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Autore: Katie Who    25/04/2014    0 recensioni
«Fossi in te mi laverei bene le mani.» - le disse ridendo e poi mettendo in moto. Effettivamente la mano con cui aveva aperto lo sportello la sentiva umida ed appiccicosa, ma era una sensazione con cui stava imparando a convivere da quanto trascorreva ore con Nick. - dal terzo capitolo.
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Post prima stagione.
[NickXNuovo Personaggio] [Accenni: ElenaXClay]
Rating provvisorio.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Dio si è riservato la distribuzione di due o tre piccole cose sulle quali non
può nulla l’oro dei potenti della terra: il genio, la bellezza e la felicità.”
Théophile Gautier.














Nashville, Tennessee.
Anno accademico 2002-2003 e 2003-2004.


Ci sono cose alle quali si finisce col fare l’abitudine.
Le persone che premono il tubetto del dentifricio a metà, gli automobilisti che parcheggiano occupando due posti,  il cellulare che si scarica proprio quando ne hai più bisogno, l’influenza il primo giorno di vacanza, e cambiare famiglia. Forse quest’ultima non accomuna proprio tutti, ma sicuramente è una delle costanti nella vita di Emily.
Una costante che questa volta sembra essersi interrotta. La famiglia a cui era stata data in affidamento, la seconda in quell’anno,  l’aveva rimandata indietro, come se fosse un pacco postale, ma lei non gliene faceva una colpa. Non era ancora abbastanza grande da capire tutto, ma il signor Howen aveva perso il lavoro e come aveva sentito urlare alla moglie, non potevano permettersi pure una figlia. Solo che poi l’avevano ripresa, ci avevano ripensato, erano tornati indietro proprio per lei. Nessuno lo aveva mai fatto prima d’ora. Ed Emily ne aveva passate troppe per potersi definire fiduciosa, ma quel gesto l’aveva sorpresa. Era tornata a vivere con loro, in un modo completamente diverso da prima. Adesso lei era diventata la loro benedizione, ogni suo capriccio veniva prontamente accontentato. Nella nuova casa aveva una camera tutta per sé, arredata come una casa delle bambole. Emily a quattordici anni, aveva finalmente un posto da poter chiamare casa. E qualcuno a farle da quasi-genitore. Si perché gli Howen si assicuravano solo che a lei non mancasse il cibo, i vestiti ed un luogo in cui tornare, ma al di fuori di questi ambiti, le rivolgevano a stento la parola. Troppo concentrati sulla loro nuova macchina, o sul loro prossimo viaggio. Da qualche parte aveva sentito dire che la felicità è contagiosa, eppure lei sembrava esserne immune. Di lì a poco avrebbe iniziato la scuola superiore, ora che l’adozione era definitiva non doveva più temere un improvviso trasferimento, poteva finalmente cercare degli amici. La Nashville High School raccoglieva per la maggior parte gli studenti provenienti dalla sua Middle School, con il risultato che fra di loro gli studenti si conoscevano già tutti. Era inutile cercare di entrare a far parte dei gruppi più popolari, lei era la nuova arrivata, troppo anonima per venir notata. Riuscì però a trovare alcuni ragazzi con cui fare amicizia, nel gruppo che da tutto il resto della scuola veniva classificato come quello degli “sfigati”. Sfigati perché meno attraenti, ma incredibilmente intelligenti, e si sa che a quattordici quindi anni un QI sviluppato è tutto tranne che un pregio. Gin, Steve e Clarke. Emily non era affatto intelligente quanto loro, né tantomeno aveva avuto in passato occasione di coltivare i suoi interessi specializzandosi in qualcosa. Quando cambi famiglia tre volte l’anno hai altre priorità. Però loro l’avevano accolta, l’avevano messa in guardia dai pericoli che si nascondevano per quei corridoi ed erano diventati il suo nido. Gin un giorno sarebbe diventata un fenomeno della fisica, Clarke programmava da solo il suo computer, ed hackerava con incredibile facilità il sistema di sicurezza della scuola, riempiendo la homepage di foto photoshoppate del preside. E poi c’era Steve, quello che in altri tempi sarebbe stato definito un poeta maledetto. Le aveva fatto leggere alcune delle sue poesie, e perfino l’abbozzo di una sceneggiatura teatrale.  Erano un gruppo unito ed affiatato, la loro amicizia aveva traballato solo in un istante, quando lei aveva confessato il peccato mortale. Non era stata colpa sua, non l’aveva voluto, anzi lo aveva combattuto, eppure era accaduto lo stesso. Lo aveva incrociato solo per qualche istante nel corridoio della mensa, e se ne era innamorata a prima vista. Aveva ignorato la vistosa uniforme della squadra di basket, aveva ignorato i due scimmioni che gli camminavano ai lati, aveva ignorato tutti gli evidenti segnali che lo inserivano in una classe gerarchica intoccabile per lei. Nick Sorrentino. Il numero due della squadra di pallacanestro della scuola. L’apice della catena alimentare, il faraone ai tempi dell’Antico Egitto, il Giulio Cesare della storia di Roma. Insomma, una sorta di creatura mistica, che doveva essere nata dall’incrocio di un dio con un miracolo, perché Emily non si riusciva a spiegare come tanta perfezione potesse essere stata concentrata in un solo essere umano. La squadra di basket era oggetto delle arringhe più feroci da parte del suo gruppo, ma sapevano anche di dover assolutamente evitare di venir sentiti. Erano adorati dall’intera scuola per aver vinto il campionato due anni consecutivi, ed ora si accingevano a fare tripletta. Emily lo sapeva che era impossibile, Nick cambiava ragazza forse anche più di una volta al giorno, ma tutte appartenevano al suo livello. Nemmeno le vedeva le altre, quando passava per i corridoi era come se i suoi occhi censurassero in automatico chiunque non fosse degno di un loro sguardo. Gin, la povera e dolce Gin, era stata costretta a subire i suoi drammi sentimentali per oltre un anno, continuando sempre a ripeterle la stessa cosa: lascia stare.  Perché se anche per errore uno come Nick Sorrentino le avesse mai rivolto la parola, le ragazze dell’ultimo anno l’avrebbero scuoiata viva. Steve da vero amico le aveva sintetizzato la sua situazione sentimentale, su una mappa concettuale.

Tu – 14 anni – Emily – sfigata - Howen
Lui – 17 anni – NICK –SONO DIO – SORRENTINO


L’aveva appesa sullo specchio che teneva in camera e l’aveva guardata ogni giorno per tutto il primo anno di liceo e seguente estate. E la stava guardando anche quel giorno, il primo del suo secondo anno.  
Non si fermava mai a fare colazione, preferiva uscire ed andare dalle uniche persone che veramente le volevano bene. Gin, Clarke e Steve l’aspettavano alla fermata dell’autobus, euforici e felici per quel giorno che segnava la fine del loro anno da matricole della scuola. Sfigati lo sarebbero sempre rimasti, ma almeno non più matricole. Nick era seduto all’entrata principale, accanto alle colonne che decoravano l’ingresso, e come ogni altro giorno della sua vita, era meraviglioso. Gin teneva il braccio incastrato nel suo, e dovette quasi trascinarla via per evitare che rimanesse lì imbambolata a guardarlo. Accanto a lui c’era Rebekah Miller, un’altra creatura divina, mandata lì per ricordare ai comuni mortali la loro infinita miseria. Nick e Rebekah stavano insieme dalla fine dello scorso anno, ma lei e tutta la scuola, erano a conoscenza delle distrazioni che il ragazzo si era concesso nel frattempo.
