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Autore: sereve    25/04/2014    2 recensioni
Raf e Cry, una storia romantica in uno sfondo apocalittico, ma, come si sa, non si può decidere quando l'amore ti colpirà.
tratto dal ... capitolo: "Mi ritrovai davanti ad un paio di occhi grigi; quasi facevano paura da quanto erano chiari. Cercavo di muovermi ma ero come bloccata, ipnotizzata, quasi, da quello sguardo, che sembrava volermi leggere dentro. Vidi dietro di lui uno spostamento d’ombre e osservai, terrorizzata, il mostro che avanzava lentamente verso il ragazzo sconosciuto, puntando dritto al suo collo."
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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niente introduction oggi, quindi buona lettura =)
sereve

Lucys' bedroom



~~*- allora, cosa hai fatto ad accorgerti che era iniziata l’apocalisse?-. stupida domanda. Il biondino mi guardò con un sopracciglio sollevato e uno sguardo scettico.
-beh,- iniziò poi- vedi, stavo lavorando nel negozio di mio padre, quando ho visto dalla vetrina persone che correvano come disperate; ho fatto due più due e ci sono arrivato, no? Mi ha aiutato anche in fatto che un uomo è saltato addosso ad una donna e le ha morso una guancia, per poi strappargliela e mangiarla, di gusto.  Tu?
-beh, io sono tornata da scuola quando, a quanto pare era finito tutto, ho visto una scia di sangue per terra, l’ho seguita e … -non riuscii a terminare il discorso che un singhiozzo mi scosse e iniziai a piangere.
-ei, che succede?!- chiese allarmato Raf, prendendomi il viso tra le mani.
- Lucy, la mia piccola Lu … sui miei genitori … credevo che stesse cercando di aiutarli, ma.. -era la prima volta che lo ammettevo ad alta voce, ma, quando finii, mi sentii libera da un enorme peso.
-scusa, non volevo- e detto ciò, mi prese tra le braccia, stringendomi possessivamente contro di sé. Lo abbracciai con tutte le forze che avevo,mi aggrappavo a lui perché sentii che, in qualche modo, riuscisse a comprendermi.
-sei la prima persona con cui ne parlo- ammisi dopo, quando riuscii a calmarmi finalmente. Raf non disse niente, ma aumentò la stretta. Imbarazzata, mi staccai un po’ dal suo petto, così che riuscissi a guardarlo in faccia; era bellissimo: i capelli spettinati erano più scuri del solito, perché erano ancora bagnati, e gli cadevano sulla fronte un po’ corrugata. Le labbra erano semiaperte , così rosse e invitanti, mentre gli occhi grigi erano rischiarati e le pagliuzze dorate sembravo animate.
Alzai una mano egli spostai leggermente una ciocca che andava a coprirgli un occhio e appoggiai la fronte alla sua; c’era una calma innaturale, come se il tempo si fosse fermato all’improvviso, immortalandoci. Purtroppo un pensiero interruppe nella mia testa quel momento così magico.
- e i tuoi amici?- chiesi di getto, allontanandomi da lui e aprendo di scatto gli occhi. -loro contano su di te; oddio, ti ho tenuto qui due giorni, sarai preoccupatissimo. Vai, non voglio trattenerti; aspetta ti do vestiti più pesanti, fuori fa freddo. E la strada è tanta, ti preparo un panino o due. Ok, mettiamoci subito; dio mi spiace tanto.
Dovevo sembrare ridicola, mentre camminavo per la stanza agitando le mani. Dopo aver raccolto le idee, e senza lasciarlo parlare, corsi di sopra a prendergli la felpa che gli avevo rubato; gliela avrei ridata anche se non volevo. Recuperai un vecchio zaino nero e gli misi dentro due bottigliette d’acqua, dei fazzoletti, i panini che avevo appena incartato e qualche dolcetto. Per sicurezza gli infilai nella tasca laterale un coltello in bella vista, tanto sapeva  già come utilizzarlo. Dopo aver finito di prepararglierlo, gli presi la giacca e gliela porsi; non potevo di certo essere così egoista da chiedergli di rimanere con me, anche gli altri avevano di sicuro bisogno del loro alfa.
