Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Harley Sparrow    25/04/2014    13 recensioni
|Helsa| |Hans + Elsa| |ho pubblicato anche il seguito, Fix You|
*
Un amore che non diede loro la forza di volare, ma di lasciarsi precipitare. E tornare a vivere.
*
"Ora capisco per quale motivo siete qui..." [...] Elsa strinse la tazza fra le mani, aggrappandosi a essa come se fosse l’unico modo per non cadere "vi siete resa conto che qualche anno di pace non è stato sufficiente per guarire le ferite di una vita, non è così?"
Lo guardò sbigottita e si affrettò a squittire un "no!" che rivelò tutta la sua fragilità e insicurezza.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elsa, Hans, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bring me to Life'
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Nota introduttiva:
 (Oggi mi sento colorosa!)
Spero che amiate questo capitolo almeno quanto ho amato scriverlo.
In fondo al capitolo trovate una fan art (non so come chiamarla) che ha fatto per me e per voi tutti che seguite la storia nostra cara ElsaWestergard. (So che ora andrete a vederla prima di leggere)
Total eclipse of the heart è una canzone adorabile di Bonnie Tyler. Devo ammettere che mi piace un po' di più la versione GLEE, comunque sia, la trovo davvero davvero adatta per questo capitolo. La trovate qui: Total eclipse of the Heart-Glee
Anche la citazione di Dante la trovo perfetta. Prendela staccata dal contesto e capirete.

Ringrazio di cuore tutti coloro che stanno seguendo la storia, alcuni dei quali mi hanno già dato una fiducia enorme (folli!) mettendola tra i preferiti...E grazie ancora di più per coloro che recensiscono, che si fanno sentire! :D


Detto ciò…Buona lettura!
 
 
 
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Capitolo 5
 
TOTAL ECLIPSE OF THE HEART
 
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
[Inferno V, 100-102]
 
 
 
 
Elsa si era appisolata sullo scrittoio, completamente esausta. Quel giorno era stato molto pesante per lei: aveva dovuto lottare con tutte le sue forse contro sé stessa per non addormentarsi in sede di consiglio.
Aveva ancora in mano la penna d'oca con la quale si apprestava a rispondere alla lettera di Anna, spalancata davanti a lei.
 
"Mia adorata Elsa,
Bel tentativo, ma non ti credo. Finché non ti riabbraccerò e non ti guarderò negli occhi, non crederò che va tutto bene. Rapunzel mi ha scritto che l'altro giorno ti ha trovata piuttosto provata dopo il tuo incontro con Lui.
Insomma, gli insulti che ti avevo detto di riportargli non sono bastati per zittirlo?
Non pensare di cavartela con me, quando tornerai.
Non vedo l'ora di rivederti.
Tua, Anna."
 
Aveva cercato di scrivere qualche riga di rassicurazione per la sorella.
"Carissima Anna,
Non preoccuparti per me: domani ti racconterò il motivo per cui ero triste; ti dico solo che Rapunzel non ha capito, non sa.
Il ballo di ieri è stato favoloso. Ho conosciuto tante persone deliziose. Ho indossato il vestito di nostra madre quando.......NO NO NO NO"
 
La lettera terminava con quei quattro 'no' scritti a caratteri cubitali sulle ultime parole. Non era credibile, non poteva pensare di darla a bere alla sorella con quella finta naturalezza.
 
Spalancò gli occhi non appena fu conscia di aver dormito; rilesse le parole che aveva scritto e, arrabbiata, diede loro il colpo di grazia tirando numerose righe su di esse. Poi prese un nuovo foglio e scrisse con la sua grafia elegante e sottile:
 
"Carissima Anna,
Quando ti ho detto che stavo bene, dicevo la verità. Hans è solo un maledetto antipatico. Ti dirò il resto una volta a casa.
Ti voglio bene,
Tua, Elsa"
 