«Il giorno che si sposerà sarà dichiarato lutto nazionale!» - disse mentre insieme a Gin prendevano i libri dagli armadietti. Ma tanto lei quel giorno non l’avrebbe visto, lei sarebbe morta alla fine di quell’anno quando Nick si sarebbe diplomato lasciando la scuola. Se non le fosse stato vietato avrebbe indossato il velo di lutto già quel giorno.
«Gli alunni del secondo e del quarto anno condivideranno le ore di laboratorio, così come quelli del primo e del terzo…» - l’annuncio veniva urlato ad un volume indecente dagli altoparlanti disseminati lungo tutti i corridoi. - «In modo da far proseguire i lavori di ristrutturazione ed agevolare i professori.»
«Noi siamo con quelli dell’ultimo anno?» -domandò Clarke togliendo le cuffiette dalle orecchie.
«Wow ed io che pensavo che l’anno peggiore sarebbe stato il primo!» - rispose Gin. - «Emy ci sei? Sei ancora fra noi?» - no, era morta e risorta, e poi morta di nuovo. Ora si trovava in un limbo.
«Pronta ad un anno di lezioni con il tuo amato?» - Steve avrebbe potuto scrivere un poema sulla faccia che stava facendo l’amica.
«N-n-noi…» - balbettò. - «Nella stessa classe?!» - lo scorso anno la volta che Emily era stata più vicina a Nick era stata  in palestra durante una partita. La palla era finita fra gli spalti, tre file sotto di lei e lui era corso a prenderla. Solo cinque metri li avevano divisi, ed almeno una quindicina di persone, ma quello era irrilevante.
«Ehi principessa, ci pensi dopo, abbiamo letteratura in prima ora!» - Gin la trascinò nell’aula. Era una tragedia, lei era inguardabile ed avrebbe diviso una stanza con Nick Sorrentino. Non c'era alcuna possibilità che riuscisse a superare quell'esperienza. Invece per sua fortuna l’inevitabile fu evitato, perché il primo giorno sarebbero state le matricole ad usare il laboratorio. Emily ci passò davanti uscendo da scuola con Steve, avrebbe potuto farlo saltare in aria, così il problema sarebbe sparito. Ma le ore di laboratorio con la classe di Nick arrivarono, nonostante lei avesse pregato più o meno ogni entità conosciuta, aveva perfino inventato una nuova religione con tanto di nuova divinità apposta per l’occasione. Sino a quel momento il suo rapporto con il trucco era stato conflittuale ed altalenante. Non aveva mai avuto abbastanza tenacia per imparare a truccarsi bene, ma non era abbastanza bella da poterne fare del tutto a meno.
«Ti sei messa il lucidalabbra per il laboratorio di chimica?» - non ci aveva sperato nemmeno mezzo istante che qualcuno sveglio ed intelligente come Gin non notasse quel dettaglio.
«Gin, se mi vuoi bene, avvelenami, non farmi soffrire ancora.» - le ragazze seguite da Clarke e Steve arrivarono in classe prendendo i posti. Quelli dell’ultimo anno arrivarono poco dopo, ma Nick ed il suo gruppo entrò perfino dopo l’arrivo del professor Baer.
«Non abbiamo perso le cattive abitudini Signor Sorrentino.» - disse l’uomo mentre i ragazzi prendevano posto.
«Ehi James, non è la stessa maglietta che avevi l’ultima volta quella? Sei rimasto chiuso in laboratorio tutta l’estate?» - Gin si voltò verso di lei con uno sguardo più che scandalizzato.
«Divertente, davvero divertente. Quasi quanto il darti l’insufficienza per l’ennesimo anno.» - disse il professore sedendosi alla cattedra e chiudendo quel dibattito. - «Cominciamo.»
«Professore mi scusi, ho una domanda.» - disse Clarke alzando la mano dal banco accanto al suo. Tutta l'attenzione delle due classi era concentrata sul suo amico, anche lo sguardo di Nick.
«Dica pure Signor Hale.» - rispose l’uomo avvicinandosi alle prime file.
«Come faremo a fare lezione insieme? Loro sono due anni avanti rispetto al nostro programma e-» - l’uomo sollevò la mano facendo segno al ragazzo di interrompersi.
«Grazie per averlo chiesto.» - disse gentilmente. - «Questa è sicuramente un’osservazione corretta, a differenza di altre fatte poco prima…» - aggiunse lanciando un’occhiata verso Nick. - «Voi siete una delle migliori classi che questa scuola abbia mai avuto.» - si glielo diceva sempre. - «Mentre loro, sono forse la peggior classe di cui il sistema scolastico americano abbia memoria.» - concluse generando una sommessa risata da parte di tutti gli studenti. - «I programmi combaciano perfettamente e semmai saranno loro a dover recuperare qualcosa. » - fatta quella precisazione la lezione poté iniziare, il programma riprendeva esattamente dal punto dove loro avevano interrotto qualche mese fa. Ogni tanto, nascosta da Gin, Emily cercava di guardare verso Nick, il ragazzo era sempre proteso all’indietro a parlare con uno dei suoi amici.
«Guarda come si tiene in equilibrio solo con la forza del braccio…» - sussurrò all’orecchio dell’amica, più interessata all’esperimento che stavano conducendo che alle perverse fantasie di Emily.
«Si Em, ma se non vuoi far crollare la media della nostra classe, è meglio che torni a concentrarti.» - in chimica andava benissimo. Il Professor Baer aveva una predilezione per lei, poteva anche concedersi quella celestiale distrazione.
«Quale composto otteniamo addizionando dell’acqua ad un alchene?» - domandò il professore, vedendo sollevarsi almeno quattro o cinque mani fra gli studenti del secondo anno, e nessuna fra quelli del quarto.
«Sorrentino? E’ una delle poche risposte a cui sono certo perfino lei è in grado di rispondere.» - Gin la stava di nuovo guardando sconvolta. Decisamente non correva buon sangue fra Nick ed il professore.
«Che ha detto?» - domandò il ragazzo, lasciando andare la presa che lo teneva in equilibrio. Il rumore della sedia che tornava ad appoggiarsi a terra con tutte e quattro le gambe sembrò quasi uno sparo, seguito poi dalle risate dei ragazzi.
«Le sto dando l’occasione di mostrarmi i risultati del suo ripasso estivo…» - disse l’uomo generando risate ancor più incontrollate di quelle di prima.
«Si fidi, non ha idea di quante ne ho ripassate quest’estate!» - disse il ragazzo. Il professor Baer tornò a sedersi alla cattedra.
«Dal momento che non sa rispondere, sarà contento di ricevere la sua prima insufficienza.» - disse prendendo la penna ed aprendo il registro. - «E come lei finiranno i suoi compari.»
«Alcool!» - rispose lei attirandone l’attenzione e prendendosi una gomitata da Gin.
