma non gli uscivano suoni dalle labbra. Non poteva fare altro che rimanere accucciato con la testa fra le mani  e sperare che il dolore smettesse.
“Cosa sta succedendo?”
“Non ne ho idea, quella è la solita roba, niente di strano.”
“No ragazzi, questa è la solita roba” Manuel mostrò loro una siringa, del tutto identica all'altra, che aveva raccolto dalla siepe in cui Ale l'aveva fatta cadere nemmeno cinque minuti prima.
“Ma, allora quella cos'era?”
“Non so, ma non era roba nostra… E sicuramente non è la stessa siringa che gli è caduta.”
I ragazzi continuarono a parlare allarmati, ma Ale non riusciva più a capire ciò che dicevano. Non era più conscio di ciò che lo circondava, sentiva solo quel delirio, stava andando a fuoco senza le fiamme. Durò un infinità, poi finalmente finì e il buio si impossessò di lui.


 
 
    


 
Spazio autrice.
Ecco il primo capitolo. L'ho aggiunto subito perché il prologo è un po' piccino, quindi mi sembrava il caso di scrivere qualcos'altro. In realtà questo capitolo è comunque un'introduzione alla vera storia, possiamo chiamarlo pre-storia, perché spiega alcune cose fondamentali successe prima della vera storia e ci fa capire la situazione generale. Dal prossimo inizierà tutto e perciò il prossimo capitolo sarà ancora un po' più lungo (ovviamente non sarà un poema xD)
Spero che vi piacerà e portate pazienza ^^'
Un bacione, Koaluch.
   
 
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