Scrisse infine, convinta che leggere quelle parole su Hans avrebbe reso felice Anna.
Sembrava che tutti volessero solo che lei contribuisse a trovare nuovi modi per odiarlo ed insultarlo. Forse pensavano di farla sentir meglio così, facendo i ruffiani, mentre, in verità, non voleva proprio sentirlo nominare, perché ogni volta che sentiva il suo nome finiva per passare le ore successive a rimuginare su quello che le aveva detto, ed era stanca di questo.
Aveva passato il giorno dopo il loro ultimo incontro ad odiarlo con tutta sé stessa, fino alle lacrime. Le aveva detto cose terribili.
Il suo pensiero, però, mutò in quei giorni: si accorse dell’evoluzione che stava subendo quando si rese conto di essere infastidita dall'atteggiamento degli altri verso Hans, in particolare quando sentì delle critiche sui suoi capelli rossi. "Capelli del diavolo, parola mia." Insomma, nessuno si sforzava di fare critiche costruttive, per lo meno; nessuno si sforzava di capirlo. E pensavano che lei volesse sentir solo parlare di lui, che desiderasse la loro solidarietà.
La cosa che più l’aveva destabilizzata, dopo il loro incontro, era la sua convinzione che si somigliassero, in qualche modo. Ecco un altro grattacapo al quale non riusciva a dare alcuna risposta razionale, mentre il suo inconscio le urlava, attraverso i sogni, la sua convinzione.
Ha ragione. Razionalmente era arrivata ad accettare un può darsi.
Si chiese come faceva a capirla così bene, e, soprattutto, perché lei non capiva lui. La risposta arrivò a lei repentina.
Non ci aveva mai provato.
Cosa può spingere un uomo –un principe– ad uccidere le reali di un paese sconosciuto, solo per avere la corona? La follia! la malizia in cuore! erano le risposte che davano tutti, e lei con tutti, fino a quel momento.
Ma ora capiva che doveva esserci di più, qualcosa –o qualcuno– sotto quella maschera molto ben assortita di cattiveria ed egoismo. Forse un bambino estremamente solo? Sotto strati e strati di malvagità c'era forse dell'amarezza? dell'odio?
Un bambino maltrattato dai dodici fratelli più grandi, cresciuto nell'odio, e nel rancore…
Ricordava con esattezza quelle parole. Al momento sembrava che le stesse dicendo una bugia, solo per prendersi gioco di lei –e della sua bontà–, ma ora non stentava a crederci. Soprattutto perché i suoi fratelli le avevano dato la prova della veridicità delle sue parole.
Con uno sforzo ricordò anche di quella volta in cui si erano conosciuti da piccoli, e di come i suoi fratelli lo avevano guardato. Degli sguardi...soddisfatti. Come se non attendessero altro, un nuovo motivo per deriderlo. –o era solo un falso ricordo? –
Poteva perdonare un uomo, odiato fin da quando era bambino, per quello che le aveva fatto?
No. Era la risposta perentoria che le suggeriva il cervello. Non si può perdonare un uomo -un assassino- in base a un'idea probabilmente falsa che ci si è fatti di lui in pochi giorni.
Ma dargli un'altra opportunità?
Forse.
 
Questi pensieri l'accompagnavano da giorni. Ormai la sua permanenza nel regno di Corona stava per giungere alla fine; le sembrò che quei giorni fossero passati troppo velocemente. Non era pronta per tornare a casa: Anna l'avrebbe tormentata per sapere cosa era successo con lui, e non era sicura di volersi confidare con lei. Non le aveva mai spiegato esattamente per quale motivo aveva voluto incontrarlo, forse, in realtà non lo sapeva nemmeno lei, all’inizio; le aveva farfugliato che voleva solo vedere se era pentito per quello che aveva fatto, perché ...perché non le piaceva l'idea che 'se la cavasse' senza nemmeno fare delle scuse; Anna alla fine se l'era bevuta. Elsa però aveva capito che era lì da lui per scoprire cosa significassero quei sogni: lui aveva le risposte, lui sapeva cosa la tormentava, ma erano risposte che avevano dato vita ad altre domande sempre più complicate, le quali richiedevano uno sforzo enorme per trovarne la risposta. Non voleva più vederlo, anche se ne avrebbe avuto bisogno. Se solo avesse avuto davvero qualcosa da dirgli, così da non lasciargli tempo per parlare, per confonderla.
 