«Chi ha risposto?» - domandò l’uomo. E lei alzò la mano.
«Emily.» - era incredibile come fosse mutato il suo tono di voce. - «Ovviamente la risposta è corretta.» - disse richiudendo il registro. - «Ma non l’avevo chiesto a te.» - non era importante, aveva evitato che mettesse un’insufficienza a Nick.
«Mi scusi.» - disse lei sovrastata dal suono della campanella.
«Grande Emy!» - le disse Clarke uscendo dall’aula correndo in direzione della sala computer.
«La nostra coraggiosa eroina ha sfidato il terribile professor Baer per il suo amato!» - aggiunse Steve sorridendo insieme a Gin.
«Piantatela!» - li rimproverò lei. Il loro tavolo all’ora di pranzo era in fondo alla mensa proprio vicino ad una finestra. Il secondo piano era territorio esclusivo degli studenti dell’ultimo anno e di quei pochi, ritenuti degni di mangiare in loro compagnia.
«Nick Sorrentino è pregato di recarsi in presidenza appena finita l’ora di pranzo.» - l’avviso ammutolì l’intera sala mensa. Era un’abitudine, Nick veniva sempre chiamato in presidenza.
«La Mitchell deve aver sentito la tua mancanza!» - urlò qualcuno al secondo piano. Lo scorso anno aveva perfino rischiato la sospensione, evitata all’ultimo solo perché la sua presenza è indispensabile per la squadra. Gli altoparlanti non si erano spenti ed un leggero campanello avvisò gli studenti che c'era un altro annuncio.
«Emily Howen è pregata di recarsi in presidenza appena finita l’ora di pranzo.» - avrebbe voluto sentirlo un’altra volta, per esserne certa. Il suo nome aveva davvero risuonato per ogni angolo della scuola?
«Baer non può averla presa così male…» - disse Gin.
«Non è che non hai pagato le tasse d’iscrizione?» - domandò Steve.
«Ha davvero detto il mio nome?» - chiese lei.
«Si!» - risposero in coro i due. Poco dopo li raggiunse Clarke, lui di solito mangiava nell’aula di informatica, mentre usava i computer, ma quando aveva sentito il nome di Emily nell’avviso si era precipitato lì.
«Guarda il lato positivo…» - le disse Gin. - «Farai anticamera con il tuo amato.» - se possibile quello peggiorava ancora di più la faccenda. Aveva paura, una paura che non riusciva a spiegare a nessuno di loro. Le era già successo di venir chiamata in presidenza, ed ogni volta il motivo era sempre e solo uno:  trasferimento. Finì di mangiare il più in fretta possibile e raggiunse l’ufficio della preside. Le sedie su cui attese erano davanti alla segreteria i cui telefoni non avevano smesso un attimo di squillare. L’ora del pranzo era finita da dieci minuti, ma la porta restava chiusa. Vide Nick arrivare appena svoltò nel corridoio, e neppure vedere lui riuscì a distrarla dalla sua paura. Prima che il ragazzo potesse sedersi la preside aprì la porta.
«Oh siete arrivati! Bene. Entrate.» - disse la donna lasciando la porta aperta e tornando a sedersi alla scrivania. Emily rimase seduta qualche istante in più, il tempo che Nick la superasse. Li aveva fatti entrare insieme, quindi era davvero per quello che era successo nel laboratorio. Entrò nell’ufficio della preside ed incrociò lo sguardo del professor Baer.
«Emily, siediti.» - le disse l’uomo con il suo solito tono cordiale ed affabile.
«Nicholas, cedevo che questo atteggiamento ce lo fossimo lasciato alle spalle.» - iniziò la donna. Emily si sentì in imbarazzo sentendo chiamare il ragazzo con il suo nome completo, non lo faceva nessuno. - «Sai perfettamente che per ricevere la raccomandazione per il college devi concludere l’anno con il massimo dei voti.» - Nick continuava a pretendere di non ascoltare. - «Hai già un’insufficienza in storia, ed oggi stavi per prenderne un’altra in chimica. Suppongo che tu voglia ringraziare la ragazza che te l’ha evitata.»
«N-» - stava per dire qualcosa, neppure lei sapeva esattamente cosa, ma Nick la sovrastò.
«Non si può essere perfetti in tutto. Chimica e storia non fanno per me. Se vuole posso pagare per avere una A, i soldi non mi mancano.» - Emily non riusciva a credere a ciò che stava sentendo.
«Devi ringraziare l'immensa stima che nutro per tuo padre se ancora non ho sporto denuncia.» - disse la donna. - «E’ nel tuo interesse migliorare.»
«E’ ovvio che da solo non puoi farcela. Fra gli allenamenti e le lezioni curricolari, ti resta veramente poco tempo da dedicare allo studio.» - disse il professor Baer. - «Per questo abbiamo fatto venire anche Emily.» - si era immaginata tante volte come sarebbe stata la prima volta che i suoi occhi avrebbero incontrato quelli blu oceano di Nick. Aveva fantasticato su un colpo di fulmine, o su uno sguardo timido, o magari uno malizioso. Ed invece avvenne in quel momento, nell’ufficio della preside, e fu uno sguardo di pura perplessità.
«Emily tu sei senza dubbio una delle migliori studentesse della nostra scuola.» - spiegò la preside. - «E sei anche l’unica che non svolge alcun corso pomeridiano.» - aveva un brutto rapporto con i corsi supplementari. Avendo in passato cambiato scuola molto di frequente, ogni volta che se ne andava lasciava nei guai le persone che avevano lavorato con lei, quindi aveva semplicemente smesso di iscriversi.
«Per questo abbiamo pensato che potresti aiutare Nick a recuperare.» - concluse il professore. E lei ebbe un microinfarto. - «Riceveresti dei crediti extra. Parlane con i tuoi e-»
«E’ fuori questione che io prenda ripetizioni!» - disse il ragazzo.
«Emily, grazie per essere venuta. Torna pure in classe.» - le disse la preside. Era confusa, disorientata ed abbastanza sotto shock, quindi ubbidì e li lasciò a parlare fra di loro. Gin, Steve e Clarke fecero con lei tutto il tragitto fino al portico di casa. La decisione era sua, agli Howen non cambiava nulla perché non c’erano mai quando tornava da scuola. In realtà, non c’erano mai, praticamente sempre.
«Mi ha chiamato la preside.» - disse Antonio appena Nick tornò a casa, rigorosamente più tardi dell’orario che gli aveva imposto.
«Non ti preoccupare.» - disse lui superando il padre. - «Com’era l’Italia?»
«Bella come sempre, devo ripartire domani, ma prima vorrei essere sicuro che tutto sia veramente a posto.» -  Antonio lavorava tanto e sempre, non c’era quasi mai in casa. Nick veniva servito e riverito da una schiera di domestici che badavano a tutto per lui. Il padre tornava almeno una volta al mese e quando ne aveva l’occasione si fermava per qualche weekend con il figlio. Si erano trasferiti a Nashville solo per far fare lì il liceo a Nick, il ragazzo non era mai stato entusiasto dell’idea, ma aveva accettato la decisione paterna. Andava a correre quasi tutte le notti, sentiva la mancanza di Clay e del suo Branco, correre con loro era molto più divertente che da solo. Tutto sommato però ormai si era abituato a quella città, conosceva i suoi boschi i suoi profumi, e soprattutto si era abituato al divieto di caccia ai lupi. Ormai erano passati cinque anni da quando si erano trasferiti lì, era stato anche lui il nuovo arrivato, ma a differenza di Emily si era subito integrato. Appena finito il liceo sarebbe andato al college, lontano e da solo, totalmente questa volta. Era stata una sua scelta, un suo desiderio, la su aprova di libertà. - «Ti serve la raccomandazione dei tuoi professori per entrare, non basteranno i tuoi risultati sportivi.»