Per tutto il tempo Raf mi aveva guardato senza fiatare, ancora seduto sul divano. Mi lanciava occhiate stranite e non capivo perché; gli porsi tutto e, per non farmi vedere che piangevo, iniziai a spostare i mobili sull’uscio. Sentivo dei movimenti dietro di me, ma non avevo il coraggio di voltarmi; misi una mano sul pomello della porta, e sospirai pesantemente. Quanto avrei voluto andare con lui, ma non potevo, lo avrei solamente rallentato, in più la mia vita era in quella casa che, presto, avrei dovuto abbandonare. Lo avrei fatto appena il biondino sarebbe stato lontano. Se mi fossi affezionata a qualcuno e poi sarebbe morto non sarei riuscita a vivere ancora.
-stai cercando di cacciarmi?- chiese il soggetto dei miei continui pensieri. Non mi ero accorta che si era avvicinato così tanto da trovarmi la schiena appoggiata al suo petto e il suo alito caldo soffiare sul mio orecchio.
-certo che no; ma sei il capo di un gruppo, non lo puoi abbandonarli così, soprattutto per me.
-come hai fatto a capire che sono il capo?
Ridacchiai sommessamente. -facile- esclamai divertita- il tuo atteggiamento con Red e qualche volta qui con me. Ora vai, dai, ti ho trattenuto troppo.
-ok, il tuo zaino?
-come scusa?- mi voltai, stupita. Sul suo volto non c’era alcuna traccia di ironia; scossi la testa, con un abbozzo di sorriso. -io non vengo con te, scordatelo.
-perché?
-ti rallenterei troppo, mi dispiace. Tanto sai dove trovarmi!- purtroppo l’ultima parte era una bugia bella e buona. Speravo di averlo convinto abbastanza da andare, senza che indagasse troppo.
Aprii la porta e lo spinsi fuori giocosamente. Prima che chiudessi la porta, mi attirò a se e mi baciò dolcemente, poi scavalcò il cancello col coltello in mano e mi salutò con la mano. Mi rintanai in camera e guardai fuori dalla finestra piangendo; l’ultima volta che lo avrei visto. Iniziai a fare una borsa con qualche vestito, il coltello con la lama a scatto, ultimo ricordo di Raf, e qualcosa da mangiare, ma soprattutto il Bethezer. Anche se ormai il morso di era cicatrizzato del tutto, non si sapeva mai che non mi servisse ancora.
Mi cambiai con una semplice felpa, pantaloni da corsa, scarpe comode per correre e giubbotto da Nordic Walking  e mi misi lo zaino in spalla. Era abbastanza leggero, quindi non sarebbe stato abbastanza difficile portarlo. Feci un ultimo giro della casa, fermandomi soprattutto in bagno, e lasciai per ultima la camera di Lu.
Davanti alla sua porta chiusa, presi un respiro profondo e aprii la porta azzurra; davanti agli occhi mi trovai una stanza che non ricordavo così: le pareti erano rosse, piene di poster e foto; su una bacheca c’erano solo foto mie e sue insieme. Il letto era come il mio, ma completamente bianco, come l’armadio a parete enorme e il resto del mobilio; un tavolino rotondo in un angolo della stanza era colmo di libri e quaderni e sul pavimento in marmo c’erano ancora sparsi alcuni vestiti e dei pupazzi. Sul comodino vicino al letto,  c’era una cornice d’orata con una foto che non ricordavo di aver mai visto: io e mia sorella che guardavamo la nostra barca al museo vicino a casa, mentre i nostri genitori si tenevano per mano e si guardavano con amore negli occhi e un sorriso accennato.
Mi avvicinai piano e tolsi dalla cornice la foto, per prenderla e tenerla.
Uscii di corsa e, dopo aver controllato d’aver il telefono appresso, chiusi la porta a chiave, tanto nessuno sarebbe più entrato dentro casa mia.  Mi incamminai tra le luci del tramonto nella mia città lasciando tutto.


 
  
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