Dopo aver realizzato che forse anche lui poteva aver sofferto molto in vita, non riusciva più a vederlo come una persona unicamente malvagia. E si odiava per questo, perché sapeva che quell'idea, cresciuta in lei come un cancro, non l'avrebbe più lasciata vivere in pace.
Ma come fare per scoprire la verità? Se fosse stata una semplice nobile avrebbe potuto intraprendere un viaggio, interrogare i famigliari, gli amici, magari anche la sua balia per saperne qualcosa di più. Se fosse stata una semplice nobile avrebbe avuto il tempo per farlo. Ma era una regina, una regina che doveva far fronte ai mille problemi che si affollavano nel suo regno e all'estero, come le tensioni sempre crescenti tra Francia e Austria. In quei tempi c'era da stare molto attenti nel scegliere con chi allearsi, bisognava essere vigili e non perdere tempo in simili frivolezze. Anche lui, probabilmente, aveva passato una vita in isolamento, ed aveva risposto con l'odio, con la cattiveria, mentre lei si chiudeva in sé stessa. Come sarebbero riusciti a superare le loro paure, le loro ossessioni…Le loro ferite? Non aveva tempo per redimere un principe maledetto, in quel momento. Non aveva tempo per redimere sé stessa.
 
***
 
Passò l'ultimo giorno divisa fra incontri con i ministri e chiacchieratine frivole con le dame nei giardini del palazzo; quando pensava che la giornata ormai fosse giunta alla conclusione, Rapunzel la trascinò nelle stalle per farle conoscere Maximus, il cavallo che faceva capo all'esercito del regno. Elsa dovette constatare che era completamente pazzo, ma le strappò un sorriso, quel pomeriggio. Alla fine, tornò esausta nella camera, dove incontrò la servitù che le aveva preparato un bagno caldo e che si apprestava a finire i bagagli. Sarebbe partita il giorno dopo, in mattinata.
Dopo la cena, rimase per un po' nel salone dove tutti furono deliziati dal canto della principessa Rapunzel, alla quale si unì anche Elsa dopo l'ennesima supplica. Sembrava che tutti l'amassero, ma non riusciva comunque a evitare di sentirsi a disagio, sbagliata.
Finalmente, verso le dieci e mezza di sera, riuscì a chiudersi alle spalle la porta della sua stanza. Scivolò nel letto non appena la sua serva riuscì a scioglierle l'elaborata pettinatura che aveva dovuto sopportare tutto il giorno, e si addormentò.
 
E, dopo una settimana di pace, almeno su questo fronte, i demoni che erano rimasti in agguato in attesa di tormentarla, ricomparvero.
 