«Lo so, l’avrò.» - la Mitchell e Baer erano stati piuttosto chiari, c’era un solo modo per avere quella lettera ed era migliorare in chimica e storia.
Gli alunni del secondo anno avevano appena finito l’ora di ginnastica, Emily era esausta, lei e Gin sembravano aver appena corso la maratona alle Olimpiadi. Si divisero da Clarke e Steve solo per andare a farsi la doccia e a cambiarsi negli spogliatoi. Considerando il grado di intimità che c'era fra loro quattro nessuno avrebbe battuto ciglio a vederli entrare nello stesso spogliatoio, ma le regole volevano che quello maschile si trovasse all'estremità opposta del corridoio.
«Oddio, oddio!» - disse una delle sue compagne di classe mentre lei, si frizionava i capelli con l’asciugamano.
«Avete visto?» - domandò un’altra.
«Cosa?» - chiese Gin inascoltata.
«Guarda quanto è bello!» - le risposero due delle ragazze che sbirciavano qualcuno nel corridoio.
«Ma chi?» - continuò ancora Gin.
«Nick!» - le risposero in coro quelle come se fosse una risposta ovvia. E per lei lo era, ma non per Gin che aveva tutt'altri gusti.
«Sta appoggiato qui davanti. Oddio!» - la lista delle spasimanti di Nick era lunga quanto il censimento. Emily lo sapeva, era l’unico “interesse” in comune che aveva con le altre sue compagne di classe.
«Ciao! Aspetti qualcuno?» - domandò una di quelle che era riuscita a farsi coraggio per approfittare dell’occasione di parlargli.
«Sei del secondo anno?» - gli chiese lui, e dato che nello spogliatoio si erano tutte ammutolite, la sua domanda risuonò amplificata. - «Emily.» - disse.
Una morsa allo stomaco così forte da farla quasi piegare su se stessa.
«Ok... te la chiamo.» - la ragazza tornò dentro chiudendosi la porta alle spalle ed ansimando come se fosse stata in apnea per tutto il tempo. Non importa quanto duramente si oppose all’idea di uscire lì fuori a parlare con lui, la scaraventarono nel corridoio con ancora l’asciugamano bagnato in mano. Nick la squadrò da cima a fondo e lei avrebbe voluto sprofondare negli abissi del pianeta.
«Mi hai salvato l’altro giorno a chimica.» - disse a bruciapelo. Era un nuovo record, erano più vicini ora che nell’ufficio della preside. Cercò nella sua testa una risposta divertente, intelligente ed affascinante da dare, ma l’unica cosa che vi trovò fu il nulla. - «Hai sentito quello che ha detto la Mitchell ieri, no? Mi serve la media alta per andare al college.» - gli avrebbe volentieri ceduto la sua, e non c’era bisogno di specificare che pensava alla media, perché gli avrebbe dato qualunque cosa. - «Ti sta bene darmi una mano dopo scuola?» - il fischio di una pentola a pressione sarebbe impallidito al cospetto del grido interno che quella domanda le provocò.
«Certo!» - rispose immediatamente. Per nulla affascinante.
«Ok. Allora ci vediamo dopo gli allenamenti in palestra.» - Nick sparì nei corridoi lasciando una scia di profumo dietro di sé, e lei imbabolata a fissare il muro su cui era appoggiato. Sapeva che Gin aveva ascoltato ogni singola parola, così come il resto delle ragazze della sua classe. Era appena diventata la donna più invidiata del Nashville.
«Emy respira!» - le disse Gin scuotendole le spalle. Ora poteva morire. Ora che aveva parlato con Nick Sorrentino poteva lasciare il mondo terreno perché non aveva più alcun desiderio.
«Quindi starete da soli in palestra quando la scuola è deserta?» - le domandò Steve facendole di nuovo sentire quella morsa atroce alla bocca dello stomaco.
«La conosci la sua fama…» - aggiunse Clarke, e di nuovo la morsa.
«Secondo me è lui che deve stare attento. Gli sbava dietro da un anno, è capace di  tutto!» - disse Gin.
«Che cosa gli dico? Come gli parlo?» - chiese lei persa nel panico più totale.
«Cerca di capire di che livello di ignoranza stiamo parlando e poi ti fai un piano di recupero.» - le suggerì l’amica.
«No intendo, come faccio a parlargli se lui mi guarda? E se mi chiede qualcosa che non so? E se porta la felpa smanicata? Oddio io se gli vedo le braccia muoio!» - mancava ancora un’ora alla fine degli allenamenti. Clarke aveva il suo club di informatica e Steve quello di letteratura, quindi dovettero abbandonarla nel mare della sua preoccupazione. Gin stava cercando con tutta se stessa di non dirle che sembrava proprio una delle mille deficienti che andavano dietro a Nick, ma lei glielo leggeva in faccia.
«Emy tu sei mille volte più intelligente di lui, dovrebbe essere lui a tremare all’idea di parlarti non il contrario!» - la superiorità della specie. - «Se porta la felpa smanicata però, arrenditi, perché contro quelle braccia non c’è niente da fare!» - si sentirono solo le loro risate nei corridoi vuoti della scuola. Ridere le faceva scaricare la tensione.
«Ti chiamo quando torno a casa.» - le disse. Si stava facendo tardi e Gin doveva comunque prendere due autobus per tornare a casa. Era rimasta solo per supportare lei, perché non aveva il laboratorio di fisica quel pomeriggio. Quando entrò in palestra i ragazzi avevano già sistemato tutto ed erano nei camerini. Si sistemò su uno degli spalti, quello più in alto e guardò la palestra vuota. Nick era davvero bravo negli sport, era il miglior tiratore della squadra. Non si era persa nessuna partita lo scorso anno, aveva perfino studiato le regole del basket, per riuscire a capire meglio il gioco. Vide uscire la squadra e le ragazze cheerleader. Rebekah era meravigliosa anche con la piega fatta usando i phon degli spogliatoi.
«Andiamo a bere qualcosa!» - disse il capitano.
«Ho un impegno.» - gli rispose Nick guardando verso di lei, e quella fastidiosa morsa allo stomaco tornava a torturarla. Quando tutti furono usciti e rimasero solo loro Nick la raggiunse in cima agli spalti. - «La Mitchell mi ha dato fino a metà anno per migliorare, altrimenti mi scordo l’entrata al college.» - Emily era ambiziosa, avere un termine entro il quale riuscire a fare qualcosa, la stimolava a dare il meglio. Purtroppo però Nick aveva la felpa smanicata che catalizzava totalmente la sua attenzione.