***
 
"Svegliatevi, Elsa!"
Una voce la chiamava, ma non capiva da che parte arrivasse. Non riusciva ad aprire gli occhi. Aveva troppa paura di quello che avrebbe visto se li avesse aperti: temeva che avrebbe scorto le loro facce, impregnate di odio. Aveva paura.
"Elsa!"
Aprì gli occhi, ma non vide altro che il buio che avvolgeva la stanza. Dopo un po' sentì dei respiri affannati, come se qualcuno fosse stato immerso in una vasca gelata, e la voce la chiamò di nuovo per nome.
Era lui.
Terrorizzata iniziò ad agitarsi nel letto urlando contro il suo tormentatore, che cercava di bloccarle le braccia e le urlava "stai tranquilla...Stai tranquilla Elsa!"
Ma lei continuò ad agitarsi, ancora distesa, fino a quando non sentì più le mani di lui, che voleva solo calmarla. Sentì raschiare qualcosa, finché non vide una piccolissima luce accendersi e andare a posarsi sulla candela appoggiata sul comodino vicino al letto, che illuminò i loro visi. Hans era in piedi davanti a lei, pallido come un cadavere che respirava a fatica e farfugliava qualcosa come "non voglio farvi del male...".
Elsa si guardò intorno, e in quel momento notò che un sottile strato di ghiaccio ricopriva l'intera stanza, e sul soffitto, proprio sopra di loro, si erano formati degli spessi stalattiti di ghiaccio.
"An-datevene" riuscì infine a proferire, in preda ai singhiozzi "o mi met-to ad-ad urlare."
"È da mezzora che state urlando." le rivelò lui, tornando a sedersi sul letto per guardarla negli occhi, che si erano di nuovo riempiti di lacrime. "Vi prego, vi prego lasciatemi sola..." lo supplicò ancora: non voleva farsi vedere in quello stato da nessuno, soprattutto da lui.
Vedendo l'aspetto confuso, disorientato e molto, molto spaventato di lei, Hans si alzò, ma invece di andarsene, si diresse verso il caminetto e incominciò a trafficare per accenderlo, proprio come aveva fatto cinque giorni prima. Lei lo guardò come in trance, realizzando in quel momento che lui non doveva trovarsi lì; non doveva proprio trovarsi in giro per il castello, ma non riuscì a dire niente. Si alzò seduta, e mise la testa fra le mani, afferrandosi violentemente i capelli. Soffocò l'ennesimo singhiozzo: ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva quei volti deformati dalla rabbia che la inseguivano, la torturavano. Osservò fra le braccia che le coprivano gli occhi le spalle dell'uomo che si affaccendava così laboriosamente per accendere il fuoco, e che dopo un po' ruppe il silenzio per cercare di dare qualche spiegazione "Le guardie... Si sono addormentate e ho colto l'occasione per farmi una gita per il castello di notte." La fiamma nel caminetto cominciò a tremolare. "Poi vi ho sentita urlare e sono entrato. Sembravate impazzita."
Elsa faceva finta di non ascoltarlo, ancora scossa, ma in verità era tutta orecchi. Cosa aveva fatto? Aveva pianto? Parlato? Urlato? E cosa aveva detto?
"Si può sapere cosa vi tormentava tanto?"
Tu. Voi. Tutti.
"Non sono affari che vi riguardano." Rispose avvolgendosi il corpo con le braccia, come per proteggersi da tutto. Da tutti.
Poi, vedendo che il fuoco ormai era acceso, si alzò e andò a sedersi sul divanetto di fronte a esso, spaventata dal ghiaccio che gravava sulla sua testa; Hans era in piedi di fronte a lei. "Vi ringrazio per il fuoco. Ora dovete andare." disse con voce ferma, convinta che prima se ne fosse andato, prima si sarebbe sentita meglio.
"Non così in fretta, Elsa."
…Ma non poteva pensare di convincerlo così facilmente. A quanto pareva, aveva urlato per molto tempo, e nessuno era accorso in suo aiuto, forse perché ormai erano tutti abituati a questi spiacevoli eventi durante la notte. Era sola, sola contro lui. Non voleva raccontargli il sogno –l'incubo– che aveva appena fatto, non se la sentiva, soprattutto perché lo riguardava. Scosse la testa ripetute volte, come una bambina ostinata, e temette di star per morire quando lui si sedette accanto a lei, ordinandole di dirglielo.
Si voltò dall'altra parte, dandogli le spalle, ricoperte dai lunghissimi capelli biondi. "No, non voglio."
"Elsa..." le disse, forse supplicandola, "Elsa, non potete tenervi tutto dentro."
Siamo due mostri. Le sue parole che le tornarono in mente con violenza. Erano davvero così simili fra loro?
Scoppiò di nuovo in lacrime, lacrime che si intensificarono –se possibile– quando sentì una sua mano accarezzarle dolcemente la testa "dimmelo Elsa, dimmelo. Dimmelo." Le ripeteva, ora tirandole i capelli " «Non fatemi del male» dicevi. Chi ti faceva questo?"
"Ero–" iniziò voltandosi verso il fuoco, con gli occhi sbarrati. "Ero...–" Ma Hans le chiese subito impaziente "Dove? Dov'eravate?"

"Alla caccia alla Strega." ammise infine con uno sforzo enorme.  Nascose il viso fra le mani, piegandosi su sé stessa. Sembrava che stesse per spaccarsi in mille pezzi.

Non aveva mai rivelato niente –niente– dei suoi sogni a nessuno. Nessuno aveva mai insistito tanto per saperlo...
Forse perché in fondo, a nessuno importava abbastanza di lei da costringerla a parlare.
Nessuno ha mai combattuto per me.
"Ed eravate voi la strega?" Attese che lei annuisse e continuò incalzante "Chi vi dava la caccia?"
"Tutti." non era abbastanza, non era un 'tutti' qualsiasi, e lui lo capì subito, perché le ordinò di specificare chi. Elsa non voleva dirlo: sentiva che se l'avesse detto ad alta voce, quella cosa si sarebbe avverata, ma in quel momento capì cosa stava facendo con lei: voleva solo che sentisse un po' meno il peso dell'incubo. Non voleva semplicemente farla soffrire di più. Voleva che si liberasse di quel peso.
"Il popolo, i miei genitori... Anche Anna. E tu..." non si era fermata in tempo. C'era Hans in quel sogno, ma non aveva lo stesso ruolo che avevano tutti.
 
Brancolava nel buio, sentendo delle parole sussurrate nelle orecchie "è lei!" "strega!" "al rogo!". Poi si guardò indietro e vide alcune luci. All'inizio cercò di andar loro incontro, pensando che erano lì per illuminare la sua strada, ma una volta avvicinatasi ad esse, scorse le facce arrabbiate, imbestialite del suo popolo, tra cui figurava anche sua sorella, e i suoi genitori. Allora cominciò a correre, ma più correva, più le sembrava che si avvicinassero a lei, imprecando contro la strega, contro il mostro. Alla fine si fermò: ormai l'avevano raggiunta. Li vedeva trasformarsi in statue di ghiaccio contro la sua volontà, i volti deformati ora dalla paura.  Anna, con una ferita sanguinante nel petto la fissava da lontano, senza fare niente, nemmeno quando Elsa la chiamò perché l'aiutasse.
Poi
arrivò, anzi, apparì dal nulla: lì dove lei stava per essere linciata, adesso stava il principe Hans, che la guardava mentre veniva inghiottito dalla folla, tornata a inseguirla.
Non ricordava in base a cosa era giunta a quella conclusione, ma era assolutamente sicura che si fosse sacrificato per lei, prendendo il suo posto. Gli raccontò il sogno, ma decise di omettere l’ultima parte, anche se ormai gli aveva detto che c’era anche lui.
 