«Ok.» - disse prendendo un lungo respiro. - «Quante volte a settimana e per quante ore…» - aveva la salivazione a mille e non riusciva a parlare bene.
«Tutte quelle che servono. Possiamo fare anche ogni giorno, il martedì ed il venerdì non ho gli allenamenti quindi abbiamo più tempo.» - Emily voleva urlare. Avrebbe voluto baciare la Mitchell e Baer per averlo costretto a prendere ripetizioni da lei. Lui stava davvero dicendole che poteva vederlo ogni giorno, tutto il giorno, per tutto il tempo che voleva. Come avrebbe detto Gin: sound like a porn.
«Dipende da quanto hai da recuperare…» - doveva essere professionale.
«Fai conto che di chimica non so di che stia parlando e storia pure grossomodo.» - perfetto, quindi doveva recuperare cinque anni di liceo, in più o meno qualche mese. Per fortuna la sua classe era molto indietro con i programmi rispetto ai normali ultimi anni, quindi anche per lei non sarebbe stato troppo lavoro.
«Allora dobbiamo cominciare il prima possibile!» - disse arrossendo. No non lo diceva solo perché era troppo bello poterlo guardare senza altre persone intorno, e nemmeno perché voleva continuare ad annegare in quegli occhi. C’era veramente tanto da fare.
«Quanti anni hai?» - le chiese stendendosi sui gradoni della palestra. Era arrivato il momento che Emily temeva più di tutti, le domande fuori programma, lo spazio libero, la reciproca conoscenza.
«Quindici.» - rispose.
«Cazzo sono messo proprio male se mi hanno mandato una bambina come insegnante.» - se quella frase non fosse stata pronunciata dal ragazzo che sognava da oltre un anno ogni notte, con le sue bellissime labbra, probabilmente l’avrebbe offesa. - «Sei fidanzata?» - era stata brava sino a quel momento, ma a quella domanda il suo corpo reagì da solo scivolando malamente sulla panca dove era sdraiato Nick. Gli cadde dritta sulle gambe ed entrambi si fecero male.
«Aia!» - esclamarono. Non era fidanzata, non lo era mai stata, ed aveva una gigantesca cotta proprio per lui. - «Scusa.»
«Ho preso botte peggiori.» - disse lui tirandosi su con quelle braccia che in torsione diventavano ancora più belle.
«Allora cominciamo domani?» - disse alzandosi e raccogliendo le sue cose. Aveva aspettato quasi tre ore solo per quei dieci minuti che Nick le stava dedicando, ma non era né arrabbiata né dispiaciuta. Anzi probabilmente dall’agitazione non avrebbe chiuso occhio.
«Ok domani dopo gli allenamenti.» - aggiunse prendendo il suo borsone da basket. Lui prese l’uscita verso i parcheggi mentre lei quella per il cortile. Appena fu a casa chiamò Gin raccontandole dei dieci minuti più belli della sua vita e dopo iniziò a buttare giù uno schema per le ripetizioni. Storia non sarebbe stata difficile, anche se lei era indietro rispetto al suo programma, alla fine si trattava solo di studiare, di mettersi su un libro ed imparare. Mentre chimica poteva essere un problema. Andando avanti gli argomenti diventavano più complicati e per arrivare al livello di un ultimo anno di liceo, non sarebbe stato semplice. Il giorno dopo fu uno di quei maledetti giorni in cui non intravide mai Nick. Non passarono mai per lo stesso corridoio né avevano lezioni insieme. Per fortuna c'era la mensa che le permetteva di sentirlo parlare e poi le ripetizioni. Si ritrovarono in palestra esattamente come il giorno prima. Non aveva mai insegnato nulla a nessuno prima d’ora, quindi non era sicura di come fare con lui. Nick era più sicuro, più tranquillo, molto meno complessato di lei, eppure il destino aveva voluto che qualcosa che lui desiderava ardentemente fosse messo nelle sue mani. Aveva organizzato gli argomenti in modo da fare un’ora di chimica ed un’ora di storia, ma Nick faceva domande continuamente e a lei piaceva così tanto il suono della sua voce che abbandonò lo schema. Era bello avere le risposte alle sue domande, risposte che non la mettevano in difficoltà, ma che le permettevano di avere con lui lunghissime conversazioni. Non lo stava conoscendo, perché parlare di atomi, guerre e date non era esattamente la base di una conoscenza, ma parlavano a lungo e quello era già più che sufficiente. Quando ebbero finito era molto più tardi del previsto. La scuola rimaneva aperta perché c’erano dei corsi serali, ma perfino quegli studenti stavano lasciandola e dietro di loro iniziavano a venir spente le luci.
«A domani.» - gli disse crogiolandosi in quel saluto così informale ed intimo.
«Esci di qua ti riporto a casa.» - le disse lui. Non riusciva proprio ad immaginare quanto dovesse essere stanco dopo tre ore di allenamenti ed altrettante di studio. Era massacrante considerando che si sarebbe anche dovuto occupare di non rimanere indietro sui compiti assegnategli in quei giorni. Accettò il passaggio, perché era tardi, era stanca e soprattutto perché era lui ad offrirlo. L’anno prima aveva fatto un incidente distruggendo la vecchia macchina, ma ne aveva subito ricomprata un’altra. Era stato una settimana in ospedale per gli accertamenti e lei aveva perfino pianto quando lo aveva saputo. Il sedile del passeggero, alla destra di Nick, ci aveva viste sedute solo le ragazze più belle della scuola. Notò che c'era di tutto dentro quella macchina. Dalle scarpe a delle maracas.  Ma era comunque bellissimo poter essere riaccompagnata a casa da lui. Se avesse avuto un diario avrebbe iniziato scrivendo: “Caro Diario, OH MIO DIO SENTO IL SUO PROFUMO OVUNQUE MADONNA QUANTO E’ BELLO!”
«Eccola!» - gli disse facendolo fermare davanti al vialetto di casa. - «Grazie.» - aprì lo sportello e scese, mentre lui abbassava il finestrino.
«Emily?» - la chiamò. E lei immaginò di vederlo scendere dall’auto e venire a baciarla proprio lì a due metri dalla sua porta d’ingresso. - «Fossi in te mi laverei bene le mani.» - le disse ridendo e poi mettendo in moto. Effettivamente la mano con cui aveva aperto lo sportello la sentiva umida ed appiccicosa, ma era una sensazione con cui stava imparando a convivere da quanto trascorreva ore con Nick. Il giorno dopo sarebbe stato venerdì, ovvero il primo giorno senza allenamenti da quando aveva iniziato a dargli ripetizioni. Avrebbero avuto l’intero pomeriggio a disposizione per poter recuperare. Nick era molto intelligente, imparava in fretta,  il suo unico problema era la concentrazione. Lo annoiava a morte stare fermo sui libri, soprattutto se una cosa non la capiva al primo colpo la sola idea di doverla rileggere lo nauseava. Infatti spesso era lei a rileggere, rileggere e rileggere interi paragrafi, si sentiva come una madre che racconta le storie ad un bambino fino a che questo non si è addormentato. Lei leggeva di guerre, conquiste e scoperte, e Nick doveva poi riassumere i punti fondamentali. Qualunque cosa detta da lui era sempre più bella. Finite le lezioni andò in palestra, immaginando di trovarlo lì.