“Anna vi vuole bene. Come fate ad essere così cieca?” le disse con decisione, con rabbia, come se odiasse il fatto che lei non capiva. Forse c’era un po’ d’invidia nelle sue parole: di certo non poteva dire lo stesso per i suoi fratelli. Poi tornò all’attacco, realizzando in quel momento che c’era anche lui nel sogno. “Cosa facevo io…?” ricominciò a tormentarla per saperne di più; le afferrò il viso con una mano, ormai calda, e affondò le dita nei capelli sulla tempia per  fare in modo che rimanesse ferma, per costringerla a guardarlo negli occhi "Cosa facevo io?"
"Mi hai salvata!" gli urlò mortificata, e sentì che finalmente l'abbandonava una parte del peso che le gravava sull'anima. Allora Hans capì. Finalmente ebbe la prova di quello che pensava su di lei già dal primo momento in cui se l'era ritrovata nella stanza. "È per questo che siete venuta da me?"
Ormai era del tutto inutile per Elsa inventarsi una scusa e continuare a fingere: con uno sforzo immane esclamò "Tu sai cosa vuol dire!". Finalmente era riuscita ad ammettere –e accettare– che dopotutto non erano così diversi fra loro. "Sai cosa significa sentirsi… così... in ogni... momento...sbagliati..." disse con il fiato corto. Ormai non era più in grado di calibrare con cura le parole che usava; Hans rimase in silenzio, beandosi delle parole che finalmente le aveva sentito dire.
"Perché avete tentato di uccidermi se mi volevate?" gli chiese subito dopo, cogliendolo di sorpresa per il repentino cambio di discorso. "Perché?" lo incalzò portando una mano a stringere quella che l'uomo aveva ancora sul suo viso, per paura che questa volta sarebbe stato lui a voltarsi per non risponderle. Soffocò un singhiozzo quando lui le chiese con astio "A voi cosa importa?"
"M'importa, Hans!" gli rispose lei di rimando, arrabbiata.
Ed ecco finalmente traboccare l'amarezza che aveva avviluppato il cuore di lui, nutrendosi di tutto quello che c'era stato di buono in esso. Dopo una breve meditazione, nella quale aveva guardato la regina con uno sguardo di pura indecisione e di odio, rispose con semplicità "è più facile odiare quello che non si può avere." disse, capendo che ormai Elsa era pronta per accettare un po' del suo veleno senza che lo respingesse come aveva fatto fino a quel momento. "E non venitemi a dire che è stata solo mia la colpa."
Elsa comprese che non si riferiva a quello che era successo due anni prima. Lui aveva iniziato ad odiarla quel giorno in cui gli aveva negato un gesto così tanto semplice che non era mai riuscito a capacitarsene, neanche quando aveva scoperto il perché di quel rifiuto. Perché lui non avrebbe mai avuto paura della Regina delle Nevi.
Dopo quella dichiarazione era giunta alla conclusione che desiderava davvero che lui avesse provato ad avvicinarla, ma non era colpa sua se non lo aveva fatto. Non è mai stata colpa di Hans, eppure era lui il mostro odiato da tutti, era lui quello solo. Quello senza lei. Comprese che era stata lei a sbagliare tutto nella vita, ma adesso no: adesso era nel posto giusto.
Pensò che si stava gettando nell'abisso infernale quando portò le mani a cingergli il collo e lo baciò. E mentre lui la stringeva a sé con una forza che le tolse il respiro, mentre le passava una mano fra i capelli e li tirava con foga, Elsa capì che meritava quell'inferno, lo meritava per aver lasciato che lui si sacrificasse per lei.
 
Sapeva che sarebbero arrivati a questo, quella notte passata a meditare e a piangere tutta sola?
No.
Forse.
In quel momento, mentre appoggiava la testa alla sua spalla e si addormentava cullata dalle sue carezze, era sicura che l'aveva sempre saputo.
 