«Quelli dell’ultimo anno sono usciti un’ora prima oggi.» - le disse Gin raggiungendola. - «Mi sa che ti ha dato buca.» - il suo venerdì da sogno era appena naufragato.
«Ehi secchia!» - urlò uno dei ragazzi della squadra di basket. Secchia, era l’affettuoso diminutivo di secchiona, che nelle loro teste era anche sinonimo di brutta. - «Nick è andato a casa ti aspetta lì.»
«A casa sua?» - domandò Gin, rivolgendo con riluttanza la parola a quell’essere da lei considerato infinitamente inferiore.
«Tieni.» - il ragazzo le diede un foglio dove sopra era scarabocchiato l’indirizzo. Assomigliava ad un incantesimo elfico più che ad un indirizzo, ma Emily avrebbe decifrato anche il sanscrito se questo l'avesse condotta da lui.
«Il mio venerdì da sogno è appena diventato incredibilmente più stupendo.» - disse prendendo Gin e correndo alla fermata degli autobus.
«Lo sai vero che non sei tenuta ad andare a casa sua?» - disse l’amica che aspettava con lei l’autobus. - «Non mi rispondere è un'osservazione inutile, lo so.»
«Arriva devo prendere questo!» - disse mentre la salutava e saliva sull’autobus che l’avrebbe portata vicino all’indirizzo segnato. Aveva immaginato casa di Nick tante di quelle volte che non le sembrava possibile riuscire finalmente a vederla. Sapeva che spesso ci aveva organizzato delle feste, a cui lei e nessuno dei suoi amici, erano mai stati invitati, e che era grandissima. Realizzò quanto grande fosse, solo dopo aver camminato dieci minuti per riuscire a superare il giardino ed arrivare al cancello d’ingresso. Si aprì come per magia senza che le dessero il tempo di citofonare e un signore sulla cinquantina la condusse in casa indicandole la stanza in cui avrebbe trovato Nick. Un principe, era davvero un principe. Attraversò il grande salone, facendo attenzione a non colpire nessuno dei preziosi soprammobili che vi erano disseminati ed arrivò sul retro, dove c’era la grande piscina. L’enorme vetrata del salone che terminava con una porta finestra per accedere all’area esterna le permetteva una vista completa del paesaggio. Notò una chioma bionda su una delle sdraio e poi vide anche Nick. Era con Rebekah, e decisamente non era pronto a mettersi a parlare di chimica o storia. Si voltò immediatamente dandogli le spalle e rimase seduta per terra nel salone per minuti e minuti. Definire quella situazione incredibilmente imbarazzante era poco, si chiese dove fossero i genitori di Nick per permettere che portasse a casa quella ragazza e facesse certe cose in piena libertà con tutti i domestici che giravano per casa.
«Eccola qui!» - disse Rebekah aprendo la porta.
«Ehi quando sei arrivata?» - domandò Nick salutando la ragazza con un bacio.
«Ora…» - rispose incerta lei, tradendo così l’intera verità.
«Non divertitevi troppo voi due!» - disse Rebekah prima di uscire, facendola sentire ancora di più in imbarazzo. Nick fece un cenno ad uno dei domestici che scomparve nella grande sala.
«Allora, abbiamo tutto il pomeriggio!» -  quella inaspettata serietà e dedizione al lavoro, erano forse la cosa che più aveva colpito Emily. Nick voleva davvero migliorare per riuscire ad andare al college, doveva veramente essere importante per lui. Iniziarono subito riprendendo dalle parti che era stato più difficile capire il giorno prima. Il domestico tornò portando succhi e tramezzini, lei aveva appena mangiato quindi bevve solo qualche cosa mentre leggeva per evitare che le si seccasse la gola, mentre Nick ripulì l’intero vassoio. Dove lo mettesse tutto quel cibo lo sapeva solo lui. Da quel giorno in poi quella diventò la loro routine, Nick aveva smesso di fermarsi in palestra dopo gli allenamenti, la prendeva a la portava a casa e poi la riaccompagnava quando avevano finito. Per lui era piacevole avere qualcuno con cui parlare quando non c’era suo padre, ed Emily non era poi così male come aveva immaginato. L’aveva capito subito che aveva un cotta per lui, lo aveva usato per poterla sfruttare al massimo, nessun altro avrebbe mai accettato di dargli ripetizioni tutti i giorni per tutte quelle ore senza avere nulla in cambio. Lui la ricambiava sorridendole, a volte sfiorandole non casualmente la mano, si forse la illudeva, ma infondo era a fin di bene. Quando non era troppo intimidita aveva persino dimostrato un lato simpatico e volitivo, che di solito veniva nascosto dall’imbarazzo di parlargli. Tutto sommato la apprezzava, non come ragazza, quasi come amica, e per questo aveva iniziato a trascorrere con lei più tempo di quello necessario allo studio. Si divertiva con lei come non si divertiva di sicuro con i suoi amici o con Rebekah. Ed Emily lo aveva capito fin troppo bene che stava venendo relegata nell’invalicabile zona dell’amicizia, ma per qualcuno che non aveva mai avuto nemmeno la speranza di riuscire a fargli sapere il proprio nome, potersi considerare quasi una sua amica era un dono del cielo.
Era un pomeriggio qualsiasi, anzi no, era uno die pochi pomeriggi in cui non dava ripetizioni a Nick che era andato ad un concerto con quelli della squadra. Era con i suoi amici al bar a prendersi un gelato, perché nonostante il freddo, non si diceva mai di no ad un gelato.
«Si accettano scommesse su quante se ne sarà fatto sino ad ora.» - disse Clarke.
«Ma la smetti? Non è mica un animale, prima le-» - Steve la interruppe.
«Nick è l’animale del sesso per eccellenza.» - disse il ragazzo.
«Non se ne fa scappare una.» - aggiunse Gin raggiungendoli al tavolo.
«Veramente una si…» - borbottò lei sentita solo da Clarke che le pizzicò la guancia.
«Avete visto chi c’è al tavolo lì dietro?» - Gin indicò un tavolo a cui erano seduti tre ragazzi. Erano della Berrytown High School, ovvero la scuola rivale della Nashville nel campionato di basket.
«Shhhh!» - disse Emily cercando di sentire cosa stessero dicendo. Era strano che fossero così vicini alla loro scuola.
«…sarà ubriaco... Lo pestiamo fino a farlo piangere!» - disse uno dei ragazzi.
«Voglio proprio vedere come lo centra il canestro dopo che gli avrò fratturato le mani!» - aggiunse un altro.
«Si è portato a letto la mia ragazza solo perché si crede il migliore.» - Emily si guardò con gli altri, non c’erano molti dubbi su chi fosse l’oggetto di quella discussione, anche perché la notizia che Nick si era passato quasi tutte le ragazze dei Berrytown era un fatto piuttosto noto.
«State parlando di Nick?» - proprio come quel giorno nell’aula di chimica Emily aveva agito in modo inaspettato lasciando Gin e gli altri impreparati.
«Lo conosci?» - le domandò uno di quelli che aveva un tatuaggio sul collo.
«Spero proprio che non siate così codardi da volerlo picchiare quando è ubriaco…» - rincarò la dose.
«Ehi bambolina ricordami chi è che ti ha interpellata.» - uno di quei ragazzi si era alzato dal tavolo e le era arrivato davanti. La gente che usciva dal bar li guardava cercando di capire se fosse il caso o meno di intervenire. Anche gli altri tre si alzarono e quando Clarke e Steve provarono a frapporsi li spinsero via senza troppi complimenti.
«Dico solo che se non riuscite a batterlo sul campo forse dovreste accettare il fatto che vi è superiore.» - Gin sapeva che Emily poteva essere capace di grande coraggio, ma in quel momento temeva seriamente che potesse costarle caro.
«Emy lascia stare.» - le disse cercando di portarla via. Il ragazzo con i tatuaggi rise ed uno degli altri le diede una spinta mandandola a sbattere proprio contro il tavolo su cui era seduta. Cadde male, molto male perché si storse la caviglia ed il manico di una delle sedie le colpì lo zigomo. - «Cazzo brutti deficienti!»
«Ragazzi?» - disse una voce alle loro spalle facendoli allontanare. - «E’ una ragazza quella?» - chiese un ragazzo da una macchina.
«No, no niente.» - i tre salirono in macchina andandosene mentre Gin aiutava Emily a rialzarsi.
«Quello era Gabriel?» - domandò Steve a Clarke mentre si assicuravano che Emily stesse bene.
«Si proprio lui.» - Gabriel era il nuovo acquisto del Berrytown, un ragazzo arrivato da Los Angeles che stava letteralmente trascinando la squadra su per la classifica. Emily non si era fatta nulla di grave, la botta sullo zigomo si sarebbe tradotta in un brutto livido che sarebbe scomparso nel giro di una al massimo due settimane. E la caviglia non era rotta, si trattava solo di una brutta storta che l’avrebbe costretta all’uso di una stampella per camminare.
«Ehi! Ed io che pensavo che quando non eri occupata con me passassi i tuoi pomeriggi a studiare con i tuoi amichetti.» - le disse Nick incrociandola in un corridoio a scuola.
«Già…» - fino a  qualche secondo prima sembrava che nessuno avesse notato le fasciature, ma ora che Nick le parlava sentiva addosso gli sguardi di tutta la scuola.
«Veramente se è ridotta così è perché ha difeso te.» - tuonò alle sue spalle Clarke, che aveva un cerotto sulla fronte.
«Come dici amico?» - chiese Nick.
«Niente, niente!» - si voltò verso Clarke fulminandolo con lo sguardo. I rapporti fra Nick e la squadra di Berrytown erano notoriamente un campo pericoloso. Quando aveva rischiato la sospensione era successo perché si era menato con due degli avversari, ed ogni volta che si incrociavano erano scintille. Non c’era affatto una sana e leale competizione fra di loro ed era meglio non aggiungere carne al fuoco.
«L’hanno spinta quelli di Berrytown.» - disse Gin chiudendo l’armadietto. E se Nick non le avesse appoggiato una mano sul viso rigirandola verso di lui e facendola perdere nei suoi occhi, avrebbe tirato la stampella all’amica.
«Stai bene?» - era la prima volta che lo vedeva così. Era un tocco leggero e delicato, una carezza morbida che le delineava il profilo del viso. Un contatto nuovo, sconosciuto, inaspettato. E poi c’era la sua voce, rotta, esitante, increspata. Gli occhi tormentati, lucidi, scossi. Nick Sorrentino era autenticamente preoccupato per lei. Non aveva più una morsa all abase dello stomaco, c'era direttamente il cracken e risucchiarle gli organi interni uno ad uno.
«Si, sto bene.» - e lei riuscì a parlare nonostante lo avesse così vicino, nonostante tutto ciò che riuscisse a notare era la bellezza di quel gesto.
«Niente ripetizioni finché non ti sei ripresa, ok?» - ed ora aveva aggiunto a tutto quello anche un sorriso che svelava i denti bianchissimi. - «Andiamo al campetto oggi pomeriggio.» - disse Nick ai ragazzi che lo seguivano. - «Non ti preoccupare, me ne occupo io.» - e la carezza finì e con essa anche l’ipnosi che aveva su di lei. Sentiva la pelle orfana di quel contatto tornare ad avere la temperatura dell’ambiente circostante.
«Oddio li vuole menare!» - esclamò tutto d’un tratto.
«Beh mi pare il minimo!» - le disse Clarke. Non lo poteva assolutamente permettere, non ora che Nick aveva ricevuto un ultimatum dalla preside e si stava impegnando così tanto per migliorare. In quelle settimane aveva fatto passi da gigante, tra poco ci sarebbero stati i primi test e lei era sicura che sarebbe andato molto meglio. Ma tutto quello sarebbe stato polverizzato se avesse fatto a botte con quelli del Berrytown. Gin l’aiutò a capire cosa fosse “il campetto” si trattava del campo dove si allenavano i loro avversari, Nick ci avrebbe trovato l’intera squadra. Viste le sue condizioni gli Howen le avevano alzato la paghetta, per farle prendere il taxi per tornare ed andare a scuola. Appena le lezioni finirono si fece portare lì accompagnata da Gin e Steve. Clarke aveva il corso di informatica e non se lo sarebbe mai perso per salvare quelli del Berrytown. Arrivarono appena in tempo, perché Nick stava scendendo in quell’istante dalla macchina.
«Ehi ehi ehi guarda un po’ chi ho perso la strada di casa!» - disse Gabriel vendolo. - «Il tuo palazzo è di là, principino.» - almeno su quello lei e Gabriel erano d'accordo, Nick era un principe.
«Che siete degli incapaci lo ha provato il campo tutte le volte che vi abbiamo battuto. Ma prendersela con una ragazza? » - Nick aveva letteralmente sollevato Gabriel da terra prendendolo per il colletto della maglietta.
«Di che cavolo stai parlando?» - gli ringhiò quello così vicino che se non fossero sul punto di azzannarsi avrebbero potuto baciarsi.
«Nick!» - camminare su un prato con una stampella non era semplice neppure se c’erano due amici ad aiutarti. - «Lascialo stare è stato un incidente.» - la presa sul colletto del ragazzo si fece più leggera e quello si liberò.
«Quella…» - disse lui. - «Non è la ragazza che ho visto ieri?» - domandò ad alcuni dei suoi compagni.
«Quindi lo ammetti!» - Nick gli piazzò un pugno in pieno stomaco ed un altro sul viso. Emily e Gin quasi gridarono. E poi lei lasciò andare la stampella e nonostante appoggiare il piede a terra le facesse malissimo raggiunse Nick.
«Non è stato lui fermati Nick! Devi pensare al college!» - e Nick si fermò, lo lasciò andare prima di continuare a torturarlo di pugni. Il resto della squadra si era avvicinata, ma Gabriel gli disse di stare fermi.
«Dimmi chi è stato.» - era tornato a guardarla con quello sguardo preoccupato che le faceva sciogliere le viscere.
«Sono caduta da sola, dico davvero.» - Gabriel si era rialzato ed aveva sputato un po’ di sangue a terra.
«Lo so io chi è stato.» - disse poi avvicinandosi a lei finché Nick non si frappose. - «E ti prometto che se ne pentiranno.»