***
 
Hans si voltò verso la finestra cercando di muoversi il meno possibile per non svegliarla. Il cielo cominciava a perdere un po' della sua oscurità: doveva tornare nelle sue stanze se non voleva farsi scoprire.
Si era dato ripetutamente del pazzo mentre cercava la sua stanza nei corridoi del palazzo: se lo avessero scoperto sarebbe stata la volta buona che lo avrebbero condannato a morte, come sarebbe dovuto essere.
Fai un altro passo falso e sperimenteremo su di te la ghigliottina. Era stato il saluto che il suo fratello maggiore aveva riservato per lui, due anni prima. Erano stati troppo buoni con lui, si era ripetuto spesso, anche se sapeva -come tutti- che il destino degli esiliati era quello di impazzire per la solitudine e, nel peggiore dei casi, suicidarsi, o finire con il fegato rovinato per l'abuso di alcool. Prima o poi sarebbe successo, tutti lo sapevano, tutti se lo aspettavano.
Ma doveva vederla, doveva vederla almeno una volta ancora, prima che partisse. Non era del tutto convinto di quello che avrebbe fatto, come si sarebbe comportato se l'avesse trovata a dormire tranquillamente. Forse sarebbe rimasto semplicemente a guardarla. Svegliarla era stato fuori discussione, almeno fin quando non la vide in quello stato.
Abbassò lo sguardo e la vide in tutta la sua bellezza mentre respirava tranquilla nel sonno, le mani che gli stringevano la camicia. A quella visione gli venne in mente un episodio accaduto quando doveva aver avuto quattro o cinque anni, uno dei suoi primissimi ricordi: la sua balia lo aveva portato a vedere una gatta che aveva partorito i cuccioli da una settimana; lui li aveva visti e aveva preso tra le mani un gattino bianco e se l'era portato al cuore, e quello, completamente terrorizzato, aveva piantato i suoi piccoli, deboli artigli nella sua camicia e nella pelle. La visione di Elsa glielo ricordò. Adorava vederla debole e spaventata, forse perché gli permetteva di sentirsi forte. Più forte di quello che era.
Si alzò cercando di non svegliarla. Avrebbe voluto far qualcosa per salutarla: forse lasciarle un biglietto, ma con scritto cosa?
Non le avrebbe mai dato la soddisfazione di farle sapere che quella notte aveva scoperto che sotto gli strati di rabbia, e di odio, e di rancore, c'era un cuore, un cuore che lei aveva fatto tornare a battere, anche se solo per poche ore. La odiava ancora, odiava lei perché era così, perché non aveva mai permesso a nessuno di avvicinarsi, ed ora era troppo tardi. Sia per l'imminenza della sua partenza, sia perché quella maledetta aveva aspettato troppo per rendersi conto che non tutti la temevano per i suoi poteri.
Gettò un ultimo sguardo verso la figura dormiente della regina che emergeva nell'oscurità e chiuse la porta alle spalle.
Le guardie che presidiavano il corridoio dove si trovava la sua stanza erano ancora addormentate: il vino che aveva offerto loro, custodito per mesi e mesi in attesa del momento giusto, era servito e aveva funzionato alla grande, tuttavia si affrettò ad entrare: non poteva permettersi di fallire proprio a quel punto.
 
Attese l'alba guardando angosciato alla finestra della sua stanza che dava sul cortile esterno al castello, aspettando di vedere la carrozza arrivare per prelevare la regina –la sua regina– e riportarla a casa. Passarono tre ore circa, e finalmente qualcosa si mosse: iniziarono a caricare dei bagagli. Ormai era questione di poco tempo, e l'avrebbe vista emergere dal portone. Proprio mentre realizzava che a breve sarebbe arrivata, qualcuno bussò alla porta.
È lei pensò speranzoso, così corse alla porta per aprire, ma davanti a sé non vide la donna che aveva stretto fra le braccia per tutta la notte, bensì una guardia, una stupida guardia che lo distoglieva dal suo tacito addio alla regina, una stupida guardia che gli tendeva un biglietto.
"Per voi, da parte della regina Elsa di Arendelle."
Afferrò subito il foglietto e chiuse la porta in faccia alla guardia biascicando un 'grazie'. Corse alla finestra e la vide. La vide mentre era costretta a farsi baciare la mano –rigorosamente guantata– ai nobili che assistevano alla sua partenza. La vide mentre veniva soffocata da un abbraccio della principessa Rapunzel. La vide mentre alzava gli occhi per cercare la sua stanza, la vide, ed era tanto bella mentre i loro occhi si incontravano. Aprì la lettera senza distogliere lo sguardo, e quando lo abbassò constatò che sperava di trovarci qualcosa in più di due semplici parole.
 
Mi dispiace.
 
Alzò gli occhi pieno d'ira e la vide salire sulla carrozza, pronta a partire, e capì che non l'avrebbe vista per lungo tempo. Forse era l'ultima volta che la vedeva. Quella notte nessuno dei due aveva sbagliato mossa, entrambi lo sapevano, ma una volta sorto il sole, bisognava guardare in faccia la realtà: era un amore impossibile, e se all'inizio era stata solo colpa di Elsa, ora la colpa era di entrambi.
 
"Addio" sussurrò, vedendo la carrozza scomparire davanti ai suoi occhi.
 
 
 

 
 
 
 
 


 
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La foto è ispirata al capitolo 2!
   
 
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