«Torniamo a scuola, hai gli allenamenti.» - e lei doveva essere a casa già da oltre mezz’ora. Nick tornò a scuola, si allenò come se nulla fosse accaduto. Emily aveva ragione, sarebbe finito nei guai se si fosse fatto coinvolgere in una rissa con gli avversari. Eppure aveva ancora voglia di fargliela pagare. Come avevano potuto spingerla e farla cadere, lei che era così piccola, così delicata, così fragile. Lei che esitava nel parlare perché si imbarazzava a guardarlo dritto negli occhi. Se non fosse stata male probabilmente sarebbe andato a prenderla per passare la serata a sentirla rileggere anche dieci volte lo stesso pezzo di libro fino a che non glielo aveva fatto entrare in testa. Quando alla fine dell’anno avrebbe lasciato quella scuola e quello Stato, Emily sarebbe sicuramente stata fra le persone che gli sarebbero mancate. Gli sarebbero mancati quegli occhi pieni d'amore con cui lo guardava, la dedizione che gli dedicava, e l'infinita pazienza. Ma era una regola del Branco quella di non mantenere rapporti fissi e duraturi con chi non era come loro. Una volta tornato a casa, corse, corse fino a farsi perdere il fiato, e poi si allenò nella palestra finché non gli bruciarono tutti i muscoli. Faceva così quando era arrabbiato, era l'unico modo perché quel fuoco che gli bruciava dentro si spegnesse.
Emily doveva fare attenzione nei corridoi, perché rischiava che le persone le andassero addosso facendole cadere la stampella. Schivare le decine e decine di studenti che distrattamente correvanoe  si muovevano lungo quegli intricati passaggi, era un'impresa titanica, e lei era già quasi caduta un paio di volte.
«Se vuoi posso portarti in braccio.» - le disse cogliendola di sorpresa dietro l’anta dell’armadietto. Lei aveva riconosciuto tutto di lui, anche senza vederne il viso.
«E se inciampi ed il mio apocalittico peso ti schiaccia rompendoti qualche osso?» - eccola lì la Emily spiritosa che ogni tanto veniva fuori.
«Suppongo che allora ci servirà un’altra stampella.» - disse lui. Il suono della campanella li costrinse ad affrettarsi nelle aule, alle ultime due ore avrebbero avuto il laboratorio di chimica ed il loro primo compito in classe.
«E insomma…» - le disse Gin mentre il professore di matematica era con le spalle alla classe. - «Com’è che il principe Sorrentino fa tutto l’amicone? Sento puzza di-» - si interruppe vedendo il professore girarsi, e riprese appena tornò a non guardare. - «Di cotta!»
«Si sente in colpa grazie a te e a Clarke!» - rispose. Ed anche se non era giusto, le piaceva il modo in cui la trattava. A chimica Nick fece spostare due suoi compagni finendo al fianco di Gin, ad un solo posto di distanza da lei. Non ebbe il coraggio di chiedere alla ragazza di spostarsi, perché Gin gli avrebbe sicuramente rifilato una delle sue risposte al vetriolo.
«Sorrentino se vuoi copiare da Howen, ti informo che i vostri test sono diversi.» - disse il professor Baer. Si scambiarono solo uno sguardo veloce, in cui c’era tutta la sua sicurezza. Nick avrebbe fatto bene quel test, lei lo sapeva. Quando la campanella li liberò permettendogli di uscire, tutte e due le classi si fermarono a discutere dei risultati. Nick era seduto su un muretto con Rebekah fra le gambe e le baciava il collo mentre di tanto in tanto si ricordava qualche parte del compito. Lei era più in là, con Steve, Gin e Clarke a confrontare le loro risposte. La maggior parte erano identiche, solo sulla parte finale c’erano delle differenza, ma erano tutti convinti della propria versione. Emily non aveva il fiuto di Nick, né conosceva cosa fosse in realtà, altrimenti avrebbe sicuramente notato il cambiamento. Aveva smesso di baciare Rebekah ed aveva proteso la testa in avanti. Se fosse stato un lupo, le orecchie a punta si sarebbero flesse in avanti ed il naso umido, avrebbe inspirato vistosamente l’avvicinarsi di un nemico. La macchina blu scolorito che si fermò davanti all’entrata della scuola, ma soprattutto il ragazzo che ne scese, sorprese tutti allo stesso modo. Gabriel.
«Che ci fa lui qui?» - domandò Gin guardando gli altri.
«Emily?» - andava verso di lei. Aveva le nocche fasciate, e si vedeva ancora il sangue sotto le garze.
«S-si?» - rispose titubante.
«Come stai oggi?»  - i ragazzi erano accanto a lei tutti con la stessa faccia perplessa. La stessa che aveva anche lei. - «Che c’è? Non posso preoccuparmi di te?» - quella seconda domanda peggiorò la situazione facendole spalancare gli occhi. Emily era sicura che se il professor Baer non si fosse trovato lì, Nick si sarebbe già lanciato sul ragazzo.
«No!» - rispose lei. - «Cioè si…» - si corresse. - «Nel senso che non ti devi preoccupare per me, ma se vuoi lo puoi fare…» - Gabriel la guardava confuso e divertito. - «Sto bene.» - concluse sentendosi una scema.
«A nome della squadra del Berrytown mi scuso per quello che è successo.» - aveva perfino accennato un piccolo inchino. - «E se me lo permetti vorrei poterti riaccompagnare a casa.»
«Non ce n’è bisogno, davvero. Accetto le scuse.» - che dovevano essere state prese col sangue. - «Non vedo l’ora di vedervi giocare.»
«Non accetto un no come risposta.» - le aveva preso la borsa dal braccio e se l’era messa a tracolla. - «Ti prego.» - le sussurrò all’orecchio facendola rabbrividire. Sentiva lo sguardo di Nick su di loro, e le sembrava di andare a fuoco.
«Ok?» - più che una risposta era una domanda, ma Nick non poteva dire o fare nulla, non sotto l’occhio del professore. Gabriel la accompagnò alla macchina aprendole lo sportello e poi mise in moto. Non credeva che sarebbe mai stato possibile, ma era più imbarazzata in quel momento di quando era stata in macchina con Nick. E poi le cadde l’occhio nel vano portaoggetti della macchina. - «Ti piacciono i Thirty Seconds To Mars?»
«Li conosci?» - disse lui sorpreso.
«Li amo!» - infilò subito il cd selezionando la sua traccia preferita. Lo conosceva a memoria quell’album, non vedeva l’ora che ne facessero un altro. Il testo di Oblivion riusciva a cantarlo quasi perfettamente, ma non davanti a qualcuno. Per fortuna a toglierla da quell’imbarazzo ci pensò Gabriel attaccando a cantare fermo ad un semaforo. Il loro viaggio di ritorno fu così, sulle note di 30 Seconds To Mars, tutto fino alle ultime canzoni ascoltate fermi a pochi metri da casa sua perché metterlo in pausa era un crimine. - «Grazie del passaggio!» - disse scendendo.
«Ci abbiamo messo di più che se fossi andata a piedi, ma ehi, sono i Mars!» - commentò lui. - «Ehi vuoi l’album? Me lo ridai la prossima volta che ci vediamo.»




…To be continued

   
 
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